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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Originali (inventate)
Titolo Fanfic: WE WERE OURSELF
Genere: Sentimentale, Romantico, Introspettivo
Rating: Per Tutte le età
Avviso: One Shot
Autore: shoen galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 03/10/2007 19:45:06

Un litigio cambia tutto...c\'è bisogno di tempo per potersi ritrovare.Ma forse vecchio ricordi dimenticati possono riavvicinare....
 
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- Capitolo 1° -



La luna rischiarava le pareti di una stanza; mentre nel suo splendore, faceva scivolare i mortali negli antri bui dei loro sogni: sogni folli, sogni irrealizzabili, sogni egoisti...sogni.
La finestra era aperta, e le tende fluttuavano come fantasmi irrequieti, mosse dalla brezza magica della notte.
Due esseri erano addormentati nella stanza; nel letto bianco dalle lenzuola fresche, candide.
Sognavano, sognavano la realtà; sogni in cui la realtà e il vero vengono distorti, sogni in cui le vicende si fondono tra le altre senza un significato apparente, sogni
in cui i luoghi cambiano ad ogni secondo, sogni in cui tu non sei più te stesso e vaghi senza fine in una landa desolata alla continua ricerca di qualcosa, poi...tutto questo va via, sfumando, lasciando solo l’amaro del suo significato e il dolce sapore del risveglio.
....tutto sfumò come nebbia, i suoi occhi si schiusero, si mise seduto respirando affannosamente, il volto imperlato dal sudore, la bocca serrata; si guardò le grandi mani, sottili, chiare come la neve; poi si lasciò cadere sul cuscino, sempre più stanco.
Si mise il braccio sulla fronte, guardandosi intorno; poi guardò la donna che riposava accanto a lui, e sorrise; accarezzò la liscia schiena di sua moglie, che veniva rischiarata dal candore della luna, che la faceva sembrare ancor più pallida e trasparente, come fosse fatta di perle.
Respirava silenziosamente, il bel volto affondato nel cuscino, semi-nascosto dalle braccia e dai capelli, che scendevano scompigliati sul lenzuolo e sulla schiena, venendo anch’essi illuminati dalla luna; erano lunghissimi e neri come la notte, tersi come le penne di un corvo, lisci e soffici come la seta.
“Chissà cosa sogna?” penso il giovane, scostandole i capelli dal viso e vendendolo chiaramente; le labbra erano sottili e rosse come le ciliege che a lei piacevano tanto, e quel rosso così forte contrastava tanto con il pallore della pelle; gli occhi dal tipico taglio a mandola del suo popolo erano chiusi, e se fossero stati aperti avrebbero assunto l’espressione dolce e forse un po’ infantile che aveva solo con lui, ma quella sera dopo aver discusso con lui erano essi non avevano più quell’espressione che le donava bellezza, i suoi affascinanti occhi scuri come le tenebre, erano diventati gelidi.
Accosto la bocca al suo orecchio, sussurrandole dolcemente “Vorrei che reste tutto così...proprio come adesso... per sempre così...” parole dette dolcemente, parole egoiste... poi le diede un bacio delicato sulla guancia.
Usci dalla stanza, pochi istanti prima di chiudere la porta, la vide per un’ultima volta nel suo splendore.
Si vestì in fretta, senza fare troppo caso a ciò che faceva, scese nel cortile.
Tutto ciò che lo circondava era immerso nel più assoluto silenzio e nelle tenebre ogni cosa ancora riposava, ma il suo giardino aveva quel rarissimo privilegio di essere illuminato per primo, come se la natura volesse dare il “buon giorno” alle creature che vi abitavano.
Gia dal primo albeggiare il sole con i suoi tiepidi e tenui raggi inondava il suo giardino di luce, il colore amaranto e dorato dell’aurora rendevano ogni cosa scarlatta e ambrata, i fiori di ciliegio e albicocco volteggiavano nell’aria come una delicata danza in un vortice di colori illuminato dall’alba.
Salì in macchina, attraverso il piccolo viottolo, che portava fuori dal giardino, svoltò a destra e poi a sinistra e prese la strada principale.
Davanti agli occhi gli passavano davanti le scene, le grida della sera prima, tutte quante, una per una e poi...tornavano indietro come un film per essere riviste e per
ferire ancora; nella testa risuonavano le sue parole,
Non ne poteva più, ogni sera lo stesso litigio, le stesse parole dette urlando, la tensione che si creava nella casa quando si rientrava dal lavoro, ”e tutto per cosa?” pensava lui “possiamo essere felici così...così come siamo, senza cercare ogni volta qualcosa su cui discutere...perché...”.
Si sentì invadere da un nuovo sentimento che nei confronti della moglie non aveva mai avuto, odio; però dentro di lui sapeva che ciò che lo tormentava era la sua incapacità.
Ingranò una marchia superiore e aumentò la velocità, ma dopo pochi istanti la rabbia diminuì e con essa la velocità; fermò la macchina, scese e restò senza fiato.
Si era fermato su una piccola scogliera; guardò giù, le onde alte e scure, morivano sull’alta scogliera, infrangendosi sugli scogli con violenti spruzzi d’acqua salmastra.
La spiaggia poco distante, era in ombra, e un forte vento scompigliava le palme lì intorno; sollevando le foglie cadute e la sabbia, come il vento del deserto, mentre il sole nascosto dalla montagna oscurava tutto.
Poi...come per magia i primi fasci luminosi del sole rischiararono il mare rendendo l’acqua cristallina, nitida come il cielo, di un azzurro intenso quasi blu come il colore dei suoi occhi, la sabbia era come oro che splendeva illuminata dall’alba.
Andò sulla spiaggia e si sedette sulla sabbia fine e umida che sapeva di sale.
Pensò al mare; su tutte le terre, il mare s’infrangeva, rumoreggiava, rombava fra le rocce, instancabile, onda dopo onda, con il suo continuo avanzare e arretrare.
Le montagne, il deserto, loro stanno fermi, ma il mare si solleverà instancabile e griderà con quella sua voce bizzarra; il mare non riposa mai, e come se stesse aspettato qualcosa, l’incedere di qualcuno che lo calmerà in modo che lui non potrà più gridare con quell’insolita voce, ma canterà con una voce dolce onda dopo onda.
Salì di nuovo sulla scogliera, guardando il mare illuminato dal sole; sentiva lo strano profumo della salsedine acre e dolce nello stesso tempo.
La giacca aperta svolazzava con il vento, le mani in tasca, gli occhi ammaliati dalla luce dell’astro erano socchiusi, sorrise, guardò un gabbiano che tranquillo volava nell’aria...”loro non hanno problemi, vero? No, loro sono liberi, loro volano per i mari, non prestano attenzione a nessuno, sopra solo il cielo, sotto soltanto il grande mare, tutto il resto è libertà...
“Me che cosa è poi la libertà?” Si era posto la domanda molte volte, ognuno però dà la risposta la a modo suo: non avere limiti, fare ciò che si vuole, quando e dove si vuole? E’ forse questo? O forse la libertà voleva dire...
Non aveva meta, non sapeva dove andare, era forse andato via all’alba solo per vedere il sole che sorgeva?
“Per pensare, si, sono andato via per pensare...” ma, nel profondo del cuore c’era la risposta pura e semplice, che non avrebbe mai accettato.
In macchina accese radio; davano una canzone piuttosto vecchia “Beth”...ormai anche lui la conosceva a memoria, era la sua preferita, la ascoltava sempre, ovunque, in ogni occasione.
Ogni volta che per caso la sentiva alla radio, lei sorrideva e la canticchiava a bassa voce, ma poi quando lo vedeva assorto dai suoi pensieri, si scioglieva intonandola allegramente con la sua voce dolce e cristallina, che lo faceva sempre rallegrare.
Era arrivato in campagna; scese dalla macchina, le spighe alte dei campi di grano rilucevano più che mai dell’astro in cielo che le faceva sembrare dorate e ancor più belle, il sol bruciava la pelle chiara del giovane, il calore del terreno sfuocava le cose a lui circostanti.
Alla fine della strada su cui aveva lasciato la macchina, c’era un viottolo che portava su un'alta collina, s’inerpicò sul sentiero con non poche difficoltà; la stradina aveva i gradini di pietra bianca, l’erba che spuntava a ciuffi sul ciglio dal margine era di un bel verde brillante, ma non era curata, e dava al sentiero un aspetto d’antico che difficilmente si trova...
Salì le scale con difficoltà, intanto si guardava attorno, mentre nella mente si susseguivano dolci ricordi infantili; continuò la faticosa scalinata arrancando, finché arrivò in cima alla collina, quello che vide...fu fantastico.
Dalla collina si poteva vedere l’intera contea, le campagne sottostanti brillavano illuminate dal sole, ogni campo si distingueva da un altro dal colore, il frumento cresceva rigoglioso, alto e dal colore dorato, le foglie del grano era di un bel verde brillante, presto si sarebbe potuto mangiare, e poi lontano quasi invisibili agli occhi, sempre avvolte nella loro leggera nebbiolina, c’erano le montagne così alte e belle che non si poteva scorgere la fine, e poi...il bosco con le sue querce centenarie, dal tronco largo, e ricoperto di morbido muschio, querce dagli alti rami, dove ci si poteva arrampicare per provare l’ebbrezza dell’altezza e della vertigine per poi provare il sollievo di avere i piedi per terra.
Volse lo sguardo sulla gran quercia che stava in cima alla collina, si sedette su uno dei rami più bassi, appoggiò la schiena al tronco e chiuse gli occhi.
Lui l’aveva riconosciuta quel giorno sulla spiaggia e ora proprio come quel giorno; che era stato come la prima volta; lei gli appari nella mente con il suo solito sorriso, dolce, ingenuo, semplice e innocente come quello di una bambina
...era stato al mare, in spiaggia, al tramonto, il rossore del sole le infuocava i capelli ombrosi, le scuriva il vestito e le colorava la pelle pallida; camminava sulla riva lasciando che l’acqua le bagnasse i piedi, con gesti lenti e delicati si sistemò i capelli dietro all’orecchio....
Lui era seduto su uno scoglio e la fissava meravigliato senza che lei se n’accorgesse, fissava ogni suo movimento anche il più impercettibile, il battito ritmico delle ciglia, il movimento dei suoi capelli al vento, l’ondeggiare del vestito.; poi lei lo scorse sullo scoglio, si avvicinò e si sedette poco distante, lui aveva voltato lo sguardo verso di lei, e l’osservò finché...i loro sguardi s’incrociarono e lei gli rivolse quel suo sorriso che gia conosceva, dolce, ingenuo e semplice come quello di una bambina; e insieme restarono a guardare il tramonto...
Ora percepiva il fruscio delle foglie al vento, udiva il cinguettio degli uccelli, sentiva il sole che gli illuminava il viso passando tra le foglie, aprì gli occhi, vide nel cielo azzurro e senza nuvole un falco, si faceva trasportare dalla correnti ascensionale, le ali aperte, volteggiava la su nel cielo, il simbolo della libertà...
“Quegli esseri sono considerati il simbolo della libertà, ma se non avessero un posto dove fermarsi e riposare le loro stanche ali non sarebbero più quel simbolo, forse...forse libertà vuol dire avere un posto dove tornare...”.
“Le mie responsabilità...scappare da loro non significa essere liberi...”penso l’uomo che ora fissava il cielo, sorrise, scese dal ramo, e s’incammino verso il sentiero; in lontananza sentì lo stridio del falco...scese le scale più tranquillo, le mani in tasca e la giacca aperta che svolazzava...
“...Dai, muoviti...”. l’uomo si girò di scatto, un bambino stava correndo su per i gradini arrancando ad ogni passo, aveva indosso una maglietta a maniche corte e dei pantaloncini, i capelli corti e biondi svolazzavano nel vento, il viso magro con le gote rosse a contrasto con la pelle chiara come il latte, con qualche livido e graffio; aveva la lingua di fuori per lo sforzo, gli occhi, però erano grandi, di un magnifico blu, erano come il colore del mare, lo stesso mare che quella mattina era stato illuminato dal sole, cristallini e dolci, innocenti... occhi di un bambino.
Passò davanti all’uomo senza prestargli la minima attenzione e, pochi secondi dopo una bambina fece capolino da una svolta del sentiero, arrancava sui gradini; gli occhi con espressione di sfida però dalla palpebre stanche, che davano la sensazione che si stesse per addormentare da un momento all’altro: anche la sua pelle era chiara, proprio come le nuvole di quel mattino, le labbra rosse come le ciliegie che ha lei piacevano tanto, indossava uno scamiciato turchese, i tratti del viso chiaramente asiatici erano sottili, i bellissimi occhi neri come le tenebre, erano grandi e lucenti come le stelle della sera, i lunghi capelli nerissimi, lucidi e lisci come la seta, oscillavano con il vento.
Il bimbo biodo era ormai quasi alla fine del sentiero, corse ancora più su, mentre la bambina gli andava dietro, più competitiva di prima, ma ridendo...fu solo per qualche istante ma ebbe l’impressione che la bambina gli avesse sorriso ammiccando, e intanto si senti la voce del bimbo “Dai Beth, muoviti”.
Lei svoltato l’angolo e scomparì.
L’uomo sorriso divertito, alla fine aveva capito.
Scese gli ultimi gradini, si avviò verso la macchina guardando i campi e il piccolo tratturo che li attraversava; salì in macchina e partì.
Mentre guidava la mente era costantemente su un pensiero che lo avrebbe attanagliato, finché...era arrivato alla spiaggia.
Il sole scuriva l’acqua dandole una tonalità purpurea, tracciando in essa il suo riflesso, rendeva le nuvole scarlatte, mentre il cielo prendeva le sue magnifiche tonalità: rosso, oro, fucsia e giallo, le mischiava le scindeva e le fondeva creando sfumature d’ogni colore e bellezza, creando paesaggi cangianti.
Scese e si diresse, sempre con le mani in tasca verso lo scoglio di tanti anni prima, e la vide...
Era come se il tempo fosse tornato indietro, indietro di tanti anni, e allora proprio come adesso lei nello stesso splendore era li.
Lei camminava sulla battigia, lentamente, nella sua figura alta snella e silente, ogni passo leggero e armonioso, che lei faceva la sua figura sembrava avvolta nella tristezza, ad ogni passo il vestito veniva sollevato dal vento, rendendo il suo passo ancor più magico.
La pelle nivea era ormai color amaranto, così come i capelli e il vestito.
Lui osservava la figura malinconica nel suo mesto incedere, dall’alto dello scoglio, scese pensando solo a lei, avanzando affondava nella sabbia, fino a quando non si trovò abbastanza vicino alla figura.
Lei si voltò i suoi occhi erano di ghiaccio; freddi, impenetrabili, e velati: e la sua espressione non si addolcì minimamente quando lo riconobbe, non ci fu nessun tremolio nella suo sguardo, nessun barlume di felicità, niente, trapelava solo disprezzo e delusione...
Il giovane cercò di parlare, ma le parole gli mancarono quando una sua occhiata lo trafisse.
Si sedette sulla sabbia umida desiderando di sprofondare in essa, si morse il labbro inferiore, guardò il cielo e poi il suo viso...freddo, immobile come la pietra, lo sguardo perso, le membra tese...
Tornò a guardarsi le mani, umide e sporche di sabbia; si alzò, seguì con lo sguardo il tuffo di un gabbiano poi...sentì un singhiozzo, un sussulto soffocato, la guardò.
Aveva il volto abbassato, le mani premute sugli occhi, mentre i lunghissimi capelli le scendevano sul volto, si avvicinò a lei, le tolse le mani dal viso e la guardò.
Gli erano occhi arrossati dal pianto, ma la sua espressione non più fredda rivelava una gran tristezza, gli occhi neri e profondi lo guardavano intensamente, erano grandi e belli, e guardarli voleva dire perdersi in essi.
La pelle candida era arrossata dalle lacrime, una le scese lungo il viso e le cadde sul seno; un’altra argentea goccia traccio i lineamenti del volto, e lentamente andò a morire sulla sue labbra.
“Sai ho capito; quella che credevo fosse libertà era egoismo...la libertà...libertà forse vuol dire avere un posto dove tornare ed essere felici pur affrontando le difficoltà, non vuol dire avere la possibilità di scappare ai problemi, lasciarseli alle spalle come ho fatto io; durante questo tempo ho avuto spazio per pensare e le cose che ho visto mi hanno fatto riflettere e poi ho avuto spazio per ricordare come si può essere felici anche per piccolo cose...attraverso due bambini” lasciò il viso della moglie, sottraendosi dal suo sguardo.
Prese un sasso e avvicinatosi alla riva, cercò di lanciarlo in modo che rimbalzasse sull’acqua, ma il sasso cadde subito.
Lei, seduta sulla sabbia lo guardava: vedeva la sua figura alta e snella, i pantaloni, la camicia e la giacca aperta; il viso sottile dai contorni quasi abbozzati, il mento liscio, imberbe come un ragazzino, gli occhi del colore del mare al mattino così limpidi da sembrare acqua stessa; i cappelli corti e lisci sempre scomposti, le lunghe ciglia dello stesso colore ambrato dei capelli, ora tutto di lui era sfocato, dal quel colore rosso...
I movimenti scoordinati e lenti, fecero sorridere la giovane...era imbarazzato.
Era imbarazzato e impacciato in modo così evidente che anche per un uomo preciso come lui era impossibile far rimbalzare un sasso.
“Chi erano...voglio dire...quei due bambini, chi erano?” le disse imbarazzata, poi si alzò gli si avvicinò e posò la mano sulla sua.
Il sasso venne lanciato, uno...due...tre, fece tre rimbalzi, e poi scivolò nell’acqua rossa.
Lui si girò verso la donna, lei gli rivolse lo stesso sorriso di tanti anni prima quando si erano conosciuti su quella spiaggia; il più bel sorriso che avesse mai visto, dolce, e ingenuo come quello di una bambina.
“Eravamo noi...Beth, eravamo noi”.
 
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