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Categoria: Libri e Film (da libri)
Dalla Serie: Ritorno al futuro
CrossOver: Alexandros-Pilastri Della Terra
Titolo Fanfic: GLI INGRANAGGI DEL TEMPO
Genere: Parodia, Avventura, Fantascienza
Rating: Per Tutte le età
Avviso: CrossOver, OOC, AU, What if? (E se...)
Autore: redorso galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 20/01/2008 18:57:48 (ultimo inserimento: 25/03/08)

Se, per circostanze del tutto casuali, 4 pazzi completi rubassero l'auto di Ritorno Al Futuro?
 
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CAPITOLO 1. BISOGNA PUR COMINCIARE
- Capitolo 1° -

Gli ingranaggi del tempo girano sempre, le grandi, lentissime macine di pietra dei millenni,
come ruotano le galassie centrifugando infinite stelle ed infiniti misteri…
Girano i pensieri nelle teste come le ruote dei carrelli per le valigie…
Girano i piccoli, precisi ingranaggi dell’orologio che guardo spazientito, girano teste di gente assonnata verso gli altoparlanti che comunicano gli orai di partenza e di arrivo…
Girano anche i cosiddetti di chi aspetta un treno che non arriva.
Una radio diffonde una canzone, ma non riesco a capire quale. Troppo rumore.
Altoparlanti, viaggiatori stremati di ogni nazionalità, urla, sferragliare di locomotive.
La Stazione Centrale di un antico Capoluogo, la mia città.
Di solito mi piace viaggiare, ma stazioni ed aeroporti, quando ci sei costretto dentro dall’attesa, ti logorano i nervi. Ormai anche per entrare in stazione vieni perquisito, la paura dei terroristi paralizza tutto.
Sfoglio distrattamente un giornale, ma la prima pagina mi ha tolto la voglia di continuare a leggere. Pochi giorni fa è morto un grande giornalista ed io lo adoravo. In primo luogo mi ricordava mio nonno.
Inoltre, pensava a quello che scriveva.
Ma il mio è un Paese dove si vuol dimenticare presto. I ricordi fanno male.
Il treno arriva, e dopo una breve, aspra lotta tutti prendono posto. Siamo diretti in montagna, lontano dalla città, lontano dalla canicola di Luglio. Oltre che a ritemprarmi, ho anche intenzione di fare il pieno di prodotti tipici, lassù sui monti. Tra due settimane me ne andrò in Albione, e lì dovrò sfamarmi con il “Continental Breakfast”.
Il mio è un Paese dove si mangia benissimo.
Il treno lascia la stazione, è notte ormai. Alla luce del neon tiro fuori un libretto dall’aria vissuta. Storie di cappa e spada, di cavalieri medievali, di Rinascimento, ma dopo due o tre stazioni gli occhi mi si chiudono, e comincio a sognare…
…………………………………………………………………………………………………….
Si addormenta anche la cittadina, sicura, tranquilla. È al centro dell’Impero Americano, lontana dalle grandi metropoli della costa, lontana dai caldissimi deserti.
È la classica città dove non accade mai nulla, dove un furto la massima criminalità e dove un luna park è il massimo del divertimento.
Siamo negli anni Sessanta e l’Impero è al centro del mondo ed il suo cuore batte Rock’n’Roll.
Elvis Presley, con la sua musica, è il padrone del mondo.
Anche nel più sperduto angolo del Karkansas tutti i ragazzini girano in chiodo e brillantina.
Tutti, in quegli anni, conoscono quella canzone che fa -Take my hand, take my all life to…-
“…if I cant’help falling in love with ….” Canticchiava Pitt, vestito all’ultima moda, mentre scendeva a passo western per la via buia e deserta.
Da un vicolo apparve quel piantagrane di Al Poles, con tanto di giubbotto dell’aviazione e capelli corti”..You?” Completò perplesso Pitt.
“Sì, io! E ti porto il bollettino. Mr. Lyndon sta facendo a pezzi il golfo di Tonchino!”
“Rahhh! Fesso di un Poles! Lo capisci che questa guerra rovinerà il mondo? “
“I nostri marines fanno solo il loro lavoro, e se ce li manda l’Impero ci sarà un buon motivo!”
“Tu, quel bastardo texano di Johnson, e quelli che hanno scannato John Fitzgerald!”
“Non mi parlare così, lo sai che non mi piace la politica! Ma noi siamo Americani, sappiamo usare un fucile, e non vediamo l’ora di farlo! Ma visto che parlo di patria ad uno che sculetta come il re hillybilly…”
“Uno che canta solo dei palazzi di montezuma non può venirmi a rimbeccare di musica!!”
La discussione è interrotta da una cascata di scintille, una scia di fuoco, un rombar di tuoni, una roba da Apocalisse.
E in mezzo alla strada c’è una automobile.
La carrozzeria non ha smesso ancora di fumare che la portiera si apre.
Ne esce un ragazzo dell’età di Pitt, vestito in maniera pazzesca, che scappa via senza salutare.
Il militarista ed il rockabilly si voltano verso l’auto, poi si guardano.
Hanno la faccia di chi ha visto un film di Argento, anzi, da chi ha visto Dario Argento in persona, anzi ancora, di chi ha visto se stesso.
Al e Pitt sono onesti, ma quella non è una macchina come le altre.
È bellissima, moderna, sembra l’ultimo modello del secolo dopo.
È aperta, quasi li invita ad entrare.
È accesa, nemmeno servono le chiavi.
Ed è caduta dal cielo.
Ancora non hanno fatto in tempo a pensarci che l’auto sfreccia per la via. Guida Al.
Pitt guarda il cruscotto e sbianca. Davanti a lui c’è una spaghettata di fili, una catasta di radiosveglie che segnano cifre improbabili.
“Cavolo, sai che faccia fa una bionda se le passi sotto casa con questa?”
Quando un rockabilly è sconvolto, pensa al sesso.
“Chissà quanto fa a tavoletta questa bestia?”
Quando un militarista è sconvolto, pensa a morire in maniera spettacolare.
L’auto accelera.
I due nemmeno fanno in tempo a capire cosa è successo che, in una tempesta di lampi, in un tornado pirotecnico, in un’esplosione pazzesca, l’auto è sparita.
Sulla via, solo qualche bruciacchiatura. Un baffo di fumo disperso nel vento.
Domani, i giornali lo chiameranno “Misterioso incidente” o “Conflitto a fuoco”.
Si sbaglieranno di grosso.
Quella auto da un altro mondo è tornata a casa.
Intanto la cittadina dorme…
…………………………………………………………………………………………………………

Mi risveglio da quello strano sogno. Ho dormito per tutto il viaggio, il treno entra ora nella stazione dove devo scendere.
Sta sorgendo il sole, i picchi sono inondati di luce. La pianura è ancora avvolta nelle tenebre.
Salgo sulla prima corriera tirandomi dietro una valigia mastodontica ed uno zaino da trincea.
Non ho mai imparato a viaggiare leggero.
Salgo sulla prima corriera per il paese dove passerò le vacanze, e guardo le mie montagne, oltre il vetro. Il paesaggio mi ipnotizza, e il sonno torna a prendermi…
Dopo un attimo mi risveglio, ed il cielo non c’è più.
Le fronde fanno baldacchino alla striscia di asfalto che sale.
L’erta è ripida, la corriera vuota. Ho saltato la fermata. E anche quella dopo.
Vengo scaricato nel parcheggio di un impianto di risalita. Siamo in pieno Luglio, non si vede anima viva. E io non ho la minima idea di dove sono.
Ho spesso chiamato questo Leviatano di roccia su cui poggio i piedi “la mia montagna” ma ne conosco solo una parte. Dopo lunghe passeggiate sono arrivato sulla sua cima, seguendone le caverne con una guida ne ho visto i visceri, ma non sono mai venuto d’inverno.
Mai nella mia vita ho infilato un paio di sci. Di tutto quello che circonda il comprensorio sciistico non so nulla, nemmeno come fare ad andarmene.
Sono avvolto nel silenzio, rotto solo dal vento e dai versi di qualche pennuto.
Mai, nella mia vita mi sono rassegnato a stare con le mani in mano.
Mi alzo, e, risoluto a farmi una bella camminata, mi volto verso la valigia.
Il parcheggio, come il resto della strada, è in discesa.
Il grasso bagaglio di cuoio, come animato da una follia suicida, comincia a muoversi lento verso valle.
Quando mi riscuoto, rendendomi conto che si tratta solo dell’onesto lavoro della forza di gravità, è troppo tardi.
Corro verso la valigia, ma questa diventa sempre più veloce, un bolide.
Non potendo svoltare, il bagaglio drizza la curva e si dirige nel bosco.
La seguo ancora, correndo come un disperato. Lì dentro c’è la mia vita.
L’asfalto finisce, i rovi mi schiaffeggiano, ma sia i miei piedi che le rotelle del bagaglio proseguono sulla sterrata.
Un ignaro camminatore percorre il suo sentiero sul fianco del monte, quando vede balzare dalle fronde una strana bestia di cuoio che gli dà un cozzo fortissimo e scappa via.
Gli passo sopra, scusandomi in fretta.
Non so per quanto ho inseguito quella valigia maledetta, ma alla fine, coadiuvata da una leggera salita, quella si ferma. Le crollo accanto in ginocchio, piegato in due, stroncato dalla milza e dal fiatone.
Quando alzo gli occhi, asciugandomi la fronte, quasi rimasi folgorato dallo splendore del posto.
Una radura bella come una cattedrale, circondata da castagni alti come nuvole, col sottobosco più verde e pulito che abbia mai visto. Una luce talmente pura da sembrare finta. E, al centro, completamente incongruente con tutto il resto, un tempio in stile nipponico-tirolese.
Una nuvola passa sul sole del primo mattino, il freddo vento delle vette scende tra gli alberi.
Rimango lì a rabbrividire, pieno di dubbi, di aria pura di montagna e con una decisione da prendere. Entrare o no nel tempio?
Dietro di me, passi pesanti, urla e bestemmie. Maledetto camminatore.
Pensavo sarebbe rimasto tramortito più a lungo.
Busso alla porta con convinzione.
La porta del tempio si apre e un vecchietto con capelli e barba bianchi lunghi fino alla vita mi invita a calmarmi ed entrare.
Chiudo veloce la porta e mi rivolgo all’interno.
Il tempio è uno spettacolo particolare, a cui bisognerebbe essere preparati.
Un grande atrio, da cui si dipartono tre corridoi.
Ai lati di quello centrale, in fondo al quale troneggia un gong enorme, due scale a chiocciola ornate con corrimani intagliati nel legno in forma di dragoni.
Il solerte nonnetto mi conduce nel corridoio di destra, che sull’arco di entrata porta inciso in eleganti caratteri simil-giapponesi la scritta “aerobica e fitness”
Ancora confuso sull’effettiva spiritualità del luogo vengo fatto entrare in una saletta.
Dentro, un ragazzo, più o meno della mia età, robusto e con in testa una selva di capelli corvini, disciplinati solo da una lunga treccia dietro la nuca, fissata da un anello di bambù.
Porta una divisa da allievo di arti marziali.
È il vecchietto a sbrigare le presentazioni: “L’Allievo Kifer e lo Straniero Orso”
“Salve Orso”, esordisce Kifer.
Troppo tardi per far capire che hanno equivocato sul cognome.
Che faccio, dico la verità? Racconto la storia della corriera e della valigia, ed ottengo una composta risata in risposta.
Kifer comincia a parlarmi della vita al tempio, nel quale sta rinchiuso da una vita, tra allenamenti di arti marziali, informatica da autodidatta e sporadiche uscite al paese sottostante.
“Ma…ma è una vita da eremiti, è noiosa, sfibrante, è…”
“Ed è la mia vita, l’unica che conosco, e non la voglio cambiare.”
Io, dall’alto della mia carriera di incallito viaggiatore e fantasioso, non riesco a capacitarmi di ciò che sento.
Ma il tempo è passato, e nella sala da tè entra un altro allievo, chiudendosi subito la porta alle spalle.
Lo scannerizzo con uno sguardo veloce.
Quasi uno e novanta, magro, carnagione scura, nero di occhi e di capelli.
Serio, torvo, un po’depresso, ghignante. Per certi ceffi credo di avere un calamita.
“Saeros, lo ammonì Kifer, cosa stai facendo?”
“Sono stato incaricato di far fare un giro turistico allo straniero”
“scusate, mi si potrebbe dare una mano con le valige?”
Nemmanco sono considerato.
Kifer, perplesso e testardo: “Vi accompagno anch’io”, e così è.
Attraversando un corridoio con spade appese alle pareti, in panoplia, sentiamo il rumore di centinaia di passi.
Voltato un angolo, ne vedo l’origine. Tutti gli allievi del tempio ci vengono contro, armati.
Gridano frasi come “Il pazzo è fuggito” e “A morte il disertore”.
Hanno l’aria dura, devo dire.
Saeros ci piglia e ci trascina in una stanza buia, con un teleschermo preistorico in bilico su una mensola. La sala TV del tempio.
L’alterco tra i due allievi continua. “Ma sei pazzo? Cosa credi di ottenere scappando?”
Kifer sibila, alterato nel profondo. Saeros non lo guarda nemmeno.
Il televisore si accende, mostrando l’immagine di un pozzo, dal quale sta salendo qualcosa con lunghi capelli neri a coprirne il volto.
In quel buio catodico, quella luce nera che solo il teleschermo riesce ad evocare, era stata richiamata una creatura che scatenava il terrore e la sofferenza con il solo suono della sua voce.
La creatura arrancò fuori dal pozzo, e con una voce sibilante e viscida “Io sono il tuo incubo…”
Se quella cosa è ciò che credo, siamo perduti. E raramente mi sbaglio quando si parla di guai. A quanto pare Saeros e Kifer hanno capito, e stanno tentando di forzare la porta, con il solo risultato di staccare la maniglia.
La creatura, ormai uscita del tutto dal pozzo, esala: “Io sono Samara, il fantasma del nero antro…” Samara? Aspetta… forse stavo equivocando.
“Ma tu non sei Anna Oxa?”
“Io sono Samara …” Di nuovo allegro, mi rivolgo agli altri.
“ragazzi, passato pericolo! Smettete di massacrare quella povera porta.”

Questi si voltano verso la sala, in tempo per godersi lo spettacolo di Samara che, una volta uscita dallo schermo, precipita a terra dai tre metri di altezza della mensola della TV.
La porta si apre da sola.
Indico cordialmente i bagagli agli allievi, non felici di farmi da caddies, ed esco nel corridoio deserto, dopo aver ritrovato la baldanza.
“Andiamocene dal tempio al più presto” e questo è un ultimatum.
I due mi guardano, Saeros ghignante e Kifer sconcertato, poi si guardano in faccia.
Non so che gli frulli in testa, ma io devo tornare a casa, e qualunque aiuto mi daranno sarà ricompensato.
Gli illustro la situazione ed i passi ricominciano…
“Dobbiamo andarcene, stanno arrivando!”
I miei due bodyguard già scappano spingendo il bagaglio del destino, già carico all’inverosimile e con le rotelle distorte dalla corsa.
Descrive eleganti curve sul parquet, sembrando molto più aggraziato di quanto si potrebbe pensare, visto che pesa ottanta chili….
I due baldi giovani, insomma, per percorrere cento metri, spingono il bagaglio in tre chilometri di gimcana.
I passi si avvicinano sempre di più.
Ma da dove arrivano? Mi volto. Pessima mossa.
Dietro di noi, solo la porta della sala tv e un muro. Siamo in trappola.
Spero succeda qualcosa di utile.
Saeros si ferma, stanco di zigzagare abbracciato alla valigia.
I passi hanno chi il deve camminare, l’orda appare in fondo al corridoio.
Saeros prende fiato.
Si accuccia come un campione olimpionico e, sacramentando come un unno, dà alla valigia una spinta così potente e rabbiosa che le ruote di questa si rimettono in sesto e la bestia parte come un treno verso gli inseguitori.
Gli allievi del tempio si fermano. Hanno paura. Poveracci.
E scende il silenzio, rotto solo dal rombo delle rotelle.
Un silenzio solido, da Sergio Leone, con i tre desperados nel deserto e gli indiani sulla mesa, passa un bolo di sterpi…
Approfitto del silenzio per aggiungere tre particolari:
1: la valigia è un vecchio modello, con gli spigoli rinforzati in metallo,
2: le rotelle si sono allentate, e, alla prima curva, lanceranno il bestione verso l’ignoto
3: la valigia è piena come poche, ed è tenuta chiusa da una delicata fibbia da orologio, vecchia riparazione di fortuna che va trattata con mani di fata.
Di colpo il silenzio finisce. Ma non la corsa del bestione.
Di slancio falcia due vittime.
Il vero impatto, quando si apre di scatto dopo la perdita delle rotelle anteriori, è indescrivibile.
Io, Kifer e Saeros, sotto una fitta pioggia di calzini e scavalcando corpi tramortiti, riusciamo ad arrivare al corridoio delle panoplie.
Ne stacco una ben fornita, meglio essere preparati.
Seguo Saeros e l‘altro per i corridoi, nell’atrio, e fuori.
Saeros è trionfante, finalmente libero. Kiefer ha la faccia di un orfano abbandonato.
Visto che le sfortune non arrivano mai da sole, tremo al pensiero delle prossime.
Ma i tempi dell’avventura sono spesso inclementi con i momenti di riflessione, ed i passi degli allievi falcidiati dalla valigia ricominciano ad echeggiare.
“Presto, scappiamo!”
Saeros ci legge nel pensiero.
E ricomincio a correre, carico come un mulo.
Ho voluto salvare un po’ di cose dalla valigia, potrebbero tornare utili.
Gli altri due mi seminano in fretta, non sono mai stato veloce.
Accelero, ma mi si annebbia la vista. Ho gli occhiali appannati dal sudore.
Cado in avanti, mi rialzo e continuo a correre. Dietro di me altri passi ed altre urla.
Il camminatore non demorde.
Al centro di una radura, una visione da allucinati.
Un auto dalle linee avvenieristiche, con un monumento di tubi al posto del cofano.
È avvolta di fumo.
Dalla portiera escono due ragazzi vestiti come 40 anni fa, che scappano senza salutare.
I miei due accompagnatori escono dai cespugli, tirandosi dietro vari metri di rampicanti spinosi.
A noi si ricongiunge anche il camminatore. Anche lui nostro coetaneo, alto, faccia simpatica, furba.
Castano chiaro, con tanto di occhi verdi ed occhiali.
Ci guardiamo in faccia.
“Questi sono Saeros ed Orso, io sono Kifer.”
Quel samurai mi sconcerta. Impassibile in qualunque soluzione.
“Piacere, Augusto. Ma chiamatemi Ax”
Anche lui calmo come un inglese. Giusto il fiatone.
Gli sguardo tornano all’auto.
Normalmente, sono una persona onesta. Ma ora come ora, inseguito e stanco, dimentico la morale.
Quella auto non è come le altre.
È l’unica via di scampo per quattro fuggitivi.
È aperta, quasi li invita ad entrare.
È accesa, nemmeno servono le chiavi.
Ed è caduta dal cielo.
Chiedo se uno dei tre che mi seguono sa guidare.
Il loro sguardo bovino è la più desolante delle risposte.
“Caricate, la faccio partire io.”
Uno sguardo al cruscotto mi svuota. Sembra fatto con gli scarti di un orologio atomico.
Poi, mi viene in mente che conosco un metodo infallibile per far funzionare ciò che non conosco.
Un attimo dopo sfrecciamo tra gli alberi.
Chino sul volante, sterzo bruscamente per evitare gli ostacoli.
È la seconda volta che tengo in mano un volante nella mia vita. La prima, a bordo di una ciclocarrozzella in riviera, ho seminato il terrore.
Adesso va peggio. Molto peggio.
“Dove stiamo andando?” è Kifer, ha la voce più calma che abbia mai sentito. Ma l’espressione è quella della volpe a cui sta arrivando in contro un TIR.
“Non lo so. Qualche idea?”
L’auto rimbalza in una specie di trincea, e ci passa la voglia di parlare.
Poi, gli alberi si aprono come un sipario, e, davanti a noi, inondato dalla luce del sole d’estate…
“Un burrone, Dio Bazooka! Frena!Frena!Frena!” È la voce di Saeros. Se sopravvivremo, gli devo consigliare di cantare Heavvy Metal.
Pianto il piede sul freno, spingendo con tutto me stesso. Il motore geme.
“Il freno è quello a destra, vero?” “NO.” Queste sono delusioni.
Viaggiamo a velocità pazzesca verso il baratro, l’auto romba sempre più forte, si sentono crepitare saette e ruggire fiamme.
L’auto nel vuoto, fuori del finestrino luci ed ombre si susseguono a velocità ansiogena
Chiudo gli occhi.
Gli allievi che ci inseguivano stanno tornando al tempio, quando un’esplosione li fa trasalire.
Sul baratro non c’è più niente, solo odore di bruciato ed uno sbuffo di fumo disperso in fretta dal vento.
……………………………………………………………………………………………………….

Mi tolgo le mani da davanti agli occhi. Il sole c’è ancora. Il cielo pure. Anche tutto il resto, colline, monti, alberi… mi pare sia a posto.
Esco dalla macchina. Le ultime spire di nebbia si disperdono nel vento. È mattina presto, probabilmente è primavera.
I miei tre compagneros ? Allora… Ax è seduto sul tettuccio. Kiefer è ancora sul sedile, addormentato. Saeros è già lontano.
“Ax, vero?”
“Sì”
“Piacere io sono…”
“Lo so, lo so… Orso.”
Cavolo. Sono destinato a essere frainteso sul nome.
“Ma dove siamo ?”
Bella domanda.
“Probabilmente all’auto è successo qualcosa che ci ha sbalzato giù dalle montagne, infatti le vedete lì di fronte.”
Parlo al plurale, Kiefer è sveglio.
“Ah ok.”
“Ma, esattamente, dove siamo?”
D’oh. Adesso mi tocca pensarci.
“Milleduecentocinquantatrè”
Con la mia migliore faccia a punto interrogativo, mi volto verso Kiefer.
“C’è scritto sul cruscotto. Vedete? Lì, in grande: venti marzo 1253”
“Ora mi è tutto più chiaro”
“Forse è la data corrente…”
Voce spettrale dietro la schiena. Trasalire ed urlare
“Hhhhh! Saeros! Non mi apparire MAI più così all’improvviso!”
“Quindi, vuoi dire che questa è la macchina del tempo?”
“Bè, i due tizi che ne sono usciti nella radura erano vestiti anni 50…”
“Il Nord è di la?”
“Sì, il sole è sorto da quella parte.”
“Ammesso e non concesso che noi si sia capitati del Duecento, in Toscana… Come facciamo a tornare?”
“Di sicuro non con questa macchina.”
Kiefer ti sa deludere come nessun altro. Seriamente, è un campione della verità-che-fa-male.
“Come mai, si è rotto il circuito temporale?” “O è finito l’ipercarburante?” “Sarà mica sbagliato il calcolo delle probabilità?” “Se ci vedono con un auto nel Medioevo, ci mettono al rogo?”
Ci sono momenti in cui uno tira fuori la cultura fattasi con i film di fantascienza di serie B.
“No, abbiamo un paio di gomme a terra”
“Allora! Nessun problema! Basterà aspettare che…”
Troppo ottimista Ax, veramente troppo ottimista.
“Che inventino la gomma? Non dovrebbe richiedere più di cinque o sei secoli…”
“D’oh!”
“Allora: Siamo nel Milleduecento? Siamo in Toscana? Andiamo a Firenze a trovare Dante Alighieri!”
“E questo come ci potrebbe aiutare con le gomme?”
E, con la mia migliore faccia da schiaffi, replico: “Non può, ma vuoi mettere andare in giro a bullarsi di aver parlato con Dante?”
Ecco, adesso arrivano le botte…
“Va bene, da che parte è Firenze?” “Aspetta, qui nel cruscotto c’è un atlante…”
WOW. Impassibili ed organizzati. Questa gente è matta quasi quanto me. Per fortuna.
Trovarsi in queste situazioni con dei sani di mente, è sempre funesto.
Fatto sta che, in un paio d’ore abbiamo già trovato la rotta, fatto i bagagli, nascosto l’auto e scelto le armi.
Per la cronaca, Kiefer una Katana, Saeros dei Nunchaku, Ax una striscia ed io una sciabola sottile e scattante.
Sotto il sole a picco, i nostri eroi si incamminano nella foresta…
…………………………………………………………………………………………………………

 
Continua nel capitolo:


 
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