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Categoria: Originali (inventate)
Titolo Fanfic: SLEEPING WITH GHOSTS
Genere: Sentimentale, Romantico, Drammatico, Soprannaturale, Dark
Rating: Per Tutte le età
Autore: -bibi- galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 10/01/2008 22:15:06

Possono essere i ricordi di un sogno così reali? Come riuscire a distinguere realtà...da illusione?
 
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IN THE SHADOW OF A NIGHTMARE...
- Capitolo 1° -

Salve a tutti e innanzitutto grazie per aver aperto questa pagina.
Spero che l’attrazione che vi ha spinto a leggere la storia sia stata ben riposta.
Prima di cominciare ci tengo a precisare che questo racconto non è nato per essere sottoposto alla pubblicazione su un sito fanfiction.
Ma ho bisogno un parere esterno. Quindi… leggete e commentate, per favore.
Grazie ancora e Buona lettura.
EnJoY it.


Sleeping with ghosts


In the shadow of a nightmare…


Fece scorrere le dita affusolate sulla finestra, disegnando sottili linee astratte che scomparivano appena allontanava i polpastrelli dal vetro freddo.
Osservava con occhi vuoti e distanti la pioggia cadere e coprire come un manto invisibile tutta Londra.
Una cosa che amava della pioggia era che bagnava tutto e tutti, senza discriminazione, senza chiedere il permesso. Ti coglieva di sorpresa, ti faceva irritare alcune volte. Ma alla fine, lasciava sempre quel senso di pulito che ti faceva respirare a fondo l’aria uggiosa che restava a impregnare l’atmosfera per qualche istante, una volta che l’ira dell’acqua fitta aveva smesso di sfogarsi.
Sbirciò le luci della città sbiadite dalla leggera nebbiolina di Marzo. Ovattate e nostalgiche… come in un ricordo. Candide e impercettibili… come in un sogno.
Chiuse lentamente le palpebre che sembravano essere improvvisamente diventate troppo pesanti per mantenere la loro posizione e lasciò scorrere innanzi a sé immagini, la cui provenienza non era sicura di conoscere.
Una spiaggia bianca… le onde che si infrangono sugli scogli ricoperti di alghe… il vento che accarezza con disinvoltura i lineamenti di un viso giovane e i capelli ramati.
Possono essere i ricordi di un sogno così reali?
Una mano calda nella propria, una mano che bisbiglia sicurezza… che parla di un futuro da costruire… di un passato da ricordare. Che spinge a guardare negli occhi chiunque riesca a ispirare nell’animo così tante emozioni solo in un attimo.
E la sua bocca. Il suo sorriso. Le sue labbra premute velocemente e castamente sulle proprie, come quelle di un bambino, che insicure esplorano per la prima volta quelle di un'altra persona. Il sapore di sale e menta. Il sapore di felicità. La pelle calda fra le mani, mentre il sole cocente si riflette negli occhi e nell’anima.
Tuttavia. Non riesce a ricordare il viso della persona che ha dinnanzi. C’è come un velo a nasconderne i lineamenti. Un velo delicato come quello che separa sogno da realtà.
Come quello che divide fantasia da verità.
E col tempo, e non poca fatica, lei aveva imparato ad appoggiarsi a quel velo sottile, fino a scivolare in quel limbo di cui era presto diventata vittima, succube di qualcosa a lei sconosciuto, che forse non valeva nemmeno la pena portare a galla.
Era sprofondata lontano. In quelle braccia calde. In quel respiro intenso. Quel tocco rassicurante.
Era corsa lontano. Così lontano che, come spesso accade, faticava persino a ricordare da dove fosse partita (perché in tutto esiste un punto di partenza).
Si era fatta cullare dalle sue emozioni, perdendosi in quel volteggio di luci e ombre, chiedendosi cosa lascino vedere le une… e cosa nascondano alla vista le altre.
Dimenticando persino dove finisca realtà e dove inizi fantasia.
Così come in un ballo medioevale misto di felicità e malinconia lei si era lasciata trascinare dalle onde dei suoi ricordi (erano dunque ricordi quelli?), in un mondo che era più semplice per lei da vivere. In un’esistenza che le era amica. Lontano da tutti. Lontano persino da sé stessa.
Qual è, in fondo, la differenza fra realtà e sogno? Come riuscire a distinguerle con precisione?
Un lampo.
Aprì gli occhi di scatto, tornando a guardare il cielo grigio, proprio davanti al suo naso.
Adorava. Decisamente. Adorava la pioggia. Irrequieta e imprevedibile come l’animo umano.
Basta un attimo per farla infuriare e un secondo per far sì che si plachi.
Quel suo danzare incessante fra le fronde degli alberi e i prati verdi.
Cadere ad impregnare la terra arida e a renderla feconda.
Allungò una mano verso il bicchiere di champagne appoggiato sul davanzale.
Rabbrividì avvertendo la freddezza del calice contro la pelle sottile dei suoi polpastrelli.
Per un attimo osservò rapita le ombre del liquido che coloravano il pavimento.
Portò il bicchiere alla bocca, socchiudendo gli occhi e inspirando l’odore acre e deciso della bevanda. Poi lasciò che bagnasse le sue rosee e sottile labbra con la delicatezza che gli era consueta.
Dio. Come poteva qualcosa di così insano essere altrettanto… terribilmente delizioso?
Il temporale continuava a imperversare, appena fuori da quel sottile strato di vetro.
Prima il lampo. Solo luce muta che correva troppo veloce.
Poi il tuono. Dietro, nel buio, che urlava cieco e cupo la sua solitudine.
La stessa cosa spezzata in due.
A pochi secondi di distanza, ma divisa per sempre…

Com’è dolce la sensazione dell’alcool giù per la gola, a solleticarti il corpo e inebriarti i sensi.
Il vetro freddo su labbra che vogliono solo provarne il piacere fa rabbrividire.
D’un tratto nella stanza c’erano solo lei, il boato regolare dei tuoni, la luce ad intermittenza dei lampi, ad illuminare il locale a giorno per qualche istante, e quell’invitante bottiglia, abbandonata sul tavolo.
E ogni bicchiere è meglio del precedente ed aiuta a dimenticare e ricordare contemporaneamente.
Era ubriaca. E nemmeno se ne rendeva conto.
L’unica cosa che bramava in quel momento era un sonno ristoratore. Un sonno senza sogni.
Voleva solo che la ragione andasse a dormire insieme al cervello e a quel fastidioso mal di testa che l’aveva colta dopo il decimo bicchiere [O il quindicesimo… infondo.. che importanza aveva?].
Cercò la stabilità sui suoi piedi scalzi che l’accompagnarono fuori dal salotto, lungo lo stretto corridoio del primo piano. Dovette cercare il supporto della parete per arrivare fino in fondo ed entrare nella sua stanza.
Camminò nel buio, dopo la porta, fino a trovare, fra i barcollii, il letto.
Si lasciò scivolare dentro le lenzuola, che profumavano di pulito, come molti anni prima.
Il materasso la accolse fedele in un caldo abbraccio, piegandosi leggermente sotto il suo esile peso e accogliendo sulla propria stoffa la cascata di capelli ramati che incorniciavano il suo viso.
Un respiro. Uno battito di ciglia. Di nuovo il rumore del mare. La vista si fece annebbiata, percepì una mano calda sfiorarle il viso.
E scoprì che non le dispiaceva essere ingoiata dal buio…


***


Un rumore.
Continuo, ritmico e terribilmente ripetitivo.
Lo sentiva nella testa, gli pulsava nelle vene, la faceva sussultare.
Era come intorpidita da un sonno millenario. Sentiva voci basse che non riusciva ad identificare come conosciute ed odori lievi che non sapeva distinguere.
E poi qualcosa di orribilmente reale le schiacciò l’addome, comprimendole la gabbia toracica e mozzandole il fiato.
Non avvertì, tuttavia, movimento intorno a sé. Nè cambiamenti effettivi. Nessuno sembrava accorgersi del suo malore, ammesso che intorno a lei qualcuno ci fosse.
Quel peso la stava opprimendo, e nessuno faceva nulla per cambiare la situazione.
Cercò di portare una mano alla gola, ma scoprì una nuova forza a bloccarle i movimenti.
Che diavolo stava succedendo? Dove era finita?
Avvertì distintamente un fruscio delle lenzuola ruvide sulla sua pelle e qualcosa accarezzarle un braccio.
E poi fu un attimo.
Come fosse sempre stato chiaro.
Capì l’origine di quel male al petto.
Era dolore. Dolore che in quel momento, probabilmente, la circondava. Dolore provato da qualcuno molto vicino a lei, così forte da impregnare l’aria. Dolore che non poteva fare a meno di provare sulla pelle.
Non aveva idea da cosa esattamente provenisse e di che genere fosse la causa.
Eppure in quel attimo ne ebbe la certezza. E non desiderò altro che aprire gli occhi e scoprire che mondo si nascondesse dietro le sue lunghe ciglia distese a solleticarle le guance.
Poi di nuovo quella carezza, che si era spostata sui capelli.
Doveva… voleva capire.
-Liz… ehi… penso sia ora di svegliarsi…-

***


-Liz… ehi… penso sia ora di svegliarsi…-
-cosa?-

 
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