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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Manga e Anime
Dalla Serie: Death Note
CrossOver: Originale
Titolo Fanfic: SAIGO NO SEIGI - THE LAST JUSTICE
Genere: Azione, Drammatico, Dark, Introspettivo
Rating: Per Tutte le età
Avviso: Spoiler, CrossOver, AU, What if? (E se...), Shounen Ai
Autore: yoko891 galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 12/04/2008 17:30:53

Osservò l'esterno oltre il vetro, le forme nere della città prima dell'alba. Era divertente, recitare il ruolo di Dio...
 
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PLAYING GOD
- Capitolo 1° -

Avverto subito tutti così non si cade nell’errore U____ù
Questa fic non è esattamente presa da Death Note, è solamente ispirata. A parte alcuni cenni nel corso della storia non userò i personaggi principali del manga, tutti i personaggi quivi inseriti, infatti, non fanno parte della serie.
Ok, l’ho detto. Poi se volete leggerla o meno fate ciò che volete! ^____^

Note: Quasi tutti i personaggi usati all’interno di questa fanfic non sono esistiti e/o esistenti, a parte Yoko, Ayumi, Asako, Yukishi e Mika delle quali ho l’autorizzazione per fare di loro ciò che più voglio (U___ù); altri riferimenti a persone realmente esistenti sono del tutto casuali. I personaggi di Jaidyn e Aidan Flaherty, Daniel Wayne, Sirjan Kolstoj e Michael Angelus non sono di mia proprietà, ma ho l’autorizzazione dei rispettivi proprietari per utilizzarli ed infliggere loro superbe e creative pene (XD). Ambientata dopo la fine della serie “Death Note”, di conseguenza non c’entra quasi nulla con le serie in sé per sé.
Note 2: Ho cominciato la fic avendo letto solamente i primi 6 numeri della serie, dunque mi scuso per eventuali incongruenze e/o ripetizioni con la trama originaria che non ho ancora letto. Prendetela come libertà artistica, in un certo senso ^^’’’
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~ Yoko Hogawa ~

Se ad un bambino, o ad un ragazzo…ma sì, anche ad un adulto, perché no. Se ad una di queste persone si chiede il significato della parola “giustizia”, ognuno di loro risponderà e assocerà a quella parola la stessa immagine.
Giustizia = Legge.
E’ facile rispondere, poiché questo è il primo collegamento che il cervello propone come interpretazione al concetto di “ciò che è giusto”.
Ma è sempre così? Supponiamo di voler cambiare il metodo di ragionamento, di volere introdurre degli input all’interno della semplice domanda di partenza “cos’è per te la giustizia?”. Alcune modifiche al concetto originario, alcuni dettagli, piccoli cambiamenti o clausole.
Per esempio; alla domanda “Uccideresti un uomo per il bene della giustizia?” cosa si risponderebbe?
Anche questa risposta è semplice. Per un semplice preconcetto, a tale domanda si risponderebbe “no”. Il motivo? Facile. E’ sbagliato. Uccidere un uomo quando la “giustizia” che si conosce non ammette l’omicidio, la violenza, la tortura...va contro ogni educazione.
Certo, come no. Un immane ammasso di stronzate.
Chiunque risponderebbe così se si trovasse in pubblico, o se la domanda gli venisse posta da un insegnante, o da un poliziotto. Poiché, in presenza d’altri, ogni uomo deve dire ciò che gli è stato detto di dire. Deve dimostrare di andare di pari passo con ciò che pensa la massa, mostrarsi conforme alla società in cui vive e alle regole che la fondano e della quale fanno parte.
Tuttavia, ognuno di noi ha una concezione diversa della legge e, di conseguenza, della giustizia.
Allora la vera domanda, a questo punto, diventa: “in quale giustizia credi?”.
Ecco, questa è la vera domanda a cui si fatica a dare risposta. Dipende da molti fattori, molte variabili non calcolate. L’ambiente in cui si è cresciuti, per esempio, o la società in cui si è nati. Le ideologie di famiglia, gli insegnamenti della scuola, l’educazione ricevuta dai genitori…e chissà quanti altri fattori.
Ma sono poche, pochissime le persone che ammettono a se stesse il loro punto di vista corrotto e, tramite questo punto di vista, sono realmente in grado di cambiare il mondo.
<< Lo sai perché gli esseri umani decidono di uccidere i loro simili, Anis?>> chiese, la spalla sinistra appoggiata allo spigolo della porta-finestra che dava sul balcone, lo sguardo dalle iridi color ebano rivolto all’esterno.
Al suo fianco, un essere gigantesco tutto fuorché umano, voltò appena il volto in direzione della ragazza. Era enorme, rispetto ad un normale essere umano era alto quasi il doppio. Gambe, vita e busto scheletrici, il costato coperto da squame color verde scuro, così come le braccia muscolose. Le mani erano quelle di un rettile, le dita che terminavano in artigli ricurvi dall’aspetto minaccioso. Sulle spalle, a fare da cornice ad un viso smunto e oblungo, le squame terminavano sul collo come se fosse la scollatura di una maglia e, tale scollatura, era cucita sulla pelle cadaverica da evidenti punti di sutura; il tutto completato da alcune ossa che, quasi come abbellimento, gli uscivano dalle clavicole verso l’alto. I capelli, se così potevano chiamarsi data la rassomiglianza a lumache oblunghe, erano di un nero pece. In poche parole, uno Shinigami. Un Dio della Morte.
<< No, Yoko. Non posso rispondere, per me sono incomprensibili >> rispose lui, la voce profonda ma eterea al contempo, ingannevole nel tono ma anche sincera.
La ragazza ridacchiò appena, lo sguardo sempre puntato all’esterno del vetro, lungo il panorama fatto di case e cemento. << Per mille e mille motivi che, alla fine, si risolvono in una sola parola…>> una piccola pausa, la mano che si alza per scostare dal volto i corti capelli neri, in contrasto con la camicia candida della divisa della scuola superiore che frequentava. << Libertà >> terminò poi, osservando il Dio della Morte. Con le braccia incrociate al petto tornò poi a fissare la città, l’espressione seria. << Per noi non c’è vero scopo, nel porre termine alla vita di un altro essere umano. Non è più la Legge di Natura a guidarci, non dobbiamo dimostrare alla Selezione Naturale che siamo in grado di sopravvivere e quindi di essere da lei selezionati. Non siamo come voi Shinigami, che uccidete per allungare la vostra vita, e che dunque avete un vostro personale tornaconto. Noi poveri esseri umani uccidiamo per la nostra libertà, uccidiamo per eliminare qualcosa che non ci va a genio, qualcosa che non riusciamo a controllare e che, dunque, va cancellato. Siamo solo dei poveri idioti, ecco cosa siamo…>>termina, gli occhi che si chiudono mentre, voltandosi, afferra la cravatta rossa dalla sedia della scrivania, posizionandosi davanti allo specchio.
<< Dunque, anche tu lo fai per la tua libertà?>> chiese poi lo Shinigami, voltandosi appena per osservarla mentre si allacciava la cravatta con una certa abilità. Aveva una certa intelligenza, almeno per estrapolare dal contesto i punti salienti di un discorso. Peccato che tale quoziente intellettivo ultraterreno non funzionasse anche per il calcolo integrale e relativi suggerimenti durante i test.
<< No >> rispose la ragazza, il tono secco mentre lo sguardo era fisso sullo specchio, a controllare il nodo del cravattino. << A me la libertà non interessa. Io mi annoio, è diverso >> rispose, terminando di allacciarsi la piccola striscia di seta rossa.
<< Per questo hai deciso di darlo a qualcun altro?>> chiese nuovamente Anis, indicando con una delle sue dita arcuate il profilo nero di un quaderno. Sarebbe sembrato un semplicissimo quaderno se non fosse che, sulla sua superficie, a lettere argentate la scritta “Death Note” non troneggiasse, in rilievo.
<< Esattamente >> rispose lei, la mano destra portata alla giacca verde scuro in taglio classico appesa all’anta dell’armadio. << Mi sono divertita in questi due mesi a sperimentare il Death Note, inoltre sono stata abbastanza attenta da non farmi scoprire. Tutti i miei omicidi si sono concentrati su criminali da strada, spacciatori, stupratori…nessuno che la polizia potesse rintracciare e, soprattutto, ognuno di loro è morto per cause diverse e strettamente plausibili, nel contesto del loro stile di vita. Il mondo non sa che un altro “Kira” è tornato, che la leggenda è risorta. Sono stata attenta nel prevenire esattamente questo…>> una piccola pausa, le mani che, sincroniche, mettono in ordine i risvolti della giacca <<…ma adesso, è giunto il momento >> aggiunge, la voce che da atona divenne maliziosa, un sorriso di sfida le incurvò le labbra.
<< Affidando il quaderno a quel ragazzo? >> chiese Anis, sempre osservandola con espressione distaccata.
<< Precisamente >> rispose nuovamente lei. << Ho preparato una sceneggiatura perfetta. Lui porterà avanti le gesta di Kira, farà rivivere il mito, libererà il mondo dai criminali…proprio come in passato. Dopotutto, se non rinuncio al quaderno, quello che avverrà una volta che glielo avrò consegnato non sarà altro che un prestito, no? Considerato questo, se io non perderò i ricordi del quaderno, questo fa di me ancora il vero proprietario e, di fatto, il vero Kira >> terminò, un ragionamento liscio.
Lo Shinigami sembrò pensarci su per un momento prima di rispondere: << Sì. Ma non vedo in cosa consista il tuo divertimento, in questa situazione >> chiese indirettamente. La ragazza ridacchiò.
<< Non è ovvio?>> chiese, voltandosi ed osservandolo. << Comincia un’altra battaglia fra bene e male, Anis. Ma questa volta, io recito la parte di Dio!>>

~ Michael Angelus ~

Si massaggiò le tempie con fare disfatto, gli occhi chiusi nel processo e una specie di gemito continuo che, come un lamento di dolore, gli usciva dalla gola a labbra chiuse.
Basta, non ne poteva più.
Che lui fosse il migliore a Londra, era risaputo. Che avesse avuto la brillante opportunità di trasferirsi a Tokyo per dirigere un reparto della polizia investigativa, era un privilegio. Ed il fatto che avesse accettato…era stata la mossa più stupida che avesse fatto in vita sua.
Era lì da 24 ore. 24, Cristo Santissimo, e alla sua attenzione erano già stati portati la bellezza di 4 casi irrisolti. I giapponesi erano una massa di stacanovisti e, fra volo e fuso orario, era praticamente…anzi no, decisamente distrutto. Senza contare il modo in cui quella lingua storpiava il suo nome… “Angelusso-san”, ma sarà possibile?
Ok, aveva bisogno di una dormita. Pur essendo ancora mattina aveva gli orari sfasati e, soprattutto, un mal di testa di dimensioni colossali.
Ma, sì sa che nei progetti di riposo nulla può andare per il verso giusto.
<< Angelusso-san!!! >> urlò dall’ufficio. Qualcuno, non importa chi. Sicuramente uno dei tanti “Koichi” o “Takato” che non avevano ancora smesso di gridare quell’obrobrio di nome da quando aveva messo piede in quella centrale di polizia.
Attese che l’agente (un tale Takao Kujo, non c’era poi andato tanto lontano) percorresse tutto il corridoio della sala riunioni, luogo temporaneo adibito ad “ufficio” dato che il suo non era ancora agibile, prima di parlare.
<< Mi dica, ma la prego…mi chiami Michael. Anzi, lo dica anche a tutti gli altri di chiamarmi Michael >> gli disse, in un perfetto giapponese senza accenti, alzando gli occhi solamente dopo qualche istante dal suo arrivo.
<< Sì, Angelusso-san!>> rispose quello, decretando come inutile ogni sua speranza.
<<…lasci perdere, dica pure >> si trovò costretto a rispondere, ascoltandolo.
Quello lo fissò per un attimo con sguardo perso, per poi poggiare davanti a lui un fascicolo dall’aspetto vecchio e chiuso con un cordoncino. Gli ideogrammi scritti sopra in rosso riportavano la scritta “Caso Kira 2006/2010”e, con uno stampo, sotto ad essa vi era stata imposta la sigla di “caso chiuso”.
Con occhi critico osservò il fascicolo, portando poi lo sguardo sull’agente che glielo aveva portato << conosco il caso Kira, è uno dei più famosi del mondo…>> disse appena. Ehi, aveva fatto 9 mesi di accademia prima di entrare in polizia, il caso Kira era uno dei più interessanti; era ovvio che lo conoscesse, non doveva mica rileggerselo per convincere i suoi nuovi sottoposti che sapeva la sua!
<< No, non per quello signore! Per questo >> si affrettò a dire Takao, poggiando sulla scrivania un plico di tre o quattro fogli scritti a computer, muniti di alcune foto. << Negli ultimi tre giorni sono morti tre criminali già incarcerati, tutti e tre per arresto cardiaco…>>
<< E tu pensi che centri con Kira?>> lo interruppe l’ufficiale, osservandolo letteralmente dall’alto in basso. Si sa che i giapponesi non brillano per la loro statura, soprattutto Takao che era alto un metro e un tubetto di ketchup; e paragonato ad un inglese alto un metro e novanta era ovvio che Michael, in piedi, avesse un’inquietante sguardo come per dire “lavora e taci”. Forse era anche per quel motivo che lo avevano mandato lì.
<< Beh…ecco…le modalità…>> balbettò appena l’agente, scostando lo sguardo dagli occhi scuri dell’uomo che, per tutta risposta, appoggiò con estrema calma e cautela il fascicolo e i dati appena avuti sulla scrivania, sospirando appena.
<< Tak…no, Kujo-san >> si corresse subito, maledizione anche alle formule formali << solamente perché, per una qualche coincidenza tre criminali muoiono di arresto cardiaco non vedo il motivo di ricollegarlo subito al caso Kira. Il caso è stato risolto anni fa, il colpevole giustiziato così come doveva essere. Non c’è nessun altro “Quaderno della Morte” o solo Dio sa cosa in questo mondo. Dunque, Kujo-san, non cominciamo a vedere alberi dove cresce solo erba, altrimenti ogni caso…ogni…>> ma dovette bloccarsi. Lo sguardo, solitamente fisso sul suo interlocutore, chissà per quale motivo era scivolato sul primo foglio del rapporto che solo qualche secondo prima aveva appoggiato sulla scrivania insieme al fascicolo di Kira.
Più precisamente, su una delle foto che accompagnavano il resoconto sul primo criminale trovato morto, un certo Asato Tsukiya.
<< Kujo-san…>> bofonchiò, prendendo in mano il foglio con la mancina, osservando la foto con espressione concentrata e allo stesso tempo quasi basita.
<< Sì, signore?>> rispose l’agente, impeccabile nella sua divisa, osservando attento l’ufficiale del fisico statuario e i capelli corti e corvini.
Una pausa di qualche istante, il tempo di collegare tutti i tasselli del puzzle e metterli ognuno al proprio posto…<< questo Asato Tsukiya ha completamente imbrattato la cella con dei punti e delle linee, ha notato?>> chiese, senza distaccare gli occhi dalla fotografia e prendendo a camminare avanti e indietro per l’ “ufficio”.
L’agente ci mise un po’ per rispondere << Sì, signore >> rispose semplicemente, seguendo con lo sguardo il superiore, senza perderlo di vista nemmeno per un secondo.
<< Hai la vaga idea del perché o di cosa sia?>> chiese nuovamente, ora riportando gli occhi verdi sul piccolo omarino giapponese. Lui, per tutta risposta, diniego con il capo: << No, signore >> rispose.
<< E’ un codice. Il codice Morse, per Dio!>> esclamò, tornando velocemente alla scrivania e, tirando indietro la sedia con furia, vi si sedette sopra senza grazia. << Il carcerato era un disertore della marina giapponese arrestato per stupro, è ovvio che in marina insegnino ancora il codice Morse, in caso di necessità si comunica con quello >> ragionò, leggendo in fretta e furia le varie parti del trattato e, con la medesima fretta, tolse la graffetta e sparse i tre rapporti con relative foto sul tavolo, guardandole come se fosse impazzito. << Si sieda a quel computer e mi cerchi una tabella di decodificazione del Morse!>> ordinò poi al sottoposto, indicando con il volto uno dei vari computer presenti nella sala.
La polizia giapponese, come ogni altra istituzione del paese, era avanti in fatto di informatica e all’interno della loro sala riunione vi erano diversi tavoli, forniti ognuno di quattro processori ultimo modello a schermo piatto collegati, tramite line interna, al computer “madre”, ovvero quello che al momento usava Michael.
Dopo qualche secondo di sbigottimento, l’agente annuì e, velocemente, prese a ricercare su internet ciò che gli era stato chiesto.
Al contempo, Michael era corroso dal dubbio. Per quale motivo un carcerato condannato a trent’anni di reclusione avrebbe dovuto imbrattare il muro della cella con un messaggio scritto in Morse, codice che conoscono solamente i marines e gli appassionati? E soprattutto, come faceva a lasciare scritto un messaggio se non sapeva nemmeno di stare per morire? Fosse morto per suicidio avrebbe avuto senso, ma per arresto cardiaco è impossibile capire quando si morirà e fare in modo di lasciare un messaggio d’addio, o qualunque cosa fosse quello lasciato dall’uomo. A meno che il codice non sia stato scritto da qualcun altro…ma da chi? Secondo i testimoni il carcerato è deceduto in piena notte e, inoltre, era in isolamento, dunque da solo. Impossibile che il codice fosse stato scritto dopo la morte da uno dei secondini che si dilettava nella manomissione di prove, le carceri giapponesi erano severe e sceglievano con cura i loro addetti…
Ma, a questo punto, la soluzione era solamente una. Le sue azioni erano state appositamente calcolate in modo che, prima di morire, l’ex marine avesse potuto scrivere quel messaggio.
Ma per fare questo servivano i poteri di un Death Note…serviva un altro Kira.
…no. Possibile che la mammoletta avesse avuto ragione a sottoporre quella serie di coincidenze ad un’analisi più approfondita? Per semplice curiosità si sarebbe realmente riaperto uno dei casi più soprannaturali della storia?
<< Non può essere…>> sussurrò, passando con lo sguardo alle altre due serie di fotografie che accompagnavano i relativi casi degli altri due uomini deceduti. Anche in quelle, fotografati senza che nemmeno fossero presi in considerazione, altri due messaggi in codice. << Nel caso del secondo giustiziato, il codice è in binario. Scopri se questo Yuroi Takeda aveva a che fare con dei computer o, comunque, con il linguaggio informatico >> naturalmente sempre rivolto a Kujo << e il terzo, Shinnosuke Aida…il codice è un semplice anagramma, probabilmente tutti sarebbero in grado di farlo, ma fa lo stesso. Controlla se durante la sua permanenza in carcere ha richiesto delle riviste di enigmistica, o se le comprava prima dell’arresto >> ordinò, perentorio, senza nemmeno pensare a dove si trovasse ora.
Tuttavia, fortunatamente, Kujo sembrava ancora più preso del suo comandante da quella particolare situazione in cui si era volontariamente tuffato di testa. Anzi, a cui aveva praticamente dato il via.
<< Ho trovato la tabella signore, gliela invio tramite pc!>> esclamò dopo ogni cenno affermativo con il capo, trafficando per qualche istante con la tastiera e, in pochissimi secondi, la tabella di decodificazione del Morse comparve sulla schermata del computer di Michael.
Quasi istantaneamente, gli occhi di Michael svettarono dai fogli allo schermo, cominciando subito ad appuntare e “tradurre” tutte le varie figure che poteva riconoscere << punto, punto, linea…>> cominciò a farfugliare, seguendo ogni traccia. << è giapponese latinizzato, ha usato il Romanji*. Molto in gamba, riprodurre gli ideogrammi con il Morse è impossibile…>> sussurrò, prevalentemente a sé stesso. Il suo cervello, come al solito, ragionava al doppio della velocità e, davanti ai suoi occhi, la cartella del caso Kira sembrava bruciare come braci ardenti. Non poteva riaprire quel caso, non poteva essere di nuovo un “Kira”…
<< Signore!>> lo interruppe poi Kujo, terminando per qualche istante di battere a tastiera e cliccare con il mouse in un movimento quasi impazzito. << Takeda era un haker, stava scontando due anni per crimini informatici. Mentre Aida era uno spacciatore, arrestato sei mesi fa >> aggiornò velocemente << le passo la griglia di scrittura del codice binario, signore >> aggiunse poco dopo, premendo “invio”.
<< Ovvio >> fu la sola risposta comprensibile di Michael. << Non credo che un potenziale Kira sia in grado di manovrare i momenti precedenti alla morte facendo scrivere messaggi in codice a gente che, tali codici, non è in grado di conoscerli. Per questo l’ha cambiato; il morse per un disertore della Marina Giapponese, un binario per un haker…sì, potrebbe quadrare…>> asserì nuovamente.
<< Signore…vuole forse dire che ci troviamo davanti ad un nuovo Kira?>> chiese Kujo, la voce emozionata ma allo stesso tempo agitata. Michael si fermò, per la prima volta da quando aveva notato quei codici, alzando lo sguardo verso l’agente. << Lo scopriremo presto…>> si limitò a dire, tornando dunque al lavoro.

~ Anis ~

Era solo per curiosità che aveva deciso di seguire alla lettera la voci che giravano nel mondo degli Shinigami.
La vicenda di Ryuk e Light Yagami, l’umano che aveva trovato il primo Death Note, ormai era leggenda anche nel loro mondo…oltre che in quello dei mortali.
Si annoiava. Nulla di più, nulla di meno.
Ed era curioso di natura. Per questo aveva fatto la stessa cosa di Ryuk, facendo cadere il suo secondo quaderno della morte sulla Terra. Per fortuna non erano in tanti, nel suo mondo, a possedere due Death Note.
E l’aveva raccolto lei. All’inizio non era così propenso a rimanere a fianco di un’umana fino alla sua morte, o fino alla fine del quaderno che lei aveva trovato. Aveva pensato di ucciderla subito, effettivamente, pensando che la sua smania di divertirsi in quel modo fosse stata solamente un errore ma…alla fine la situazione si era dimostrata abbastanza interessante.
Ryuk aveva ragione. Erano gli esseri umani senza remore o rimorsi quelli più divertenti, perché inventavano modi di uccidere sempre più efficaci e coloriti, mettendo in atto una fantasia ed una creatività che lui, come Shinigami, non sarebbe nemmeno stato in grado di possedere.
E Yoko, nel testare le regole e i limiti di quel “fantastico modo d’uccidere”, come lo chiamava lei, non era minimamente priva di immaginazione.
Tuttavia, non vedeva il motivo di risvegliare la leggenda di Kira quando ormai tutto il mondo si sentiva al sicuro.
Inoltre, non capiva perché lei avesse deciso proprio per quel ragazzo. Non aveva niente di speciale, non sembrava niente di che.
<< Yoko, posso chiedere nuovamente il motivo del prestito?>> chiese, la solita voce profonda ma eterea al contempo mentre, come tutti i giorni, seguiva la ragazza verso quell’edificio chiamato “scuola” in cui lei stava rinchiusa fino al primo pomeriggio. Gli altri umani non potevano sentirlo, ne vedere come seguiva la ragazza con le sue enormi ali da pipistrello in membrana verde.
Lei, nel suo solito modo di fare distaccato, alzò gli occhi dal libricino che leggeva durante il tragitto << Sei duro di comprendonio, Anis >> disse, il sussurro leggero di chi ripete sempre le stesse cose senza tuttavia apparire seccato dal fatto. << Mi annoio. E’ un modo come un altro di passare il tempo >> rispose, la cartella a tracolla che sfiorava appena la gonna a pieghe nera.
<< Questo posso capirlo >> incalzò lo Shinigami, sempre seguendola << quello che non capisco è il perché di questo desiderio di rivelare di nuovo l’esistenza di Kira >> aggiunse, chiaro e diretto come sempre.
Lui era un Dio della Morte imparziale. Non patteggiava per nessuno, tuttavia era seccante dover cambiare proprietario proprio adesso che cominciava a divertirsi dei metodi d’omicidio della diciassettenne.
Lei, continuando nella sua tranquilla camminata, rispose anche a questa domanda: << ma perché è il mondo che lo vuole!>> rispose solamente, sorridendo imbambolata e con aria di superiorità << cosa dovrei farmene di un Quaderno della Morte senza godere di fama e popolarità? Senza diventare famosa come il precedente possessore di un potere simile? Sarebbe noioso, nonostante mi diverta a mondare il mondo dai criminali >> cominciò, sempre a voce bassa, come sempre quando parlavano fuori casa. << Mentre, facendo quello che ho intenzione di fare…potrei stare a guardare due esseri umani che si distruggono fra loro senza nemmeno sapere la loro reciproca identità. Non ti sembra meraviglioso?>> aggiunse, aumentando appena il passo.
No, non ci trovava nulla di così sensazionale.
<< Va bene, se lo dici tu…>> si limitò semplicemente a dire lo Shinigami, puntando gli occhi sulla cartella della ragazza. All’interno, probabilmente fra il libro di matematica e il quaderno a molle, vi era il Death Note.
All’improvviso, la ragazza rallentò il passo, osservandolo di sbieco con un’espressione pungente << Cos’è, ti senti perso a lasciare il mio fianco, Anis?>> chiese in quella che doveva essere una frecciata maliziosa.
Lo Shinigami si fermò dietro di lei, guardandola assorto dall’alto in basso. << Certo che no, mi secca solamente >> rispose, sintetico, sempre guardandola negli occhi. Orami era abituato al carattere della ragazza; a pelle stava simpatica a tutti, ma poi si dimostrava fin troppo egoista e dalle maniere da finta prima donna.
Tuttavia, aveva la spiacevole sensazione che ogni suo comportamento non fosse in realtà il suo vero ego.
Ci misero almeno altri 15 minuti prima di arrivare nell’edificio definito “scuola”. Era una noia stare tutti i giorni affianco al banco della ragazza senza niente da fare, non poteva nemmeno muoversi e, di certo, Yoko non si metteva ad uccidere gente a scuola.
Una vera palla.
Tuttavia, quel giorno sarebbe stato differente. Lei aveva intenzione di fare lo scambio proprio a scuola, ed era estremamente curioso di vedere come avrebbe fatto.
Come al solito la accompagnò all’ingresso, vicino agli armadietti per il cambio delle scarpe. La osservò infilarsi i sandali neri da interno, riporre quelle da esterno nell’apposito armadietto e, come ogni giorno, salutare cordialmente chi le rivolgeva la parola con un sorrisetto. In realtà, la ragazza gli aveva rivelato che non sopportava praticamente nessuno, in quella scuola. O almeno, le eccezioni erano poche.
Una volta fatte le scale si ritrovò a svolazzare per il corridoio. Certo, gli altri studenti non potevano vederlo e dunque scansarlo, perciò gli passarono semplicemente attraverso, senza nessun fastidio.
Però, la ragazza non voltò in direzione della sua classe. Nonostante la campanella fosse già suonata, si diresse verso la seconda rampa di scale per il piano superiore e, una volta in quel corridoio, prese la terza rampa in direzione del tetto.
<< Dove andiamo?>> chiese dunque lo Shinigami, curioso per natura.
<< Devo terminare il set per l’entrata in scena di Kira >> rispose la ragazza, facendo gli scalini con un passo affrettato << non posso andare in bagno, troppi curiosi. Solitamente sul tetto non c’è nessuno di prima mattina >> completò, usando il peso del corpo per aprire la porta tramite maniglione a spinta.
Proprio come aveva detto, il tetto era deserto. Quella ragazza poteva essere sorprendente, a volte.
Facendo qualche passo si voltò poi verso destra, percorrendo i pochi metri che la separavano dalla rete di protezione. Era il posto ideale, dato che era coperto dall’ombra del piccolo edificio che costituiva l’entrata al tetto.
Anis, chiudendo le ali, rimase in piedi al suo fianco mentre lei, già seduta a terra, aprila la cartella estraendone il Death Note.
<< Pensavo avessi finito i preparativi ieri sera >> intervenne lo Shinigami, osservando paziente…e incurante.
<< Assolutamente no >> rispose lei, aprendo il quaderno dalla copertina nera e sfogliandone le pagine fino alla prima libera << mi serve un criminale fresco di oggi. Non posso di certo uccidere persone incarcerate da molto tempo, probabilmente la polizia potrebbe arrivare a pensare che fosse tutto programmato da una sottospecie di Serial Killer intenzionato a seguire le tracce di Kira, e non è questo che voglio far credere loro >> disse, aprendo l’astuccio ed estraendone una penna a punta fine di colore nero.
<< Capisco, per questo hai comprato il giornale…>>
<< Esatto >> rispose subito la ragazza, estraendo la copia mattutina, perfettamente ripiegata, dell’ Asahi Shimbun, quotidiano d’informazione diffuso in tutto il Giappone. Con un ordine quasi patologico sistemò il quaderno nero sulla destra, mentre aprì il giornale alla sua sinistra, cominciando a leggerlo. Scorreva pagine ed ideogrammi con una velocità quasi sorprendente, le pupille andavano dall’alto in basso mentre, lo sapeva, nel suo cervello da umana elaborava schemi e riassumeva i punti principali dell’articolo.
<< Bingo!>> disse poco dopo, usando una tipica frase da telefilm americano. Puntò l’indice sulla pagina di giornale indicando un articoletto in quarta pagina, nell’angolo in fondo.
Lo Shinigami si sporse, leggendo ad alta voce: << “Bomba al parco giochi di Shibuya* ” >> disse, interpretando ogni ideogramma con facilità accanto alla fotografia di un uomo dalla faccia moscia e calvizia incipiente.
<< l’attentatore è latitante, ma l’hanno riconosciuto grazie alle impronte digitali lasciate sull’ordigno inesploso >> chiarì Yoko, sorridendo malignamente << proprio quello che fa per me…>> aggiunse.
Bastò un movimento della destra, la penna stappata in un modo tutto personale, operando una torsione del pollice. La punta fine di posò sulla pagina a righe del Death Note, cominciando a tracciare il primo carattere di una descrizione, ad una decina di centimetri di distanza dal bordo destro della pagina.
E Anis la osservava. Curioso, sì…era sempre curioso di vedere cosa si sarebbe inventata ancora quella ragazzina, con i suoi collegamenti mentali che andavano sempre a parare in qualcosa di particolare.
Era dannatamente interessante e, nonostante non fosse assolutamente di parte, non voleva lasciare il suo fianco proprio per questo. Stava giusto seguendo la scrittura degli ideogrammi sul quaderno quando fu proprio la ragazza a prendere parola: << Una volta che avrà terminato torneremo in classe e seguirò le lezioni normalmente. Alla fine delle lezioni lui oggi ha il turno di pulizia, dunque rimarrà in classe. Approfitterò di quell’occasione >> lo informò, continuando a tracciare ideogrammi e a guardare l’orologio da polso, portato stranamente sul destro. Solo quando ebbe effettivamente finito Anis poté alzare lo sguardo sul quaderno, leggendo il contenuto del messaggio proprio mentre Yoko inseriva il nome dell’uomo nello spazio vuoto lasciato in precedenza.

Taro Kawamura Il 27-03-15 alle ore 09:00 penserà ad un modo per attaccare le forze dell’ordine. Alle ore 11:00 spedirà alla centrale di polizia di Shibuya una lettera in carta da imballaggio, chiusa, contenente un piccolo esplosivo di basso carico con timer a distanza controllato dal suo cellulare. Alle ore 11:12 farà brillare il pacco. Muore di infarto 40 secondi dopo l’esplosione a qualche metro dal loco.

<<…puoi fare di meglio >> si limitò a dire, leggendo la causa della morte mentre lei, contando probabilmente i secondi, sorrideva appena alla battuta dello Shinigami.
<< Fidati Anis, il bello comincia solamente ora >> rispose lei, ridacchiando appena. << Ho scritto nomi di criminali nel quaderno in modo da coprire il periodo di “scambio”, possiamo chiamarlo così. Nessuno comincerebbe subito ad usare il quaderno avendolo sotto mano…o meglio, nessuno ci crederebbe ancora. Per gli esseri umani che non ci hanno avuto a che fare, il potere che può avere un Death Note è una leggenda, una storiella raccontata dalla tv e su giornali scandalistici dopo la chiusura del caso Kira >> cominciò a spiegare, osservando quasi compiaciuta le poche pagine in cui aveva segnato abbastanza nomi. << Ma lui lo farà. Accetterà il ruolo di “Kira” che io gli sto offrendo, deve solo convincersi che il quaderno funziona realmente. E poi…ci sarai tu. Vedendo te si convincerà >> aggiunse, guardando solo per un istante lo Shinigami, per poi tornare ad osservare il quaderno.
Osservando l’attuale proprietaria del quaderno, Anis non volle fare altro che seguire il gioco. << Staremo a vedere, Yoko >> si limitò a rispondere, distaccato come sempre.

~ Michael Angelus ~

Si appoggiò allo schienale con espressione incredula, gli occhi puntati sul foglietto riempito di frasi nella sua stessa calligrafia ordinata, la bocca semi-aperta nell’osservare il risultato a cui era giunto.
Non riusciva a dire niente. Non riusciva a pensare niente.
Come poteva essere? Come?
<< Kujo-san…>> chiamò appena, un filo di voce appena percettibile nel silenzio confusionario della sala, dove il solo rumore udibile era quello degli altri agenti all’esterno dell’ufficio indaffarati con il lavoro.
Al suo fianco, seduto su una sedia di plastica rimediata chissà dove, Takao Kujo si allentava la cravatta con espressione ancora più sconvolta del suo superiore. Nemmeno lui rispose, come se gli mancasse l’aria.
Davanti a loro, scritta nel foglio sotto le tre fotografie messe in fila, la frase che a tutto diede inizio cinque anni prima…

L, shite iru ka…


Solamente dopo qualche secondo l’agente riuscì a voltare lo sguardo, rispondendo al superiore: << S-sì, signore?>> chiese, osservando il profilo da fotomodello di Michael.
<< E’ possibile che…questa frase…sia stata diffusa per notiziari o telegiornali? Anche appena chiuso il caso Kira, oppure qualche anno dopo…magari in uno speciale televisivo?>> chiese, gli occhi verdi che si rifiutavano categoricamente di lasciare il foglio e quella frase, scritta in calligrafia ordinata.

…Shinigami wa…


<< No, signore…non è possibile >> disse l’agente, deglutendo prima di parlare << E’ materiale…riservato >> concluse, portando ora lo sguardo sul fascicolo aperto in cui, alla luce del sole proveniente dalle finestre, alcune foto creavano uno strano gioco di controluce. Erano vecchie foto di messaggi lasciati da alcuni criminali, in cui la prima linea di ideogrammi in alto era sottolineata fino a formare una frase. La stessa frase che loro avevano appena trovato…

…ringo shika tabenai?


<<Allora…sarai felice di spiegarmi come facevano tre criminali a saperla e a scriverla in codice su un muro…>> rispose all'agente con una calma fuori dal comune.
No, probabilmente era solo incredulità.
<< “L, lo sai che gli Dei della Morte mangiano solo mele?” >> la rilesse Kujo, confrontandole entrambe con lo sguardo, ancora e ancora, rileggendole come se entrambe non fossero scritte in un giapponese chiaro ed elementare. << Sì è…la stessa di cinque anni fa…>> confermò nuovamente l’uomo, abbandonandosi a sua volta contro lo schienale della sedia in cui si era seduto.
Al contempo, Michael era completamente perso nei ragionamenti.
Perché non poteva, non poteva essere un altro Kira. Non poteva essere tornato il più grande criminale di tutti i tempi. Il primo Kira era Light Yagami, figlio del sovrintendente Soichiro Yagami.
Light Yagami era morto cinque anni prima, e con lui Kira.
No. Si rifiutava di riaprire quel caso.
Magari era solo un seriale. Qualcuno che era riuscito ad infiltrarsi, un’organizzazione, una setta. In Giappone abbondavano, anche se non erano mai arrivati a questo punto.
Nessuno aveva mai osato copiare gli omicidi di Kira anche perché, diciamocelo, non si può uccidere con un attacco cardiaco…a meno che tu non sia proprio Kira.
Aveva ancora poche prove. Poche solamente perché non voleva ritenere quella che aveva in mano come quella schiacciante. Non voleva ammettere di ritrovarsi per le mani uno dei casi che più contano vittime nella storia della polizia e dell’indagine mondiale.
<< Angelus-san…>> fu Kujo a distrarlo, pronunciando per un qualche miracolo il suo cognome con l’accento giusto. Michael volse in capo in sua direzione, senza dire ancora nulla.
<< Ha intenzione…di riaprire il caso Kira? >> chiese, guardando il nuovo sovrintendente come se stesse osservando un compagno di battaglia alla presa dell’accampamento, alla sconfitta.
Michael non rispose subito. Chiuse gli occhi qualche istante, la testa ancora dolorante e pulsante.
Poi, all’improvviso…la spinta necessaria affinché tutto prendesse il via.
E questa volta definitivamente.
<< Angelusso-san!>> urlarono dall’esterno, bussando frettolosamente alla porta della sala riunioni. Non diede il permesso di entrare, forse ancora shockato dalla frase appena rinvenuta, ma l’agente entrò comunque.
Doveva essere una notizia grave. Osservò l’orologio da polso; erano le 11:35 del mattino.
<< Signore, c’è stato un attentato alla stazione di polizia di Shibuya!>> sbottò l’agente di cui al momento non riusciva proprio a ricordare il nome. << Una bomba! Dello stesso modello di quella inesplosa ieri nello stesso quartiere. E’ stato ritrovato il sospettato, Taro Kawamura, poco distante dalla centrale. Il medico legale dice che è morto a causa di un attacco cardiaco >> terminò, poggiando delicatamente il fax inviatogli dalla stazione di polizia di Shibuya.
Non prese nemmeno in mano la documentazione. Non voleva leggerla. Sapeva già cosa fare.
<< Kujo-san, avverta il Capo della Polizia e il dipartimento di indagine degli ultimi avvenimenti. Lo metta al corrente che c’è bisogno di una riunione generale dell’ ICPO*, chieda di organizzarla il prima possibile. Gli dica…>> piccola pausa, il tempo di auto convincersi di poterlo fare. No, non era questione di “potere”…lui doveva farlo. Era uno di Scotland Yard, per Dio. Ne valeva della responsabilità e del ruolo che ora ricopriva.
<<…gli dica che ho intenzione di riaprire il caso Kira >>terminò, l’aria greve e densa nella stanza, come se d’improvviso si fosse trasformata in piombo.
Entrambi i poliziotti presenti non fiatarono, Kujo solamente annuì, schizzando immediatamente in piedi e precipitandosi di corsa fuori dalla sala riunioni.
Stava per cominciare un nuovo incubo…e lui sapeva già chi chiamare in aiuto.

~ Timoty Satler ~

Passava praticamente la metà delle ore di lezione a guardarla.
Non perché gli piacesse, oppure provasse un particolare interesse nei suoi confronti…semplicemente, essendo seduta una fila più avanti sulla sinistra, rientrava nella sua visuale mentre vegetava durante le lezioni guardando la finestra. Cioè non voleva dire niente.
Quando cambiava posizione fissava per la rimanente metà l’occhialuto Seishiro Magami, e non è che fosse una stupenda visione.
Tuttavia quella mattina, quando come al solito non ascoltava nemmeno una parola della lezione di algebra, c’era qualcosa di diverso. No, non la spiegazione. L’unica materia in cui aveva il massimo dei voti era matematica e di certo non aveva bisogno di sapere a che parte del programma erano arrivati.
La Hogawa. Ovvero quella che fissava per metà delle lezioni, come sopra detto.
La prima ora non si era presentata in classe e, per il resto delle lezioni, non aveva fatto altro che fissare un punto vuoto della lavagna con un sorrisetto sornione in viso, malizia pura negli occhi.
Sembrava compiaciuta per chissà quale cosa.
Beh, non erano assolutamente affari suoi. Il suo affare principale al momento era l’ora di Letteratura Inglese con il professor Wallacy, l’unica lezione che valesse qualcosa in quella scuola in cui aveva dovuto per forza entrare.
Motivo? Semplice. Suo padre era un poliziotto. A causa di un progetto messo in atto dal governo Londinese, suo padre ed altri agenti di polizia inglesi avevano avuto un’offerta di lavoro in Giappone e, dunque, un conseguente trasferimento a tempo indeterminato nella Megalopoli capitale del Paese del Sol Levante.
Suo padre era stato uno dei primi e, ormai, stavano in Giappone da quasi due anni.
Non era stato difficile imparare la lingua…il parlato almeno. Gli ideogrammi ancora non li masticava molto, aveva imparato solo due alfabeti e quasi la metà dei simboli e dei rispettivi significati, però migliorava considerevolmente.
Non stava male…c’era solo una cosa che mancava per completare il quadro.
I suoi due unici amici.
Erano ancora in Inghilterra…e chissà quando ci sarebbe tornato lui, in Inghilterra.
Sbuffò, annoiato e depresso. Tutte le volte che ripensava ai gemelli diventava malinconico.
Maledetto fuso orario, non poteva nemmeno chiamarli ad orari decenti.
<< Satler-kun, sei attento?>>
Fu il professore a risvegliarlo dai suoi pensieri. Alzò appena gli occhi oltremare sulla figura dell’uomo, annuendo con il capo e aggiungendo un convincente << Sì, sensei* >> come riusciva a fare tutte le volte.
L’arte della menzogna. L’aveva plasmata con un considerevole labor limae durato anni, ed ora era quasi perfetto.
<< Bene allora, ti dispiacerebbe venire a risolvere questo calcolo di integrale definito?>> disse il professore, il libro aperto trattenuto con la destra e la mancina che porgeva il gesso verso Timoty.
Bastò un’occhiata. Alzandosi dalla sua posizione semi-riversa sul banco si scostò dal viso alcuni ciuffi di capelli rossi, osservando la lavagna e leggendo il testo dell’integrale.
<< 3 per logaritmo naturale di 2 >> rispose subito, senza nemmeno alzarsi dal posto. La classe cadde nel silenzio mentre il professore, buttando un occhio sul libro di soluzioni, annuiva basito.
<< S-sì, giusto…bravo, Satler-kun…>> balbettò solamente, per poi tornare alla lezione mentre, ogni tanto, lanciava un’occhiata sorpresa al rosso.
Seccante. Ma con chi credevano di avere a che fare? La matematica era la sua vita.
Tornò entro cinque secondi nella posizione precedente, appoggiando il gomito destro al banco e il viso sulla relativa mano. Il volto, come sempre, tornò a fissare la finestra esattamente dietro il banco della Hogawa.
Ma questa volta, con quel sorrisetto sornione…Hogawa stava osservando lui.
Gli occhi scuri non si spostavano dai suoi, come se volessero dire qualcosa che Timoty non sapesse decifrare. Lui e Hogawa non parlavano molto…anzi, non parlavano affatto. L’unica cosa che una volta gli aveva chiesto, e che aveva richiesto una collaborazione del tipo “vengo a casa tua dopo le lezioni” era stato quel periodo in cui lei aveva la fissa per l’informatica e aveva voluto lui come insegnante per la creazione di virus e backdoors per infiltrazioni in altri computer. Poteva farlo e l’aveva fatto, fine del discorso.
Che volesse chiedergli qualcos’altro del genere?
Fu il tanto agognato suono della campanella a distrarlo dall’espressione maliziosamente divertita di Yoko. Sospirando ed ignorando accuratamente le ultime raccomandazioni del prof per gli imminenti esami, prese la cartella dal fianco del banco e, con un movimento fluido e tranquillo gliela posò sopra aperta. Doveva anche rimanere per le pulizie, che seccatura.
<< Satler-kun?>> si sentì poi chiamare dal sua fianco. E, mentre voltò il capo, si disse che non poteva essere possibile.
<<…Hogawa-chan >> salutò, cortese ma sorpreso che gli avesse rivolto la parola.
Lei sorrise, ora cortesemente, in sua direzione. << Domenica pomeriggio c’è una gara cosplay in centro, che ne diresti di accompagnarmi? So che anche a te piacciono i manga e io sono da sola…>> chiese appoggiandosi appena al banco con le gambe.
Non sapeva che rispondere. Tuttavia, sembrava scortese rifiutare…e poi aveva già pensato di fare un giro alla gara cosplay, anche per trovare qualche arretrato. Alla fine, con lei o da solo non c’era differenza.
<< Va bene >> rispose, annuendo.
<< Perfetto. Magari ci sentiamo per l’ora, che ne dici? Puoi darmi il tuo numero per cortesia? Credo di averlo cancellato quando ho cambiato scheda >> disse lei, frugando nella tasca della giacca verde della divisa e porgendo il suo cellulare al ragazzo che, annuendo gentilmente, lo prese e cominciò a salvare il suo numero.
Probabilmente fu in quel momento che Yoko fece scivolare lentamente un quaderno nero all’interno della cartella del ragazzo, senza che lui potesse vederla…
Terminò di salvare il numero e, richiudendo il cellulare, lo porse alla sua proprietaria.
<< Grazie >> rispose lei << ora scusami, ma Asako e Ayumi mi stanno aspettando all’uscita. Ci vediamo domenica, Satler-kun >> salutò e, con un sorrisetto gentile, prese la cartella e si inviò verso la porta.
La salutò a sua volta, tornando a guardare la cartella e, chiudendola, sbuffò rassegnato. Aveva ancora il turno delle pulizie da fare…che palle.



[*Romanji: alfabeto giapponese. In poche parole, le parole come vengono pronunciate però scritte in lettere e non in ideogrammi.
*Shibuya: Quartiere di Tokyo famoso per i suoi negozi.
*ICPO: International Criminal Police Organization; meglio conosciuta come Interpol.
*sensei: “maestro” in giapponese. In questo caso equivale al nostro “prof”.]
 
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