CHE PERSONAGGI PIRLONI CHE HO CREATO! - Capitolo 1° -
Salve ^___^ Questo primo capitolo contiene pochi dei personaggi che volevo inserire... pensavo di fare un unico grande capitolo, ma a quanto pare non ci riesco ^^'' mancano ancora in tanti, ma li aggiungerò poco a poco! Tutti quelli che compaiono hanno ricevuto il mio avviso e ho il loro permesso, perciò li sfrutto a mio piacimento ù__ù Sia chiaro, è una parodia, nessuno di loro è veramente tanto idiota >__>'' credo. E, soprattutto, alcuni di loro li adoro profondamente ^__^ è una storiella stupida ma fatta con affetto. ok? buona lettura. al massimo dopo vomitate >_>
C’era un tempo in cui il mondo aveva il colore di due specchi contrapposti che non riflettevano nulla, perché non c’era niente da riflettere. Niente alberi, né fiumi né animali né tantomeno persone. Non esistevano nemmeno i colori, né i profumi né i suoni. C’era una volta il Nulla. Ma in questo nulla viveva una divinità ed essa, priva di corpo, fluttuava dolcemente per le spire di un mondo che ancora non esisteva e si annoiava tremendamente. Fu così che decise di creare qualcosa che le facesse compagnia e le tenesse occupate le divine giornate, almeno per un po’, finché non fossero cominciate le repliche di Una mamma per amica. Così, creò il mondo. Per prima cosa battè le mani e accese il Sole. Poi plasmò una palla tonda bella grande, ci sputò sopra e creò i mari. Poi picchiò un pugno sulla superficie e la terra smossa formò le montagne. E con un soffio di vita tutto si ricoprì di erba, alberi e natura. Soddisfatta si guardò intorno e vide che ciò era buono. Contenta di sé, notò alla luce di avere un corpo e andò a sollazzarsi nel mondo che aveva creato per sé. Ma presto si ritrovò di nuovo insoddisfatta, con la crudele termite della solitudine che le rodeva dentro. Creò gatti e cani, per tenersi compagnia. Poi uccelli, rettili e pesci. Pensò perfino a creare gli insetti e ogni creatura che oggi esiste lo deve alle sue mani annoiate e frenetiche che prendevano spunto dalla forma delle nuvole per creare nuovi esseri dalle forme più bizzarre. Ma, nonostante la presenza di tassi e moffette, di scorfani e lucci, di farfalle e scorpioni, di serpenti e coccodrilli, non era ancora contenta e la termite infingarda si nutriva ancora della sua gioia. Triste e sconsolata si trovò a piangere sulla riva del lago neonato e tre lacrime caddero a terra. Tre lacrime da cui nacque ciò che le impedì di piangere oltre. Fede, Unpy e Fabri. Questa è la storia della vera creazione della Triade, da parte della Divina Kaname.
Era una calda giornata estiva e il sole splendeva sulle colline di Efferalgan, regno della semplicità, delle risate e dei campi da arare e coltivare spaccandosi la schiena. Da qui il nome del luogo che, visti i dolori perpetui di cui gli abitanti soffrivano, doveva la propria prosperità alla fabbrica di medicinali a valle. Era ormai pomeriggio inoltrato e una giovane figura di rosso vestita era stesa sull’erba profumata a godersi il caldo misto al riposo, dopo una giornata passata a fingere di lavorare nell’orto. Il suo nome, o meglio il suo nomignolo – per puro altruismo il nome anagrafico non verrà rivelato – era Mela. Ella era una fanciulla di rara beltà e di curiosa etica morale, che disdegnava il lavoro a costo della vita – altrui. Ma quest’oggi il suo riposo era dettato non solo da banale pigrizia, ma dalla curiosità che spesso guida le menti dei curiosi o, come nel caso specifico, degli stolti. Il giorno prima la giovin pulzella era rimasta a bere al pub del villaggio con la fedele amica, Gaia, chiamata anche Chibi ed entrambe, con estrema gioia del barista e il rammarico degli avventori, si erano cimentate in una delle numerose gare di bevute che le aveva rese famose in zona. Mentre Mela biascicava di elfi volanti e fate unicellulari – chiaro sintomo di eccesso di alcol e aspirine – si udì dal fondo del locale una voce cavernosa e distorta, che prometteva di offrire da bere a tutti. Chibi si girò a controllare da chi provenisse tanta generosa e benaccetta cortesia – Mela fece un tentativo di girarsi anch’ella ma finì spiaccicata a terra dalla sbronza – e si trovò innanzi una persona – o creatura? – totalmente coperta da un mantello nero come la pece. - E da bere anche alle due signorine! – esclamò l’essere coperto dal mantello con una gracchiante voce metallica, per poi aggiungere, osservando Mela che arrancava verso una sedia – O ciò che ne rimane… - Rimane abbastanza da sbevicchiare a oltranza! – replicò Chibi, reggendosi al bancone con una mano. Sbagliava o quell’essere coperto dal mantello aveva un’aria familiare? Forse erano le lucine rosa e verdi che si sprigionavano curiosamente dal soffitto. O era anche quello un effetto dell’alcol? No, si disse Chibi, scotendo la testa, cercando di fugare la piacevole nebbiolina che le intorpidiva la mente e cercando, nel contempo, di allontanare quei fastidiosi puntini di luce argentea che le pizzicavano le palpebre cantando “I’ve got the power” con voci stridule. - Barista, porti da bere alle ragazze, che hanno sete! – disse allora l’essere col mantello. Il barista versò del whiskey in due boccali da birra – conosceva fin troppo bene le due avventrici – e glieli lasciò silenziosamente innanzi. Cominciarono le complicazioni. Chibi impiegò qualche minuto ad afferrare il boccale, che si spostava continuamente sul bancone facendole la linguaccia. O era il bancone a spostarsi? Ondeggiava tutto come se fosse sul mare. Anche Mela aveva i suoi problemi a bere. Tanto per cominciare non riusciva ad alzarsi. Quei piccoli ometti verdi a forma di supposte con le braccia le avevano incollato gli arti al pavimento e rifiutavano di farla alzare. Supposte rompicoglioni, si disse Mela, facendo leva sulle braccia già stanche per tirarsi su. Dapprima le parve di essere riuscita nell’intento, ma si accorse appena in tempo che stava per bere dalla sputacchiera. Ad ogni modo, con tanta buona volontà e un po’ di fortuna, riuscì a sedersi nuovamente sullo sgabello davanti al bancone e a bere dal boccale. In pochi secondi, il whiskey era già esaurito. L’essere col mantello si avvicinò al turpe duo, sconvolto e ammirato. - Ma non temete un coma etilico? – fece notare, rivolto a Chibi, che pareva di gran lunga più sveglia dell’altra giovine, intenta a giocare alla morra cinese col boccale vuoto. Perdendo. - Pecorino e porchetta, perché? – biascicò malamente Chibi, rivolgendo uno sguardo beatamente annebbiato all’uomo in mantello. - Il coraggio non vi difetta… - ammise la persona misteriosa – ma scommetto che all’interno del villaggio di Efferalgan e anche oltre, esistono persone con poteri a dir poco superiori ai vostri e che reggono l’alcol come voi non potete neanche sperare di fare. Il silenzio calò sugli astanti e lo sguardo di Chibi si fece fermo e serio per qualche attimo. La giovane sembrava intenta in una dura riflessione, come se un fulgido raggio di consapevolezza fosse riuscito a farsi strada nella sua mente, come se le parole dell’uomo sconosciuto le avessero fatto tintinnare dentro un potente campanello. - No, adesso spiegami cosa c’entra Renato Zero con i Puffi… - biascicò Chibi, sporgendosi dalla sedia quel tanto che bastava da rischiare di cadere. - Chiba, Cibo o… o che altro… - mugugnò Mela al suo fianco, in tono lamentoso – C’è questo boccale del cazzo che insulta i miei capelli… L’essere col mantello lanciò un’occhiata ai capelli pseudo-rossastri e fintamente boccolosi della giovane e pensò che il boccale avrebbe avuto ben donde di commentarli aspramente. Tuttavia, per la propria sopravvivenza, decise di soprassedere. Aveva un compito importante da svolgere e intendeva farlo fino in fondo. Inoltre sapeva che le due ubriacone potevano dimostrarsi più che pericolose, se provocate. O almeno così gli era stato detto dalle ‘alte sfere’, visto che al momento l’unica cosa a cui le due parevano in grado di nuocere era il bicchiere vuoto che cercavano disperatamente e invano di colpire. - Stupido boccale… - berciò Mela, muovendo il braccio a caso cercando di colpirlo. - Non lo credevo così agile… - commentò Chibi, sbattendo la mano sul tavolo nel tentativo di colpire il vitreo boccale che si trovava a circa trenta centimetri. L’essere in nero sospirò e pregò per la riuscita del suo diabolico piano, o sarebbe stato punito. Innalzò una preghiera silente al Divino Mostro di Spaghetti e riprese a parlare. - Giovani… ehm… signorine… dicevo poc’anzi… due fanciulle di tale coraggio e sapienza come voi di certo saranno ansiose di misurarsi con gente di cui è ben nota la fiera potenza, no? Le due s’interruppero per qualche attimo, lasciando in pace il boccale. Si girarono all’unisono – questa volta senza cadute – verso lo sconosciuto e lo fissarono perplesse per qualche secondo. Quello sconosciuto aveva detto qualcosa di estremamente importante, ne erano certe. Ma cosa? - Eh? – trovò la forza di esalare Mela. L’essere ammantellato si sentì sopraffare da un’improvvisa ventata di whiskey e grappa e, così com’era apparso all’improvviso, fuggì dalla locanda con un urlo di terrore e disgusto. Le due rimasero sconcertate da tale reazione ma ben presto se ne dimenticarono e ricominciarono a bere. Solo il mattino dopo, quando si svegliarono, di fronte alla taverna chiusa e con un boccale vuoto e intatto a fianco. Nella mente annebbiata di Chibi vagavano ricordi offuscati e confusi della sera precedente, tra i quali la voce di uno sconosciuto che parlava loro di una persona in grado di batterle, a quanto pareva, sulla capacità di assumere alcol. Ancora stesa sul terreno polveroso la giovane Chibi strinse i pugni, offesa per le parole che le erano state rivolte il giorno prima. Nessuno, nessuno, fottutamente NESSUNO poteva permettersi di dire che al mondo esisteva qualcuno che reggeva l’alcol più di lei e Mela. - Mela, alzati! – le ingiunse, scotendola violentemente – Andiamo, catorcio umano! Bisogna andare a lavorare! La giovane dai capelli rossastri mugugnò qualcosa sui nidi di vespe rosa, per poi aprire gli occhietti stanchi. - Buongiorno – esordì, mugugnando. - Mela, ricordi quell’uomo coperto dal mantello, ieri sera? Mela assunse un’espressione attenta e concentrata. Alzò una mano a grattarsi la testa e trovò, tra i propri capelli, un biglietto. Se lo rigirò tra le mani, stupita e il suo stupore aumentò quando ne lesse il contenuto. “E’ inutile che bevete e sperate. Il primato dell’alcolismo apparterrà sempre alla grande Strega Nera e alla sua compagna” Lesse quella frase ad alta voce e Chibi, al suo fianco, cominciò ad urlare improperi e insulti a chiunque l’avesse scritto, citando con particolare cura zucchini, pitoni e diverse e particolareggiate parti anatomiche appartenenti a diverse divinità. - che altro c’è scritto, su quella cartaccia?! – berciò, furibonda. - L’indirizzo della Strega Nera… - rispose perplessa Mela. Fu così che le due giovani, piccate nell’orgoglio alcolista, decisero di recarsi dalla strega e di misurarsi con ella in un’equa gara di bevute. Ma prima, il dovere. Una rapida corsa a casa a pulirsi e a cambiarsi e poi nei campi a lavorare, per la prosperità della popolazione di Efferalgan, che viveva dei prodotti della terra, con cui venivano confezionati i farmaci miracolosi che venivano acquistati in tutto il regno delle Terre del Mazzo, fino alle regioni sperdute di Tarallo. Ed ora Mela era lì, sdraiata scompostamente sull’erba in attesa dell’arrivo di Chibi, che, teoricamente, sarebbe dovuta arrivare già da diversi minuti. Teoricamente. Sbuffò quindi, infastidita dal ritardo dell’amica e si stiracchiò mugugnando, sentendo le ossa scricchiolare dall’inattività. Pensò che più tardi sarebbe stato meglio prendere un qualche farmaco, tanto lei, grazie alle agevolazioni che l’azienda dava ai suoi lavoratori e di cui lei coltivava i campi, godeva di un alto sconto sui prezzi dei medicinali. E ogni tre scatole di anti-diarroici ne aveva una di Valium. Quando poi aveva venti scatolette di Valium inviava i bollini per partecipare all’estrazione a premi di una macchina, la nuova Sonda, la macchina a forma di supposta. Ma mentre lei era in tali pensieri immersa, qualcuno tramava nell’ombra perché qualcosa accadesse…
Poco lontano dal luogo in cui Mela riposava e attendeva, stava il covo della melmosa marmaglia di anime nere, coloro che volevano conquistare il mondo per pura frustrazione, un po’ per la bassezza che, come ha insegnato la storia, rende isterici, un po’ per noia e un po’ per ambizione. Il covo non era altro che una piccola casetta al limitare della foresta, abitata da poche persone – se del termine ‘persone’ esse sono degne. Tra loro c’era la Regina Malvagia, giustappunto un tappo frustrato, che soleva farsi chiamare La Gatta Spiaccicata, anche se il suo vero nome era un mistero. C’era poi il braccio destro della Regina Malvagia, la fedele Daph, donna psicolabile legata alla Regina da vincoli affettivi e di pura compassione. Il terribile duo progettava da tempo una qualche occasione per conquistare il potere e il mondo e adesso… l’occasione era giunta. - E’ tutto pronto per il piano? – chiese La Gatta Spiaccicata, con tono autorevole, mani incrociate dietro la schiena e un largo sorriso sul muso suino. - Sì, Padrona. Gli infiltrati sono al loro posto e i due pedoni stanno per recarsi dalla Strega Nera. – rispose Daph, rapida ed efficiente come al solito. La Gatta Spiaccicata gettò un’occhiata all’adepta e rabbrividì. Qualcuno doveva toglierle l’abitudine di tenere i capelli costantemente davanti al viso, le ricordava tanto la mocciosa di The Ring. Aveva tentato già una volta, per curiosità, di scostarle i capelli dal viso mentre dormiva – in ogni momento, come calamitati dagli zigomi, le ricadevano obbedientemente sul volto, a coprirla – ma non appena aveva avvicinato una mano un basso ringhio minaccioso si era levato dalla subalterna. Da allora aveva preferito evitare di cedere alla curiosità, ma quella pettinatura proprio la infastidiva… - La Strega Nera… - mormorò La Gatta Spiaccicata – Spero che non se la prenda. - Ne dubito, Padrona. La Strega Nera è facile all’ira. – le fece notare Daph. - A questo proposito, è pronto il capro espiatorio? – chiese la Gatta Spiaccicata reprimendo un brivido. Conosceva la Strega Nera e sapeva quanto poteva arrabbiarsi in caso di offesa. E se avesse capito di essere stata usata da lei, sarebbe stata la fine dei suoi piani, della sua vita e della speranza di vincere la Sonda al concorso dell’Efferalgan Fan Club. - Pronto, Padrona. È proprio ora sulla strada delle due pedine. - Eccellente, Daph… eccellente… - commentò la Gatta Spiaccicata, sbavando alla pregustazione del potere. - Altro, Padrona? - Portami le parole crociate, subalterna. Intendo finirle entro sera. – comandò dunque. Daph sospirò, conscia della triste piega che avrebbe preso la sua serata e si preparò alle crisi isteriche della Padrona allorché non avesse saputo rispondere alla ‘3 verticale, ‘Iniziali di Kate Winslet’. Rassegnata, prese le parole crociate e si preparò a passare ore ed ore d’inferno.
La Divina Kaname guardava dall’alto e pensava. Il mondo stava prendendo proprio una brutta piega. Le cose potevano finire male se non fosse intervenuta tempestivamente. La Regina Malvagia, detta Gatta Spiaccicata, era un’idiota, certo, ma aveva dalla sua un’abile consigliera e una fortuna sfacciata. Ciò era forse da ricondursi all’enorme culo di cui disponeva per via dell’uso indiscriminato che faceva degli anti-diarroici provenienti dal villaggio Efferalgan nel tentativo di vincere la Sonda, una macchina il cui design denotava certamente un inguaribile cattivo gusto. Inoltre, la Gatta Spiaccicata progettava di usare due povere ragazze alcolizzate come pedine per realizzare i suoi turpi piani. Le due umane si sarebbero recate dalla Strega Nera e dalla sua malvagia collaboratrice e le avrebbero sfidate in una gara di alcol. E, nel caso le due streghe avessero vinto, le conseguenze sarebbero state tremende per le due umane. Ma in caso contrario sarebbe stato ancora peggio e le due streghe avrebbero certamente cercato colui che aveva mandato le umane al loro cospetto. E per questo c’era pronto un innocente capro espiatorio. Kaname si morse le labbra, incerta sul da farsi, tormentandosi una ciocca di capelli violacei. Che fare? Certo, dopo qualche secolo dalla loro creazione gli esseri umani le avevano barbaramente scassato le palle e, per scrollarseli dai piedi, aveva dato loro il libero arbitrio, di modo che fossero direttamente responsabili dei loro errori e la piantassero di bestemmiarla a tutto spiano. Questo però non aveva fatto altro che portarli allo sbaraglio, a far nascere guerre e far morire innocenti. Senza contare il fatto che le bestemmie si erano centuplicate, ora che lei non aveva più voce in capitolo. - Fedele Triade, palesati! – comandò la divina Kaname, con un imperioso gesto del braccio. Quello era il richiamo deciso secoli fa perché la Sacra Triade che aveva creato inavvertitamente con le proprie lacrime giungesse da lei magicamente, volente o nolente. Difatti le tre divinità, le tre potenze cui solo lei era superiore, apparsero confusi e in condizioni poco convenienti. L’aitante Fede abbarbicato ad una bizzarra quanto stupenda statuina del Cristo Compagnone, avvolto in un pigiama ad orsetti che da tempo immemore era considerato la sua armatura della salvezza. Il geniale Fabri, soavemente immerso in acculturate letture anatomiche quali ‘Natasha e i sette tani’, palesemente restio ad abbandonare tale aureo manoscritto. E l’adorabile Unpy, richiamato proprio nel momento in cui si stava felicemente immergendo nel tiepido laghetto di quel bizzarro Eden. Egli indossava con sommo orgoglio un costume da bagno rosso costellato di fiori gialli, che faceva pendant con la rigonfia cuffia che teneva sulla capoccia, a coprire la massa capellifera. In una mano stringeva la fedele paperella magica di gomma, Sigismonda, sua fedele compagna e aiutante. - Divina Kaname, avvertire prima…? – fece Fabri, profondamente irritato, arrotolando l’adorato manoscritto della suprema conoscenza e ficcandoselo nella tasca dei pantaloni. - Non c’è tempo per essere educati… - sospirò la Divina Kaname, passandosi una mano sulla fronte. Unpy e Fabri si guardarono reciprocamente negli occhi, preoccupati. La Divina Kaname era sempre così allegra e gioviale, di una beata scelleratezza da fare invidia perfino a loro! A volte per sbadataggine indirizzava i propri rutti verso la Terra degli Umani e provocava terribili tifoni. Altre volte lasciava il rubinetto aperto – se la superficie terrestre è coperta per un buon 80% d’acqua ci sarà un motivo. Per non parlare di quando lasciava lo scaldabagno acceso e provocava danni climatici irreversibili! Ma di tutte queste piccole facezie non le importava poi molto. Le bastava poco per sistemare i casini climatici e ambientali: chiamava la Sacra Triade, ordinava loro di rimettere tutto a posto e tornava alle normali faccende di chi è ricco e potente… il Sublime Cazzeggio, chiamato comunemente Nirvana dagli umani e Pornoshop dalla Triade. - Parla, Kaname, che succede? – le domandò Unpy, serio, schiacciando la paperella di gomma e producendo un acuto fischio. - Prima sveglia il comatoso… - comandò la Divina Kaname, alludendo a Fede, ancora immerso in un sonno profondo e beato. Fabri e Unpy abbassarono solo allora lo sguardo, notando il collega raggomitolato su sé stesso, con la fedele e amata statuina del Cristo Compagnone. Si scambiarono una seconda occhiata. - Sveglialo tu… - ingiunse frettolosamente Unpy, indietreggiando involontariamente. - Te lo scordi, l’ho svegliato la volta scorsa! – replicò Fabri, indietreggiando anch’egli. Unpy deglutì, pensando al da farsi… c’erano due modi di svegliare Fede. Uno peggio dell’altro. Uno era sussurrargli ‘Nicole Kidman nuda’ nell’orecchio. Solo che a quel punto le sue braccia partivano leste ad abbrancare chiunque avesse affianco e da tale situazione potevano nascere tremende complicazioni. L’ultima volta Unpy si era ritrovato succhiotti e segni di palpate ovunque. No, meglio non rischiare e passare al secondo metodo. Unpy si passo una mano sulla fronte, già imperlata di gelido sudore. Il secondo metodo consisteva nel tentare di sottrargli l’amata statuina del Cristo Compagnone. A quel punto Fede si sarebbe infuriato. E la sua furia avrebbe continuato a distruggere finché non si fosse svegliato del tutto. Unpy sospirò, avvicinandosi lentamente al collega addormentato e protendendo un braccio verso l’ammiccante statuina. Velocemente, impedendo a sé stesso di pensare – il terrore l’avrebbe fatto esitare e l’esitazione poteva costargli caro – e afferrò la statuina, sottraendola immediatamente a Fede che, sentendosi privato di ciò che amava di più al mondo, muggì dalla rabbia e spalancò gli occhi, furibondo. Tuttavia non era ancora del tutto sveglio e furono necessari alcuni secondi per renderlo consapevole di ciò che aveva intorno e sommariamente lucido. Non appena fu abbastanza presente, gli fu restituita l’agognata statuina e Fede, giubilante e contento, si rivolse alla Divina Kaname con un aperto sorrisone, chiedendole perché li avesse chiamati. Dietro di sé, simulacro dell’ira passata, una foresta bruciata e un cratere immenso. Kaname decise di soprassedere e si accinse a parlare. - La Terra è sempre stata popolata da gente di ogni risma. Sovente ci sono stati guerre e massacri, ma questa volta non è alla conquista di un unico paese che si mira, ma al totale dominio del mondo. La Divina Kaname fece una pausa a effetto, alzando lo sguardo sulla Sacra Triade. L’adorabile Unpy la fissava attento, in attesa della continuazione. Il geniale Fabri aveva ripreso la lettura del beneamato manoscritto. L’aitante Fede seguitava a fissarla col solito sorriso beato. - Mi state ascoltando? – ringhiò la Divina, sentendo la rabbia sfrigolare nelle sue vene. - Come? – fece Fede, con l’immutato sorriso stampato in volto. - Sì, la coltivazione delle graminacee comporta danni all’ambiente bovino… - commentò Fabri, voltando pagina al divino giornaletto. Unpy fissò i colleghi basito e si accinse a ripetere per filo e per segno le parole della Divina, ma questa ormai era rapita dalla rabbia e i capelli, dal normale violaceo, si stavano tingendo di colore sanguigno. - Siete… - ringhiò, con voce profonda e cavernosa, mentre i canini le si allungavano in stile vampirico – Degli… - i capelli cominciarono ad alzarsi fino a diventare l’invidia di ogni Saiyan e di ogni gel extra-tenuta-strong-mega-powerfull-forever – IDIOTI!!! E la furia della Divina Creatrice colpì. Gli alberi si rinsecchirono e le loro foglie si tinsero di nero, per poi cadere al suolo. Gli animali si nascosero, lo struzzo con la testa dentro il buco nel terreno, i conigli nelle loro tane, i lupi fuggirono lontano uggiolando e gli uccellini volarono via… l’unico problema erano gli elefanti e i rinoceronti che, nel tentativo di nascondersi nelle altrui modeste tane, sradicavano alberi e facevano saltare in aria zolle di terreno, prima di allora edificabile. Ma la furia della Divina ancora non si spegneva. - Voi… voi, inetti!! Ma non potevo alcolizzarmi invece di piangere?? Non potevo rollarmi una canna? No! Vado a creare ‘sti debosciati! Ma io vi licenzio! Vi diseredo! - Tecnicamente non è che tu ci abbia mai pagati, volendo essere pignoli… - fece notare Fabri, il solito fottuto precisino. E Kaname cambiò. Come Freezer, anche lei disponeva di varie metamorfosi, che fuoriuscivano quando era arrabbiata come un pinguino col mal di schiena. Diventò alta due metri. I capelli divennero neri come la pece e unti come quelli di Piton. Le mani, le piccole e graziose mani divennero gigantesche, nerborute e con le unghie sporche. Il fisico le si riempì di muscoli. E il viso venne ricoperto da due prepotenti baffoni neri a spazzolone. - ORA ASCOLTATEMI E POI ANDATE A SALVARE LA TERRA, INETTI, O VI FACCIO INCULARE DA UN TORO!!! I tre deglutirono dal terrore, annuendo velocemente. Il manoscritto tanto amato si polverizzò tra le mani di Fabri, ma egli, con eroico stoicismo, si lasciò sfuggire unicamente un uggiolio e una lacrima. Vedendo ciò che era accaduto al preziosissimo albo di Fabri, i due colleghi sbiancarono e strinsero più a sé i propri feticci – il Cristo Compagnone e la paperella magica Sigismonda – e rivolsero alla Divina Kaname un’occhiata umile e priva di ogni seppur minima traccia di dignità. La Divina li squadrò per qualche attimo, poi, così come si era trasformata in un gigante boscaiolo lurido, tornò ad essere la pucciosa giovincella di sempre. - Allora, mi ascolterete? – domandò alla fedele Triade. Veloci cenni d’assenso. - Ogni mia singola parola? Ancora i tre annuirono frettolosamente. - Guardate che sennò chiamo una mandria intera, di tori… - minacciò, seria. Questa volta annuirono più convinti. - Molto bene. In questo momento, nel mondo degli umani, dei loschi figuri, capitanati dalla Regina del Male, che si fa chiamare Gatta Spiaccicata, stanno progettando di conquistare il potere su tutta l’umanità. Il loro piano, per quanto semplice, potrebbe risultare efficace… Due giovini fanciulle alcolizzate sono state inviate dalla Strega Nera, per sfidarle in una gara di bevuta… e se perderanno… - Nessuno può perdere contro la Strega Nera! – l’interruppe Fede, sconvolto dall’eventualità. Impossibile, inconcepibile! La Strega Nera aveva battuto perfino lui, riducendolo in stato comatoso per giorni interi dopo una sfida. Ed era a morra cinese. Kaname scosse la testa, tralasciando il fatto di essere stata interrotta – anche se un velo di baffi neri cominciava ad adornarle il volto. - Queste non sono umane qualsiasi… hanno più alcol nelle vene che sangue… Si chiamano Mela e Chibi. Voglio che voi le troviate e le fermiate prima che giungano dalla Strega Nera, o le conseguenze potrebbero essere catastrofiche. – continuò la Divina Kaname. - Comprendiamo, Kaname… - annuì Unpy, terrificantemente serio. Ancora non riusciva a scordare con quale crudele facilità la furia della Divina aveva polverizzato l’amato manoscritto di Fabri, ancora tremante dal dolore accanto a lui. Se la Divina avesse fatto lo stesso con l’adorata Sigismonda… no, non poteva neanche ipotizzarlo! Il suo fragile cuore non avrebbe retto! Si strinse la paperella di gomma al petto, producendo uno squittio sgraziato e attese che colei dalla quale discendeva parlasse. - Se le due umane raggiungeranno la Strega Nera e perderanno, tremenda sarà la loro sorte. Ma se vincessero, allora guai al mondo intero! La Strega Nera e la sua fedele compagna di bisboccia si adirerebbero e andrebbero in cerca di colui che ha sparso la voce del loro potere alcolico… - continuò Kaname. - E non sarebbe sufficiente eliminare la fonte di tale diceria? – domandò Fabri, parzialmente ripreso da shock e dolore per l’immane perdita. - È dalla Gatta Spiaccicata e dalla sua fedele subalterna che è nata tale voce e a lei si chiude. Ma il suo nascondiglio è ancora segreto e non v’è tempo per cercarlo… inoltre, un capro espiatorio è già pronto da immolare sull’altare… - concluse con voce grave. La Sacra Triade rifletté per qualche momento. - Cazzi suoi, no? – commentò Fede, tranquillo. - NO CHE NON SONO CAZZI SUOI, PEZZO DI CULO, RIGURGITO SFINTERICO, SCARTO PUTREFATTO!!! – urlò la Divina Kaname, con la barba che le scendeva ormai fino ai piedi. Sembrava Gandalf più giovane. E più isterico. Fede abbassò lo sguardo, uggiolando pucciosamente e Kaname tornò immediatamente normale. Il coefficiente di pucciosaggine di Fede era incredibilmente elevato. - Dicevo… - riprese Kaname, schiarendosi la gola – No, mie dolci creature, non sono affari unicamente del capro espiatorio. Perché conosciamo tutti la Strega Nera e non s’accontenterebbe di una sola vittima. Farebbe casini su casini e questo distoglierebbe l’attenzione da coloro che bramano il potere e da cui tutti i guai derivano… per cui, miei adorabili tesori, partite, fermate le umane, andate a comprarmi una bottiglia di rum e poi tornate. - Nient’altro? – domandò Unpy. - Beh, un po’ di pane, delle strisce depilatorie per il viso… direi basta… ah, due biglietti della Lotteria del Culo Sfranto, se trovate un tabacchino aperto. – elencò velocemente Kaname. - Sia fatta la tua volontà. – rispose la Sacra Triade. E i tre giovani scomparvero, trasferiti con i poteri di cui erano investiti, nel mondo degli umani.
Frattanto, nel mondo degli umani, Chibi aveva già raggiunto Mela e le due compagne di sbronza, insieme, stavano dirigendosi verso l’indirizzo segnato dietro il biglietto ritrovato quello stesso mattino. - Ma che palle, ma proprio nel mezzo del bosco dovevano vivere ‘ste streghe? – sbuffò Chibi, irritata. - Di certo non nel caos cittadino… le streghe si comportano da streghe. – commentò Mela, con voce flautata, che, mentre attendeva Chibi, aveva deciso di mettere mano alla fornitissima conserva di Valium che si portava costantemente appresso. - Te quando ti droghi sei un vero dito in culo… - replicò Chibi, doppiamente nervosa, visto che non aveva nessuno con cui lamentarsi a dovere. - Eh, c’è chi si prende il braccio intero, quando gli si dà il dito… - fece Mela, totalmente assorta nello svolazzare di una farfalla davanti al proprio volto. Chibi decise di soprassedere. Non era un bell’argomento di conversazione. E le due seguitarono nell’arduo cammino.
Poco lontano dalle due fanciulle, seduto su una roccia nell’ampia Radura della Terra del Kasso (…), stava una figura assorta e pensierosa. Egli era Gioppu, il famoso bardo. Famoso non tanto in quanto bardo, bensì per la propria pericolosa schizofrenia, derivante dal fatto che, durante la sua infanzia, era stato usato come recipiente per lo spirito del Demone Marmotta, col quale era ora costretto a dividere il proprio corpo. - NON NE HO VOGLIA. – commentò la parte demoniaca di Gioppu, il terribile Demone Marmotta. - Ciò che vuoi non mi tange. – replicò stizzita la parte umana di Gioppu. - VEDRAI COME TI TANGERA’ QUANDO TI FARO’ MASSACRARE UN’ALTRA FAMIGLIOLA INNOCENTE… - minacciò il Demone Marmotta. - Oh, piantala! Massacrare di qui, massacrare di là! Dov’è la tua originalità? – sbuffò Gioppu, ormai avvezzo alle continue provocazioni del Demone. - SE VUOI UN PO’ DI ORIGINALITA’ POSSO SEMPRE FARTI ENTRARE IN UN CLUB GAY SADO-MASO COL CARTELLO ‘GALLERIA APERTA’ SULLA SCHIENA… - gli fece notare il Demone. Gioppu rabbrividì, ma non si diede per vinto. - Non lo faresti. Ci sei anche tu, in questo corpo. - TE LO LASCEREI IN CUSTODIA PER UN BEL PO’. – fece il Demone, sghignazzando. - Così io partirei per svolgere il compito che mi è stato affidato dalla Sacerdotessa Alycice. – replicò Gioppu. - CHE COMPITO DI MERDA. - Allora vedi di dormire mentre lo svolgo! – propose Gioppu. - PROBABILMENTE MI SVEGLIERO’ SOLO PER FARTI FARE FIGURE TREMENDE. – fece il Demone. - Come se non lo facessi già… Gioppu rabbrividì, ricordando della festa dei morti, quando era stato scelto, grazie alla propria bravura, per suonare in onore degli spiriti e il Demone aveva atteso pazientemente che salisse sul palco, prima di prendere il suo posto e cantare, in toni strettamente death-metal, ‘Little Less Conversation’, per poi passare al più allegro e appropriato ‘Evviva la necrofilia’. Gioppu il bardo scosse la testa, facendo ondeggiare i ricci angelici – che tanto infastidivano il Demone Marmotta – e cercò di focalizzare la propria attenzione sulla missione che gli era stata assegnata dalla Grande Sacerdotessa del Sacro Pinzimonio, Alycicia. Ella possedeva il dono della divinazione e, guardando nella sua sfera di cristallo, consultando i tarocchi e navigando su wikipedia, aveva scoperto che grandi cose stavano per accadere: qualcuno avrebbe cercato, con un diabolico piano, di conquistare il mondo, ma sarebbero scese in campo perfino delle divinità, per contrastare tale inumana crudeltà. Grandi e cruente battaglie si sarebbero susseguite e qualcuno doveva assolutamente essere mandato ad assistere a tali incredibili accadimenti. E poiché il Demone Marmotta aveva scassato grandemente le palle a tutti, avevano deciso di mandare il prode Gioppu a farsi un culo tanto e a faticare. - O TROIA D’UNA SACERDOTESSA DELLA MIA MINCHIA, MI SPIEGHI CHE CAZZO ME NE DEVE FOTTERE DI STO MONDO DI MERDA? – aveva obiettato il Demone Marmotta. - Te ne deve fottere che se non vi levate un po’ dalle balle vi facciamo tutti arrosto, Demone Marmotta. – aveva replicato freddamente la Grande Sacerdotessa Alycicia, sbattendo gli occhietti pucciosi, mentre un dolce sorriso le tirava le labbra. E il Demone Marmotta era rimasto in silenzio, lasciando che il prode Gioppu accettasse l’incombenza, fiero e orgoglioso. Il Demone Marmotta sapeva bene quanto la Grande Sacerdotessa potesse essere pericolosa e vendicativa. Era stata proprio lei a rinchiuderlo nel corpo del bardo, allora moccioso, con le sue potenti arti magiche. D’altronde, Alycicia era famosa in tutte le Terre del Kasso e anche oltre, per la propria bravura. Era riuscita a elaborare incantesimi della massima energia distruttiva solo leggendo Harry Potter. Ed era capace di far tremare le montagne col solo uso di una pepata di cozze, anche se nessuno sapeva come, visto che, in tali frangenti, ella s’allontanava dalla gente, per potersi concentrare in solitudine. E grandi erano i suoi sforzi, in quei casi, perché tornava immancabilmente col volto arrossato e la pelle sudata. Non c’era da stupirsi, se perfino il temibile Demone Marmotta si dimostrava arrendevole nei confronti di tale fanciulla. Ma una volta partito il prode Gioppu, il Demone aveva ripreso a lamentarsi e a tentare di convincere il bardo a fare marcia indietro o, perlomeno, a fare frequenti soste in birrerie e locali di malaffare. Proprio ora, il bardo si era accomodato su una roccia a riposare i piedi affaticati dal cammino. La Grande Sacerdotessa del Sacro Pinzimonio gli aveva detto che sarebbe stato sufficiente vagare senza metà e avrebbe, prima o poi, trovato coloro che cercava. Li avrebbe riconosciuti facilmente, gli aveva detto Alycicia. Due fanciulle di rara bellezza e capienza alcolica. Oppure una nanetta malvagia profondamente idiota, avente al seguito una giovin fanciulla paranoica e dalla pettinatura inquietante e un uomo, spesso incappucciato, dai modi affabili. Finora non aveva trovato nessuno che corrispondesse a tali descrizioni. Ma la Sacra Sacerdotessa non poteva assolutamente sbagliare, lei vedeva e prevedeva. I suoi erano spoiler accertati. Per cui, non gli rimaneva che aspettare. Sospirando, il prode bardo si alzò dalla pietra e riprese il viaggio, tentando di ignorare la voce altisonante del Demone che lo insultava.
- Allora, schiava, che notizie porti? – la voce della Gatta Spiaccicata tuonava rabbiosa, quel giorno. Ella era nervosa e profondamente irritata. Il piano continuava, lento e incerto e il più minuscolo componente poteva far inceppare l’intero ingranaggio. Inoltre la sera prima aveva piovuto e non aveva potuto far stendere la biancheria, che ora puzzava di chiuso. Senza contare il fatto che non era riuscita a finire le parole crociate. La schiava sospirò silenziosamente. Detestava quell’appellativo, detestava il proprio capo, detestava il proprio lavoro e detestava il mondo intero. Ma proprio per questo intendeva farlo finire male ed era perciò costretta a mettersi alle dipendenze di un simile roito scassaballe quale la Gatta Spiaccicata. - Mia signora, il… - cominciò a narrare, ma fu presto interrotta dalle urla isteriche della giovine. - Non chiamarmi così! Sai bene come voglio essere chiamata! – ringhiò infatti la Gatta Spiaccicata, con gli occhi iniettati di morte – E togliti quel cappuccio! Mi ricordi Daph! Obbedientemente, ma imprecando dentro, la giovine Ai si levò il cappuccio che aveva tenuto in testa sin dalla sera precedente, quando aveva incontrato Mela e Chibi alla taverna e le aveva indirizzate dalla Strega Nera, scoprendo il volto pacioccoso e pregno d’ira e il distorsore vocale che le adornava il collo. - Chiedo perdono… - esitò, osservando la ridicola statura della Gatta Spiaccicata – Vostra Altezza. La Gatta Spiaccicata annuì, invitandolo a continuare con un cenno. - Le due pedine si stanno muovendo in direzione della casa della Strega Nera. A breve saranno da lei. - Il capro espiatorio? – domandò la Gatta Spiaccicata. - Daph lo sta posizionando in questo momento. Non ha dato problemi. - Molto bene. – annuì l’essere – Puoi congedarti. - Sì… ehm… Vostra Altezza. – rispose la giovane, prima di indietreggiare fino ad uscire dalla stanza. Solo allora, sospirando, sollevò nuovamente il cappuccio corvino, a coprirsi il volto, come faceva di solito. Non che ne avvertisse la necessità, come sembrava essere per l’inquietante Daph, bensì la considerava una misura di sicurezza, poiché si era da lungo tempo imbarcata nell’impresa di distruggere il mondo. Perché a lei non bastava dominare il pianeta. No. Si può comandare solo ciò verso cui si avverte un seppur minimo legame. Lei il mondo lo voleva proprio vedere esplodere. In tanti, piccoli infuocati pezzettini. Sorrise beatamente, immaginando un pianeta desolato, grigio, abitato solo da scarafaggi e palle di fieno. Sì, sì. Sarebbe stato così. Però anche qualche fiamma non ci sarebbe stata male. Per dare un po’ di contrasto di colore. Era così persa nelle proprie entusiastiche elucubrazioni mentali che per poco non andò a sbattere contro la collega Daph, che gli ringhiò una minaccia e andò avanti per la propria triste strada: Ai non rispose al suo insulto. Sapeva che Daph stava andando già da sola verso una tremenda punizione: aveva sottobraccio le parole crociate.
Mela e Chibi camminavano contente, verso la casetta della Strega Nera. Totalmente estranee al concetto di nervosismo, erano intente a raccontarsi gustosi aneddoti sulle rispettive sbronze, poiché capitava che talvolta l’una rimanesse pressoché cosciente mentre l’altra collassava sul bancone e si esibiva in amene scenette che avevano varie funzioni: 1) Farle additare da tutta la clientela del locale 2) Procurare loro risse e battibecchi 3) Procurare vistosi lividi sulle natiche, nei precisi punti in cui gli stivali ferrei del barista vi s’infrangevano impietosi. In quel gioioso momento Mela, come al solito rosso vestita, stava rimembrando all’amica di quando questa, in un parossismo di sbronza, aveva cominciato a parlare con una qualche divinità che solo lei riusciva a vedere, sotto gli occhi degli avventori. Quante, quante risate! Dopo i primi secondi di sconcerto Chibi aveva cominciato a conversare con la suddetta divinità, che, a suo dire, si faceva chiamare Kaname. - Vagamente lo rammento. – ammise Chibi – Ella mi disse che poteva apparire solo a coloro che d’alcol si erano riempiti le membra. - La scelta mi sembra poco saggia… - commentò Mela, pensosa – in questo modo nessuno crederebbe ai visionari. - Eh già… - sospirò Chibi. Era stato proprio in quel frangente che una scomunica si era abbattuta sulla sua testa, sottoforma di vitreo boccale di birra, probabilmente lanciato dal parroco. Con l’animo leggero le due continuarono a camminare, seguendo puntigliosamente la mappa fornita loro dallo sconosciuto incappucciato della sera precedente. Finalmente, dopo ore di cammino sotto il sole battente, giunsero innanzi ad una casetta. E che bella casetta che era! Le pareti erano biscotti punteggiati da cioccolato chiaro. Gli stipiti e i davanzali erano di marzapane colorato. Il tetto era cosparso di panna montata e smarties multicolori. Entrambe si ritrovarono a sbavare come non mai e si avvicinarono a tale costruzione senza esitare. Quando Chibi fu presa come da un lampo di comprensione e si arrestò di scatto, afferrando l’amica per un braccio e costringendola ad indietreggiare con sé. - Cazzo fai?! C’è del cibo! – ringhiò Mela, guardandola con occhi di fuoco. - Rifletti, sciocca! – sibilò Chibi – Ho sentito narrare di una casa del genere… - Non me ne può fregare di meno. – concluse Mela, cercando di sottrarsi alla ferrea stretta dell’altra. - Idiota! La leggenda dice che… - Con le leggende mi ci pulisco il culo. - Oh, ti ricordi di quando l’hai fatto alle elementari? – rimembrò improvvisamente Chibi, sorridendo. - Oh, sì, era il libro di un compagno di classe… - ridacchiò Mela, giubilante. - E tu dovevi andare in bagno… - Era il periodo in cui era stato indetto quel concorso… - sussurrò Mela, scuotendo la testa, incredula di fronte alla sensazione di appagante meraviglia che provava nel rammentare quei vecchi tempi. - Sì… ‘Prendi purganti, primeggia per Premio!’… il premio non era un orsacchiotto gigante? – sospirò Chibi. - Sì… e se gli schiacciavi il pancino faceva le puzze… - Mela sentì gli occhi inumidirsi dalla commozione. - Oh, Mela, festeggiamo! – esordì infine Chibi, trascinando l’amica saltellante verso la casa fatta di dolci. Zampettarono felicemente verso la porta cioccolatosa, sul vialetto di biscotti burrosi e, ridendo e canticchiando, si accinsero a dare una leccata alla profumata parete di pasta frolla, quando una voce le riscosse dai loro intenti. - Che state facendo alla mia casa? – esalò qualcuno dietro le loro spalle. Le due, indispettite, si voltarono. Si trovarono innanzi ad un giovane che sfoggiava una vasta e arzigogolata capigliatura scura e una folta barba; indossava una tunica lunga fino ai piedi, da chierico di D’n’D e aveva un’espressione turbata sul volto. - Te che vuoi? – replicò Chibi, per nulla intimorita da quella presenza. Figuriamoci se una specie di monaco poteva spaventare lei, la donna dai millemila poteri, dalla capienza di una cisterna e, in quel torrido mese, dalle ascelle pezzate! - Non vorrei apparirvi scortese, nono, però…vorrei denotarvi che… - cominciò esitante l’uomo, avvicinandosi. Si mise una mano sul cuore, mentre lacrime sincere cominciavano a inumidirgli gli occhietti. - Denotati sta fava, San Gennaro. – lo liquidò Mela, voltandosi nuovamente verso la casa a cominciando a leccarne soavemente le pareti. - Oh, no, no! Perdonatemi, ma… - squittì il povero monaco, correndo verso le due giovani e staccando a forza Mela dalla casa zuccherosa. - Che rompi a fare? Siamo in due e siamo più forti! – gli ringhiò contro Chibi, mentre gli occhi le si infiammavano d’ira. Nessuno, neanche Jesus Christ Superstar poteva dire a lei e Mela cosa mangiare, cosa bere o dove fare la cacca. - Ma… gentili donzelle, vorrei solo che voi mi lasciaste finire… - le implorò il giovane, sbattendo le palpebre ripetutamente, lasciando che grosse lacrime scorressero lungo le guanciotte. - Finisci pure. – sbuffò Mela, appropinquandosi verso la casa – Io intanto… - Donzella, interrompa ciò che le sue labbra peccatrici stanno andando a compiere! Una voce riscosse immediatamente Mela, che aveva nuovamente preso a leccare la parete dolce e biscottosa. - E basta! Potete anche ricostruirvela, questa catapecchia! – sbuffò la ragazza, spezzando con un calcio il lampioncino di zucchero accanto alla porta. Voltandosi, trovò il monaco piangente affiancato da un altro giovane, vestito con una lunga tunica bianca. Sembrava Gandalf tornato dal soggiorno in casa Saruman. Solo un po’ più gesuita. E senza bastone. - Vi prego di perdonarmi per quest’interruzione, ma l’intera superficie della casa è rivestita di una pericolosa pellicola assai velenosa chiamata ‘Imodium’. Se ingerita essa porta sofferenze e dolori. È perfino usata come metodo di tortura da persone crudeli quali La Strega Nera. – spiegò loro velocemente il monaco bianco vestito. A quelle parole Mela cominciò a sputare e imprecare come ben poche donzelle potevano fare conservando al contempo il proprio infinito charme. Chibi, che fortunatamente aveva tenuto le fauci lontane da quella gigantesca trappola per stitici, squadrò lungamente i due giovani davanti a sé. Erano bizzarri. Tremendamente bizzarri. Che fossero bardi? Druidi? Operatori telefonici? - Gentili donzelle, abbiamo dolci in quantità dentro casa, se voleste cortesemente accettare la nostra ospitalità. – le invitò il monaco vestito di nero, con la voce ancora tremante per le urla di Mela. - Spero solo che siano buoni… - ringhiò loro la donzella, dopo aver annaffiato di sputi la colorata genziana lì accanto. - Naturalmente! Siamo i fornitori di dolci di tutto l’Efferalgan! – si vantò il giovane vestito di bianco – Io mi chiamo Rezo e il mio compare è Saub. - Non che di questo c’importi granché. – commentò Mela, ben poco interessata – Dateci i dolci, che andiamo di fretta. Chibi fissò i due figuri che, prodighi di sorrisi e sguardi amichevoli, aprivano la porta di cioccolato e le facevano entrare con un inchino perfettamente sincrono. - Ma siete usciti da due ovetti kinder? – esalò la donzella, stupita dalla solerzia e da quella gentilezza incredibile. In fondo li avevano minacciati e insultati, cercando di divorargli la casa! - E da dove, sennò? – rispose Rezo, con un sorriso vagamente stupito. Le due fanciulle lo fissarono con la stessa costernazione. Ovetti Kinder? Certamente ora si spiegavano molte cose, ma la faccenda era ingarbugliata! Tuttavia non ebbero altro tempo da dedicare a tale argomento, poiché il delizioso profumo di dolce, all’interno della casetta, era ancora più intenso. Si ritrovarono a sbavare sul pavimento, guardandosi intorno con gli occhi spalancati dall’appetito che tale fragranza risvegliava in loro e ben presto i loro sguardi s’iniettarono di sangue e brama. - Dateci quei biscotti se volete aver salva la vita… - ringhiò Mela, stringendo i graziosi pugni. - Immediatamente, donzelle! – sorrisero entrambi i monaci, aprendo un forno pieno di delizie che ammaliarono Chibi e Mela fino alla commozione.
Fine del primo ù__ù Se qualcuno avesse problemi con proprio personaggio me lo può dire, posso sempre fare qualche modifica ^^'' non so, non vorrei offendere qualcuno... ricordo che è una parodia e credo di essere io stessa il personaggio più cretino XD vabè, si accettano consigli per la trama, anche perchè al momento è sconclusionatissima.. miau ^^ |
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