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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Fumetti e Cartoni non giapponesi
Dalla Serie: Diabolik
Titolo Fanfic: THE THIEF'S ANGEL - L'ANGELO LADRO
Genere: Sentimentale, Azione
Rating: Per Tutte le età
Avviso: What if? (E se...)
Autore: blayn galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 19/09/2007 20:19:44

E se Diabolik,tenebroso ladro solitario,incontrasse improvvisamente un angelo che gli rubi il cuore?L'inizio di Diabolik rivisto da me...
 
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-LA BAITA DEI RICORDI-
- Capitolo 1° -

-CAPITOLO 1°-
“LA BAITA DEI RICORDI”

La luna rifletteva i suoi pallidi raggi sull’asfalto argentato che si srotolava infinito lungo i fianchi dell’alta montagna rocciosa color nocciola; il vento soffiava imperioso contro la foresta e il freddo a poco a poco iniziò a scuotere le chiome degli alberi, quasi divorandole con fauci invisibili. Una Jaguar color della notte sfrecciava senza pensieri lungo quel nastro grigiastro appena illuminato dai forti abbaglianti che stendevano sulle ombre ampi archi di luce accecante; il rombare del motore era come il ruggito di una belva che dilaniava il cofano con feroci artigli, imprecando affinché fosse liberata, mentre fasci di luce argentata ferivano le fiancate luminose degli sportelli. Al suo interno una sottile musica da cocktail scivolava lasciva lungo il sedile accanto a lui, quasi volendo formare il corposo corpo di una donna che gli sedeva accanto maliziosamente. Gli occhi vitrei scivolarono rapidi sul volante scuro, mentre le mani muscolose lentamente gli facevano compiere un giro completo, per poi tornare alla posizione originaria…Il finestrino appena abbassato lasciava trapelare dei fischi acuti che il vento continuava a sputargli conto, quasi sfidandolo ad andare più veloce e a lasciarsi alle spalle quelle sirene impazzite che continuavano a disturbare la quiete di quel luogo. Una pelle olivastra venne appena sfiorata da un raggio lunare, quasi lasciandogli una cicatrice sullo zigomo scoperto, prima di tornare a stendere su di esso un velo d’ombra…La maschera scura ingoiava quel volto totalmente, lasciando trapelare solo quei sensuali occhi azzurro diamante che continuavano a fissare tranquilli l’asfalto che infinito continuava a stendersi sotto le ruote potenti della Jaguar, la quale ringhiava come cercando di fendere l’aria con artigli invisibili. La notte ora si era fatta più intensa, più tenebrosa e tutto intorno a lui si era come ricoperto di un velo scuro che gli impediva di orientarsi, lasciandolo in balia dei suoi pensieri…Uno scintillio alle sue spalle gli catturò lo sguardo, quasi gli fosse stato rapito da un tocco malizioso al quale non aveva saputo resistere. Sospirò, mentre nello specchietto vedeva riflesso quel sacco scuro abbandonato sul sedile posteriore, quasi lo stesse pregando di aprirlo e di esplorare il succoso contenuto; il cuore gli batteva ancora violento e il rumore di quelle sirene lontane gli faceva aumentare quell’insensato piacere che continuava a crescergli nel petto muscoloso. La mente era come invaghita dal desiderio di aprire quel sacco, di stringere fra le mani quel dolce nettare che gli avrebbe dato nuovo respiro, una nebbia di desiderio prese a stringergli la mente in una seducente stretta che gli strappò un battito dal cuore stanco di esplodere e la curva che gli apparve davanti lo fece trasalire tanto da sbandare con la Jaguar, frinendo con i freni e spezzando quel metallico e monotono suono delle sirene che continuavano ad alitargli sul collo. Il respiro gli morì improvvisamente nella gola arida di parole, mentre il cuore spegneva ogni tumulto, tornando a racchiudersi nel suo silenzio infernale…La Jaguar riprese tranquillamente quella corsa contro il tempo, mentre nella mente di lui, l’unico pensiero era quel sacco, quell’elisir di vita che continuava a premergli sul petto. Ancora una volta gli occhi vitrei scivolarono sullo specchietto e qualcosa lo fece tribolare, accendendo in lui un velo di passione insensata che gli fece esplodere il cuore. Dal sacco scuro qualcosa d’intensamente luminoso e vivo era scivolato fuori, accendendo il buio della macchina con uno scintillante raggio che venne come toccato avidamente dalle mani della luna, quasi fosse desiderosa di rubarglielo, ma l’oscurità era impetuosa e cacciò via quelle mani con un ringhio soffuso. Sorrise, mentre svoltava per l’ultima curva, mentre si lasciava totalmente alle spalle quel suono fastidioso che lo aveva tormentato per tutta la notte…Tornare a casa sarebbe stato troppo pericoloso, la polizia lo avrebbe seguito e la sua alcova segreta sarebbe stata messa in pericolo. Lo sguardo scivolò sul paesaggio smeraldo che gli scorreva lungo i finestrini, quasi li volessero tingere con pennellate assurdamente veloci e rapide, che lo avrebbero inghiottito non appena sarebbe sceso dall’auto…Tutto era foresta e alberi, sembrava non esserci alcuna via di fuga…
“C’è sempre qualcosa!”
Si disse, cercando di reprimere quel desiderio improvviso di spegnere i motori e lanciarsi in una corsa freneticamente soffocante, in modo da reprimere quel fastidioso vuoto che continuava a stringergli il cuore e di venire ancora avvolto da quell’adrenalina che gli annebbiava la mente, allontanandolo dai suoi tristi pensieri, infettandogli le mente con quel diabolico nettare di vita senza il quale sapeva non sarebbe sopravvissuto…Come se i diamanti non bastassero a rendere sensata quella piccola esistenza che a stento riusciva a proteggere, come se l’oro e i soldi non riuscissero a lavare via quella sensazione di solitudine che lo attanagliava allo stomaco ogni qual volta s’infilava sotto le lenzuola del suo imperiale letto a baldacchino. C’era qualcosa che continuava a fargli tribolare il cuore, qualcosa che continuava a ricoprirlo di paure ogni volta che la sua mente si affacciava su quello specchio di futuro che si era frantumato dentro di lui; qualcosa che lo tormentava, strappandogli sospiri, attimi e battiti che mai più avrebbe riavuto nella vita…Qualcosa continuava a lasciarlo solo, ad abbandonarlo a se stesso, alla sua solitudine, ai suoi pensieri, al suo passato che continuava a ritornare quando, poggiato il viso sul guanciale del cuscino, chiudeva gli occhi, convinto di poter sognare ancora. I mostri del suo passato continuavano a rispecchiarsi nei suoi occhi, occhi che non lasciavano trapelare quella tempesta di tristezza e dolore che invece continuava ad annuvolarsi nel suo animo divorato dal risentimento e dal rimorso…
“Solo…Sono solo…”
La consapevolezza di quelle parole lo abbracciò a poco a poco, rendendo il caldo e accogliente ambiente della sua Jaguar un polare e terrificante tuffo nel passato che continuava a dilaniargli la tuta nera come l’oscurità. Scosse la testa, quelle considerazioni erano troppo dolorose per poterle sopportare tutte insieme, era in balia di quel luogo sconosciuto, perso chissà dove nel nulla più insignificante e totale…Le tempie cominciarono a pulsare terribilmente, mentre la mandibola si serrava in uno scatto d’ira e le mani afferravano più forte il volante, quasi timorose che gli potesse scivolare; il sangue fluiva rapido e preciso, riempiendo quel nulla così opprimente e scacciando via, nel suo pigro scorrere, tutti quei visi che gridavano pietà e redenzione…
“Non c’è redenzione!”
Queste erano le parole che continuava a sussurrargli la sua coscienza, mentre la Jaguar imboccava un sentiero sdrucciolato, pieno di buche e polvere che leggera, cominciò ad aleggiare sicura nell’aria fredda e pungente che continuava a scivolare sui vetri, come se lo pregasse di lasciarla entrare per ripararsi da quel gelo. Gli occhi di diamante fissarono duri quel punto nero che cominciò a sorgere sul dorso della collina, quasi fosse un’enorme bocca spalancata, intorno mille e mille alberi ricoprivano quel piccolo punto illuminato appena da una fioca lampada ad olio che lentamente si faceva sempre più vicino, finchè non riuscì a distinguere la fiamma tremula minacciata dal vento. Parcheggiò la Jaguar al fianco della sua piccola baita, lasciando che il sistema di allarme si attivasse automaticamente, dopo che ebbe preso il suo sacco grondante d’oro…Le braccia muscolose si gonfiarono in quello sforzo, mentre una mano lentamente scivolava sul suo volto, liberandolo dalla stretta infernale di quella maschera scura che catturava la pallida carnagione adesso illuminata dagli spiragli di luce lunare che invadenti, filtrarono fra le fronde degli alberi…Il cuore ora taceva, quasi si fosse acquietato nel momento in cui le sue mani avevano di nuovo stretto l’oro rubato con tale avidità che le vene pulsarono vivide lungo il dorso mascherato. I capelli neri come il peccato erano pettinati indietro, lasciando intravedere i lineamenti duri e marcati di quel volto senza espressione, le guance sottili e i piccoli occhi vitrei fissi sulla baita…Solo le labbra sottilmente carnose, vivide come il cuore del fuoco, si aprirono in un sottile sorriso mesto, quando il pensiero di averla fatta franca anche questa volta gli accarezzò la mente con un lascivo sussurro. Strinse il sacco e salì le poche scale che lo avrebbero portato alla porta in legno blindata, salvaguardata da innumerevoli sistemi di sicurezza, apparentemente nascosti; una mano scivolò sul corrimano in quercia e la sensazione che avvertì sotto i polpastrelli possenti quasi lo invaghì, mentre un pensiero strisciava nella bocca della sua mente…
“Casa…”
Era quella la sua vera casa, la casa in cui era cresciuto, in cui aveva imparato a vivere, in cui aveva scoperto quello che era, in cui mille volte si era perso nella passione dei suoi tesori vivendo attimo dopo attimo stretto a quel materialismo che gli dava alla testa. Sentì il cuore chiudersi in una parete di ghiaccio, trattenendo tutte quelle emozioni, quelle gioia incontenibile che si scatenava in lui ogni qual volta riviveva quell’infanzia del tutto priva di problemi…Scosse la testa, come desiderasse sciogliersi dal dolce abbraccio in cui il passato l’aveva coinvolto, scacciando via quelle calde e accoglienti braccia che tornarono esiliate nel buio del suo presente, così losco e tenebroso come quel futuro impossibile che continuava a stringersi al suo cuore, schiacciandolo nel vano tentativo d’interrompere quello scorrere fluido di macchie nere sulle pagine bianche della sua vita. Respirò piano, trattenendo appena un gemito di pura felicità quando intravide tra il legno della porta quel vecchio taglio che aveva inciso con il suo primo pugnale…Si sentì rapire l’animo da quel ricordo così fugacemente sfumato, quasi come ogni cosa in quella vecchia e desolata baita lo riportasse indietro di anni, cercando di farlo rimanere per sempre fra quelle mura.
“Un desiderio irrealizzabile…Solo il passato può vivere nei ricordi, io posso solo abbandonarmi al vuoto del mio futuro…”
Le parole avevano sempre quel tono malinconico che gli straziava il cuore, quasi non volessero mai smettere di fargli pesare quel triste pensiero che mai aveva lasciato il suo corpo, annidandosi nel residuo vuoto e riempiendo quel sottile nulla. Sospirò ancora, mentre abbandonava il sacco in una piccola alcova nel muro, poi si diresse al divano con insolita stanchezza, richiudendosi la porta alle spalle, e si abbandonò nel suo caldo abbraccio pieno di conforto, forse l’unico in grado di soffocare tutti quegl’insopportabili ricordi…Ruotò gli occhi lungo la parete legnosa e sentì come il respiro di quel muro infrangersi nella quiete della foresta che lo circondava, mentre lo scoppiettare perenne di un fuoco artificiale continuava a spegnersi nel silenzio, lanciando di tanto in tanto una scintilla incandescente che precipitava dritta nella bocca delle fiamme. Il freddo invernale era respinto da quelle piacevoli lingue infuocate che continuavano a fischiare nell’antro del caminetto scarlatto, dove una calza natalizia continuava a penzolare vivacemente, avvolta da una dolce pelliccia biancastra che scorreva lungo tutta la stoffa formando delle lettere appena leggibili...
“Walter…”
Quel nome scivolò bugiardo e disgustoso dalle labbra della sua mente, quasi fossero sdegnate dal quel falso nome. Lui non era Walter, lui non era quell’uomo che seguitava a fingere di essere, era un ladro, un malvivente che continuava a vivere con i soldi degli altri, che continuava la sua stupida esistenza correndo appresso ad un sogno inesistente, quasi creato dalla sua mente solo per dare un motivo alla sua presenza su quel pianeta…Clerville gli sembrava così maledettamente opprimente come luogo, le tenebre, i vicoli, le case…Tutto gli era famigliare, come un cieco che conosce alla perfezione l’ambiente in cui vive, lui poteva sentire la città, poteva…Avvertire ogni pulsazione, ogni movimento losco, ogni profumo di denaro sporco. Era come una mania per lui quel posto, non lo abbandonava mai perché sempre era costretto a tornare lì, come Walter Dorian, lo stupido riccone anonimo che faceva gola alle bocche dei meno potenti….Lui non era tutto questo, lui non era una belva da tenere in gabbia, lui non era la tigre catturata nel villaggio…Lui era una pantera, era eleganza e perfezione, strategia e bellezza, precisione e impeccabilità…Lui era Diabolik, il terrore di ogni tesoro, abile tecnico e preciso cecchino...Il Re del Terrore. Lui era tutto questo, lui era più cose messe insieme, viveva una doppia vita….Una vita di solitudine che mai sarebbe riuscita a riempire, poiché non conosceva il nucleo di tutta quella malinconia, di quel dolore interiore. Qualcosa mancava, lo sentiva, qualcosa di grande e importante, ma no riusciva a cogliere cosa fosse; come ad una rosa a cui mancassero le spine lui si sentiva del tutto nudo, inutile senza quel pezzo di sé che aveva perso. Chiuse gli occhi e il respiro scivolò rapido dalle labbra sottilmente carnose, sgonfiando quel petto pieno d’orgoglio rattoppato, mentre il cuore prendeva a battere man mano più forte, quando il buio dei suoi pensieri ebbe il sopravvento, schiacciandogli il volto quasi volendolo soffocare con le mani invisibili del passato…Si svegliò di soprassalto, la notte filtrava ancora profonda dagli spifferi delle finestre anti-proiettile, chiuse da tendine di bambù intonate con l’ambiente circostante, mentre la sua coscienza lentamente scivolò nella coscienza, lasciando che una domanda affiorasse spontanea…
“Dormi ancora con la luce accesa?”
La sua voce era come agghiacciante, quasi fosse la voce di un uomo che vivesse dentro di lui con prepotente insistenza, tormentandolo e lasciando che la sottile paura per il suo passato risalisse lungo la schiena. Si alzò e la sua ombra si proiettò rapida sul pavimento in legno, ricoperto da uno strato lucido sfiorato dalle mani argentate di quella luna che aspettava solo di vederlo dormire per entrare nei suoi sogni e torturare quel suo già vacillante animo; i passi risuonarono appena, echeggiando in quel pesante silenzio come il fruscio di una piuma nel vento, mentre i muscoli s’irrigidivano sotto lo sforzo di quel respiro divenuto improvvisamente flebile e di calmare i battiti del suo cuore, rallentando ogni secondo…Gli occhi di cristallo scivolarono su quella porta socchiusa, ai confini delle mani della luna, là dove a lei era proibito entrare e dove rimanevano i suoi incubi, come intrappolati su quella magica soglia verso il nulla dove poteva finalmente rilassare corpo e mente senza che pensieri o stupidi incubi gli tormentassero l’animo. Stinse il pomello d’ottone e fu come essere attraversato improvvisamente da un lampo che si scaricò lungo le gambe, disperdendosi in quell’immensità del pavimento lucido, fu allora che tutto scomparve e si sentì realmente libero da tutto quel continuo soffrire, pensare, ricordare…Quando aprì la porta ed entrò nella stanza uno spiffero di aria viziata gli scompigliò appena i capelli corvini, accarezzandoli caldamente, prima di accoglierlo nel vuoto di quella stanza buia e tenebrosa. Si sdraiò sul morbido letto, ampio nella sua delicata copertura di soffici lenzuola bianche, appena scurite dalle braccia dell’oscurità tese su quel guanciale così invitante. Chiuse appena gli occhi, portandosi le lenzuola all’altezza della vita e respirando lentamente quell’aria fresca che filtrava dalla finestra socchiusa, appena nascosta dalle tende biancastre che sventolavano dolcemente, spinte da quelle mani gelide dell’autunno che continuava a forzare quel pomello desiderando di travolgerlo con quella marea di ricordi opprimenti. Il petto si gonfiò, mettendo in risalto quei muscoli scolpititi che olivastri apparivano alla fioca luce della luna, appena toccati dal fioco respiro di quella notte senza tempo…
“Senza tempo…Senza nome…Senza ricordo…Solo un’ombra che sfugge nel cielo…”
Quelle parole spesso affioravano quasi sconosciute e improbabili alla sua mente, tormentandolo con significati nascosti, quasi dentro di sé celasse lo spirito di un uomo che non rispecchiava ciò che era…
“E’ Walter, è lui quell’uomo che vive dentro di me, che mi tormenta, che mi sussurra…”
Aprì gli occhi, adocchiando quel luogo silenzioso che lo abbracciava nella sua immensa solitudine. Si sentiva improvvisamente osservato, fissato da un uomo che non conosceva, ma che conosceva lui e seguiva ogni sua mossa, stanandolo in ogni momento…Non era solo, la sua metà lentamente stava riemergendo da quel velo di oscurità in cui era riuscito a segregarla ed ora temeva quell’esplosione improvvisa che lo avrebbe ucciso dentro…Chiuse gli occhi a forza, costringendosi a non pensare a nulla, mentre l’ululare del vento si andava sfumando lentamente fra le pareti sporche di ricordi…


 
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