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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Libri e Film (da libri)
Dalla Serie: Harry Potter
Titolo Fanfic: ICY EYES-OCCHI DI GHIACCIO
Genere: Introspettivo
Rating: Per Tutte le età
Avviso: One Shot
Autore: -sunny92- galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 26/02/2008 16:26:17

...come i precedenti, anche quest’episodio si dissolse, ma nient’altro apparve tra i ghiacci di quello sguardo...(fanfic riguardante i malandrini)
 
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- Capitolo 1° -

ICY EYES
-occhi di ghiaccio-



Si muoveva in modo rapido ma silenzioso.
Intorno a lui tutto era ombra, tutto era buio, eppure... tutto era luce, candida luce che lo accecava rifrangendosi contro la neve leggera che ricopriva la terra umida.
Nel cielo stellato la luna risplendeva di una luce smagliante, ma che risultava fioca, filtrata dai rami degli alti alberi che si stagliavano tra lui e la volta celeste.
Spettri sconosciuti parevano passargli accanto, ma se si voltava per distinguerli bene non c'era mai niente.
Un miagolio roco faceva da sottofondo al già tetro panorama.
Una sagoma rosso porpora camminava qualche metro più avanti.
Senza sapere perché, si muoveva verso di essa, ma lei sembrava non accorgersene.
La seguì a lungo, addentrandosi in quell’intreccio di suoni e ombre.
Poi un rumore sordo, come di rami spezzati e una figura maestosa apparve accanto all’altra: era un cavallo...no, un uomo…no, era entrambi!
Qualunque cosa fosse, si voltò verso la sagoma rossa e si avventò su di lei, col chiaro intento di farle del male.
No! Quell’ombra purpurea era la sua unica guida in quel tumulto d’ombra, non poteva perderla, come avrebbe fatto senza sapere neppure dove si trovava!
Si frappose tra le due ombre rivali, così, a mani nude.
Avvertì una lacerante fitta alla mano destra: gocce di sangue vermiglio deturparono la purezza della candida neve.
Si ritrovò disteso su quel bianco manto. L’ombra porpora lo sovrastava, lei...sì, aveva un volto quell’ombra! E lo fissava, lo fissava con le sue iridi leggermente più cerulee della luce della luna. Sollevò anch’egli lo sguardo, sorridendo, ma ciò che vide furono due occhi sottili dallo sguardo severo che risplendevano di uno strano luccichio crudele.
E divennero grandi, più grandi, rimasero solo essi nella sua mente e poi ...poi il buio e nel buio un piccolo, candido fiore.


***


Si risvegliò nel suo letto, madido di gelido sudore.
Era stato solo un sogno, un terribile, enigmatico sogno.
Dette uno sguardo all’orologio che dominava maestoso nella stanza del dormitorio: le 5.40.
Era presto per alzarsi, non c’era nessuno in piedi e detestava la sensazione di solitudine che lo opprimeva quando regnava il silenzio più totale.
Provò a chiudere gli occhi, ma nella sua mente riapparve quello sguardo del sogno precedente che lo atterriva tanto.
Già, il sogno… era strano quell’incubo!
Di solito i sogni erano sfocati, confusi e svanivano una volta svegli, ma questo no.
Tutto era così nitido, ben definito che stentava a credere che fosse irreale.
E quelle ombre, quegli occhi! Ambedue tanto estranei, ambedue familiari.
Sì, perchè aveva l’impressione di conoscere quello sguardo più di quanto la sua mente confusa gli rivelasse in quel momento.
Decise. Scivolò dal letto, si vestì in fretta, lasciò un biglietto agli altri Malandrini per avvisarli nel caso in cui si fossero meravigliati della sua assenza e uscì dal dormitorio di Grifondoro diretto nell’unico luogo dove, forse, avrebbe potuto trovare qualcosa che gli avrebbe spiegato se quel maledetto incubo potesse avere un senso e non essere solo un perpetuo farneticare della sua mente.
Cercando di muoversi più silenziosamente possibile per non attirare l’attenzione di Gazza, si coprì con il Mantello dell’Invisibilità, il tesoro dei Malandrini, e si avviò verso la biblioteca.
Una lampada a gas guidò il ragazzo attraverso gli scaffali stipati di libri d’ogni tipo, fino a giungere nel punto più isolato della grande sala, davanti ad uno scaffale basso e polveroso. Da lì prese un grosso libro dalla copertina nera, decorata con piccoli intarsi argentati come la scritta in caratteri gotici che la dominava: “Conoscere i sogni”.
-Che originalità!- gli venne da dire leggendola.
Ma non era il titolo ciò che contava, in quel libro si svelavano i più arcani segreti della magica arte dell’interpretazione dei sogni.
Una delle rare volte in cui aveva prestato attenzione ai monotoni discorsi della professoressa di Divinazione, era rimasto sorpreso nel sentire che ogni sogno aveva un suo significato,che era come un segnale che avvisava di qualcosa che stava a noi capire. Era un’arte complessa e ambigua ma che, se studiata a fondo, poteva rivelare l’inimmaginabile.
Naturalmente lui non aveva alcuna conoscenza a riguardo, ma il desiderio di capire cosa rappresentava l’incubo era più forte della consapevolezza dell’alta probabilità di non avere risposte concrete.
Iniziò a sfogliare le prime pagine, ma presto comprese che non bastava una veloce occhiata e stabilì che la miglior cosa da fare era leggerlo tranquillamente nel dormitorio. Rientrò quindi nella sua stanza dove, mentre gli altri ancora dormivano, cominciò la sua lettura.
La stanza era in penombra ed era difficile leggere con la sola illuminazione dei pochi spiragli di luce che filtravano dalla finestra. Non c’era sole in quella gelida giornata d’inverno, solo un’immensa distesa di neve a ricoprire i prati e la natura ormai in letargo.
Non riusciva a concentrarsi sul libro per più di pochi minuti che qualcosa giungeva a catturare la sua attenzione: ora il canto di un passero poggiatosi sul cornicione della sua finestra, ora il brusco movimento di uno dei suoi compagni, ora il pensiero delle noiose lezioni che avrebbe affrontato tra poche ore.
Stavolta fu il turno di un suono molesto, un tintinnio che gli fece capire che un oggetto era caduto. Chinò il capo verso il pavimento e ciò che vide fu un minuscolo serpente dorato, con due piccoli zaffiri come occhi. Raccolse l’anello dal pavimento e lo scrutò a lungo: come poteva trovarsi nel libro? Perché era senza dubbio da lì che veniva, non era un oggetto suo né dei suoi compagni.
Chissà chi poteva essere il proprietario! Non c’era alcun segno che potesse ricondurre a lui, fatta eccezione per il fatto che era di grande valore e chiunque lo possedesse non aveva certo problemi economici.
Dopo alcuni istanti, quando la luce del giorno iniziò a divenire più forte nella stanza, distinse un’incisione al suo interno, due semplici lettere in un carattere elegante e raffinato: LM.
LM… potevano essere migliaia di persone, anche perché non era certo che il proprietario frequentasse la scuola!
L’interpretazione dei sogni aveva smesso d’essere materia a sé da almeno una ventina d’anni e solo chi era interessato personalmente a questa branca della magia consultava quei testi, era un’impresa trovare la persona giusta!
Lo mise nella tasca dei jeans e tentò nuovamente di concentrarsi sul pesante volume, invano.
Un urlo lacerante spezzò l'opprimente silenzio che aleggiava nella scuola.
Riconobbe la voce di Piton e rise: l’ennesimo scherzo andato a segno!
Al grido del Serpeverde anche i suoi compagni di stanza ripresero lentamente conoscenza, scoppiando poi in una fragorosa risata una volta che si resero conto di ciò che era successo.
-Cos'hai combinato stavolta?- chiese il ragazzo al suo vicino di letto -potevi almeno avvisarmi, mi sarei messo i tappi nelle orecchie!
-E chi sei, Ulisse con le sirene? E poi mica è colpa mia se ieri pomeriggio eri in punizione e non sei venuto con noi nel covo delle serpi!
-Ah, perché sono stato io a far esplodere la pozione! Che posso fare se tu combini disastri e la colpa va a me?
-Meglio a te che a me! Non avevo la minima voglia di mettermi a riordinare tutto il laboratorio!
-Fosse questo l’unico problema! Per tre giorni vedrò la mia bacchetta solo durante le lezioni, ossia saranno i giorni più noiosi della mia vita!
-Niente scherzi a Gazza, né alle serpi, niente interferenze durante le partite di quidditch, niente di niente... non t’invidio, amico!
- Appunto, mi faccio pena da solo!
-Ma com’è che sei già vestito a quest’ora e… cos’è quel ‘coso’che stai leggendo!
-No, niente!- rispose il ragazzo in modo sbrigativo, nascondendo il libro sotto il cuscino -Proprio niente! Andiamo?
Un’occhiata confusa seguì le sue parole, ma egli non aveva alcuna intenzione di rivelare agli altri l’incubo notturno, nonostante fossero i suoi migliori amici, e così uscì dalla stanza, ignorando l’incredulità dei Malandrini.

***


Velocemente e quasi furtivamente, si aggirò per i corridoi della scuola ed entrò nel dormitorio della sua casa solo la terza volta che passò davanti al quadro con la signora grassa, quasi temesse di essere seguito.
Cosa strana, soprattutto perché non stava facendo niente di particolarmente importante o segreto.
Ma il vero motivo che si celava dietro al suo strano comportamento era la consapevolezza di essere terribilmente vulnerabile, in quanto sprovvisto dei suoi poteri e, quindi, un facile bersaglio per chi aveva intenzione di vendicarsi di troppi scherzi indesiderati e per i suoi “amici” che, amicizia a parte, non si sarebbero mai lasciati sfuggire una simile occasione.
Chiuse alle sue spalle la porta della stanza e tentò per l’ennesima volta di leggere il famoso libro.
Era arrivato al punto in cui si parlava della prima interpretazione, data secoli prima da un babbano greco, di nome Artemidoro, che aveva perso la moglie veggente ma che continuava a sognare di volare verso di lei. Così, per capire il perché iniziò a studiare i sogni e scrisse "Il grande libro dei sogni", nel quale racchiudeva i risultati dei suoi studi.
Veniva riportata anche una parte di essi, proprio quella riguardante il volare:

<<È buon segno sognare di volare a poca distanza dalla terra e in posizione eretta; infatti quanto più uno dista dalla terra, altrettanto è più elevato di coloro che camminano di sotto, e chiamiamo ‘più elevati’ quelli che hanno migliore sorte.
Volare essendo dotati di ali è egualmente buon segno per tutti. In seguito a questo sogno gli schiavi ottengono la libertà, poiché tutti gli uccelli che volano non hanno padroni e non sono soggetti ad alcuno. I poveri acquisteranno molte ricchezze: le ali sorreggono gli uccelli, come le ricchezze sorreggono gli uomini. Ai ricchi e ai potenti il sogno preannuncia cariche pubbliche: come i volatili sovrastano coloro che procedono sulla terra, così gli uomini pubblici sovrastano i privati cittadini.
Sognare di volare senza ali e a grande distanza dalla terra annuncia pericolo e paura a chi vede il sogno.
Sognare di volare fino al cielo annuncia ai servi che passeranno in case sempre più importanti, e spesso pure che giungeranno fino alla corte imperiale; mentre ho più volte osservato che i liberi finiscono per recarsi in Italia, anche se non lo vogliono: infatti come il cielo è la dimora degli dei, così l’Italia lo è degli imperatori.
Volare insieme agli uccelli indica che si vivrà insieme a gente straniera e di altra razza; è inoltre cattivo segno per i malvagi: apporta infatti la punizione per i delinquenti.
Inoltre, è sempre meglio una volta che ci si è levati in volo riuscire poi a scendere, e risvegliarsi così. La cosa migliore è volare di propria volontà e di propria volontà smettere; infatti ciò preannuncia grande facilità e successo nelle intraprese.
Ma la cosa più funesta e sinistra di tutte sarebbe voler volare, e non riuscirvi, oppure volare con la testa rivolta a terra e i piedi al cielo: ciò preannuncia infatti grande sventura a chi vede il sogno.
E comunque voli uno che è ammalato, morirà; dicono infatti che le anime quando si liberano dai corpi salgono al cielo con una velocità straordinaria.
Coloro che sono in catene verranno liberati, poiché chi vola si muove con grande facilità sia con le mani sia con i piedi. Molti, invece, perderanno la vista: infatti i ciechi sono simili a chi vola, perché hanno sempre paura di cadere.>>


Trovava la lettura così pesante e inutile per il suo scopo che lentamente si assopì, ma di un sonno leggero, superficiale, quasi senza neanche accorgersene. Ma il sonno venne nuovamente turbato…

***


Stava volando! Sì, proprio lui stava sorvolando prima Hogwarts, ora Londra.
Non aveva ali, eppure volava.
E rideva, senza un motivo apparente, ma rideva.
Era solo in quella sconfinata distesa d’azzurro, screziata di bianche nuvole di tanto in tanto. Nuvole di piume, d’ovatta, nuvole di zucchero filato, nuvole soffici, morbide come spugna, leggere come aria.
E rideva ancora, poggiandosi or sull’una, or sull’altra; rideva osservando gli uccelli volare in stormi compatti, disperdersi, per poi tornare uniti: colombe, piccioni, tordi e una cicogna solitaria, senza i suoi compagni.
Ora una grande campagna si estendeva sotto di lui.
Nel verde riconobbe piccole chiazze bianche su quello che sembrava un stagno e lentamente scese, per distinguerle con maggior chiarezza.
Era un gruppo di fiori di loto che crescevano nel piccolo stagno dall’aria fangosa e trascurata.
Erano bellissimi; il loro candore contrastava con le acque torbide del lago mettendoli in risalto.
Una goccia gli cadde sulla guancia.
-Piove!- pensò e si passò una mano sul volto per asciugarselo.
Ma quando guardò la mano notò una minuscola chiazza rossa su di essa. Altre gocce purpuree scesero dal cielo. Sangue, pioveva sangue!
Si chinò per cogliere alcuni fiori prima di andarsene, ma quando fu abbastanza basso da intravedere il suo pallido riflesso nell’acqua scura dello stagno, il suo sguardo si fissò sui suoi occhi: erano color del ghiaccio, sottili, dalle lunghe ciglia e… avevano un che di strano, come un luccichio di severità, quasi… crudele.
Si tirò indietro di scatto, ma il suo riflesso emerse dall’acqua e prese forma. Le vesti, i capelli, il corpo: era proprio lui!
Ma quegli occhi non gli appartenevano, non era sua quell’algida espressione, quegli occhi sottili come quelli di un rettile, quel vago bagliore di crudeltà.
In quel momento la sua copia quasi perfetta si muoveva verso di lui.
Sarebbe voluto scappare, ma sembrava che le sue membra si rifiutassero di seguire l’ordine inviato dalla sua mente, così restò immobile, lo sguardo perso in quell’espressione glaciale, la fronte imperlata di sudore, le vene gonfie per la tensione, i pugni stretti per la sensazione di assoluta impotenza che lo pervadeva.
Distolse lo sguardo.
Il riflesso gli si pose davanti, vicinissimo, e il ragazzo guardò nuovamente nei suoi occhi.
Non vide, però, i due occhi, bensì vi andò oltre e quel che scorse lo turbò profondamente: vide un uomo con una bacchetta porsi tra una figura coperta con un nero mantello e una donna dai capelli scarlatti, che sembrava stringere a sé un bimbo. L’uomo col mantello pronunciò in fretta alcune parole con una voce sibilante e, dopo che un lampo verdastro li raggiunse, i due caddero a terra privi di sensi, mentre si udiva ancora il vagito di un bambino.
La scena cambiò. Stavolta l’unica figura era un uomo sulla trentina o poco più vecchio, il volto solcato da una cicatrice profonda, lo sguardo vacuo. Sembrava affamato, triste ma al contempo estraneo e indifferente a tutto. Eppure dalla sua trascuratezza emergeva un che di bello, di fiero, come doveva essere stato in passato.
La stanza in cui si trovava sembrava più una cella. L’unica luce era un pallido raggio di sole che filtrava da una minuscola finestrella.
Intorno a lui ruotavano due figure vestite di scuro, che si muovevano vorticosamente e che sembravano essere sospese nel nulla, come fantasmi. Le aveva già viste, ma dove? Sì, ora ricordava, erano sul libro di Difesa contro le Arti Oscure, si chiamavano Dissertori, Dissatori, Dissennatori… qualcosa del genere…
Di nuovo l’immagine mutò. Stavolta c’era un ragazzo che pareva avere solo qualche anno più di lui, con la fronte segnata da una specie di saetta, prigioniero in un cimitero. Sembrava piangere e attorno a lui c’era una massa di uomini col volto celato da una maschera. Tra loro, o meglio davanti a loro, lo stesso uomo della prima scena, quello col mantello, la stessa voce sibilante e, per terra, c’era… c’era… il cadavere di un ragazzo!
Come i precedenti, anche quest’episodio si dissolse, ma nient’altro apparve tra i ghiacci di quello sguardo, degli occhi di quell’immagine specchiata che s’avvicinò al ragazzo, finché, come per magia, entrò dentro di lui e divennero uno solo.
E intanto dal cielo pioveva sangue sui nivei loti…


***


Anche stavolta il suo sonno non era stato dei migliori.
Incubi, incubi e ancora incubi!
Di nuovo gli occhi, il luccichio, i fiori, il sangue e quella tonalità tra il porpora e il cremisi!
A modo loro i due sogni erano uguali, ma cosa stava succedendo?
Forse si era lasciato troppo impressionare dalle sue fantasie sul possibile significato dei sogni.
Sì, doveva essere così.
Ma possibile che due semplici sogni restassero impressi in modo tanto vivido nella sua mente, che fossero così complessi e articolati, che lo sconvolgessero fino a quel punto?
Non erano certo i primi incubi che aveva, ma per gli altri era stato diverso!
Mai una semplice fantasia notturna era stata in grado di scuoterlo così a fondo, di segnare profondamente non solo i suoi sogni, ma anche la sua vita reale.
Basta! Era un’ossessione per lui! Non faceva che ripetersi se avesse un senso, perché fosse tanto simile al precedente e tanto diverso dai comuni incubi!
Si ripeteva le stesse domande centinaia e centinaia di volte, tentando di trovare una risposta, non gli importava quale fosse, purché l’avesse.
Doveva togliersi dalla mente quel chiodo fisso ad ogni costo, rischiava di impazzire continuando così!
Afferrò il famoso libro e sfogliò le pagine fino a trovare qualcosa che riguardasse gli elementi dominanti dei suoi sogni: loto, sangue, porpora e soprattutto... occhi!
Cominciò con il fiore:

<<"Pur in acque melmose il loto mantiene la sua purezza, ed è proprio nel fango che cresce così rigoglioso", scrisse Sengai, lirico giapponese, vissuto tra Settecento e Ottocento; mentre il religioso Anguttarani Kaya afferma: "Come un loto puro e mirabile non è sporcato dalle acque, io non sono sporcato dal mondo".
Il loto è in Oriente un simbolo importante e frequente quanto il giglio in Occidente, rappresenta la purezza, perché affonda le sue radici nel fango, ma attraversa immacolato le acque melmose degli acquitrini e stagni in cui vive; rappresenta l'umana ricerca di elevazione spirituale, perché radica nel fondo oscuro delle acque, ma tende verso la luce e si apre ai raggi del sole. Ma non basta: presso gli antichi Egizi il bocciolo del fiore di loto era simbolo dell'origine della realtà, una specie di uovo cosmico, dal quale ha avuto origine il mondo. Per questo, nell'iconografia antica le divinità siedono in gloria nel cuore di un fiore di loto.>>


Quindi il loto era la purezza, il candore, l’innocenza.
Ma cosa c’entrava con il resto degli elementi?
Purché non avessero anch’essi un significato particolare e diverso da quello apparente.
L’unica cosa da fare era andare avanti nella sua ricerca.

<<L’occhio è uno dei pochi simboli presente in tutte le culture che hanno un proprio simbolismo.
E’ simbolo di vigilanza o di conoscenza.
Il significato più comune è quello che lo considera la saggezza più assoluta, ma può anche rappresentare l’arrivo di un pericolo o, comunque, la presenza di una cosa o una persona da tenere sotto controllo.
Se l’occhio è chiuso rappresenta la cecità nei confronti di un particolare avvenimento a cui si dovrebbe prestare maggior attenzione.
L’occhio è anche il simbolo dell’inconscio e del destino. Ciò che si vede attraverso esso simboleggia una cosa che non si conosce o che deve ancora accadere.>>


***


Per una volta la lettura l’aveva davvero assorbito, ma dei passi rumorosi e delle voci confuse interruppero la sua ricerca.
Volse lo sguardo all’orologio: erano le 23:15.
Quei passi erano sicuramente i suoi compagni di stanza che tornavano dopo il festino che si era tenuto a Tassorosso per i 16 anni di Michael Thomason, il borioso cercatore della squadra di quidditch.
Naturalmente i suoi amici, in quanto del secondo anno, non erano stati invitati, ma ad Hogwarts infiltrarsi in una festa non era mai stato un problema.
Dalla pesantezza dei passi era probabile che avessero bevuto, d'altronde alle feste era raro che circolassero analcolici.
Non aveva voglia di interrompere la sua lettura e ancor meno di affrontare il delirio e le farneticazioni dei suoi migliori amici.
Afferrò la scopa che era posta sotto il letto accanto al suo e uscì dalla finestra, portandosi dietro il voluminoso manuale.
Voleva un posto dove stare in pace, dove poteva restare senza che altri lo trovassero o, peggio ancora, gli imponessero di andarsene. Dopo qualche giro attorno al maestoso castello si decise. Scese al limite della Foresta Proibita e, trovato un albero illuminato quanto bastava per poter leggere, si sedette sotto le sue fronde e cercò nel testo il punto in cui era arrivato.
Il cielo era limpido e di un blu intenso, tendente al viola. Le stelle risplendevano a centinaia in quella notte d’inverno.
Il prato verde era sepolto sotto la neve ancora fresca, caduta quel pomeriggio; il vento soffiava come una brezza leggera, scuotendo lievemente i rami frondosi dei platani che popolavano l’esterno della scuola di magia, agitando appena i suoi capelli bruni.
Un raggio di luna colpiva proprio la pagina del libro, rischiarandola quanto bastava per permettere al ragazzo di leggerla.
Socchiuse gli occhi, lasciandosi cullare dal vento e da quell’atmosfera tranquilla.
Li riaprì al miagolare rauco di un gatto. L’animale gli passò accanto. Lui non si mosse e lo lasciò fare.
Era un gatto di Bombay, una specie poco diffusa in quelle zone. Totalmente nero, il pelo corto ma folto, le orecchie a punta, il corpo sinuoso, dagli agili movimenti, gli occhi verdi, quasi fosforescenti, che risaltavano in modo incredibile nell’oscurità.
Il gatto si fermò davanti a lui, lo fissò a lungo, intensamente, poi tirò dritto per la sua strada, voltandosi di tanto in tanto.
Il ragazzo lo seguì con gli occhi, finché divenne quasi impossibile distinguerlo nelle tenebre della notte, poi riprese a leggere.
D’un tratto il gatto emise dei miagolii strozzati, che divennero sempre più insistenti. Il ragazzo non se ne curò, almeno fino a quando non udì una voce sibilante dire in un sussurro:
-Maledetto gattaccio, vuoi stare zitto! O vuoi che sia io a chiuderti definitivamente il becco!
Atterrito il gatto corse via, senza smettere di miagolare.
Il ragazzo si voltò: c’era qualcuno pochi metri più avanti.
Lasciò il libro sotto l’albero poi, nascondendosi nell’ombra, si avvicinò abbastanza da capire chi fosse.
Non appena vide la lunga chioma albina al di sotto del mantello color porpora dai ricami dorati, non ebbe dubbi: era Lucius Malfoy, il Principe di Serpeverde.
Freddo e indifferente con tutti, isolato dal resto della scuola, corteggiato da molte ragazze che trovavano affascinante l’aria di mistero che aleggiava intorno a lui, frequentava il settimo anno a Serpeverde.
Non gli stava particolarmente simpatico né antipatico, semplicemente non aveva niente su cui fondare un’opinione che lo riguardasse, anche se i pochi che lo conoscevano un po’ più a fondo dicevano che si credeva al di sopra della maggior parte degli altri studenti, specialmente per la sua discendenza da una famiglia molto altolocata.
Si nascose dietro il tronco di una grossa quercia, nel momento in cui Malfoy guardò alle sue spalle e lo inseguì quando, celatosi il capo con il cappuccio, si addentrò nella foresta.
Malfoy proseguì diritto tra gli alberi, poi svoltò a destra, camminò per un tratto, poi girò nuovamente. A tratti sembrava sicuro dei suoi passi, a tratti pareva essersi perso tra la fitta vegetazione.
Gli alberi si susseguivano in modo continuo, monotono, al punto che il ragazzo aveva l’impressione di girare in tondo, tanto ogni punto assomigliava al precedente e al successivo.
Continuava a muoversi silenziosamente, cercando di non farsi udire da Malfoy.
Proseguiva veloce, per tenere il passo col suo predecessore.
La luce era diminuita, trapelava a stento dai rami degli alberi più alti che si ergevano tra lui e il cielo notturno.
Le stelle erano ormai invisibili, mentre brillava ancora smagliante la luce della luna.
Le tenebre s’infittirono, il cielo da blu-violetto divenne color dell’ebano.
Intorno a lui ora non si distinguevano più le varie piante, tutto era solo un unico ammasso di ombre.
Il fruscio delle foglie mosse dal vento diveniva il rumore causato da un potenziale nemico, l’ombra più grossa e minacciosa di una quercia quasi totalmente spoglia era la sagoma di un altro… tutto per la sua immaginazione era una minaccia.
D’un tratto si rese conto di aver perso le tracce di Lucius, l’unica figura che riusciva ancora a distinguere, grazie al suo lucente mantello porpora e oro.
Si spaventò, sul momento: come sarebbe tornato indietro?
Non aveva il minimo senso dell’orientamento tra quelle ombre spettrali e aveva abbandonato la scopa sotto l’albero insieme al libro!
Cominciò a camminare velocemente, seguendo rumori di passi creati dalla sua immaginazione, finché per poco non andò a sbattere contro il Serpeverde.
Si ritirò dietro una betulla appena in tempo per non essere visto, ma, probabilmente, anche se non l’avesse fatto Malfoy non l‘avrebbe notato.
In quel momento, infatti, era impegnato in una conversazione.
Era appena spuntato dalla boscaglia un centauro, un essere metà cavallo e metà uomo che popolava le foreste. Immediatamente attaccò Lucius:
-Chi sei? Non dovresti essere qui! La Foresta Proibita non è posto per un ragazzino, specialmente a quest’ora della notte!-sbraitò con tono minaccioso.
-Non sei tu a potermi dire quel che devo o non devo fare!- replicò con aria altera Malfoy –Quindi, se non ti spiace, levati di torno!
-La foresta è la mia casa! Se tra noi c’è qualcuno che è di troppo quello sei tu!
-Come osi! Io sono Lucius Malfoy, discendente di Salazar Serpeverde e del nobile casato dei Malfoy!- rispose indignato il Serpeverde.
-E io sono Alexander, figlio di Agesilao, colui che si distinse nell’arte della medicina, trovando infiniti rimedi a malattie definite inguaribili.
-Non ho tempo per le presentazioni, quindi se non ti spiace…
-Ti ho detto di tornare da dove sei venuto!
Il centauro si mise davanti a Lucius: era furibondo, sarebbe bastato un nonnulla per farlo scattare.
E quel nonnulla si concretizzò nella smorfia ironica di Malfoy.
Alexander scattò, s’impennò restando su due zampe, poi si scagliò contro l’altezzoso principe di Serpeverde.
L’avrebbe colpito al petto con gli zoccoli, se il ragazzo non si fosse frapposto tra i due, venendo ferito al posto di Lucius.
-Black! Che ci fai qui?- sibilò Malfoy.
Sirius Black non rispose.
Era a terra, bocconi.
Lentamente si sollevò fino a mettersi seduto sulla neve.
La guardò: il suo candore non era più totale, ora piccole gocce di sangue vermiglio la macchiavano.
Strinse gli occhi alla lacerante fitta che avvertì alla mano al contatto con la gelida neve.
Il centauro disse qualcosa a denti stretti poi, dopo un’ultima ingiunzione di lasciare la foresta, se ne andò.
Sirius alzò gli occhi.
Malfoy era in piedi, accanto a lui e guardava la sagoma del centauro allontanarsi.
Mise la mano in tasca e ne trasse l’anello dalla forma serpentina che aveva trovato nel libro:
-E’ tuo, vero?- chiese al Serpeverde.
Malfoy glielo strappò di mano quasi con violenza e, continuando a non guardarlo, domandò:
-Cosa fai qui?
-Niente!
Si voltò verso Black, che a sua volta lo guardò in viso.
Rimase atterrito quando i loro sguardi s’incrociarono: gli occhi di Malfoy avevano un colore azzurro molto chiaro, quasi bianco.
Erano sottili, avevano delle ciglia lunghe e scure e lo guardavano severamente, con un’occhiata di rimprovero, un’occhiata dura e fredda come i ghiacci racchiusi in quelle iridi, un’occhiata da cui emergeva un singolare luccichio di crudeltà.
Quegli occhi… quel bagliore… era il sogno!
Senza dire una parola Lucius si voltò e si avviò verso il castello, incurante del ragazzo che giaceva ancora ferito sulla distesa lattea.
Sirius abbassò gli occhi, fissò a lungo quelle gocce cremisi che dalla sua mano cadevano sulla neve.
Stava per rialzarsi, quando sentì un tocco familiare sulla spalla.
Era James, il suo migliore amico, il suo vicino di letto.
Stava per chiedergli come fosse giunto lì, ma Potter lo precedette. Non emise un fiato e fece cenno al suo amico di fare lo stesso.
Senza capire il perché, Sirius obbedì.
James lo aiutò a rialzarsi, fasciò alla meglio la ferita con un fazzoletto di cotone, poi iniziò a camminare in direzione di Hogwarts.
Black stava per seguirlo, quando qualcosa attirò la sua attenzione.
Guardò di lato, accanto a sé, e scoprì il bocciolo di un loto, cosa insolita sia per la stagione sia per il luogo, essendo i loti fiori tipici delle zone stagnanti o paludose.
Lo colse e, mentre era chino, una goccia gli cadde sul viso: pioveva.
Pioveva nonostante il cielo fosse abbastanza limpido da far vedere la luna e le stelle.
E dietro all’amico, con il fiore tra le mani, si avviò, in quella notte di pioggia e stelle.



***


So che molti lettori non hanno tempo o voglia di commentare le fanfic, ma vorrei pregare chi leggesse questa storia di lasciare sul mio fermoposta un commento, ma soprattutto le critiche, per poter evitare di ripetere gli stessi errori nuovamente.
Vorrei inoltre precisare che il personaggio citato Artemidoro è realmente esistito(anche se le informazioni su di lui sono state inventate da me), così come il suo libro sull'interpretazione dei sogni, dal quale ho tratto, seppur modificandolo, il brano sul significato del volo.

sunny-92
 
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