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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Originali (inventate)
Titolo Fanfic: DUE ORE PER AMARE
Genere: Sentimentale, Romantico
Rating: Per Tutte le età
Avviso: One Shot, Shounen Ai, Yaoi
Autore: -audrey- galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 04/10/2007 15:04:18

“Non supererà la notte” Lo avevo sentito dire questo quando, coricato sul letto asettico dell’ospedale, mi ero deciso ad aprire un occhio...
 
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CAPITOLO UNICO: DUE ORE PER AMARE
- Capitolo 1° -


Il raffreddore mi ha assolutamente e completamente rincitrullito. Potrei aver scritto qualcosa di assolutamente assurdo, ma spero non sia così! Questa ff è nata dopo aver visto un video di un telefilm su You Tube, non so di cosa fosse. C’era solo questo ragazzo steso sul letto che piangeva e così è arrivata questa specie di ispirazione.
Bene ora vi saluto e ringrazio per l’attenzione. Un kiss _Audy_



DUE ORE PER AMARE

03/10/2007 19.24

“Non supererà la notte”
Lo avevo sentito dire questo quando, coricato sul letto asettico dell’ospedale, mi ero deciso ad aprire un occhio. Avevo combattuto contro la stanchezza per sentire cosa poi. Semplice: il verdetto finale.
Mia madre singhiozzava voltando la testa da una parte, incapace di guardare al mio capezzale. Mio padre aveva ringraziato i medici con una stretta di mano. Mentre mia sorella continuava imperterrita a chiedere i soldi per un pacchetto di patatine al distributore automatico.
E fu in quel momento che decisi di smettere di lottare e chiusi gli occhi.

-Che fai? Dormi?- chi mi stava chiamando? Avevo deciso di lasciarmi morire e nessuno, preciso nessuno, avrebbe ostacolato le mie volontà.
Aprii un occhio insicuro e scrutai nella stanza alla ricerca di colui che si era permesso di interrompere la quiete.
-Ehi bell’addormentato! Lo sai che sono ancora le 20.00 e non è ora di dormire!- Saranno cazzi miei se dormire o no, credo. Un ragazzo che non doveva avere molti anni più di me, mi fissava compiaciuto. E chi cavolo era questo adesso? Capelli neri, occhi verdi, alto all’incirca un metro e ottanta…no, decisamente non conoscevo nessuno che corrispondesse a questa descrizione.
Lo vidi prendere in mano la mia cartella clinica e leggere alcuni dati, annuendo di tanto in tanto con fare superiore. Come se ci avesse realmente capito qualcosa.
-A quanto pare ti chiami Davis Operman- sollevò lo sguardo dalla cartella per posarlo sul mio. –Piacere, Davi, io sono Nathan Toller.- sorrise caloroso.
-Sei per caso uno di quei pagliacci, mandati ai malati terminali?- cercai di dire con cinismo, ma tutto quello che uscì dalle mie labbra fu una vocina roca, attutita ulteriormente dalla maschera dell’ossigeno.
Nonostante tutto lui sembrò comprendere il mio insulto e scoppiò in una risatina divertita.
-Ma che vai farneticando, sono il tuo medico.- rispose, mentre si ricomponeva. Bene, adesso anche il medico bambino ci mancava. Ma lo avevano capito o no che ero un malato terminale? Gli ci volevano dei cartelli a luci fluorescenti per capire che volevo qualcuno che capisse lo stato d’animo in cui mi trovavo e non il pivellino, new entry.
Cercai di sbuffare, ma anche quel gesto mi era proibito a quanto sembrava, perché mi procurò un dolore lancinante alla gola.
Eccola, la fine si stava avvicinando.
Nathan sembrò notare la smorfia sul mio volto perché si sedette accanto a me e cominciò a tastare lentamente il mio collo.
-Sei messo proprio male!- disse una volta che fu sicuro delle mie condizioni. –Vorrei proprio sapere come hai fatto a ridurti così?-
“Sono finito sotto una macchina, brutto imbecille. Mi hanno preso sotto. Ed ora sono in questa merda di letto di ospedale, con qualcosa spappolato nel petto, la gola in fiamme e faccio persino fatica a respirare.” Pensai e gli avrei persino sbattuto in faccia tutte queste mie constatazioni se non fosse stato che il semplice atto respiratorio mi provocava fitte su tutto il corpo. Dovevo cercare di calmarmi.
-Ok! Sarà meglio che ti lasci riposare, la mia era solo una visita di cortesia- mi salutò sventolandomi una mano davanti alla faccia, mentre con l’altra faceva leva sul letto per sollevarsi. Sentii subito il calore del suo corpo mancarmi e mi spaventai irrimediabilmente. Non poteva andarsene, soprattutto dopo avermi svegliato in questo modo e avere interrotto le mie imprecazioni contro l’intero mondo.
Senza riflettere afferrai un lembo del camice bianco e lo tirai il minimo necessario perché si voltasse. Aveva uno sguardo sorpreso e i suoi occhi verdi erano ipnotizzanti. Rimasi immobile e smisi di respirare, non che l’operazione mi fosse risultata difficile. Era terribilmente irritante sentirsi così impotenti di fronte ad un perfetto sconosciuto.
-Cosa c’è?- chiese come a volere conferma di quello che ero sicuro gli passasse per la mente. Io scossi la testa lentamente e abbassai lo sguardo, non riuscendo più a sostenere il suo.
-Ho capito, resto!- si risedette sul mio letto ridacchiando divertito probabilmente stava assaporando la vittoria. Cominciò ad accarezzare la mia mano con movimenti lenti e circolari. E bastava quello. I continui bip delle macchinette che mi circondavano, i nostri respiri, i suoi movimenti, questo bastava a chetarmi.
-Scusami- lo sentii esordire. Aprii lentamente gli occhi, mentre la sua mano toglieva la mascherina dal mio volto e le sue labbra si facevano sempre più vicine e invitanti. Non credo avessi mai bramato a un tale livello di possedere una persona. Le percepii sulle mie, calde e dolci. Si sfioravano appena quasi temesse di rompermi. Potevo solo immaginare la fragilità che dovevo trasmettere in quel momento. Il calore del suo corpo a contatto con il mio. Le sue mani che accarezzavano attentamente il mio collo. Il suo respiro sul volto. Tutto era totalmente perfetto e sbagliato allo stesso tempo. Perché dovevo conoscerlo proprio adesso. Per quale ragione si era presentato nella mia vita proprio quando ormai non c’era più speranza. Una lacrima scivolò lungo la mia guancia e lui la asciugò prontamente con un tenero bacio.
-Ehi! Dai non c’è niente per cui piangere- mi sorrise, un sorriso talmente caloroso che il mio cuore non potè fare a meno di perdere un battito. E continuai a piangere. Il mio pianto si fece più affannoso. Non volevo andarmene. Non ora che avevo lui. Strinsi la sua mano più che potevo, ma la mia presa risultò solo una carezza sulla sua pelle. Le forze se ne stavano andando e presto sarei caduto nell’oblio. Dannato per l’eternità.
Il respirare mi era ancora più difficile ora che le lacrime scendevano copiose dai miei occhi.
-Calmati- lui mi abbraccio teneramente cullandomi con movimenti ritmici. Mi chetai con difficoltà, cercando di riprendere a respirare normalmente. Quando Nathan se ne accorse si allontanò da me, sospirando pesantemente. Aveva assunto un espressione seria e in un certo senso colpevole.
-Devis scusami- disse dopo alcuni minuti di silenzio –E’ colpa mia, scusami- non capii cosa volevano lasciarmi intendere le sue parole. Di cosa si stava scusando, non aveva alcun motivo per farlo.
-Scusami se sono scappato, mi sarei dovuto fermare aiutarti. Ma tu non puoi capire come ci si sente. Speravo di non rivederti mai più, di restare nella beata ignoranza. Ma a quanto pare il destino aveva in serbo qualcos’altro per me.- sorrise malinconico. E il mio stato di semi incoscienza mi impediva di comprendere la situazione. Lo guardai dubbioso e lui si chinò nuovamente su di me, poggiando la testa nell’incavo della mia spalla.
-Davis, mi spiace di averti fatto questo, ma quella sera avevo bevuto un goccio di troppo e non sono riuscito a resistere al brivido della corsa. Non ricordo quasi nulla di quella sera. Ma a quanto pare la mia mente è riuscita a fermare la tua immagine.- ricominciai a piangere. Questa volta silenziosamente. Un mezzo sorriso increspò le mie labbra. Ce l’avrei dovuta avere a morte con lui, ma proprio non ci riuscivo. Se avessi potuto gli avrei detto di non preoccuparsi, che per me andava bene perché così ci eravamo potuti incontrare. E quello per me valeva più di un’intera vita passata senza di lui.
Restammo abbracciati, lui sopra di me attento che il suo peso non mi opprimesse. Io che gli accarezzavo la schiena come meglio potevo. Quando i nostri sguardi si incontrarono gli sorrisi come meglio potevo e lui fece lo stesso. Capì che non ero arrabbiato, che non ce l’avevo con lui, che potevo comprendere come si sentiva e che lo perdonavo.
Si stese accanto a me, passandomi un braccio attorno alla vita. Chiusi gli occhi sentendo il suo calore espandersi su tutto il mio corpo che cominciava a raffreddarsi lentamente. Era buio e la mia mente non percepiva nulla all’infuori di noi due. Poi lo sentii. Era solo un singhiozzo sommesso, ma bastò per farmi capire. Era ora di andare.

03/10/2007 21.24

 
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