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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Manga e Anime
Dalla Serie: InuYasha
Titolo Fanfic: *DOUBLE LIFE, ONLY LOVE*
Genere: Romantico, Azione, Erotico
Rating: Per Tutte le età
Avviso: OOC, AU
Autore: niobe88 galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 27/12/2007 01:20:07 (ultimo inserimento: 19/09/12)

"..Fece un giro su se stessa, e poi sorrise, compiaciuta: Sfidava la sua stessa mamma a scambiarla per una ragazza. .."
 
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GEMINI
- Capitolo 1° -

***Double life, only love.***



Avviso importante prima di continuare:

Sicuramente si sarà notato, ma ultimamente, aggiornando le mie fic su manga.it, nel testo mi compaiono strani simboli che non riesco a togliere in alcun modo, finendo a volte, anzi, a peggiorare la situazione >>.
Se qualcuno avesse un consiglio da darmi al riguardo, gliene sarei davvero grata… nel frattempo però, conscia del fatto che non sono molto belli da ritrovarsi sotto gli occhi durante la lettura, vi consiglio di leggere la fan fiction su un altro sito, manganet.it (http://www.fanfiction-manganet.it/viewstory.php?sid=21990)









Capitolo 1












Tirò fuori un lungo sospiro.

Sollevata, nel suo intimo, per essere riuscita a tenere alta la sua media in questo campo.
Annoiata, consapevole che in fondo la sua avversaria non era nulla di speciale, se paragonata a lei.
Soddisfatta, perché sapeva che ora il suo maestro sarebbe andato da lei e le avrebbe detto…


-Ottimo lavoro, Higurashi!-.


Una mano batté improvvisamente contro l’esile spalla di una ragazza, ma per quanto il colpo ricevuto fosse molto forte lei non si scompose minimamente, ne mostrò alcun segno di dolore o fastidio. Si tolse il men(*), scoprendo il viso sudato a causa del caldo; sbuffò assonnata, per poi voltarsi velocemente su se stessa.
A rivolgerle la parola era stato un uomo sulla quarantina, vestito con una tuta blu elettrico, che lasciava intravedere una corporatura robusta. I capelli erano marroni, corti, un po’ arruffati ed il mento era coperto da una leggera peluria scura, segno che in quei giorni non aveva avuto tempo o voglia sufficiente per radersi. In quel momento, le stava mostrando uno dei suoi rari sorrisi: quella ragazza era la sola tra tutte le altre sue allieve a potersi permettere di vederlo tutti i giorni. Lei rispose in altrettanto modo, compiaciuta: un sorriso da parte del suo severo insegnante equivaleva ad un sicuro passo in più verso il campionato.
Con la katana(**) stretta nella mano destra, si avvicinò alla persona che aveva appena battuto, ora seduta a terra, e si chinò appena sulle ginocchia, preoccupata. -Tutto bene Hokuto_chan?- domandò dispiaciuta: forse questa volta aveva esagerato un pò… .
Osservò la sua avversaria levarsi il casco a sua volta, mostrando una folta capigliatura rossastra ed un volto pieno di graziose lentiggini. La vide ridere appena, ed afferrare la mano che l’altra le stava offrendo per aiutarla a rialzarsi. -Accidenti, Kagome_chan!- disse Hokuto massaggiandosi il fianco. -Ci vai sempre pesante, eh? Non auguro a nessuno di essere il tuo avversario!-. Kagome rispose con un sorriso molto dolce, compiaciuta per quello che l’amica le aveva appena detto, e sollevata per il fatto che non fosse arrabbiata con lei. Si sarebbe dovuta ricordare che Hokuto e la rabbia erano due cose del tutto differenti, anzi, quella ragazza era così mite che le era sempre parso strano la sua decisione di iscriversi al club di Kendo.
Purtroppo, le capitava molto spesso che le sue avversarie, una volta dichiarate perdenti e non vincitrici come avrebbero voluto, la prendessero subito in odio, non riuscendo a sopportare l’amaro sapore della sconfitta.
Ma battere Kagome nel Kendo era davvero un’impresa molto ardua da affrontare: era una campionessa già dalle elementari, e col passare degli anni aveva fatto progressi davvero invidiabili.
-Bene, per oggi basta! Andate a casa!- esclamò allegro il maestro, battendo le mani. Dalle panche di legno ai bordi del dojo si alzarono le altre allieve del club, che si erano fermate ad assistere a quella sfida che non era durata più di tre minuti, e tutte insieme si recarono verso gli spogliatoi, chiacchierando allegramente. Kagome, senza parlare con nessuno, le seguì a passo lento, osservandole da lontano. Una volta arrivata sistemò la spada di legno nella sua custodia e cominciò a togliersi l’armatura, ansiosa di tornare a casa e fare un bel bagno caldo il prima possibile. Mentre si sfilava il suo hakama(***), con la coda nell’occhio intravide Hokuto unirsi alle altre ragazze, sedute su una panca in disparte intente a cambiarsi, e nessuna sembrava curarsi troppo del fatto che una loro compagna fosse rimasta isolata. Lei distolse lo sguardo, decisa a non farci caso, troppo abituata a quella situazione.
Per quanto fosse popolare, finiva sempre col rimanere sola.


Tutta la scuola conosceva il suo nome:

Kagome Higurashi, diciotto anni.
Alta, lunghi capelli corvini, ed occhi marroni.
Solare ed allegra,
Sportiva e testarda.
Non esiste tipo di camomilla sulla faccia della terra capace di calmarla.


Proprio così: se la vita fosse fatta di sport, per Kagome sarebbe stato il paradiso.
Lo jogging ed una doccia la mattina le davano più carica di una tazza di caffé fumante.
Pallavolo il lunedì per non pensare alla pessima ora di matematica avvenuta quella mattina.
Nuoto il mercoledì e il venerdì per rilassare i muscoli dallo stress, e la mente dai cattivi pensieri.
Kendo a scuola come unica ragione per dover andare in un postaccio del genere.
Sabato sera danza scatenata in discoteca, e domenica a letto: guai a chi osava provare a svegliarla prima delle tre del pomeriggio… .


La ragazza s’infilò la gonna verde a pieghe della divisa, annodò frettolosamente il foulard rosso sul colletto della camicia bianca e si poté considerare pronta per uscire. Salutò le sue compagne sventolando appena la mano, senza perder tempo ad assicurarsi che qualcuna le avesse risposto o meno, per poi correre fuori e dirigersi in fretta verso l’uscita. Attraversò il grande dojo dal pavimento di parquet, ben illuminato grazie alle ampie finestre che si trovavano presso l’alto soffitto. Kagome aveva ancora un sorriso smagliante stampato in faccia, contenta per il risultato dei suoi duri allenamenti con la katana.
Ma poi, neanche arrivata a metà strada, come un fulmine a ciel sereno le tornò in mente il brutto voto che aveva rimediato in fisica, lo stesso che per tutta la giornata aveva cercato di dimenticare.
Si fermò, improvvisamente demoralizzata, soffermando lo sguardo sulle sue pantofole.
Ecco la cosa che più odiava al mondo: tutto ciò che riguardava scienze, matematica ed informatica. Odiava quelle materie, perché non si potevano mettere mai in discussione, e lei, che era sempre stata uno “spirito libero“, come le diceva la mamma, sembrava non voler essere d’accordo con tutte quelle formule e ragionamenti vari per puro principio personale.
Fece un lungo respiro, decisa a non pensarci.
Era andata male in fisica, e allora? Non era la prima, e di certo sarebbe stata l’ultima volta. Avrebbe fatto qualcosa per cercare di recuperare, ma per il momento demoralizzarsi era assolutamente inutile, se non per cadere in depressione per tutta la giornata.
Questa era la vera filosofia di Kagome Higuarshi: quel che sarà, sarà.
Con il morale ristabilito, dette un’occhiata all’orologio da polso che il nonno le aveva regalato da poco, per il suo compleanno. Accorgendosi d’essere in ritardo, ricominciò a correre, accelerando ancora di più il passo. Attraversò un lungo corridoio, fino a giungere ad una porta di metallo aperta. Ben presto, da lì, si ritrovò all’ingresso dell’istituto, dove vi stavano le varie scarpiere usate dagli studenti. Raggiunse il suo armadietto e girò una manopola, ripetendosi mentalmente la combinazione. Una volta aperto, sostituì i mocassini che vi erano all’interno con le pantofole, le infilò in fretta e furia e si allontanò da lì, sempre correndo.
Prima ancora di raggiungere la porta che conduceva al cortile della scuola, poté scorgere fuori due persone poco lontano. Erano in piedi, uno di fronte all’altro, e stavano parlando tranquillamente. Dai motivi bianco e verdi della divisa che indossavano si poteva capire subito che frequentavano il suo stesso liceo. Kagome sistemò meglio la sacca a tracolla marrone sulla spalla, poi accellerò il passo verso di loro, salutandoli con un forte -Ciao!!!-.
I due si voltarono, ma lei non poteva vederli bene a causa di un raggio di sole, che in quel momento era puntato dispettoso sui suoi occhi. Si portò una mano sulla fronte nel tentativo di farsi ombra, notando così che qualcuno le si era avvicinato.
-Era ora Kagome_chan!- esclamò una voce femminile. Kagome si spostò alla sua destra, in modo che il sole primaverile non potesse procurarle altri fastidi.
A parlare era stata una ragazza, alta e snella, che teneva le mani poggiate sui fianchi ed un sorriso un po’ spazientito sulle labbra. Aveva lunghi capelli castani raccolti in una coda di cavallo, occhi vivaci e dolci color amaranto e l’espressione amichevole. -Scusa Sango_chan, mi hanno fatto combattere con una ragazza!- si giustificò lei portandosi una mano dietro la testa. -Mi auguro perlomeno che tu abbia vinto!- disse Sango incrociando le braccia e guardandola con finto sospetto. -Ovvio!- esclamò l’altra con altrettanta falsa indignazione, i pugni stretti vicino alle gambe.
Si fissarono un momento con serietà, poi attaccarono contemporaneamente a ridere.
Sango Aoyama era la migliore amica di Kagome. Frequentavano la stessa classe, ed anche lei amava praticare sport. Ma il kendo non le piaceva molto, preferiva il karaté. Diceva sempre che vincere a mani nude in un combattimento dava molta più soddisfazione che con una spada di legno. Ed infatti lei frequentava il club della scuola, e come Kagome non aveva la minima pietà nei confronti dei suoi avversari. Sango sembrava gracile a prima vista, ma in realtà era benissimo capace di stendere un energumeno il doppio più grosso di lei in meno di due minuti. Entrambe erano molto corteggiate a scuola, ma nessun ragazzo intenzionato a conquistarle aveva mai catturato il loro interesse, e così ora erano entrambe “felicemente zitelle”, come diceva scherzosamente la mora.

-Vi siete tutte e due dimenticate di me?-.

Le due amiche si voltarono senza smettere di ridere, fissando un ragazzo rimasto in disparte con le braccia incrociate ed un sorriso divertito sulle labbra. Kagome, la prima a riprendersi da quel attacco improvviso di ridarella, si voltò verso di lui per vederlo meglio. -Ciao, cricetino!- esclamò sorridente tenendo le mani incrociate dietro la schiena. Il volto del ragazzo diventò rossissimo, facendo divertire ancora di più le due amiche. Entrambe sapevano benissimo che odiava essere chiamato con quel soprannome, soprattutto in pubblico. L’aveva inventato Kagome quando erano bambini, più precisamente in seconda elementare. Non c’era un motivo particolare che lo legasse a quel soprannome, semplicemente Kagome, che aveva deciso di fare due passi per il sentiero di ghiaia, stava osservando distrattamente una coppia al parco seduta su una panchina, mentre i suoi compagni di gioco erano tutti sullo scivolo e sulle altalene. Aveva sentito lei chiamare il fidanzato in quel ridicolo modo, e il nomignolo le era piaciuto tanto che aveva provato a chiamare lui così, e da allora ci aveva preso tanto gusto che non aveva più smesso.
La ragazza guardò con affetto il motivo principale per il quale, a scuola, il suo nome era tanto conosciuto.
-Scusa, Sota!- esclamò avvicinandosi al ragazzo e dandogli un leggero colpetto sul braccio. Lui sorrise dolcemente di rimando, non riuscendo mai ad arrabbiarsi con lei.
Era risaputo di quanto fosse mite quel ragazzo.



Tutta la scuola conoscevaAnche il suo nome:

Sota Higurashi, diciotto anni.
Alto, corti capelli corvini ed occhi marroni.
Gentile e pacato,
Studioso e sbadato.
La media più bassa in educazione fisica dell’istituto era tutta per lui.

L’unica sua ragione di vita erano i numeri, i libri ed i computer.
La mattina doveva impostare la sveglia alle cinque per riuscire a svegliarsi alle sette.
Le giornate erano sempre le stesse: dopo la scuola, passava due ore buone in biblioteca per studiare.
Nei giorni feriali, dalle cinque alle otto lavorava come insegnante di recupero di informatica.
Gli piaceva la scuola, forse perché uno dei pochi posti dove veniva elogiato per il suo genio.
Il sabato usciva con gli amici, poi la domenica studiava senza voler essere disturbato da nessuno.


Sota non ne era al corrente, ma aveva davvero molto successo con le ragazze, che tralasciando qualche lato del suo carattere quale l’amore per i libri ed i computer che da un cero punto di vista potevano renderlo noioso, vedevano in lui un ragazzo dolcissimo e gentile, oltre che di bel aspetto: uno di quei cavalieri che ormai sembravano essersi estinti, cedendo il posto a ragazzi che avevano tutti in testa un unico chiodo fisso. Ma nessuna di quelle sue povere fan sapevano che lui era già impegnato.
Si era fidanzato con Hitomi in prima media, e dopo tutti questi anni erano ancora perdutamente innamorati l’uno dell’altra. Lei, anch’essa amante dei libri, sognava di diventare una veterinaria, e Sota era forse l’unico con il quale potesse parlare liberamente dei suoi progetti senza temere di essere presa in giro per il suo entusiasmo talvolta esagerato. Da un anno, a causa del lavoro dei genitori in una grande compagnia assicurativa, si era dovuta trasferire in Corea. Ma i due erano continuamente in contatto via lettera o e-mail, e lei tornava sempre in occasione delle vacanze estive o di natale.


Portò una mano sul capo della sorella, scompigliandole i capelli con fare effettivo, sorridendo.
-Scusa se ti ho fatto aspettare!- fece Kagome contenta delle attenzioni del fratello gemello. Di solito era sempre così scatenata da mettere quasi i brividi, ma quando era con Sota cambiava completamente, trasformandosi in una grande coccolona. Lui, invece, a casa e fuori rimaneva lo stesso pacato ragazzo di sempre.
Sota e Kagome erano come il riflesso di uno specchio: fisicamente identici, nel complesso l’uno l’opposto dell’altra.
Come lei amava qualsiasi forma di sport, lui non potrebbe provare odio maggiore per l‘attività fisica. Anzi, se non si sbatteva contro qualcosa almeno cinque volte al giorno non sembrava ritenersi soddisfatto.
A scuola, mente Kagome faceva rimanere a bocca aperta tutti quelli che la guardavano mentre compiva un fantastico goal, Sota riusciva a fare altrettanto quando si lanciava la palla in faccia da solo senza che nessuno capisse come diavolo avesse fatto.
Sota adorava la matematica: la riteneva facile perché per risolvere un problema o un calcolo bastava prendere in considerazione le formule giuste, e, quando occorreva, anche un po’ di logica, cosa che a lui non mancava di certo.
Il suo sogno era quello di diventare famoso tramite questa disciplina, come un Pitagora moderno. Sperava di riuscire ad inventare una nuova formula che finisse sui libri di scuola, e che magari avrebbe potuto prendere il suo nome. Kagome, per quanto amasse il fratello e cercasse sempre di comprendere i suoi ideali, non riusciva mai a capire cosa ci trovasse di tanto interessante in un ammasso di numeri e segni strani. Anzi, per quel che le riguardava, meno matematica esisteva meglio era.
-Andiamo?- s’intromise Sango, avvicinandosi ai due fratelli a passo lento, con le braccia incrociate dietro la schiena. Kagome annuì allegramente, cominciando ad incamminarsi verso il cancello d’uscita, invitando gli altri due a seguirla con lo sguardo.

Molti altri studenti stavano uscendo tardi, a causa delle attività extra scolastiche che li aveva trattenuti fino al primo pomeriggio. Dal campo di basket esterno stavano uscendo i ragazzi del club di palla canestro, continuando a passarsi a vicenda la grossa palla arancione. Dall’edificio, invece, stavano uscendo fuori uno alla volta tutti quelli ai quali quel giorno toccava il turno di pulire la classe. Un gruppetto di ragazze del primo anno passò loro accanto, chiacchierando con voce squillante su argomenti quali la perfidia di quel insegnante, il colore del momento, la dieta che una di loro stava seguendo. I tre amici, invece, si stavano godendo il bel sole primaverile scegliendo come argomento delle loro chiacchiere il brutto voto rimediato da Kagome in fisica. -Non te la prendere, io ho preso quarantacinque!- disse Sango con un mezzo sorriso, indicando se stessa con il pollice. -Sempre meglio di trenta…!- fece Kagome sospirando. -Pazienza, cercherò di recuperare…!- -Pazienza?- esclamò improvvisamente il fratello con fare severo. -Ka_chan, questo anno abbiamo gli esami finali, non puoi permetterti di dire una cosa del genere di fronte ad un voto come questo!- -Seee…!- disse piano Kagome, già annoiata dalla predica del gemello, gettandogli un‘occhiata di disinteresse. Nel mentre varcavano il cancello d’uscita, Sota aprì la bocca come per dire qualcosa, ma fu interrotto.

-Sota_kun, dov’è la tua cartella?-.

Il ragazzo moro gettò una rapida occhiata interrogativa a Sango, stupito dalla domanda che lei gli aveva appena rivolto. Guardò velocemente verso il basso, aspettandosi di vedere una delle sue mani reggere quella che era la sua cartella marrone. Nel constatare che i palmi erano vuoti, fu preso dal panico . -Cavolo, l’ho lasciata in classe!!!!!- esclamò girandosi verso l’istituto. Voltò rapidamente la testa verso Kagome, rivolgendole un -Torno subito!- appena accennato, per poi mettersi a correre più velocemente che poteva, non prima di inciampare a metà strada sulla sue scarpe e rischiare di finire con la faccia a terra. Ma, incredibilmente, riuscì a reggersi appena in tempo in equilibrio, e poté così ricominciare il suo percorso.
Kagome osservò il fratello per tutto il suo tragitto, spaventandosi un poco nel vederlo quasi cadere a terra. Nonostante gli anni, non era ancora riuscita ad abituarsi del tutto alla sua sbadataggine.
Guardò l’ora, per poi rivolgersi all’amica, che ricambiò subito l’occhiata. -Sango, devi andare a prendere Kohaku, vero? Sarà meglio che vai…!- -Ma no, tranquilla! Anche se arrivo cinque minuti in ritardo non succede nulla!- fece la bruna sorridendole.
Kohaku era il fratello minore di Sango, e frequentava la terza media in una scuola a due isolati di distanza dalla loro. Era una peste di ragazzino, tanto da procurarsi molti lividi sulle ginocchia o sulle braccia ogni volta che decideva di combinare una qualche bravata con i suoi amici. Lui e la sorella maggiore erano un po’ come cane e gatto, ma la loro era solo apparenza, perché se si trattava di difendersi a vicenda diventavano entrambi due furie.
Le due ragazze uscirono dal cancello, ed appoggiarono stancamente la schiena contro il muro. Kagome tirò fuori un lungo e profondo sospiro. -Sota è sempre il solito, prima si lamenta perché arrivo in ritardo, poi si accorge d’aver dimenticato la cartella…!- -Veramente non si è lamentato!- la corresse Sango mentre scostava un ciuffo di capelli dietro l’orecchio. Kagome incrociò le braccia e si voltò per dire qualcosa, ma fu interrotta. -Kagome_chan, hai pensato poi su cosa fare con Hojo?-. La mora tacque, rimanendo con la bocca mezzo aperta dalla domanda inaspettata. Si ricompose subito, abbassando lo sguardo. -No…!- confessò cupa, iniziando a giocare con il fazzoletto di stoffa rosso della sua divisa. -Però non mi sembra che lui ti dispiaccia!- fece Sango, abbassando senza volerlo il suo tono di voce. Kagome non rispose, limitandosi a guardare distrattamente la gente che le passava davanti.
Hojo era un loro compagno di scuola, più precisamente era il loro capoclasse da tre anni. A quanto pareva, era stracotto di Kagome sin dalla prima superiore, ma aveva trovato il coraggio di confessarglielo solo da pochi giorni. Le aveva chiesto un appuntamento, ma lei si era limitata a rispondergli con un “Ci penserò!”. Proprio come diceva Sango, a Kagome non dispiaceva quel ragazzo… . Era molto gentile, anche simpatico, ma non lo aveva mai visto come qualcuno con cui uscirci. Però forse era il caso di farci un pensiero sopra… . In fondo non lo conosceva poi così bene come credeva, magari con un appuntamento sarebbe riuscita a capire se era l’uomo giusto per lei. In caso contrario, ovviamente, lo avrebbe subito allontanato.

-Quanto cavolo ci mette quel baka??- esclamò la mora all‘improvviso, facendo sobbalzare due ragazzi che le stavano passando davanti. Senza badare minimamente a quei due, che ora la fissavano un po’ come se fosse tocca un po’ con ammirazione per il suo bel viso, stava sbattendo il piede contro il marciapiede seguendo un ritmo inventato sul momento. Con le braccia incrociate e l’aria imbronciata, Kagome, da sempre un tipo non molto paziente, stava già cominciando ad innervosirsi. Sota sarebbe già dovuto essere lì, a meno che non si fosse sbattuto di nuovo contro la porta della loro classe. Ma anche in quel caso non avrebbe fatto tanto tardi. Anche Sango, con la quale ogni giorno facevano sempre un pezzo di strada assieme per tornare a casa, si era scusata ed era corsa via, lasciandola sola. Sbuffò per l’ennesima volta, indecisa se raggiungerlo o aspettare ancora un minuto. “Basta!!!!” si disse mentalmente, staccandosi subito dalla parete. “Vado a vedere che diavolo sta combinando!!!” pensò con rabbia, avvicinandosi a passo pesante verso il cancello.

Ma neanche passato mezzo secondo, che la ragazza si fermò.
In lungo, infinito istante, sentì la schiena percorsa da un brivido tanto gelido da paralizzarle le gambe.
Nell’udire quel grido, era rimasta pietrificata.

Ma fu solo il tempo di un sussulto.

Poi Kagome cominciò a correre.
Raggiunse il cancello e si voltò verso l’edificio.
Una piccola folla si stava radunando in un punto.
Qualcuno steso a terra… .


-SOTA!!!!!!!-


















-Mamma, per favore! Ora smettila!-.

Una donna dai corti capelli rossicci si passò velocemente il fazzoletto di stoffa sugli occhi, asciugandosi le ultime lacrime da lei versate. Tirò su col naso, ormai rosso, e gettò un’occhiata alla persona sdraiata davanti a lei.
Poi, dopo pochi secondi, chinò nuovamente il capo e si rilasciò cadere in un sonoro pianto.
Il ragazzo sul letto, non riuscendo a sopportare quella vista, girò meccanicamente la testa verso la finestra, sbuffando. Ciò che vide oltre il vetro era un paesaggio diverso da quello che di solito scorgeva dalla sua camera. Non c’era la fila di palazzi che davano ad una strada stretta e buia, ma da lassù si potevano vedere i tetti dei negozi del centro, un tempio in lontananza, e persino un parco giochi. Un quartiere molto all’avanguardia, ma solo se paragonato a quello dove lui abitava con la sua famiglia.
Indossava ancora la camicia ed i pantaloni della divisa, mentre la cravatta color crema ora era piegata sul comodino di legno affianco al letto.
Impietosito dal suono dei singhiozzi della madre, lui si voltò verso di lei, lanciando subito un’occhiata supplichevole alla persona che ora era in piedi, vicino alla donna. Kagome, ricevendo il messaggio che stava cercando di mandarle il fratello, poggiò una mano sulla spalla della signora Higurashi. -Dai, mamma! Sota ha ragione, non bisogna certo farne una tragedia! Il dottore ha detto che si è solo rotto il polso e la gamba, in fondo poteva andargli peggio…!- -Io non capisco…!-. La donna ricacciò indietro l’ultima lacrima, sistemandosi meglio sulla dura sedia sulla quale era seduta. Alzò lo sguardo verso la gamba ingessata tenuta alzata da un cavo, poi si rivolse al figlio. -Sota, quando mi hanno detto cosa ti è successo ho avuto una paura terribile! Ma c’è una cosa che ancora non capisco…!-. La voce le tremava appena, segno che in fondo era ancora sconvolta per l‘accaduto. Le aveva telefonato Kagome sul lavoro, aveva chiesto al principale di poter uscire ed aveva raggiunto subito l’ospedale dove avevano portato il figlio con un taxi. Non aveva neanche avuto il tempo per togliersi la divisa da commessa che indossava quando andava al supermercato. Un dottore le aveva spiegato cosa era successo e quali fossero le condizioni del ragazzo, l’aveva condotta nella sua stanza, una singola molto piccola, dalle pareti ed il pavimento bianco, come il letto dove lui stava riposando, e da allora si era seduta e non aveva smesso di piangere, fino a quel momento.
-Sota, sei un pasticcione, e non è un segreto per nessuno! Ma questo non spiega certo come hai fatto a cadere dalla finestra del primo piano!!-. Disse quest’ultima frase alzando involontariamente il suo tono di voce. Kagome osservò il fratello, curiosa della risposta che avrebbe dato, visto che anche a lei tutta quella storia non tornava.
Sota scosse il capo, come spazientito. -L’ho già detto anche al medico!- spiegò stancamente, voltando la faccia verso il soffitto. -Stavo andando a prendere la cartella perché l’avevo dimenticata in classe! Sono passato vicino alla finestra del corridoio, ed ho visto un ragazzo che mi era parso un mio amico! Mi sono porso troppo per salutarlo, poi il pavimento sotto di me era bagnato perché ci avevano passato lo straccio, e sono scivolato in avanti!-. Al breve racconto del ragazzo, seguì un minuto di silenzio assoluto, disturbato solo dai rumori dei passi e voci che provenivano dalle altre camere lì vicino. La madre abbassò la testa, non sapendo più cosa dovesse fare o pensare. Kagome le accarezzò la spalla, come per confortarla.
Poverina, doveva stare molto male per le condizioni il figlio.
Poi la ragazza guardò il fratello, intento a fissare il candido vuoto di quella piccola camera d’ospedale.
Conosceva Sota come le sue tasche, più di chiunque altro al mondo, e ormai aveva imparato a capire quando lui mentiva o diceva la verità.
E quella era una bugia, ne era assolutamente sicura.
Non sapeva cosa gli fosse successo, ma non osava chiederlo di fronte alla madre: se lui le aveva nascosto una cosa del genere, doveva avere i suoi motivi, e lei aveva intenzione di scoprire quali fossero. Quando sarebbero stati soli, gli avrebbe chiesto cosa fosse realmente accaduto.
-Che ore sono?- domandò il ragazzo rivolgendosi alla sorella. Lei guardò subito l’orologio da polso, scoprendo che erano lì solo da un’ora e mezza circa. In cuor suo credeva che fosse passato più tempo. -Sono quasi le quattro!- disse sospirando, per poi tornare a fissarlo. Sota, in quella, le gettò un’occhiata stupita, con una strana espressione sul volto. Rimase imbambolato in quella posizione per pochissimi secondi, ma poi, senza preavviso, cercò frettolosamente di mettersi a sedere sul letto, sotto lo sguardo accigliato delle due parenti. -Cosa credi di fare?- esclamò la madre non appena lo vide cercare di liberare la gamba ingessata. -Devo andare a lavoro!- rispose lui cercando con lo sguardo un paio di stampelle che prima un’infermiera gli aveva portato nel caso avesse avuto bisogno di andare in bagno. La madre si alzò in piedi e lo prese per le spalle, costringendolo a sdraiarsi nuovamente. -Sota, ti rendi conto di quello che dici?- gli domandò severa e preoccupata al contempo. -Andare a lavoro in queste condizioni? Sei matto? Il dottore ha detto che devi rimanere in ospedale almeno una settimana prima di poter uscire! Hai bisogno di riposo!-.
Nel mentre diceva queste cose, la donna sistemò meglio il cuscino sotto il capo del figlio. Come, però, lo vide impallidire improvvisamente, si bloccò, guardandolo con stupore. -Tesoro, che hai? Stai male?- chiese mettendogli una mano sulla fronte, come per controllare se avesse la febbre. Sentì, al tatto, che aveva cominciato a sudare. -Sota…?- Cominciò, ma prima di poter proseguire vide il figlio allontanare da se il genitore con una mano, girandosi di lato. Kagome, allibita da quel comportamento, fece un passo in avanti. -Sota, che cavolo fai??- esclamò afferrando le stampelle appoggiate vicino alla sedia, e che lui stava tentando di prendere, allontanandole dal gemello. Fece per chiedergli cosa gli fosse preso, ma lui la precedette. -Non posso stare una settimana qui!!!- disse d’un fiato con voce acuta, mente la signora Higurashi, scossa, era riuscita a riportarlo al suo posto tirandolo per la camicia. Non appena risentì il cuscino sotto la sua testa, Sota guardò la madre. -Mamma, se non mi presento lì mi… …mi licenzieranno, capisci?- .
All’udire quelle parole, la donna rimase zitta per un istante, con le labbra rosee leggermente separate.
Ma si ricompose subito, tornando a fissare il figlio con severità.
-Sota, non puoi andare a lavoro e basta! Hai una gamba rotta, e devi rimanere qui fino a quando i dottori non ci diranno che potrai tornare a casa! Mi sono spiegata?-. Il tono della donna, che di solito era sempre dolce e comprensiva, si era fatto improvvisamente duro, tanto da stupire anche Kagome, che stava ascoltando a breve distanza. Dallo sguardo si poteva capire che non avrebbe ammesso alcuna altra replica al riguardo. Ma evidentemente, il comportamento della madre non sembrò bastare a far demordere il ragazzo, che mantenne lo sguardo, col volto che impallidiva a vista d’occhio. -Mamma, tu non puoi capire!- insistette lui con la voce che gli tremava appena. -Non è così semplice come credi, se non mi presento loro…!- -Ho detto NO!!!-. La voce della madre fece sobbalzare i due gemelli, che per un attimo rimasero entrambi paralizzati. Era rarissimo che la mamma alzasse la voce in questo modo, o che li guardasse con tanta durezza come stava facendo in quel momento. Con i pugni stretti vicino alla gonna rossa della sua divisa, e lo sguardo castano fulminante, faceva davvero paura.
Kagome non sapeva cosa di dire di fronte ad una scena del genere. Entrambi i famigliari si stavano comportando in modo molto diverso dal solito, e questo la stava lasciando confusa.
Si distolse subito dai suoi pensieri non appena scorse il fratello cercare di nuovo di alzarsi.
-Sota, piantala!!!-. La ragazza fece cadere le stampelle che aveva in mano e raggiunse velocemente il fratello, spingendolo all’indietro, verso il letto.

In quel preciso momento, senza che nessuno se ne accorgesse, dalla porta, probabilmente attirato dalle grida che aveva udito provenire dalla stanza, entrò un uomo in camice bianco. Il dottore, un uomo piuttosto giovane con i capelli biondo sporco un po’ lunghi che gli coprivano gli occhi dello stesso colore, non appena varcata la soglia fece per chiedere se fosse successo qualcosa. Ma come vide uno dei suoi pazienti che si dimenava energicamente sul letto, tentando di liberarsi dalla presa di una donna con una veste da commessa ed una ragazza liceale, sbiancò di colpo, rimanendo a bocca aperta. Non appena si fu ripreso, si affacciò fuori dalla porta, chiamando a gran voce un’infermiera.

Ignari di tutto, i tre parenti continuavano ad agitarsi e ad urlare.
Sota, comprendendo che era inutile discutere, si calmò un momento. Afferrò la sorella per il polso, che nel frattempo stava con le mani attaccate alle sue spalle, e l’avvicinò maggiormente a se. Lei, stupefatta dal gesto, lo fissò confusa. Era ancora pallido, e dagli occhi sembrava spaventato.
-Kagome, dammi subito il cellulare!- le ordinò, abbassando improvvisamente il tono di voce, come se avesse paura che qualcuno potesse sentirli. -Devo chiamare Inuyasha prima che…!-.
Ma il resto della frase gli perì in gola in un piccolo grido soffocato.
Kagome, stupita, lo guardò rimanere immobile con gli occhi spalancati, per poi abbassare le palpebre, sempre di più, e lasciarsi cadere pesantemente sul cuscino.
La ragazza, confusa, alzò lo sguardo, accorgendosi solo in quel momento della presenza di due sconosciuti.
Una donna in camice da infermiera tolse lentamente la grossa siringa dal braccio del loro paziente, posando poi sul punto colpito del cotone bagnato con alcool. Nel frattempo, al suo fianco, un uomo biondo con una cartella clinica tra le mani stava tirando fuori un sospiro di sollievo. Si rivolse alla signora Higurashi, che alla vista di quella scena era rimasta stupefatta quanto la figlia. -Lei deve essere la madre del ragazzo, giusto?- le chiese serio, con una punta di freddezza nella voce. Lei annuì, ancora scossa per l’accaduto. -C-che gli avete fatto?- balbettò preoccupata, guardando il ragazzo sdraiato sul letto, ora con gli occhi chiusi e l’espressione rilassata. -Non si preoccupi, gli abbiamo solo iniettato un calmante che lo farà dormire per poche ore!- spiegò lui, mentre l’infermiera, una ragazza dai corti capelli neri decorati con vari ciuffi colorati di viola, occhi verdi ed un viso colmo di lentiggini stava sistemando al meglio la gamba ingessata al suo posto. -Posso sapere come mai si stava agitando in quel modo?- -Non… non lo so!- confessò la donna, scuotendo appena la testa. Si portò una mano sul petto e fissò il medico negli occhi. -Diceva di voler uscire, ma…! Non capisco, era strano! Sota è sempre stato un ragazzo così tranquillo…!- -Credo che suo figlio abbia risentito dello shock del brutto incidente che gli è capitato! Ma ora è meglio che riposi, vedrà che dopo una dormita si sentirà meglio!-
-Cosa le è saltato in mente???-. L’uomo, udendo una voce alle sue spalle, si voltò su se stesso, scorgendo oltre il letto una ragazza dagli stessi lineamenti del suo paziente, che ora lo fissava con rabbia. -Perché diavolo ha fatto una cosa del genere? Ha preso mio fratello alla sprovvista e gli ha infilato una siringa con del sonnifero, quando stavamo solo avendo una discussione! Le sembra modo di comportarsi??- esclamò lei indignata, non riuscendo a non arrabbiarsi per come avevano appena trattato il gemello. L’infermiera gettò un’occhiata alla liceale dai capelli corvini, per poi rivolgersi al dottore, curiosa di conoscere la sua reazione. Ma il medico non fece in tempo a dire nulla, che la donna con la quale stava parlando fino a poco prima lo superò e si affiancò alla figlia, prendendola delicatamente per il braccio. -Kagome, basta ora!- le disse in un sussurro, ma senza tralasciare una punta di rimprovero. Lei tacque ed abbassò il capo, irritata. Sentì l’uomo ricominciare a parlare. -Ora sarà meglio fare una visita di controllo! Le dispiacerebbe uscire un minuto?- disse freddo avanzando di un passo verso il paziente. La donna annuì timidamente, per poi trascinare dolcemente con se la figlia. Kagome gettò un’ultima occhiata al fratello dormiente, poi seguì la madre verso l’uscita. Non appena furono nel corridoio e la donna ebbe chiuso la porta, si rivolse alla ragazza. -Kagome, non devi parlare così ai dottori!- le disse stancamente, anche se in cuor suo era d’accordo con lei. Kagome la guardò stringendo appena i pugni. -Ma…!- -Ascolta tesoro, ricorda che loro si intendono di medicina molto più di noi, non devi criticare il loro lavoro solo perché non lo capisci!- le disse accarezzandole la spalla. Lei abbassò il capo, annuendo piano. Sapeva che la madre aveva ragione, ma l’espressione che il fratello aveva assunto nel momento in cui gli avevano dato il sonnifero l’aveva spaventata tantissimo.
La signora Higurashi sospirò, passandosi una mano tra morbidi i capelli rossastri. -Senti tesoro, tra un’ora hai gli allenamenti di nuoto, vero? Forse è meglio che tu vada…!-. Al sentire quella frase, la ragazza alzò lo sguardo, confusa. -Cosa?- domandò piano, convinta di non aver capito bene. -Ma ti pare che vada agli allenamenti oggi? Voglio restare qui con Sota!-. La donna ridacchiò appena, senza però mostrare molta allegria nella sua risata. -Certo che voi due siete impossibili! Sota deve rimanere qui, ma voleva andarsene a tutti i costi! Tu devi andare, ma vuoi rimanere qui!- -Non scherzare!- esclamò subito Kagome. -Non posso pensare al nuoto adesso, come vuoi che faccia a lasciarti qui da sola?- -Kagome…!-. La madre le sorrise dolcemente, regalandole un caldo abbraccio. -So che sei già bravissima a nuotare, ma se non migliori ancora un po’, come farai ad ottenere la borsa di studio?- le chiese in un sussurro. La ragazza, che non aveva preso in considerazione quel particolare, scosse il capo. -Se lo salto per un giorno non succede nulla, te lo assicuro! Preferisco rimanere qui con te!- -Kagome, da brava, obbedisci!-. Lei alzò lo sguardo, incontrando gli occhi del genitori, così simili ai suoi… . Le stava sorridendo con infinito affetto, senza smettere di tenerla stretta tra le sue braccia. -Se mi trovassi in difficoltà a rimanere qui da sola per qualche ora, ti assicuro che te l’avrei detto! Ma non è così, davvero! E poi sei stata tu a dirmi che non è nulla di grave, no? L’ha confermato anche il dottore!-.
Kagome la fissò, mentre gli occhi le diventavano appena più lucidi.
Da quanto suo padre era morto, la madre si era sempre sacrificata per il futuro dei suoi figli, e per quanto si potesse trovare nei guai fino al collo metteva sempre lei e Sota come prima delle sue preoccupazioni, incurante delle difficoltà che le si paravano davanti. Le voleva molto bene, e le doveva davvero tanto. Ricambiò con forza l’abbraccio, beandosi di quel dolce calore materno.
-Su, vai o farai tardi!- le disse la donna scompigliandole appena i capelli. Kagome si separò lentamente da lei, annuendo appena. -Ma se succede qualcosa, chiamami subito!!- esclamò poi. Non si mosse dalla sua posizione fino a quando non ricevette una risposta positiva dalla donna.
-Te lo prometto, ma ora vai! E fatti onore!-.













L’aria in città, con l’arrivo del pomeriggio, si era fatta ancora più calda, e la mancanza di vento non migliorava certo la situazione. Per strada l’odore dello smog si era fatto più intenso, e il rumore del motore delle autovetture e dei clacson sembrava quasi assordante. Non appena scattò il verde, i pedoni si prestarono ad attraversare l’asfalto per raggiungere il marciapiede. La prima ad arrivare dall’altra parte fu una ragazza mora, che cominciò a camminare con aria distratta stringendo tra le mani la sua cartella e la custodia della sua katana.
Non era affatto fiera di quello che aveva fatto: lasciare la madre da sola in ospedale con un fratello che si era rotto una gamba per andare in piscina. Ma si era lasciata convincere dal tono dolce che aveva usato sua madre, cedendo subito alle sue richieste. Ora era lì, intenta ad arrivare a casa sua, senza riuscire a smettere di riflettere su quello che era accaduto quel giorno.
Già la versione dei fatti di Sota non la convinceva molto. Certo, conoscendolo sarebbe stato benissimo capace di farsi male per un motivo del genere, visto che a lui capitavano sempre gli incidenti più assurdi: una volta, in seconda media, era caduto da una lunga rampa di scale mentre si apprestava a raggiungere il piano inferiore della loro scuola, e come se non bastasse tutti i pesanti libri che stava trasportando gli erano caduti in testa uno dopo l’altro, tanto che l’infermiera aveva addirittura temuto per la sua salute mentale.
Quello che la lasciava perplessa non era tanto la storia, ma il fatto che mentre la raccontava lui non stesse guardando negli occhi nessuno. Faceva sempre così ogni volta che mentiva. Ma se davvero quella era una bugia, come aveva fatto a cadere? E perché avrebbe dovuto tenerlo nascosto?
E poi c’era un’altra cosa che non riusciva a capire: che gli era preso?
Perché aveva tanto insistito per andare a lavoro?
Solo per paura di essere licenziato?

Kagome rallentò il passo, prendendo bene in considerazione questa ipotesi.
Pensandoci, era molto probabile che il motivo fosse quello. Sota con quel lavoro guadagnava almeno il triplo di quanto non facesse la loro mamma con la sua occupazione da commessa del supermercato. In effetti, quello che teneva in piedi la situazione economica della famiglia era proprio lui: non erano ricchi, affatto, ma grazie a Sota, che chissà come era riuscito a farsi assumere in un posto come quello, e ci lavorava da quasi un anno ormai, riuscivano a tirare avanti senza troppe difficoltà. Persino la signora Higurashi, quando il figlio le aveva detto che se non fosse andato lo avrebbero licenziato, per un attimo era rimasta interdetta.
Kagome sospirò sconsolata, non osando immaginare cosa sarebbe accaduto adesso. Sicuramente non avrebbe più potuto frequentare il gruppo di pallavolo, e si sarebbe dovuta cercare anche lei un lavoro, possibilmente fisso, per aiutare la madre. Di solito riusciva a cavarsela con qualche breve occupazione come cameriera in un pub per una o più sere, o come baby-sitter per i vicini, ma nulla di più. Non sapeva come avrebbe fatto, ma si sarebbe dovuta inventare qualcosa.
Si fermò un momento, gettando un’occhiata distratta alla vetrina di un negozio di accessori per capelli che sorgeva alla sua sinistra, per poi fissarsi tristemente le scarpe, pensando sul da farsi. Avrebbe potuto cominciare a chiedere alla pizzeria sotto casa loro se li serviva una ragazza per le consegne, anche se dubitava che ne fossero sprovvisti. Ricominciò a camminare a passo lento, sconsolata. Quella situazione non le piaceva, proprio per niente. Doveva farsi venire un’idea, e alla svelta.
Ma come?
Che poteva fare?


“…Un momento…!”.
Kagome si bloccò, alzando la testa di scatto.
Rimase ferma, perplessa per la cosa che le era appena venuta in mente, veloce ed improvvisa come un fulmine.

Si voltò subito e cominciò a correre.
Si fermò di fronte al negozio davanti al quale si era fermata poco prima, tornando a fissare la vetrina e gli oggetti che vi erano esposti.
Tra questi, c’era una cosa che aveva catturato la sua attenzione in modo particolare.
L’aveva notato da subito, ma essendo completamente immersa in altri pensieri non ci aveva fatto minimamente caso. Quell’immagine le era entrata in testa solo qualche minuto dopo, e subito era tornata indietro per accertarsi di non essersi sbagliata.

Ma si ricompose subito, scuotendo il capo.
No, che cosa le era saltato in mente? Era ridicolo, come le venivano in mente certe idee tanto assurde?
Decisa a non pensarci più, ricominciò subito a camminare.
Ma, per quanto si sforzasse, non riusciva a staccare gli occhi di dosso dalla vetrina, e neanche compiuti due passi in tutto si fermò meccanicamente.
Rimase imbambolata di fronte a quel negozio, non sapendo cosa fare.
Una parte del suo intimo l’assicurava che la sua era un’idea geniale, mentre l’altra metà la stava supplicando di non fare una cosa del genere.
Senza aver ancora preso una decisione, tirò fuori dalla tasca della sua gonna un portafogli, e ci guardò dentro. Si accorse con sollievo di non aver ancora speso i soldi che le aveva regalato la zia Sakurako quando era andata a trovarla una settimana prima. Di certo bastavano… .
Ma lo richiuse subito, dandosi della scema.

No, come poteva farsi venire in mente una cosa del genere?

Però forse valeva la pena di rischiare… .

Certo, sarebbe stata una cosa assurda. Inconcepibile.

Ma se poteva servirle ad aiutare la sua famiglia… .

No, che le veniva in mente? Non poteva davvero fare una cosa del genere….

…o si?


















Era ferma, davanti alla porta di casa sua, la mano tesa verso quella maniglia che non riusciva proprio ad afferrare.
Doveva ammetterlo: aveva paura.
Si sentiva ridicola, e per giunta ora era assolutamente convinta che non avrebbe funzionato, che avrebbe di certo peggiorato la sua situazione.
Aveva telefonato al suo allenatore di nuoto, dicendogli che non sarebbe potuta venire agli allenamenti perché il fratello aveva avuto un incidente, ed aveva passato più di un ora a cambiarsi.
Aveva programmato tutto nei minimi dettagli… ma ora, aveva paura.
Davvero voleva varcare quella soglia?
Davvero voleva uscire fuori… così?
Chiuse gli occhi, traendo un profondo respiro.
Perché stava facendo questo, in fondo?
Perché forse c’era una possibilità che la sua famiglia non andasse in rovina una volta per tutte?
Perché era completamente impazzita per il troppo caldo?
Per non rendere vana la spesa di quelli che erano diventati tutti i suoi risparmi?

Fu proprio questo ultimo pensiero che sembrò scuoterla. Erano già in bancarotta, e lei aveva speso inutilmente i suoi ultimi soldi?
E no, questo No.
Presa da un’improvvisa determinazione, afferrò la maniglia della porta ed uscì fuori da casa sua, anche se solo di qualche passo.




-Buongiorno Sota!-.




Si bloccò subito, trattenendo il fiato.
Lentamente si voltò, scorgendo una donna anziana con due buste della spesa poggiate ai suoi piedi ed un mazzo di chiavi in mano.
Era Kaede, la signora che abitava a due appartamenti di distanza dal suo.
Era una vecchietta molto gentile, sebbene l’età l’avesse resa un po’ impicciona dei fatti altrui. Il marito era un generale della marina, morto da dieci anni a causa di un tumore. Ora lei viveva della sua pensione, spendendo la maggior parte del suo denaro in cibo per gatti, per la decina di cari micetti che teneva in casa.
Leggermente titubante, alzò la mano in segno di saluto, sentendo le ginocchia tremolare appena.
-Buongiorno!- disse piano.
La donna sorrise, per poi aprire la porta che conduceva al suo appartamento, prendere le buste di plastica ed entrare.

Rimase lì senza muovere un muscolo, col cuore che batteva all’impazzata, sia per lo spavento che per l’emozione.

Poi l’espressione preoccupata si tramutò in stupore, per poi passare, infine, ad un sorriso smagliante.
Si girò e cominciò a correre verso le scale, che scese il più in fretta possibile, con l’eccitazione e la contentezza alle stelle. Arrivò sulla strada di quel povero quartiere dove da anni vi abitava con la famiglia, ma nel mentre usciva dal cancello andò a sbattere contro qualcuno.

-Guarda dove vai, moccioso!-.

Un ragazzo sui vent’anni, i capelli tinti di biondo platino ricoperti di gel e percing su tutta la faccia lo guardò in modo truce, con la stessa aria di quello al quale basta una scusa per prendere a pugni qualcuno. Ma la voglia di fare a botte gli passò non appena scorse un largo sorriso che lo disarmò completamente.
-Scusa!- disse per poi ricominciare a correre, con l’assoluta convinzione, senza spiegarsene il motivo, che sarebbe andato tutto bene. Arrivò di fronte al negozio di bigiotteria sul fondo della strada, e si fermò. Osservò il suo riflesso nella vetrina, contemplandosi: aveva indossato dei pantaloni in jeans piuttosto larghi che arrivavano appena alle ginocchia, scarpe da tennis chiare ed una felpa larga color sabbia. I ciuffi corvini dei suoi corti capelli mori ricadevano sugli occhi nocciola.
Fece un giro su se stessa, e poi sorrise, compiaciuta:
Sfidava la sua stessa mamma a scambiarla per una ragazza.


Proprio così: Kagome aveva frugato nell’armadio del fratello e scelto con cura l’abbigliamento giusto da indossare.
I pantaloni perché, semplicemente, le piacevano;
La felpa perché abbastanza larga da nasconderle la sua seconda misura di seno;
Le scarpe per intonarle con il resto del suo vestiario.

Ma la trovata geniale erano stati i capelli: aveva speso una fortuna per quella parrucca, ma ne era proprio valsa la pena.
A dire la verità quella che aveva visto al negozio era fatta con capelli lunghi, che le arrivavano alla vita, ma di colore identico al suo. Un paio di forbici e una bella quantità di lacca, una cucitura per rendere più stretto il leggero strato di stoffa che si trovava dentro… ed voilà, una capigliatura maschile perfetta. I capelli erano ancora un po’ più lunghi di quelli del fratello, ma erano dettagli.
Sango lo diceva sempre che era una parrucchiera nata.


Ed ora eccola lì: Sota Higurashi, fatta e sputata.


Il perché lo stava facendo?
Perché aveva deciso di mettere in scena quella farsa?
Perché in un momento di follia aveva mandato al diavolo tutto quanto, compresa quella parte di lei che aveva cercato di convincerla fino all’ultimo a non entrare in quel negozio, e a non uscire dalla porta di casa, e che ora la stava scongiurando di non andare in quel posto.
Ma ora quella era solo una voce lontana nella sua testa: era consapevole che quella era pura pazzia, persino per i suoi canoni di bravate e idee bizzarre varie, ma in quel momento, troppo presa dall’emozione per essere riuscita ad essere scambiata per il fratello, non riusciva a non essere contenta.
Forse sarebbe davvero riuscita a salvare il lavoro di Sota e la loro situazione familiare.

Accorgendosi d’essere in ritardo, cominciò una veloce corsa verso la sua meta, stringendo bene nella sua mano il manico della custodia del computer portatile del gemello. Era riuscito a comprarsene uno dopo anni di risparmi, e lo portava sempre con se quando andava a lavoro.
Kagome non se ne intendeva molto d’informatica: il massimo che sapeva fare era fare ricerche via internet, ma per il resto il fratello, forse perché troppo geloso di quello che considerava il suo “tesoro”, le impediva di usarlo troppo, come se avesse paura che lei lo consumasse, e di conseguenza non era mai riuscita ad imparare ad usarlo bene.
Ma per quello si sarebbe inventata qualcosa.

Ora il problema era un altro: non farsi riconoscere da nessuno.

















Ci mise una quindicina di minuti per arrivare a destinazione.
Si piegò appena in avanti per riprendere fiato, stanca per la corsa che aveva fatto per arrivare in tempo.
Gettò subito un’occhiata ammirata verso l’edificio che si trovava oltre il grande cancello nero, ora aperto, ed al di là del grande cortile, almeno il triplo di quello della sua scuola.

Ecco il motivo per il quale Sota guadagnava tanto come insegnante privato di recupero: il Sengoku independent school, il miglior istituto privato maschile che si fosse conosciuto, e che solo chi guadagnava almeno qualche bel milione di yen all’anno poteva permettersi di mandare i figli a studiare in un posto come quello.
Sota faceva corsi serali di informatica agli studenti, ogni giorno, eccetto il fine settimana; come fosse riuscito a farsi assumere in quella scuola, rimaneva un mistero, visto che la concorrenza per insegnare lì era davvero tantissima.

Kagome, dimenticandosi del fatto che era travestita da ragazzo e del suo “diabolico” piano, come incantata dalla magnificenza di quel edificio cominciò a camminare verso di esso, ammirandone le mura color inchiostro, il modo con il quale risplendevano alla luce del sole pareva lo stesso di come faceva l’acqua del mare. Vi erano molte finestre, tutte alte e strette, eccetto una che si trovava più in alto delle altre, proprio vicino al tetto, che era grandissima e di forma rotonda. Da una parte aveva un aspetto un po’ inquietante, ma a lei pareva stupendo.
Arrivata a metà strada, rendendosi conto che stava camminando lenta come una lumaca, accellerò subito il passo.
Salì la corta gradinata dell’ingresso, e, scoprendo che la porta di vetro era aperta, entrò subito dentro. Si guardò attorno, meravigliata.
Era nell’atrio, davvero immenso se paragonato all’ingresso della sua scuola. Il pavimento era di marmo bianco, come le pareti e l’alta gradinata che le si stava parando davanti. Sulla cima di quest’ultima, attaccato al muro, vi era un grande quadro ad olio che rappresentava un uomo piuttosto anziano, che sembrava fissarla con uno sguardo molto severo. Aveva un’unica lente sull’occhio destro, un grosso naso con la gobba e capelli banchi legati all’indietro. Indossava abiti molto eleganti, che ad occhio e croce parevano dell’ottocento.
Doveva essere il fondatore della scuola.
Kagome, decisa a non perdere altro tempo, s’incamminò in una direzione a caso per arrivare nell’aula d’informatica.
Ma dopo appena n passo di strada, si bloccò, paralizzata.
Stupidamente, aveva trascurato un dettaglio molto importante: non aveva idea di dove dovesse andare.
Si guardò attorno, spaventata, alla ricerca di qualcuno a cui chiedere informazioni. Ma non vide nessuno.
Nuovamente in preda al panico, cercò di riflettere sulla questione, mordendosi nervosamente il labbro.
La cosa certa era che restare lì in attesa di un qualcosa che potesse aiutarla non le sarebbe servito a molto; decise di cominciare a fare le scale, e appena visto qualcuno avrebbe chiesto loro.
Così, agitata per via del ritardo, raggiunse le scale e salì i gradini a due a due, per fare prima.




-Ehilà Sota!-.





Kagome fu presa tanto alla sprovvista da quella voce che per poco non scivolò in avanti, aggrappandosi istintivamente alla ringhiera.
Si voltò, piano, riuscendo a scorgere qualcuno che la stava raggiungendo a passo lento e sicuro.
Inghiottì un po’ di saliva, nervosa, per poi farsi coraggio ed alzare di più lo sguardo, per capire chi l’avesse appena chiamata con il nome del fratello.
Era un ragazzo, probabilmente dell’ultimo anno.
Indossava la divisa dell’istituto: pantaloni stretti e dritti di seta color ebano e camicia bianca, i cui primi tre bottoni erano stati lasciati aperti. Le mani erano dentro le tasche, e le stava rivolgendo un sorriso allegro ed amichevole.
Per l’aspetto, non era affatto male, anzi:
I capelli neri erano leggermente lunghi, legati in un buffo codino, e gli occhi erano di un profondo blu mare. I lobi di entrambe le orecchie erano ricoperti di vari orecchini, e la cravatta nera che portava al collo non era legata, ma lasciata aperta sulle spalle, ricadendo sul petto.

Da come l’aveva salutata, evidentemente conosceva Sota.
Forse la fortuna stava girando dalla sua parte.

-C-ciao…!- fece lei, cercando di abbassare il tono della sua voce per non farla sembrare troppo acuta, tipicamente femminile. Lui la raggiunse, continuando a sorridere. -Oggi sei proprio in ritardo! Che è successo?- -Ho…ehm… avuto un contrattempo!- rispose Kagome, tenendo lo sguardo abbassato. Percepì la sua presenza alla propria destra: evidentemente la stava superando. -Beh, anch’io sono in ritardo, e per il tuo stesso motivo!- lo sentì dire. -Sbrighiamoci, o gli altri si arrabbieranno sul serio!-.
La ragazza alzò il capo, fissando le spalle di quello che ora stava considerando il suo salvatore.
La stava accompagnando, così da evitarle di chiedere informazioni in giro ed evitare sospetti.
E, nota più importante, non sembrava aver minimamente sospettato che lei non fosse un ragazzo.
Lo seguì canticchiando mentalmente, ringraziando la fortuna e tutti i Kami esistenti.

Raggiunsero il secondo piano, per poi cominciare ad attraversare il lungo corridoio. Durante il tragitto non avevano incontrato nessuno, se non due ragazzini che stavano parlando poggiati sulla parete, vicino alla finestra del primo piano.
-Ehm, ascolta…!- cominciò lei cercando di mettersi il più possibile al suo fianco, per poterlo vedere in viso. -Che ne dici se per oggi non facciamo lezione? In fondo siete migliorati tutti molto, potremo prenderci una pausa e farci una bella chiacchierata! Tanto per spezzare il tempo, che ne pensi?-.
Aveva inventato quella scusa mentre stava arrivando, per non dover mettersi a cercare di spiegare cose che neanche conosceva. Era sicura che gli allievi di Sota non avrebbero avuto molto da ridire al riguardo, e che non si sarebbero certo rifiutati di saltare una o due lezioni per svagarsi un po’.

Il suo accompagnatore si fermò all’improvviso, fissandola con incredulità.
Quell’espressione stupita cancellò subito tutta la sicurezza e la fiducia di Kagome, lasciando il posto alla paura.

Perché la guardava così?
Forse suo fratello era così severo da non ammettere distrazioni, e la frase che aveva appena detto l’aveva tradita?
Forse, a dispetto delle apparenze, quel tipo ed i suoi compagni di corso erano dei secchioni amanti del computer come Sota?
Forse qualcosa in lei, magari nella sua voce, gli aveva fatto capire che era una femmina?

Mille e più domande, una più terribile dell’altra, si insidiarono minacciose nella mente di Kagome, mentre fissava con paura quel tipo con la sua espressione stranita.



Ma poi, senza preavviso, lui si piegò appena in avanti, lasciandosi andare in una sonora risata.




Kagome lo osservò contorcersi dal ridere, esterrefatta, senza capire cosa mai avesse detto o fatto di tanto buffo. Rimase ferma a guardarlo, non sapendo cosa dire di fronte a quella reazione del tutto inaspettata, fino a quando questi non sembrò calmarsi un po’. Si rimise dritto con la schiena, con una mano vicino alla bocca, ancora ridacchiando, senza guardarla. -Cavolo…!- lo sentì dire. -Se al posto mio ci fosse stato Inuyasha saresti finito con la faccia al muro!-.
Kagome, non capendo ancora bene cosa stesse succedendo, fu stranamente attirata dal nome che quel tipo col codino aveva appena pronunciato.



Inuyasha…
Dove lo aveva già sentito?



-Però non ti facevo tanto spiritoso! Per un attimo ho creduto dicessi sul serio!-.
In quella, lui dette una pacca sulla spalla di Kagome, e lei, non aspettandoselo, si ritrovò più in avanti di un passo. Si massaggiò il punto dolorante, mentre quello la superava di un metro di distanza, stiracchiandosi stancamente le braccia.

-Come se noi facessimo davvero ripetizioni!- esclamò a voce più bassa. Si voltò verso di lei, rimettendosi le mani nelle tasche dei pantaloni. -Ora andiamo, o saremo nei guai tutti e due!- le disse allegramente prima di riprendere il cammino.




Ma Kagome non lo stava seguendo.

Era rimasta in piedi, incredula, stupefatta, sorpresa, e assolutamente scossa, a fissare quello sconosciuto.

La frase che lui aveva appena pronunciato si stava ripetendo nella sua testa come un disco rotto, e sembrava non volerne più uscire…



-Come se noi facessimo davvero ripetizioni!-.



-Come se noi facessimo davvero ripetizioni!-.



-Come se noi facessimo davvero ripetizioni!-.





Oddio…
Ora si che Kagome aveva un brutto presentimento… .
































--------------------------------------------------------------------------------


(*)Men = Parte dell’armatura (Il Bogu) che viene indossata nel Kendo. Serve per coprire la testa, il viso, le spalle e la gola.



(**)Katana = (in questo caso) Spada di legno.



(***)Hakama = “L’unamori Hakama“, ovvero l’hakama divisa, a forma di pantalone, parte dell’abito tradizionale dei samurai.









 
Continua nel capitolo:


 
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VOTO: (26 voti, 36 commenti)
 
COMMENTI:
Trovati 36 commenti
Rif.Capitolo: 15
hanaliel - Voto:
03/12/12 23:24
Scusa ma non aggiorni più?
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Rif.Capitolo: 1
inuyasha27
30/06/12 12:49
Ma non aggiorni più? :(
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Rif.Capitolo: 13
kagome-chan93 - Voto:
12/01/12 17:56
waaaaaaaaaaaaa *ç* bellissimoooooooooooooooooooooooooo e fu così ke iniziarono i pensieri amorosi di koga e ayame XD hahahah macciiiiii troopo bella qst fanfic *___________* non c'è di ke dii pure alla scrittrice della fanfic ke ha tutta la mia stima *ç* è bravissimaaaaaaaaaaaaaaa *_* non vedo l'ora di leggere il prossimoooooooo >.< sono sicura di aver anke capito ki è il personaggio ke dice -Ehi! Ma io ti conosco!- *____________________* please aggiorna presto *_* sn molto impaziente *_* baci baci kago-chan93 *_*
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Rif.Capitolo: 13
inuyasha27 - Voto:
07/12/11 23:11
Buon compleanno :) inutile ripetere che sei bravissima e il capitolo fantastico u.u aspetto tuoi aggiornamenti >_<
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inuyasha27 01/11/11 21:53
Alloooooooraaaaa???? Quando aggiorni?!?! Sono impaziente di leggere il prossimo capito >____< continua così che sei bravissima ^____^
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Rif.Capitolo: 12
kagome-chan93 - Voto:
15/08/11 14:26
waaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa *ç* stupendoooooo ti pregooooo continuaaaaa prestooooo sono molto impaziente come continua la storiaaaaaaaa *ç*
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Rif.Capitolo: 11
kagome-chan93 - Voto:
17/03/11 02:24
waaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa *O* stupendiiiiii non vedo l'ora di sapere come prosegue la storiaaaaaaa miraccomando aggiorna presto *_* aspetto con ansiaaaa *_*
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Rif.Capitolo: 11
kagomina
19/01/11 20:22
Ma che pugno e pugno!! Sango ci devi uscireeeeeeeee!!!
Questo è quello che avrei detto se no sapessi di quale banda fa parte!
Usare il povero sota per quei sporchi lavori!!

Cmq, speravo che si accorgessero del cattivo umore di Kagome!!
Sigh, se solo Inuyasha se ne accorgesse e tenesse la bocca chiusa sarebbe una coa miracolosaaaaaa!!!!!!!

Allora, cosa succederà nel prossimo capitolo?!
Sango uscirà con Miroku?
Con Kagome????

Non vedo l'ora che postiate il prossimo capitolo!!!!!!!

Un bacione ad entrambe e... Continuate cosìììììììì!!!!!!!!!!
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Rif.Capitolo: 10
kagomina - Voto:
19/11/10 09:18
e e e e??? Cosa è successo alla signora higurashi?? E il brivido che l'era venuto sulla metro?? E qual ragazzo che credeva fosse un compagno??
aaaaah!!!! Sono curiosissimaaaaa!!!!
Mi lasciate sempre sulle spine e? è.é
ih ih iih... cmq, come sempre, bellissimo lavoro!!
NOn vedo l'ora che aggiorniate!!!
Un bacione ad entrambe!!!
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Rif.Capitolo: 9
inuyasha27
04/08/10 23:49
T.T mi vengono le lacrime da quant'¨¨ bella quasta storia! ¨¨ in assoluto la mia preferita! le rare volte ke vado sul sito ¨¨ x vedere se hai agi¨¬ggiornato! e quando vedo ke hai aggiornato ho una gioia dentro XD bravissimaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa nn vedo l'ora di leggere il prox cap
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