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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Libri e Film (da libri)
Dalla Serie: Harry Potter
Titolo Fanfic: TITOLO
Genere: Romantico, Drammatico, Introspettivo
Rating: Per Tutte le età
Avviso: What if? (E se...)
Autore: mewsana galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 22/10/2007 17:19:29

Draco e Pansy hanno un conto in sospeso. Qualcosa che avrebbero voluto lasciare sepolto sotto fiumi di polvere.
 
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CAPITOLO PRIMO.
- Capitolo 1° -


Titolo
Capitolo Primo.

"In cui si parla di un'illusione, di un vaneggiare e di un manoscritto."






“Il tempo assume una posizione particolare: esso si rivela alleato del mondo e del suo ordine imperscrutabile, e pertanto è anch'esso ingannatore nei confronti dell'uomo. Le profezie, che dovrebbero avverarsi in un tempo definito, in realtà si attuano senza seguire una logica temporale comprensibile; non esiste una continuità tra passato e presente, bensì al contrario, con il passare del tempo, svaniscono tutte le certezze che ci sono in principio…” (Edipo Re, Sofocle)



La prima cosa che pensò dopo essersi svegliato fu che era un purosangue, un Malfoy e aveva ormai venticinque anni, e che non c'era modo per cui dei mocciosetti di infimo grado potessero rovinargli la giornata. Ancora prima di capire che cosa avrebbe indossato quel mattino, prima del sacro rito della doccia, lui aveva pensato questo. Subito dopo, lo sguardo gli era caduto sulla soffice luce che illuminava diffusamente la stanza, e aveva cercato di ricordarsi la teoria dei colori di cui suo padre era uso parlare. Riuscì a ricordare un' immagine di due prismi affiancati che scomponevano e ricomponevano la luce, ma nulla sui raggi che vi passavano attraverso. Considerò la debolezza della memoria se paragonata all'immortalità del tempo: infine, stanco di tutto quel pensare, scansò le coperte e si alzò.
Il libro stava ritto sulla scrivania come un piccolo soldatino da guardia fedele al suo padrone, ma riottoso per indole. Dunque la copertina rossa recava un mortificante spazio vuoto là dove un titolo avrebbe dovuto essere esibito con tipica baldanza. Il manoscritto era rimasto senza un titolo, lui senza una motivazione, e l'uomo che gli stava davanti, con una mano sulla maniglia della porta, senza le sue tipiche movenze giocose.
- Signor Malfoy, credo che dovremmo parlare. -
- In merito al mio lavoro o a qualcos'altro? -
- Ah! - Silente sobbalzò. - Così non vale, signor Malfoy: mi costringe a scoprire le carte per primo. -
- Come se non stessimo tutti girando intorno alla stessa cosa. - considerò il biondo, gettandosi il pigiama alle spalle senza alcun rimorso. Si stirò pigramente sul posto, evitando deliberatamente gli sguardi che l'altro gli lanciava ogni tanto, rimanendo di spalle. - Solo un attimo. -
- Certo, certo. -
- Dunque, Silente? E' venuto qui per decidere se i miei abbinamenti cromatici sono consoni al luogo di lavoro? -
- Il suo vizio, signor Malfoy, è sempre stato l'impertinenza. Mai che sia riuscito a levarla per un istante dai suoi occhi, o dalla piega della sua bocca. Niente: mi sorrideva nicchiando ben nascosta dentro le sue parole, giocando con un vecchio impotente. -
- Un vecchio impotente. - Draco considerò per un istante quelle parole, ridacchiando. - Lo stesso vecchio impotente che ha sconfitto Voldemort tre anni fa, o che mi ha costretto ad insegnare pozioni in questa scuola? Quello stesso vecchio impotente? -
- Se fossi stato giovane e vigoroso, signor Malfoy, avrei sconfitto Voldemort quando lei e il signor Potter eravate ancora al primo anno, evitando a tutti… - si fermò un attimo. - … delle spiacevoli situazioni. -
- Certo, spiacevoli situazioni. - ghignò l'altro scuotendo la testa, dondolando i capelli biondi prima a destra e poi a sinistra.
- Oppure, avrei saputo sconfiggerlo quando ancora voi non eravate nati. Così che avrei avuto tante, troppe valide persone al mio fianco. E allora sarebbe stato tutto diverso. -
- Peccato che alla fine niente di tutto questo sia successo, e noi siamo ancora qui in attesa di arrivare all'argomento che interessa entrambi. Lei è qui? -
- Certamente. Come miglior intenditore di erbe, sia chiaro. -
La luce arrivò infine a ghermire l'intera stanza, illuminando le lenzuola bianche di un alone opalescente. Draco socchiuse gli occhi, appena infastidito dal riverbero mattutino. Si scrollò di dossi gli ultimi residui di sonno della notte precedente, e dunque non ebbe nient'altro da fare che rimanere in piedi, perplesso, a guardare l'uomo davanti a lui.
- Si aspetta che io dica qualcosa, professore? -
- Alla fine quel libro è rimasto senza titolo. Un vero peccato. -
- Non sempre le cose vanno come ci si aspetta, vero professore? - il doppio senso latente fece sollevare appena gli angoli della bocca del vecchio, che canticchiando gli diede le spalle.
- Fra un'ora a colazione, signor Malofy. - annunciò.
- Come mancare. - non avrebbe mai potuto vedere i suoi occhi sollevarsi al cielo, ma di certo il tono della voce non si risparmiò. La risata sgorgò pura.
E poi fu tutto silenzio.


***


Filosofi di ogni tempo avevano cercato qualcosa d'immutabile. Un materiale, un concetto, anche solo un'idea che non cambiasse col passare del tempo. Draco Malfoy sapeva poco di filosofia. Non conosceva nulla di quella materia, e quel poco che poteva affermare di conoscere gli veniva da letture solitarie. Probabilmente non avrebbe saputo riconoscere l'immortalità nemmeno se se la fosse trovata di fronte, le labbra pallide e il viso marmoreo fossilizzato in un'espressione spenta, quasi compassionevole - forse l'avrebbe evitata pensando a quanto noioso potesse essere quel volto. Eppure entrare a distanza di anni dentro la Sala Grande di Hogwarts fu come rivedersi a capo di un branco di adolescenti inselvatichiti dalla vita, nonostante la seta nei loro letti e sulla loro pelle.
Non capiva come gli stendardi potessero essere ancora così colorati, così vivi, nonostante l'attacco impietoso e costante sferrato dal tempo: eppure erano lì, spiegati sopra le rispettive tavolate, a fare ombra agli alunni mattinieri già immersi nel ripasso mattutino, rigidi come vecchie statue di marmo. Non ondeggiavano; rimanevano fissi, apparentemente trattenuti a terra da fili invisibili, altri soldatini a guardia del piccolo castello. Gli ricordarono il suo romanzo, in piedi sulla scrivania, orgoglioso come solo un libro avrebbe mai potuto essere. Rimase immobile a scrutare gli stendardi fino a qualche minuto prima delle otto, interiormente colpito di fronte a quello sfoggio di immonda e sovrumana resistenza. Ma in fondo, si disse, che senso avrebbe avuto resistere così ottusamente fino alla fine di questa scuola, se non per l'onore e la gloria? Non avrebbe dovuto spingersi oltre: quello era il ragionamento che l'aveva condotto lì, di nuovo in Sala Grande dopo otto lunghi anni, a rimirare pezzi della propria gioventù smarrita, e dunque qualsiasi domanda successiva avrebbe potuto colpirlo a tradimento, chiedendogli "Perché fai questo?", o "Perché sei di nuovo qui? Vieni a fare lo stendardo, ad ammuffire nel bel mezzo di questo posto immutabile, che ormai sa di vecchio quasi quanto il pane stantio?"
Lui a quelle domande non avrebbe saputo trovare risposta. Si sentì vecchio: un attimo prima era uno stendardo orgoglioso, una Sala immortale, un granello di polvere, inutile eppure costante. E adesso, cos'era? Adesso era un Draco Malfoy abbandonato a se stesso, senza risposta ma fin troppe domande, e un'immagine dipinta sul viso che non riusciva ad abbandonare, per quante strade facesse. La portava appiccicata al cuore come un piccolo promemoria, che continuamente sussurrava "E' tutto vero".
Peraltro, come al solito era tutto falso. La coscienza lo pensò, ma quella percezione non raggiunse mai il cervello di Draco, ancora perso fra il pulviscolo mattutino. Dietro a quell'immagine c'era una didascalia che sottolineava in maniera quasi imbarazzante l'ovvio: Pansy, settimo anno. Il tempo avrebbe dovuto prenderne i tratti e manipolarli a proprio piacimento. Eppure entrambi erano gli stessi di otto anni prima, neppure una ruga a solcare i due visi. Era tutto vero. Eppure, drammaticamente falso.
- Signor Malfoy. Le piacciono gli stendardi? -
- Sì, professoressa Mcgranitt. Sono ancora così coloriti, suppongo sia merito della magia. - magia che sosteneva il loro mondo e che al contempo lo manipolava, perché era quello che la magia faceva abitudinariamente. Trasformava il volere in successo materiale. Faceva apparire tutto vero.
Così reale.
- Oh, ne abbiamo ordinati di nuovi, quelli vecchi ormai erano sbiaditi. - una risata dal tavolo degli insegnanti accompagnò quella frase, lui si voltò insieme ad un paio di occhi scuri che parevano assorbire ogni traccia di colore dal viso.
Invece era tutto fottutamente falso.


***


Lui del famoso "Cosa farai da grande?" non se ne era mai fatto niente, anche perché l'intelletto brillante di cui era dotato gli aveva sempre dischiuso numerose porte. Quella mattina invece rimase a contemplare quegli occhi, domandandosi che cosa avrebbe risposto lei, se qualcuno, anni prima, le avesse chiesto "Che cosa sarai, da grande?".
Già, guardati. Che cosa sei, adesso?
L'indecisione si era dipinta nei suoi occhi scuri, spalancati come pozzi profondi nel deserto: eppure lei era stata lesta a ricacciarla indietro, seppellendola dietro a quel sorriso lezioso che era la sua maschera migliore per proteggersi dal mondo. Distrattamente, una voce ricordò a Draco che lui stesso, tempo prima, aveva bevuto da quelle labbra. Che aveva agognato, bramato addirittura per un suo cenno di simpatia. Che aveva atteso, solo, nella notte, perché il sonno finalmente lo accogliesse tra le sue schiere, una sola immagine fissa nella sua mente, sempre viva ed accesa. Un sorriso tenero, coperto immediatamente da un ghigno.
Quella era stata lei. E adesso? Cosa sei, adesso?
Mentre lei si alzava per andargli incontro, lui colse ogni singolo aspetto della sua figura: a partire dai capelli mori, scurissimi, tagliati corti appena sopra le orecchie. La fronte leggermente spaziosa, le sopracciglia arcuate, brune, prepotenti sulla sua pelle lattea. Gli occhi senza trucco, vagamente imitato dalle ciglia folte, la piega delle labbra incerta, come pronta ad esibirsi in una smorfia, oppure in un sorriso. Andava bene, si disse. Era giusto che il tempo avesse preteso qualcosa anche da lei. Giusto che ne avesse modificato le fattezze, pur lasciando l'ombra di quell'animale stupendo, scattante e nervoso che era stata durante gli anni di scuola.
Scivolò oltre il collo, appena sorpreso dall'assenza della sua catenina d'argento con un cuore sbalzato appeso a mo' di ciondolo. Rapido il suo sguardo si perse verso il basso, certo di trovare nell'avvallamento del seno un appiglio su cui fermarsi. Invece la camicia a righe scivolava tranquilla sul suo petto, come se veramente non intuisse il peccato commesso, insito in quell'essere così tranquillamente posata sul niente. Incapace di fermarsi, il mago fu costretto ad osservare il desolato spettacolo che si offriva involontariamente ai suoi occhi: pantaloni stretti in vita - una vita che ricordava sottile, delicata - da una cintura qualsiasi. Scarpe da uomo a coprire i piedi. Piedi che quando lo sfioravano, sotto il letto, riuscivano sempre a farlo sussultare, perché costantemente gelati. Piedi di cui aveva sentito la mancanza, suo malgrado, perché sapevano identificare quella che per lui era sempre stata "casa".
Cosa era successo, in quegli otto anni? Perché il tempo era sfuggito alle strade abitudinarie che era solito prendere, e si era distorto proprio ai piedi di lei, che non aveva saputo sfuggirgli?
Per un attimo si illuse di essere abbastanza bravo per mentire anche a se stesso. Sarebbe bastato poco, si disse: evitarla accuratamente durante gli spostamenti per il castello, mangiare nella sua stanza, proibire ai suoi studenti di parlare in aula, così da rimanere all'oscuro di voci che - ne era sicuro - sarebbero prima o poi giunte.
In fondo, Hogwarts era così: un miscuglio di menti e personalità diverse, spesso dedite al pettegolezzo. In quello, di sicuro, non era cambiato niente. Non seppe se dirsi contento o frustrato della cosa.
Con la coda dell'occhio la vide avvicinarsi, lentamente, camminando senza quel particolare ancheggiare che da sempre l'aveva contraddistinta. Con una breve imprecazione, si preparò ad andarle in contro. E mano a mano che si avvicinava, già sentiva dei sussurri contorcersi rabbiosi alle sue spalle. Sarebbe sempre andata così. Qualunque spazio lui avesse deciso di lasciare vuoto alle sue spalle, sarebbe stato immediatamente riempito di chiacchere.
A tredici anni, era stato deriso per il suo interesse verso di lei. A sedici, il loro fidanzamento aveva provocato una tale marea di origami volanti che il povero Gazza non era mai riuscito a far sparire - non tutti, per lo meno. A venticinque, il loro incontro aveva calamitato l'attenzione di tutta la Sala Grande.
Lui sarebbe rimasto per sempre il famoso Slytherin la cui vita si era distrutta per un errore. La domanda era, di nuovo: cosa farai adesso? Cambierai ritornando ai tuoi splendori, o sarai per sempre un insulso professore?
Maledicendo il tempo un'ultima volta, digrignò i denti: cambiava troppo, o non cambiava affatto.


***


Lei si schiarì la voce con un colpo di tosse. Lui fece altrettanto. A dire il vero, per un istante gli parve come se fossero rimasti fossilizzati in quella posizione per otto lunghi anni, sorpresi da un incantesimo durante la colazione, e infine liberatisi dalla morsa del tempo solo adesso.
- Ciao, Draco. - esordì lei con un tono di voce che lo fece immediatamente rabbrividire. Si ritrovò a desiderarla ancora con un'impellenza che non gli apparteneva affatto. La domanda che si pose fu semplice: cambiare oppure no?
Lui era un Purosangue, uno dei più perfetti che si potessero ancora trovare nel mondo magico. Aveva sempre avuto le sue idee, la sua rosa di concetti ben impartiti durante la gioventù, secondo cui diverso era fondamentalmente uguale a sbagliato. Non aveva mai tentato un approccio diverso ma, d'altra parte, che cosa gliene sarebbe venuto in mano? Quelle erano le sue idee, quello il suo futuro, e poco male.
- Ciao… -
- Paul. -
Sobbalzò, colto alla sprovvista. Ma perché doveva essere così dannatamente difficile lasciarsi prendere da qualcosa? - Come, scusa? -
- Il nome con cui mi presento adesso. È Paul. -
- Capisco. -
Lei, rise. Lasciò andare il capo all'indietro, flettendo leggermente la schiena e mantenendo rigide le ginocchia per non perdere l'equilibrio. Non era la più solita risata e di questo parve accorgersi anche lei, che improvvisamente smise di contorcersi nell'aria, ritornando a fronteggiarlo. - No, questa volta non puoi capire. -
- Forse no. - concesse Draco, mentre stringeva con accurata dedizione le mani a mo' di pugno.
- La solita mania di stringere le mani quando sei nervoso. Sei rimasto uguale a quando eravamo ad Hogwarts, Draco, nemmeno una virgola diversa sul tuo sopracciglio. Beh, ti ammiro. -
- Ti ammiro? Questo sì che fa ridere, Paul. - sputò quel nome come fosse stata spazzatura sulla sua bocca profumata dal dentifricio alla menta. - Si vede, che mi hai preso come modello. - ironizzò con la lingua tagliente.
- Non rendermi le cose più difficili di quanto già non siano, ti prego. Non è facile stare nel bel mezzo di questa sala, tu lo sai benissimo. Fortunatamente il preside Silente… -
- Il preside Silente ha sempre avuto la mania delle buffe bestioline, se ben ricordo. Prima un idiota, poi un lupo mannaro, un centauro. A quanto pare quest'anno va di moda lo scherzo di natura, a Londra. -
Lei si irrigidì, corrugando le sopracciglia. Draco osservò la labbra tendersi in una smorfia, e per un attimo fu certo di ritrovarsi davanti la ragazza per cui aveva atteso insonne molte delle sue notti da adolescente. Quella smorfia sarebbe stata riconoscibile anche fra mille, cento, espressioni. L'altra parve accorgersene perché improvvisamente la sua mimica facciale si appiattì di colpo. - Stammi lontano, - sibilò - mi fai ricordare cose a cui non dovrei pensare. Tu rischi di farmi ritornare indietro, Draco. -
Sussurrò quel nome come si sussurra il nome dell'amante perso fra le lenzuola e ritrovato solo dopo decenni: come quando si è ubriachi del suo fascino anche dopo vent'anni di lontananza forzata. - Adesso torno alla colazione. -
Perfetto, borbottò lui. L'aveva lasciata a metà del settimo anno perché aveva trovato in lei qualcosa di orrendamente monco, come un pezzo di personalità perso nel niente, mancante. Adesso se la ritrovava davanti, dopo otto anni passati a scrivere un romanzo assolutamente inutile e ad un punto morto, mentre cercava di recuperare il rispetto perduto per le frequentazioni con quella.
Diverso uguale a sbagliato. Eppure c'era qualcosa di inquietantemente perverso che lo spingeva a parlarle di nuovo, nonostante il ribrezzo istantaneo che lei gli provocava.
Avrebbe dovuto mandare un biglietto a Paul, o a come diamine avesse deciso di farsi chiamare adesso. Mentre si avvicinava al tavolo degli insegnanti, la canzoncina "diverso uguale a sbagliato" continuò a martellargli dentro la testa senza sostare nemmeno per un istante. Il problema sussisteva. Cosa fare adesso?
Diverso uguale a sbagliato, ma vaffanculo, mica le comandava lui, le sue pulsioni sessuali.
Maledisse il giorno in cui Pansy Parkinson, dopo otto anni di completo silenzio e lontananza dalla sua vita, gli si era presentata davanti con quel solito sorriso osceno sul viso, asserendo di chiamarsi Paul.












Harry Potter non m'appartiene, tutti i diritti riservati. E forse, da questa storia, guadagnerò un cioccolatino.
 
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