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Categoria: Manga e Anime
Dalla Serie: Fullmetal Alchemist
Titolo Fanfic: NO MORE MISSING
Genere: Dark, Introspettivo
Rating: Per Tutte le età
Avviso: One Shot, What if? (E se...), Shounen Ai
Autore: nacchan galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 21/03/2008 19:46:00

Non poteva dormire, sognava di gridare il nome di suo fratello, di sentirlo echeggiare in un infinito dal quale non si sarebbe più salvato.
 
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CAPITOLO UNICO
- Capitolo 1° -

Schiacciato contro il muro dalla paura di sparire di nuovo, di essere incatenato per sempre in quella distesa di bianco assoluto.

Non poteva chiudere gli occhi, vedeva quella porta troppo grande per essere costruita da umano cadere rovinosamente, occludendogli ogni via d'uscita.

Non poteva dormire, sognava di gridare il nome di suo fratello, di sentirlo echeggiare in un infinito dal quale non si sarebbe più salvato.

Non poteva pensare, anche il più dolce dei suoi ricordi si trasmutava in piccole mani nere e voci sinistre ridenti per la sua disgrazia.

Se mangiava, rimetteva tutto. Come se non fosse più abituato ad ingerire alcun tipo di alimento.

Schiacciato contro il muro dalla paura di trovarsi di nuovo avvolto dalle braccia della solitudine, dal freddo di un immenso vuoto incapace di dare alcun sentimento.

Urlava, il viso ricolmo di lacrime (come quello di un bambino che torna a galla dallo specchio azzurro del mare dopo una gara a chi trattiene il respiro, contratto da un'orribile espressione di dolore), e il suo stomaco era diventato ormai un immenso groviglio di nodi che si stringevano sempre più forti.

Gridava disperato il nome di suo fratello, sentendo quel fastidioso rimbombare nelle sue orecchie distorto, la gola in fiamme dalla forza con cui espelleva l'aria dai polmoni.

"Niisan, niisan, niisan!!" e poi giù ad annaspare, le palpebre serrate per paura della realtà.

In ginocchio contro le scale, la rugiada dei suoi occhi che andava a sfiorare le parete candide della sua dimora.

Non riusciva a restare da solo, e per quanto desiderasse, la debolezza di un corpo appena tornato alla vita era troppa per poter permettersi di uscire.

Era come un neonato bisognoso di cure, era un adolescente con mille problemi nella testa, era un adulto con addosso la macchia di un peccato grave, di una morte donatagli per castigo.

Di un ritorno alla vita costellato da pianti dolorosi quanto le spine sul capo, il cuore ridotto ad un catorcio dalle mille ferite e paure.

"Niisan!"

Disperato, stanco.

Le mani si poggiarono al muro, in cerca di un appiglio.

Freddo, vuoto, bianco.

"Niisan!"

Invocava aiuto, invocava luce, invocava calore, e non otteneva nulla.

Vuoto, bianco, freddo.

E la sensazione di essere immerso nella più totale solitudine si espandeva a macchia d'olio sul suo petto, invadendo le sue magre carni, attanagliando la sua mente,
lasciando che quel muscolo al centro del petto battesse mille e mille volte.

Bianco, freddo, vuoto.

Uno scambio di addendi di una improbabile somma che dava solo dolore.

"Niisan..."

Le mani scivolavano giù, fino a sfiorare il marmo freddo dello scalino, la fronte premuta contro la ruvidità della parete, i denti affondati nella carne, i singhiozzi di un ritmo impossibile.

Pochi secondi di silenzio, e contemplava il vuoto attorno a lui, denso, fastidioso, quasi palpabile.

Per poi ricominciare con le grida, mani affondate nei capelli, il corpo scosso dai brividi di paura, di freddo, di ansia.

Avrebbe voluto che tutto collassasse, sopra e sotto di lui - e i muri avrebbero dato spazio solo ad altro vuoto, il pavimento lo avrebbe trascinato in un buio senza fine, e il tetto avrebbe forse posto fine ad ogni tormento, così da non sentire più niente, se non il fragore dello sbriciolarsi delle pareti.

Una crepa dentro il suo petto ossuto.

Invocava il suo dio, la sua salvezza, il viso che in quegli anni (quanti erano stati? Quattro? Cinque? Cento?) aveva potuto vedere solo una volta, quella goccia di colore - lo sporco della terra, il rosso del sangue, quel tenero rosato della sua pelle - in mezzo ad un fastidioso banco di nebbia fitta.

E si mosse, e si agitò, sentendo qualcosa di forte stringergli la vita - sentiva quasi la paura di rompersi, magro com'era. - il pensiero di quei tentacoli con le mani nere che gli abbracciavano braccia e gambe, scomponendolo e ricomponendolo al centro di niente.

Un urlo roco squarciò l'aria, arroventandola.

"Al, Al!"

Si agitava, senza capire, mentre nella sua mente si susseguivano velocemente le immagini della sua vita così bruscamente interrotta da quello stupido gesto.

"Al, Alphonse!"

Tentava di liberarsi dalla stretta, pregando di essere lasciato in pace, di essere riportato indietro, da suo fratello, da Winry, da Pinako, dalla sua stupida infanzia.

Da suo fratello.

"Alphonse sono io! Alphonse!"

Smise ancora di urlare, poggiando il mento tondo sul petto - e saliva e scendeva veloce, e aveva quasi la paura che in pochi momenti sarebbe esploso - e finalmente si sentì stretto a qualcuno che non era Nessuno.

"Sono qui Al, sono qui..."

Sentiva il calore appropriarsi di ogni sua membra - e le lacrime avevano smesso di piangere, il neonato preso in braccio, l'adolescente ascoltato, l'adulto consolato. - e una voce ora calma e silenziosa sussurrare ripetutamente il suo nome.

"N.... niisan..." sibilò, ormai muto dalle grida, sollevando a stento una mano e stringendo le dita alla stoffa rossa della sua maglia.

La sua luce.

"Sono qua Al."

Era il tepore che solo un suo abbraccio riusciva a donargli. Quel barlume di gioia che poteva farlo sopravvivere in quel mondo quasi estraneo, ormai.

Il suo calore.

"Niisan..." ripeté abbozzando un sorriso timido, mentre la testa si spingeva in avanti, ad appoggiarsi sulla spalla di metallo (per quanto tempo il loro peccato avrebbe gravato sulle loro teste? Quando avrebbero potuto mettere la parola fine a tutto quel dolore?).

"Sono qui, fratellino, sono qui..."

Avrebbe desiderato essere capace di camminare con le sue proprie gambe, ma pareva una cosa impossibile. Aggrapparsi a suo fratello era un pretesto per recuperare il calore perduto, era un piacevole servirsi di lui per poter arrivare poi a quel dannato giorno in cui la sua anima riempì il vuoto di una armatura, per evitare che aprendola potesse essere ammirato solo il grigio delle sue pareti, e vedere invece un viso paffuto salutare il suo fratello maggiore con un sorriso candido.

Un modo per ricominciare dal punto in cui tutto si era interrotto.


"Niisan..." mormorò un'ultima volta, prima di abbandonarsi stanco sul suo petto (finalmente il respiro era tornato normale, le lacrime asciugate dalle soffici labbra del suo salvatore.)

"Andrà bene Al." gli ripeteva in ogni momento, quando tutto sembrava impossibile.

Per quando la ferita fosse profonda, in qualche modo sarebbe guarito. Era un pensiero che gli giungeva sempre, quando il suo fratellone lo stringeva a sé e gli sussurrava parole tranquillizzanti. E più andava avanti e più era doloroso.

Ma ce l'avrebbe fatta in un modo o nell'altro.



"Abbatti le mura della solitudine, e abbraccia la possibilità che ti è stata dato. Il dolore è forte, lo so Al. Te ne ruberò ogni giorno un po', e starai sempre meglio, te lo prometto. Non importano gli anni, non importa se dovrò faticare per avere il mio fratellino. Ti ho salvato una volta. Ti salverò anche questa.

Te lo prometto."








 
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