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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Originali (inventate)
Titolo Fanfic: L'OMBRA DEL SOLE
Genere: Sentimentale, Drammatico, Avventura, Erotico, Fantasy, Introspettivo
Rating: Per Tutte le età
Avviso: One Shot
Autore: gattamaggiorenne galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 29/09/2007 19:13:59

P r i g i o n i e r a. Gli sembrava incredibile. Lei. Lei era morte. E la morte, per chi la sa amare, può essere bellissima.
 
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- Capitolo 1° -


{[(*!CoMmξŋЃo!*)]}

Dunque, questa fanfic doveva essere assegnata per un concorso, che però purtroppo è fallito miseramente.
Sono molto amareggiata, non lo nego.
Tutta via, non penso sia colpa di qualcuno in particolare, se non il tempo: quello stesso tempo che, frenetico e inflessibile, scorre troppo velocemente e riduce il tempo libero.
Un Contest non è un Contest senza più partecipanti, e dato che eravamo rimaste in due...eccomi qua, con questa OneShot amara pubblicata prima del tempo.
Dunque, il concorso voleva una Fanfic UnHappy Ending, ma non so se è venuto esattamente come imponeva la regola.
Avevo alcuni impegni - ripeto: dannato tempo - e non mi è venuto in mente altro finale.
Ora, dato che mi ha lasciato particolarmente amaro il palato questo ritiro, gradire ricevere commenti...che siano Commenti, con la lettera maiuscola.
Immaginatevi Giudici, e giudicate.
Severamente e con sincerità, ve ne prego.
Non ho bisogno di sentirmi lodata, bensì di ricevere utili consigli.

Infine,
Piccolo Disclaimer: le poesie sono di Femme, tranne l’ultima che è di Paolo Veruda.
Le troverete su questo sito:
http://femme80bo.splinder.com/.

Bene, procediamo.



{[(*!βuοИα ℓεттurα!*)]}






{[(*! Ļ’ŏмβřα Ďεl Śŏlε !*)]}







<< Li scorgo in lontananza.

[Occhi che lacrimano sangue.]

Parole di vetro che si frantumano sulla bocca di chi non si rassegna.

[Dinnanzi alla vergogna.]

E tutt’attorno danzano le mie labbra.

[Sputando scomode verità.] >>




“Aspettami.”

C’è chi dice che quando il tramonto sorge è per via del sangue sparso sulla terra, che si riversa nel cielo.
E che quando un tramonto è particolarmente intenso, il sangue bevuto dal terreno è quello di una battaglia.
Morgan ghignò.
No, a Valm Neria non c’era stata nessuna battaglia.
Ma presto il sangue versato sarebbe stato molto.
Chissà, forse gli astri prevedevano al sua ira, e lo anticipavano.
Il tramonto era tanto sfavillante che il deserto dove stava cavalcando da circa tre ore era color rubino.
Tinteggiava con mille sfumature il grigio mondo che ora era alle sue spalle.
Lunghe lingue di fuoco bramavano il celeste e le dune gialle con ingordigia, e l’intero cielo pareva ardere.
Ma i suoi occhi neri come la morte si perdevano in quel colore amaranto solo in astratto.
Perché le sue iridi erano puntate su ben altro.
E la sua mente, acuta e tagliente come la spada che gli pendeva al fianco, era ancora più lontano.
Il sole stava morendo.
E presto sarebbe arrivata l’ora.
Spronò il cavallo, ringhiando, e il vento gli passò tra i capelli corvini, facendoli vibrare in corte onde d’inchiostro.
E, infine, nascosto da un’onda di sabbia bollente, ecco la rocca.
Stagliata su quel tramonto come a sfidarlo, cupa e minacciosa come solo la casa di quel verme schifoso poteva essere.
La nera carcassa di quella che un tempo era stata una prigione possente per Assassini.
Una costruzione abbandonata.
Idea stupida.
Banale.
Ma Xavier non aveva il minimo senso dell’originalità, e questo era un fatto.
E l’altro fatto…era che presto sarebbe morto.
Il cavallo nitrì, irrigidendosi.
Non aveva nessuna intenzione di scivolare su quella coltre sabbiosa in pendenza, perché di certo si sarebbe rotto una zampa nel tentativo di rimanere in equilibrio.
Morgan scese dal destriero, serio, saggiando quel terreno morbido con la punta dello stivale.
No, niente trappole, tra quei granelli d’oro.
Xavier voleva averlo lì, all’interno della sua rocca.
Ucciderlo nella sua casa, così che l’odore del suo sangue sarebbe rimasto impregnato in quelle pietre per l’eternità.
Illuso.
Quando entrò nella dimora di quell’idiota prese la pistola.
Meglio essere preparati a qualsiasi trucchetto.
C’era buio, ma non così tanto da nascondere due figure, sul corridoio del piano di sopra.
Due grandi scale che si diramavano fino a congiungersi.
Due individui in penombra.
Ma riconobbe subito le sue labbra, e i suoi occhi.
Era lei.
Guardava con apprensione un filo di sole, che spirava dalla vetrata e che andava pian piano salendo.
Era appesa ad una trave, appena dopo il cornicione della scalinata.
Piedi a penzoloni, mani legate sopra la testa da una spessa corda, il lungo vestito stracciato che le vibrava attorno alle gambe.

P r i g i o n i e r a.

Gli sembrava incredibile.
Lei, l’essenza della libertà pura, la donna della notte.
Lei, prigioniera di un omuncolo qualsiasi.
“Ma tu guarda… sei venuto.”
Morgan spostò lo sguardo.
Dietro la donna, stava Xavier, con un sorriso viscido.
Capelli biondi legati in una coda, fiso sfigurato da tre lunghe cicatrici, che gli segnavano l’occhio sinistro, bianco come la neve.
Era divertito, e l’occhio buono, quello verde, brillava.
Credeva di avere la vittoria in pugno.
Si sbagliava.
Perché lui avrebbe fatto qualsiasi cosa per liberarla.
Rimase in silenzio, fissando quella scenetta orrida.
“Suppongo che tu sia l’eroe di turno.” Sorrise Xavier. “Giunto sin qui per salvare la donzella in pericolo. Uccidendo magari il cattivo che la tiene prigioniera.”
Miriana sorrise.
“Quella…” sussurrò, divertita. “…è la parte che non voglio perdermi.”
“La fiera della banalità.” Continuò Xavier, ignorandola. “…degno di quei disgustosi romanzetti rosa francesi. Ma, a donare un po’ di originalità, per fortuna c’è lo scambio dei ruoli: chi è il mostro fra noi?”
Morgan rimase ancora in silenzio.
“Oh beh, che importa ormai?” sorrise amabilmente Xavier. “ Fra pochi minuti la luce del sole entrerà nella vetrata, ponendo fine alla questione. Sai cosa nasconde questa rocca, giusto?”
Il suo sorriso si fece più ampio.
“Il tramonto qui dentro funziona al contrario. Romantico, vero? A meno che…” la sua mano si fermò sui capelli della dama. “…a meno che la nostra graziosa ospite non mi dia ciò che voglio.”
“Piuttosto mi faccio sbudellare.” Replicò quella, con una smorfia.
Xavier le afferrò i capelli, stringendo, col chiaro tentativo di farle male.
“Oh no…” le sussurrò all’orecchio. “…niente di così volgare, mia cara. La tua fine sarà molto più…ardente.”
“Bastardo…” ringhiò la donna, furiosa. “Bastardo figlio di…!”
“Avete finito?”
Entrambi si voltarono verso di lui, Morgan.
Ghignava e puntava la pistola su di loro.
“Ho una fanciulla da salvare, e molto poco tempo.”
“Tu non hai più tempo per nulla.” Sussurrò Xavier, velenoso. “Rudolph! I segugi!”
Le porte del piano terra si aprirono.
Uscì un uomo.
Volto coperto da una maschera di ferro, un bastone scintillante in mano, un lungo guinzaglio nell’altra.
E, davanti a lui, due esseri mostruosi.
Una femmina e un maschio.
Demoni.
Si era dato da fare, il bastardo.
“Sì, Milord.” Disse l’uomo, senza una piega. “Avanti, è tutto vostro.”
Liberò i mostri, che ruggirono, sbavando sangue sul pavimento e mangiandolo solo con gli occhi bianchi, privi di pupille.
Morgan agguantò un'altra pistola, e guardò in alto.
Verso di lei.
Bella come una regina.
Letale come solo lei sapeva essere.
Il viso etereo, privo d’espressione, privo di sentimento, i capelli biondi, con una sfumatura più simile all’oro che alla paglia, sottili come fili di ragnatela, lievemente mossi.
E gli occhi.
Scaglie di ghiaccio liquido incastonati tra lunghe ciglia nere.
E le labbra.
Rosse come sangue.
Volgari, per un viso tanto esile, volgari e colme di sensualità, passione.
La sola vista faceva fremere anche l’uomo più restio.
Il vestito elegante era stracciato, come vecchio, e la scollatura ancora più abbondante.
Lei era peccato, seduzione.
Lei era morte.
E la morte, per chi la sa amare, può essere bellissima.












Due settimane prima.

Erano due.
Uno dietro, uno davanti.
In ombra.
Morgan imprecò sottovoce.
Odiava il buio.
Odiava la notte.
La sua mano si serrò alla pistola lucida.
In attesa, rigido come le corde di un violino mai suonato, le orecchie tese al massimo per percepire qualsiasi movimento.
Era chiaro che erano due sicari.
Non erano pochi, i suoi nemici.
E, purtroppo, tanti erano i codardi, fra questi.
Coloro che si servivano d’altra carne per poter arrivare alla sua.
L’uomo dietro di lui si avvicinò piano, la mano sulla sua arma, nascosta sotto il mantello.
L’uomo davanti invece stava fermo, per non rischiare.
Conosceva la prassi, perché anche lui era di quel giro.
L’uomo che gli stava davanti avrebbe aperto le danze solo in caso necessario.
In altro caso, sarebbe rimasto solo a guardare.
“D’accordo.” Pensò Morgan, riepilogando. “Ho solo un colpo in canna. Cerchiamo almeno di rendergli le cose difficili. Per primo, quello dietro.”
Si girò di scatto, roteando sui suoi stessi tacchi, sorprendendolo.
Fu grazie a questa mossa fulminea che riuscì a colpirlo.
La sua pistola sputò il proiettile, che si conficcò dritto dritto nel cuore del primo sicario.
Morì senza un lamento, accasciandosi a terra, in una pozza di sangue.
Ma col secondo sarebbe stato più difficile.
Aveva già in mano la pistola.
Un attimo.
Un istante.
Uno spasmo di tempo che si dilaniò all’infinito nei suoi pensieri.
Era troppo tardi per colpirlo.
Troppo lento.
Fece appena in tempo ad avvertire quello che probabilmente sarebbe stato il suo ultimo respiro che il sicario urlò di dolore.
Si accasciò contro il muro di quel vicolo, scivolando sulla parete, lasciando una disgustosa scia rossastra.
Con un coltello conficcato nella schiena.
Una figura dietro, avvolta in un mantello nero da capo a piedi.
“Per un pelo.” Sorrise, togliendosi il cappuccio.
Morgan la fissò sorpreso.
Una donna.
“Chi…?” fece per avanzare, ma la dama misteriosa lo fermò con una mano.
“Aspetta.” Sibilò, chinandosi sul sicario che aveva ammazzato e che, ora, stava in una pozza di sangue.
Il buio l’avvolse completamente, e Morgan non riuscì più a vedere i suoi gesti.
Ma quando la nube che offuscava la luna piena si diradò, spinta da una brezza leggera, il sangue dell’uomo morto era sparito.
Le pietre sul quale stava accasciato il cadavere erano linde.
Non gli piaceva.
Non gli piaceva per niente.
Scattò in avanti, agguantando la donna per la gola, e la sbatté al muro.
“Hai cinque secondi di tempo per dirmi chi sei.” Ringhiò sulla pelle del suo viso.
Lei sorrise, o meglio, ghignò.
“Ti ho appena salvato la vita. È così che mi ripaghi?”
Morgan aumentò la stretta.
Era un assassino, e di certo non risparmiava nessuno, anche se erano donne, e quindi la gentilezza non era il suo forte.
“Ti ho chiesto il tuo nome, puttana.” Sibilò, senza il minimo tatto.
Lei lo fissò.
Occhi neri, vuoti, ma con strane venature scarlatte dentro le iridi, capelli del medesimo colore, folti e lucenti, pelle di mandorla.
“Miriana.” Sussurrò. “Mi chiamo Miriana.”
Lui diminuì un po’ la presa.
“Perché mi hai aiutato? Chi ti manda?”
I suoi occhi di ghiaccio lo freddarono in una morsa gelida.
“Io non appartengo a nessuno.” Sibilò la donna, con voce che gli fece accapponare la pelle. “Io sono solo di me stessa.”
“Non hai risposto alla prima domanda.”
La luna la baciò col suo lento incedere, illuminandole la pelle diafana come latte e perla, e le iridi di freddo diamante.
Non era di quelle parti.
Gli uomini di Valm Neira avevano le membra scaldate dal sole del deserto, e il colorito piccato, scuro e lucente.
Lei era pallida come un giglio.
Le sue labbra, rosse come il sangue, erano aperte in un sorriso di scherno.
“Sei carino. Ma non darti importanze che non meriti.” Gli parlò, con voce dolce e melliflua. “Ho ucciso quell’uomo solo perché mi faceva comodo.”
“Sei una del giro? Un’Assassina?” chiese Morgan, sospettoso.
Lei fece una smorfia.
“No.” mormorò, disgustata. “Io non appartengo alle vostre sette. Io uccido solo se ce ne è bisogno, e non vendo la mia arte a chi paga di più.”
“Arte?” la schernì Morgan. “La chiami arte, quella di uccidere?”
Lei gli prese il polso che la teneva inchiodata alla fredda pietra.
Incredibilmente riuscì a fargli staccare la mano, con facilità.
Non si era aspettato una simile potenza da una donna come lei.
“Arte è il saper apprezzare la vita. E io, uccidendo, l’apprezzo.” Spiegò, lentamente, ma Morgan non riuscì a capire il segreto di quelle parole. “Io riesco a vedere l’ombra che c’è in ogni persona. Il dolore e l’oscurità. E la tua è opprimente, schiacciante…”
La sua mano affusolata gli sfiorò la guancia, in una fredda carezza.
Un tempo, Morgan avrebbe ammazzato se una donna, seppur bella, si fosse permessa un simile gesto.
Invece, con lei, rimase immobile.
Attirato dalle sue labbra rosse e dai suoi occhi stupendi.
Avvolto dal mistero e dalla sensualità che quella straniera emanava.
“…e ciò mi attira.”
La donna si avvicinò, sfiorandogli i fianchi, il torace scolpito.
Le sue labbra erano aperte in un sorriso pieno di malia, questa volta, e non di scherno.
Lo sguardo di Morgan si fece di ghiaccio.
Lui la prese, con forza, schiacciandola di nuovo contro il muro, facendole male.
“Dove è finito il sangue di quell’uomo?” sussurrò sulle sue labbra.
“Ha importanza?”
“No. Ma mi farebbe sentire meglio sapere cosa diavolo è la donna che sto per violentare qui, in questo sudicio vicolo, in questa schifosa città.”
“Violentare?” scoppiò a ridere lei. “Vorresti prendermi con la forza? Oh no…non ci riusciresti mai, con me. Il mio volere è potente. E se non voglio, tu non agisci.”
Lui le afferrò i morbidi capelli.
“Io non prendo ordini da nessuno. Tantomeno da una sgualdrina.”
Il suo sguardo parve penetrarlo nell’anima.
“Capisco.” Sussurrò Miriana. “La tua donna è stata ammazzata. E tu hai paura di amare di nuovo. Di perderti nel carnale con il desiderio che ti spingeva da lei, nelle notti addietro. Ma tu sei un essere della notte, e per tanto, tu mi ami già, perché io rappresento la notte stessa.”
“Presuntuosa, oltre che puttana. Cosa sei, una veggente?”
“No.” rispose la donna. “Nulla di così bello e mistico.”
“E allora? Cosa diamine sei?!”
“Una donna della notte. Una della rare, in questo mondo incantato. E questo ti deve bastare.”
“Cosa vuoi, tu, da me?!” ringhiò l’assassino. “Dubito che tu sia venuta qui per caso, e abbia ucciso un uomo solo per migliorare la tua… ‘arte’.”
Lei sorrise ancora.
Lo faceva spesso, e i suoi sorrisi non erano come quelli delle altre donne.
Erano maledetti, pieni di fascino e mistero, dannati fino alla radice, con qualcosa di lascivamente sinistro.
“No, in effetti no. Non è un caso se sono qui, da te.” Rispose, con finta dolcezza. “Ho bisogno dei tuoi servigi.”
“Cosa?!” fece Morgan, spiazzato.
“Hai capito.” Disse lei, seria. “Io non amo uccidere per niente. Per questo ho bisogno che tu uccida per me. Un uomo che ultimamente mi ha preso di mira.”
“Non sono il tipo da uccidere per così poco. Se hai amanti psicopatici rivolgiti alla polizia locale.”
“No, nessun maniaco. Quello che quell’essere vuole da me va oltre il desiderio della mia carne e del mio corpo. Lui vuole il mio segreto, ed è troppo importante, per me. Per questo ho bisogno di uno bravo. Uno che mi protegga.” Lo indicò col dito. “Tu.”
“Io?” sbuffò ironicamente Morgan, che non aveva capito molto delle sue stramberie. “Tu vuoi me?”
“Dicono che sei bravo, nel tuo campo. E poi l’oscurità che c’è in te, il tuo dolore, è qualcosa di sufficientemente adatto per un incarico di questo tipo.” Fece lei. “Chi ha sofferto così tanto non teme la morte.”
“Sai tante cose di me, e io nessuna di te, se non che sei una pazza furiosa.” Mormorò lui. “Cosa ti fa pensare che io accetti?”
“Semplice.” Ghignò lei, con voce bassa. “Perché tu sei attratto da me.”
“Te lo ripeto. Sei una presuntuosa.” Sussurrò lui, ma la sua voce era roca.
Lei scattò in avanti, baciandolo con fugace passione, bramando le sue labbra.
Morgan si sarebbe aspettato di fare quello che faceva sempre: prendere la pistola, puntarla su quella donna e spararle.
Mai si sarebbe immaginato di trovarsi sospeso in un limbo.
Mai si sarebbe immaginato lo schiudersi delle sue labbra, pronte a duellare, e al contempo violare.
La prese con forza, le sfiorò i fianchi, perso in quel limbo per sempre.
“Non posso farlo.” Sussurrò l’uomo, con voce impastata e le mani frementi. “Non possiamo farlo…”
Lei scoppiò a ridere, freddamente, mentre avvertiva le mani di lui accarezzarle il ventre.
“No, certo, non dobbiamo…” sussurrò la donna, ma più che una ammonizione era una sfida, lanciata verso di lui.
Prova a fermarti, se ci riesci.
Il desiderio divampò in loro come un incendio improvviso e irrefrenabile che tutto consuma nella sua avanzata, un furioso stringersi la cui intensità fu fonte di gioia e turbamento.
E, un attimo dopo, chissà come, si ritrovarono a casa sua, nel suo letto, allietando la notte con la loro passione.
E lei, per la prima volta in vita sua, tremava.
Non le era mai successo.
Ma…era consapevole del fatto che i loro corpi combaciavano alla perfezione.
Come stampati sulla stessa cera dal fuoco.
Lui si scostò di poco, facendo leva sulle braccia.
“Anche tu sei sola.” Le sussurrò.
Non era una domanda.
Non era un insulto.
Non era una provocazione.
Era pura e semplice constatazione.
Lo avvertiva, il dolore trasudava da ogni suo poro, la solitudine che le annebbiava gli occhi brillanti le aveva infangato anche la mente.
Lei, quasi con rabbia, gli prese il capo, tornando a baciarlo, ma non prima di avergli morso le labbra, facendo traboccare una minuscola goccia di sangue.
Lo assaporò, assaggiò il suo sangue, e per lei fu l’oblio.
Persa per sempre.



<< Appesa al filo dell’anima sua,
Nero velluto,
attendo le Divine
torture dei suoi baci,
quel suo assaggiarmi con la punta della lingua,
avida di peccato,
impaziente di me.
[ Pelle in fibrillazione…]
Tremo alla sola idea
del suo odore che fa l’amore col mio,
[ Mordendo con labbra di malizia…]
La sua dolce irruenza
che rende Me donna tra le femmine.
Mi tengo stretta
le sue mani feroci,
mentre i suoi occhi
mi possiedono audaci.
Sono corde sublimi
quelle che legano
la mia carne alla sua,
in un vortice di ingordi sospiri,
saziati tra le lenzuola affamate
del tempo.
[Che solo allora sarà il nostro più fedele complice.] >>


Era ancora notte quando lei si alzò.
Morgan la fissò, fissò il suo corpo, etereo e bellissimo, coprirsi con un mantello nero.
Lo stesso con cui era apparsa.
“Cosa hai deciso?”
Morgan trasalì.
Si era accorta che era sveglio senza neppure voltarsi.
Era così pericolosa che iniziava ad amarla.
“Perché te ne vai così presto?” chiese, a tradimento. “Non aspetti le luci del mattino? Questa città è pericolosa, di notte.”
Giurò di averla vista sorridere tra i baffi.
Sorridere veramente.
“Non per me. E poi non amo il sole.”
“Voglio sapere cosa sei.”
Lei si voltò.
I suoi occhi lo perforarono. Le sue labbra, dal rossetto ormai perduto, si mossero a mormorare poche parole.
La rivelazione.
Lei, il mostro.
Lei, cacciata da villaggio in villaggio per quello che era.
Non sapeva perché glielo aveva detto, col rischio di mandare tutto a puttane.
Solo…era stanca.
E quell’uomo, perso nei meandri dolci e ingannevoli dell’odio, del dolore, l’aveva sorpresa.
Era diverso.
Mentre la sfiorava, mentre la possedeva quasi con forza, violenza, senza lasciare trasparire per un solo istante una espressione dolce, o gentile.
Mentre avevano fatto l’amore, lei aveva percepito in lui qualcosa.

Come una fiamma, che si era spenta con le lacrime sue versate.
Ma che, da cenere, come fenice, poteva tornare ad ardere e brillare, più intensa che mai.


Lui la fissò sorpreso.
Rimase in silenzio, attonito.
Ora capiva tutto.
“Potevi uccidermi.” Mormorò, infine. “Nel vicolo, quando ti ho insultata. Perché non l’hai fatto?”
“Eri bello.” Disse semplicemente lei. “E odio gli sprechi. Allora? Mi aiuterai, ora che sai cosa sono?”
Lui sorrise, coperto solo da un leggero lenzuolo.
Fuori, la luna faceva scintillare i tetti d’oro delle case, e brillare il deserto come se avesse anima propria.
Il suo raggio illuminò la stanza in cui avevano fatto l’amore.
Poche cose.
Un letto a baldacchino, la cui sfarzosità era scemata dal nero delle tende, un armadio e un comodino contenente pochi effetti.
Il silenzio di quella stanza pressoché lugubre fu interrotto dalle parole dell’uomo.
“Come si chiama costui?”
“Xavier.” Sussurrò lei, seria e tesa, ma infinitamente sollevata. “Si chiama Xavier.”








Un ruggito riscosse Morgan da quei ricordi.
La femmina di demone, più svelta e agile, era in testa.
Stavano correndo verso di lui, fauci spalancate, occhi famelici.
“MORGAN!”
“Lo so.” Pensò l’uomo, rispondendo a Miriana mentalmente, come se l’intensità di quel pensiero sarebbe bastato a farle recepire il messaggio.
Piedi ben piantati a terra, sguardo scheggiato di rosso, sopraciglia corrucciate, respiro controllato.
Al momento giusto scansò di lato, evitando la femmina, e le sparò alla tempia.
Il proiettile le trapassò il cranio.
La demone emise un verso stridulo e acuto, e cadde di schianto.
Non fece in tempo a rallegrarsene, perché il maschio, più grosso e potente, gli era già alle spalle.
Gli balzò addosso, sovrastandolo con la sua enorme stazza, mandandolo a sbattere per terra.
Le fauci munite di zanne acuminate non fecero in tempo a schiudersi sul suo collo, né a lacerare la sua carne: Morgan si girò e gli piazzò la punta della pistola sul mento e senza indugi sparò il secondo colpo.
Il demone guaì come una bestia morente, qual’era, e gli si accasciò sopra, senza vita.
Si levò di dosso quella carcassa dall’odore nauseabondo, riprendendo fiato.
I suoi occhi si saldarono con quelli di lei.
Il suo petto, quello che molte notti aveva baciato, si rialzava e riabbassava veloce, nonostante il viso impassibile.
Cercò di sorriderle, ma all’improvviso avvertì una fitta atroce alla schiena.
Un dolore puro lo colpì, e le sue pistole gli caddero di mano.
Si gettò a terra, voltando lo sguardo.
L’uomo dalla maschera di ferro l’aveva colpito col suo lungo bastone.
E, dalla punta, scoccavano abbaglianti saette azzurre.
Magia.
“MUORI, CANE!” ringhiò, colpendolo al petto.
Una scarica elettrica gli passò per le viscere.
Urlò di dolore, iniziando ad avere tremori convulsi per quel acido corrosivo che sembrava fluirgli nelle vene.
La risata di Xavier e le ingiurie del suo servitore, Rudolph, gli riempivano l’orecchie come veleno.
La vista gli si offuscò.
I rumori, sempre più lontani.
Ed infine, il grido di lei.
Miriana.






Due anni prima.

Dicono che i sogni sono illustrazioni dal libro che la tua anima sta scrivendo su di te.
E che un uomo diventa vecchio quando i suoi rimpianti prendono il posto dei suoi sogni.
Beh, se c’era una cosa di cui Morgan l’Assassino era certo, era che lui non sarebbe mai invecchiato, perché il suo sogno era reale, lì, di fronte a lui.
Seduta su quella altalena scialba e cigolante ma che, al contatto con la sua donna, appariva il più piacevole svago.
Sorriso contenuto, modi garbati, remissivi e dolci: la sua futura moglie era la classica donna tutta casa e famiglia.
E, anche se piccola e minuta come una bambolina, sarebbe stata una madre perfetta.
E lui lì, davanti a lei, su quel prato, con il solo scopo di fissarla e perdersi nella sua pura immagine.
Un sorriso, uno suo solo eterno sorriso, e il resto dell’universo spariva.

<<Se uno sogna da solo, è solo un sogno. Se molti sognano insieme, è l'inizio di una nuova realtà.>>

Era una droga strana, dolciastra, che lui aveva avuto il piacere di assaporare.
Talmente perso in lei, in quello che era, in quello che rappresentava, che non si accorse che la donna si era alzata, e gli si era gettata fra le braccia.
“Che c’è?” chiese, sorpreso di quegli occhi vacui, fissi su qualcosa di vago, malinconici.
“Oggi sono venuti due uomini, a casa.” Mormorò lei, stringendosi al suo petto. “Mentre non c’eri.”
I muscoli dell’uomo s’irrigidirono, i lineamenti del suo viso si fecero seri, allarmati.
Ma quando parlò la sua voce era ferma, profonda.
“Che volevano?”
Lei rimase in silenzio.
Il bello della sua donna, il bello di Faith, erano i suoi occhi.
Possedevano il delicato colore del miele fuso e apparivano caldi e dolci proprio come la stessa sostanza che rappresentavano.
I suoi capelli, castani ma con sfumature di rame, solevano spesso stare lisci, liberati da tulli o nastrini stucchevoli.
Ma, quel giorno, la donna li aveva raccolti in una coda bassa.
“Ti prego.” Sussurrò, tremando. “Ti prego, non farlo mai più.”
Lui gelò, a quelle parole.
Non farlo mai più.
“Non posso.” Disse, senza pensarci.
Dalle sue labbra, nascoste sotto le pieghe del vestito di Morgan, si udì un singhiozzo.
“Sì.” Replicò, con voce tremante. “Sì che puoi. Liberati, Morgan. Ti prego.”
Liberarsi.
Smettere di uccidere.
Smettere di essere covato dall’odio.
Smettere di vendicarsi.

“No, invece. Il mio lavoro non è dei migliori, ma serve per vivere, per darti una casa.”
I suoi occhi, arrossati dalle lacrime, si fecero rabbiosi.
“Io non la voglio una casa!” gridò, colpendolo al petto con deboli pugni. “Io non la voglio, se non ci sei tu dentro! Non posso vivere rinchiusa tra quattro mura sapendoti fuori a sgozzare qualche pover’uomo!”
Lui la prese per le spalle, staccandosela di dosso.
“Tanto poveri non sono, se qualcuno li vuole morti.” Ringhiò, freddo.
Perché?
Perché doveva tirare fuori quell’argomento?
E dire che stavano così bene, così in pace…perché doveva rovinare quella bella giornata assieme?
Lei voleva una vita normale.
Ma lui voleva semplicemente amarla, senza mettere in mezzo altro.
Amarla anche se uccideva altre persone.
Amarla anche se nel suo cuore c’era tanta rabbia, tanta sete di vendetta.
Aveva visto morire tutti.
A nove anni.
Da suo padre.
A sua madre.
A sua sorella.
Uccisi da un porco borghese, che, infatuato della moglie, non aveva accettato la sposalizio col padre.
E li aveva fatti sterminare da un assassino.
Tutti.
Li aveva…uccisi…tutti.
E lui, salvatosi, aveva promesso.
Un vendicatore.
Questo sarebbe stato.
In eterno.
Il borghese era morto dopo appena due mesi di iniziazione all’omicidio, ucciso da Morgan stesso.
Ucciso da un ragazzino di nove anni.
Ma alla fine, lui, orfano di strada, aveva coltivato la unica cosa che poteva fare a quel mondo, il lavoro più antico della Terra.
Ammazzare.
Uccidere tutti quei borghesi, quei signorotti nobili, uomini grassi e viscidi che si facevano la guerra a vicenda.
E, in quella guerra, l’unico che vinceva era lui.
Lui, che poteva uccidere quei vermi, quei rifiuti della società travestiti da principi, re e regine, aiutato dalle protezioni di altri principi, re e regine, che finivano sgozzati a loro volta.
Ogni cosa al suo tempo, come un circolo vizioso.
E così si era formato.
Diventato uno dei migliori.
Sì, aveva continuato.
Perché, nel mondo, c’era sempre qualcuno che meritava di venir ucciso.
E, soprattutto, c’era sempre qualcuno capace di sganciare soldi per farlo uccidere.
“Ma cosa ne sai?” sbraitò Faith, togliendolo da quei pensieri. “Dio, cosa ne sai? Conosci la gente che ammazzi? Li hai mai visti stare con le proprie famiglie? Sai se hanno figli, se hanno mogli, se hanno qualcuno che possa rimpiangerli? Cosa ne sai, tu?!”
Morgan rimase in silenzio.
Lei lo fissò gelida.
Aveva ragione.
“Dio, scommetto che non ti sei mai soffermato a guardare coloro che ammazzi semplicemente come ‘uomini’. Come padri, mariti, figli.”
In effetti no.
“Tu li vedi tutti uguali, tutto con un viso solo. Il viso dell’uomo che ha sterminato la tua famiglia, portandoti sulla strada, in balia degli eventi…”
Era veramente così?
“Io vado a casa. Devi scegliere, Morgan, o tieni me, o il tuo odio.”
Se ne andò così, a passi veloci, lasciandolo solo in quel prato, come bloccato.
Un ultimatum.
Lei, o il suo lavoro.
No, non l’aveva chiamato così.
O lei o il suo odio, questo aveva detto.
Rimase molte ore lì, in quel giardino squallido, dall’erba ingiallita dal caldo e dai giochi per bambini cigolanti e arrugginiti, totalmente perso nei suoi pensieri.
Bloccato sull’erba che andava via via inumidendosi per il calare della sera.
Non seppe mai dire quanto ci mise per tornare a casa, perché il suo tragitto era stato come un sogno ad occhi aperti.
Un sogno dal quale si era svegliato bruscamente vedendo la porta di casa sua uscita dai cardini e penzolante da un lato, come un albero abbattuto, morto, marcio.
Un gelido brivido giù per la schiena, uno solo, ma costante e potente tanto da toglierli il fiato.
La sua casa completamente devastata.
Mobilia rotta, tavoli rovesciati, cassetti svuotati sul pavimento.
Tutto nel silenzio.
Anche Faith.

S i l e n z i o s a.

E poi, camera sua.
Il tragitto dalla cucina alla camera era stato ancora il più lungo della sua vita.
Ancora in un sogno.
Camminare.
Sognare incubo.
E svegliarsi di nuovo, con un incubo ben più reale.
La visione di lei, lì, su quel letto stranamente in ordine, in quella camera lasciata invariata da quando era uscito.
Così strano, al confronto col resto della casa, distrutta.
Forse perché la piccola Faith era tanto bella e dolce che non averne un briciolo di rispetto era impossibile.
Non c’erano segni sul suo corpo, tranne che per il sangue al petto.
Non c’erano strappi sulle sue vesti.

[Non le avevano tolto l’onore.]

Il suo viso, pallido, era disteso in una espressione piatta, senza spessore.
Lì, adagiata su quelle stoffe, il corpo immobile, i palmi delle mani rivolti al cielo.
Sembrava serena.
Ma nei suoi occhi, freddi e vuoti, c’era qualcosa di strano, qualcosa di orribile.
Come se dentro di lei vi fossero i cocci di una bambola rotta.
Morgan l’Assassino provò freddo.
Era la prima volta che la sua pelle rabbrividiva di gelo.
Perché l’avevano uccisa.
Faith era morta.
Era un angelo che aveva spiccato il suo ultimo volo.

Per un istante, a Morgan sembrò d’impazzire.
Il suo cuore, che dapprima era rimasto stranamente calmo, iniziò a rimbombare furiosamente, trapanandogli le orecchie, martellandogli nel cervello, quasi a spezzargli la cassa toracica.
Gli sanguinava il cuore.
Era un rumore troppo forte per essere sopportato.
Urlò.
Urlò una sola volta, a lungo, quasi a soffocarsi.
Un urlo disumano, che fece vibrare l’aria.
Un dolore talmente forte da sembrare quasi palpabile.
Cercò un motivo, un solo fottuto motivo, come un disperato, facendo ordine nella sua mente attanagliata da una morsa velenosa.

“Oggi sono venuti due uomini, a casa.”

I due uomini.
Erano ritornati da Faith, a cercar lui, a chiedere di nuovo i suoi servigi di Killer.
Faith li aveva cacciati.
Sì.
Una vita normale.
Lei voleva quello.
Sì.
Poteva vedere perfino la scena.
La piccola Faith che urlava loro di andar via.

Mia piccola Faith, non urlare così, quella è gente che non scherza.

Mia piccola Faith, non essere così impudente, quelli sono demoni.

Mia piccola Faith, non minacciarli di chiamare la polizia, o ti uccideranno.

No, no, no…non così, mia piccola Faith.

Mia piccola Faith…



Poi, chissà come, quelle sensazioni che lo bombardavano sparirono di botto, lasciando solo un mesto silenzio.
Si era ritrovato a gattoni sul pavimento, boccheggiante, senza sapere come.
Il suo respiro ansante riempì l’aria.
Tremava.
Ma almeno aveva ripreso la lucidità.
Gattonò fino al letto, trovando il coraggio di guardare oltre la sponda.
Si aggrappò alle lenzuola, facendo fatica ad alzarsi.
Mi sanguina il cuore, Faith.
Il suo corpo sembrava di piombo, ma vi riuscì lo stesso.
Mi fa tanto male, Faith…
Gli occhi di lei …sbarrati.
Come aveva fatto a pensare che appariva serena?
Era spaventata, invece, terrorizzata.

“Devi scegliere, Morgan, o tieni me, o il tuo odio.”

Lacrime.
Mai, in tutta la sua vita, Morgan aveva versato una lacrima.
Lo sterminio della sua famiglia lo aveva lasciato vuoto, freddo.
Solo una macchina della morte.
E ora piangeva come un moccioso.


“Devi scegliere, Morgan, o tieni me, o il tuo odio.”




Cosa scegli, Morgan?





Si avvicinò alle sue labbra, un tempo calde e piene, ora fredde e immobili.
La baciò, per l’ultima volta, piangendo sul suo viso ceruleo.
Un ultimo bacio.
Un addio soffuso.

Si accostò al suo orecchio, scosandole una ciocca di capelli.
“Avrei scelto te.” Le sussurrò, masticando tra le lacrime parole troppo dolorose. “Avrei scelto te.”


[ Silenzio in sala.

L’accusa contro Faith Harrington.

<< Colpevole, signor Giudice. >>

Colpevole di essere l’unica innocente.

<< La punizione è la morte. >>

La seduta è tolta.

Giustizia è fatta. ]



Era tardi, quando Morgan si alzò dal capezzale della sua donna.
Non provava più niente.
Il dolore aveva lasciato posto ad un obbiettivo.
Doveva vendicarla.
Uccidere.
Ammazzare.
No.
Torturare.
Questo doveva fare.
Espiare la sua colpa col sangue e il dolore.
E poi, perdersi per sempre.
Diventare vuoto.
Strapparsi astrattamente il cuore dal petto, così da non sentire più il suo battito furioso.
Perché il suo sogno era stato infranto come le ali di una farfalla di cristallo.

Dicono che un uomo diventi vecchio quando i suoi rimpianti prendono il posto dei suoi sogni.

E lui, dentro, era invecchiato fino a perdere l’uso del cuore.






“Sarà morto, Rudolph?”
“Solo svenuto, mio signore.”
Voci.
Morgan l’Assassino aprì di poco gli occhi.
Riprese coscienza di dove si trovava quando avvertì la fredda pietra sotto la sua schiena, e il corpo tutto un dolore.
Le membra erano finalmente distese, non più attanagliate da quella morsa infernale.
Aveva smesso di torturarlo, il fedele cagnolino di Xavier.
I suoi occhi cercarono la luce attraverso le ciglia.
L’ombra del sole.
La trovò.
Sottile e pallido, lo spiraglio di sole stava lentamente avanzando.
Mancava poco.
Davvero poco, e Miriana sarebbe stata perduta.
Miriana.
Cosa provava per lei?
Amore?
No.
Lui non provava più amore.
E allora perché si dava tanto da fare?
Perché non si lasciava morire?
Era tanto stanco.
Qualcosa, in lui, si era rotto.
Uno strappo su una coperta che con tanta fatica si era tenuto addosso, soffocandosi.
Una coperta che faceva male, ma che almeno lo teneva in piedi.
Ora invece…non aveva più la forza.
Combattere.
Vivere.
Sperare.
Tutto, col ricordo di Faith, era stato cancellato.
Era da tanto che non rivangava la sera della sua morte.
E ora che aveva rivissuto in sogno quel tormento, si sentiva debole, sfinito.
E poi, un rumore attirò la sua attenzione, rimbombando nella sua mente.
La vide cadere.

Plic.

Un rumore che sovrastò le voci soddisfatte di Rudolph e Xavier.
Il rumore del miracolo.
Il rumore del destino.
Proveniva da Miriana.
Una lacrima?
Il rumore di una lacrima aveva sovrastato tutti gli altri suoni, potente come rombo di tuono?
E la cosa era incredibile.
Perché a piangere…era Miriana.
La solitaria lacrima d’argento era sua.
Miriana…stava…piangendo?


“Finiscilo, Rudolph.”
“Sì, mio signore.”
Xavier sorrise, dietro Miriana, perfido e crudele.
Le sfiorò un fianco, scostandole i capelli biondi dall’orecchio.
“Non ti credevo capace di piangere.” Sussurrò, divertito. “Temi la morte, alla fine, vero, Miriana?”
“No.” sussurrò lei, rimanendo impassibile nonostante le lacrime velavano le sue guance. “No, non è per la morte che piango.”
“Non importa.” Sorrise lui, osservando il suo servitore avvicinarsi all’uomo senza esitazioni. “Perché ora Rudolph lo finirà, e tu mi darai ciò che voglio non appena il sole ti sfiorerà il lembo della gonna, fidati.”
“Te lo detto.” Sorrise lei, persa in quello strano pianto. “Piuttosto muoio sotto la tortura.”

<< Non m’importa se la voce
è stata divorata dall’urlo.
Non temo affatto di aver
ingoiato la certezza
del mio folle sentire.
Non ho più paura delle
sillabe che tagliano
le morbide labbra sanguinanti.
Ho accolto l’ombra
oscura che si stagliava
incondizionatamente
lungo la profonda
crepa dell’anima,
mostrandone le
smagliature violacee.
Ed ora eccomi
qui a danzare dentro
al cerchio perfetto,
con la vita incatenata ai polsi
di profanatori,
nell’indiscussa delizia
di questa mia contorta prigione. >>




Morgan rimase immobile quando avvertì il servo dalla maschera di ferro avvicinarsi, col bastone puntato su di lui, pronto a dargli il colpo di grazia.
Fermo, immobile, perso in quell’unica visione.
Lì, su fredda pietra, scintillava una goccia di lacrima.
Scintillante come un frammento di stella.
La sua lacrima, cadutale dalle ciglia, scivolatale dal viso, seguita da molte altre.
Lei, il mostro con il viso d’angelo, che piangeva.
Lei, la donna della notte, la libertà, la dannata.
Lei, che temeva l’ombra del sole più di qualsiasi altra creatura vivente, ma che, eppure, stava coraggiosamente sfidandola con la sua fierezza sfumata.
Un brusco spostamento d’aria.
Il bastone che si abbatteva su di lui.
Alzò di scatto il braccio, afferrando il bastone e bloccandolo con la sola forza della mano.
“CHE COSA?!”
Il caro Rudolph trasalì, sorpreso.
Il fedele cagnolino era convinto di averlo ammazzato, di aver spolpato interamente l’osso che il padrone gli aveva gettato.
Si sbagliava.
“Siamo andati avanti anche fin troppo.” Ringhiò Morgan, riuscendo ad alzarsi nonostante la pressione che il servo imprimeva sul bastone. “E’ ora che la bestia torni a cuccia.”
“NO!” gridò Rudolph, dal viso intrappolato in quella maschera di ferro per sempre. “NO! TU SEI MORTO! MORTO!!!”
“Io…” sorrise Morgan, cupamente.
Facendo forza sulle braccia, fece sollevare in alto il bastone magico al mostro.
“Non sono…”
I gomiti del servo si piegarono inevitabilmente, e il bastone puntò la sua schiena.
“MORTO!”
Appena la punta del bastone sfiorò la schiena di Rudolph, questi lanciò un grido lacerante, che ruppe il silenzio.
E, mentre si accasciava tra le braccia di Morgan, esalando gli ultimi respiri di vita, questi portò le labbra al suo orecchio, ghignando.
“E tu…puoi dire lo stesso?”
Rudolph gli si accasciò completamente, con un abbandono più forte del sonno.
Morto.
Morgan lo gettò a terra, schifato.
Quando il corpo del cadavere raggiunse quello dei due demoni, si avvertì un fragore metallico, e la maschera di ferro si ruppe.
Apparve un viso ancora più sfigurato di quello di Xavier, totalmente maciullato.
Forse ammazzandolo gli aveva fatto un favore.
“ATTENTO!”
All’improvviso, l’urlo di Morgana ruppe il silenzio creatosi.
Ma era troppo tardi.
Il suono di uno sparo riecheggiò tra quelle mura, e Morgan urlò di dolore.
Cadde in ginocchio, mentre dalla spalla usciva un fiotto di sangue.
Gemette di dolore, stringendo i denti per non urlare.
Una fitta lancinante all’arto.
Il braccio sinistro gli si atrofizzò.
Caduto a terra, riuscì a fatica a voltarsi.
Xavier era davanti a lui, la pistola in mano, fumante di morte.
“Passi per i miei fedeli demoni, in fondo hai messo fine alle loro sofferenze…ma il buon Rudolph sarà difficile sostituire…era così devoto…” mormorò, serio ma soddisfatto.
Nonostante il dolore, Morgan riuscì a trovare la forza di ghignare.
“Scusa…se non piango…” mormorò, ironico.
L’uomo gli voltò le spalle.
Morgan sfiorò la ferita, e avvertì il calore nauseabondo del suo stesso sangue, e la sua densa vischiosità.
Con la mano tastò la fibbia dei pantaloni, mentre Xavier delirava contro Miriana, estasiato dalla sua vittoria.
Il fruscio delle stoffe del mantello attirò Xavier, ma si girò troppo lentamente.
Morgan estrasse il coltello e lo lanciò con le ultime forze rimaste.
Un altro sparò riempì l’aria.
Questa volta il proiettile lo trapassò al petto.
Il sangue di Morgan colò sulle piastre, mentre questi non aveva neppure la forza per urlare.
Xavier sorrise, asciugandosi il taglio sulla guancia che il coltello gli aveva inflitto.
“Eliminare quei mostri per poi finire ucciso da una banale pallottola…che delusione, Morgan!” rise, avvicinandosi. Morgan tossì sangue e Xavier ammirò compiaciuto, pregustandosi già la sua lenta morte. “D’altronde cosa potevo aspettarmi da un bifolco con una mira così pessima?”
Quando avvertì il rumore di tacchi che scendevano le scale era troppo tardi.
Una voce lo fece raggelare.
Impallidì, e sgranò gli occhi, avvertendo una presenza terrificante dietro di lui.
“Non ha mirato a te, idiota.” Sibilò Miriana, con occhi spaventosi. “Ma alle mie corde.”
L’espressione in cui si tramutò il suo viso fu talmente brutale che anche Morgan chiuse gli occhi per non guardarla.
Vide solo di sfuggita gli occhi della dama farsi bianchi, e i canini, diventati aguzzi, affondare nel collo di Xavier con terribile ingordigia.
Avvertì l’urlo di dolore di Xavier, e le urla avvenire, ma non osò guardare.
C’era già abbastanza orrore nella sua vita, e se doveva morire, voleva farlo con la visione di Miriana, pallida e bellissima, e non del mostro in cui era trasformata.
Solo quando avvertì il tonfo del corpo dell’uomo cadere a terra riaprì le palpebre, osservando Miriana leccarsi le belle labbra, sporche del suo sangue.
“Sapore disgustoso.” Commentò lei, con voce bassa. “Ma avevo bisogno di nutrirmi…e non quel tanto che basta per lasciarlo con una temporale anemia.”
S’inginocchiò accanto a lui, sorridendo cupamente.
“Vattene…” sussurrò Morgan, con una smorfia di dolore. “…Tra poco il filo di sole si espanderà in quasi tutta la casa. La notte sta passando…”
“Manca ancora qualche minuto all’alba, più che sufficiente.” Mormorò la donna, afferrando il coltello.
I suoi canini erano tornati normali, e i suoi occhi erano i soliti diamanti freddi e affascinanti che erano sempre stati.
“Che…che cosa…?”
Miriana lo zittì, posandogli un dito sulle labbra.
I suoi occhi si fecero incredibilmente dolci, e il primo vero sorriso d’affetto le spuntò sul viso, illuminandolo in modo incredibile.
“Pensi davvero che ti lascerei morire dopo quel che hai fatto?” disse, baciandogli il capo.
Prese il pugnale, s’incise sul seno un graffio, dal quale fuoriuscì una goccia di sangue, rossa rubino.
Sorrise amaramente, al suo sgomento.
“Per tutti i tuoi simili sono io il mostro…basta la parola ‘vampiro’ e subito qualcuno tira fuori un paletto per ficcartelo nel cuore, senza nemmeno domandarsi se hai mai ammazzato qualcuno…eppure tu, pur sapendo cosa io sia, non mi hai abbandonata.”
Portò il viso di Morgan sul suo seno, inducendo le labbra dell’uomo ad assaporare il sangue del taglio.
Aveva un sapore strano, amarognolo.
“Ti faccio volentieri dono di quel che voleva quel verme. Il mio segreto. Mi ha fatto dissanguare i suoi servi pur di scoprire come diventare un vampiro immortale…”
“Era così semplice…” sospirò Morgan, chiudendo gli occhi. “Certo, bisognava saperlo…”
Voltò lo sguardo sul corpo di Xavier, dissanguato sulle scalinate.
“Cosa mi accadrà?”
“Mi dispiace.” Sussurrò lei, chiudendo gli occhi. “Era l’unico modo per salvarti.”
Vampiro.
Lo sapeva, ma non voleva crederci.
“Non esisterà posto per nessuno dei due.” Mormorò, serio.
“Io sono sopravvissuta” disse Miriana, impassibile al suo tormento. “Preferivi la morte?”
Morgan ghignò, e le sfiorò il viso con una mano tremante.
“La morte, per chi la sa amare, può essere bellissima.”
“Grazie del complimento.” Sorrise lei.
“Te lo già detto…che sei presuntuosa…?”
“Perché sei venuto?” chiese lei, seria, a tradimento. “Potevi andartene. So bene che nel tuo cuore non c’è spazio per nessun’altra donna.”
Lui chiuse gli occhi, mentre lei poggiava la sua testa sulle sue ginocchia, cullandolo in un dolce torpore.
“Non lo so…se ti amo.” Rispose, sincero, con tono piatto. “So solo…che siamo uguali, io e te. Legati…dalla stessa…solitudine.”
Lei sorrise.
“Io, vampira, non sono fatta per la compagnia.”
“Ma tra poco…vampiro lo sarò anche io.” ghignò Morgan, avvertendo il dolore diminuire. “E nella dannazione, quale compagna migliore di te?”
Lei gli sfiorò i capelli neri come ali di corvo, in una lenta carezza.
“Accetto.” Sussurrò, piano. “Neanche io so se ti amo. Ma potrò scoprirlo. Tra poco diverrai come me. Dannato.”
Morgan chiuse gli occhi.
Non aveva mai previsto un futuro del genere, nemmeno nei suoi peggiori incubi, o nei suoi migliori desideri.
La contraddizione.
Forse era quello, che reincarnava.
Amore e odio.
Faith e Miriana.
Solitudine e compagnia.
Miriana e Faith.
Felice e al contempo dannato.
Faith e Miriana.
La vampira sorrise, prevedendo i suoi pensieri.
“Vedrai, la tua nuova vita non sarà poi così male. Buona salute, giovinezza eterna…certo, non ci si fanno molti amici, bisogna stare attenti all’ombra del sole, e la dieta è un po’ monotona, ma quel che conta è che non saremo mai soli.”
Morgan sorrise.
“Miriana…secondo te…” chiese, sereno. “I vecchi…possono tornare giovani?”
Lei rimase in silenzio.
“Non lo so.” Mormorò, incerta.
Era buffa quando faceva quelle espressioni.
La rendevano più umana.
Morgan le sfiorò la mano che gli accarezzava i capelli neri.
“Hai ragione, comunque, l’importante è che non saremo mai soli.”

[ E, insieme, troveremo un nostro posto nel mondo.]


<< Io ti ho nominato regina.
Ve né di più pure di te, di più pure.

Ma tu sei la regina.

Quando vai per le strade
nessuno ti riconosce.
Nessuno vede la tua corona di cristallo, nessuno guarda
il tappeto d'oro rosso
che calpesti dove passi,
il tappeto che non esiste.

E quando t'affacci
tutti i fiumi risuonano
nel mio corpo, scuotono
il cielo le campane,
e un inno empie il mondo.

Tu sola ed io,
tu sola ed io, amor mio,
lo udiamo. >>





{[(*!FįŋĔ!*)]}

 
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