Da quando gli uomini che abitavano il villaggio avevano memoria, ogni anno una ninfa scendeva dalla montagna. Tutto ciò si ripeteva il 21 marzo...
Conclusa: Sì
Fanfiction pubblicata il 17/09/2007 00:25:39
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Salve a tutti! Questa è una piccola one - shot che mi è venuta in mente mentre disegnavo un personaggio per un contest XP
Ultimamente mi capita spesso di immaginare la storia dei personaggi che creo e dato che questa mi sembrava carina (nella mia testa XD) provo a buttarla giù.. Diciamo che è una specie di favola triste (triste nel senso che fa abbastanza pena n_n)
buona lettura comunque…: D </i>
Da quando gli uomini che abitavano il villaggio avevano memoria, ogni anno una ninfa scendeva dalla montagna. Tutto ciò si ripeteva il 21 marzo, a mezzo giorno. La splendida creatura, figlia del benevolo dio della montagna, portava con se una grande oncia (essi si stupivano sempre di quando la giovinetta fosse forte) contenente l’acqua purissima che scaturiva dal cuore delle alpi. Quell’acqua non solo era in grado di curare ogni malattia, ma prolungava la vita e rinvigoriva i vecchi del villaggio. Erano quasi 100 anni che non moriva nessuno in quel luogo incantato. Quando veniva sera una grande cavalla color oro scendeva dai mondi e recuperava la giovane.
I contadini, soprattutto i bambini, la accoglievano festosi portando della biada e del fieno, accarezzando la sua lunga criniera brillante come i raggi del sole.
Gli uomini conoscevano la casa del dio, della ninfa e dell’animale ma si vedevano bene dal disturbarli se non in casi gravi. La ninfa non aveva mai risposto no ad una richiesta di aiuto, molti degli abitanti avevano la vita salva grazie al suo efficace intervento.
La vita trascorreva tranquillamente, nonostante i pochi averi gli uomini tutti erano felici e vivevano nella pace fraterna.
Purtroppo, un funesto giorno d’autunno, un re maligno si impossessò della terra e delle montagne.
“il vostro villaggio appartiene a me!”
tuonò, dinnanzi ai poveri contadini spaventati
“da adesso in poi ogni anno dovrete pagare dei tributi, metà del vostro raccolto spetta al sottoscritto!”
Il capo del villaggio dovette accettare il terribile ordine del sovrano, cosa potevano fare loro, dei poveretti, contro un esercito ben addestrato?
Passarono molti anni e la situazione dei contadini peggiorava di giorno in giorno. Con i tributi destinati al re non erano diventati più poveri, perché l’acqua della montagna sgorgava generosa e assicurava un buon raccolto per tutti. Vedere il re ricco e felice, con una grande casa e tanti servitori, aveva però avvelenato i cuori dei contadini con una terribile malattia: l’invidia.
“non si può andare avanti così!”
ringhiò il macellaio, mentre faceva a pezzi un vecchio maiale
“quel porco del re annega nei nostri soldi! E noi moriamo di fame”
aggiunse infilzando il coltello nel tavolo
“abbassa la voce!”
lo riprese svelta la moglie
“se ti sentono le guardie verrai impiccato, come farò a badare ai nostri figli senza di te?e poi guarda il calendario, domani è il 21 marzo!”
Ci furono molti bisbigli tra gli abitanti, forse la ninfa avrebbe potuto aiutarli… in fondo, lei era sempre stata così cortese con loro.
Il giorno arrivò, e lei, puntualissima, scese dalla montagna con l’anfora. Si stupì nel vedere una grande folla attenderla, ma soprattutto ebbe paura dei loro sguardi. Lei non comprendeva il linguaggio degli uomini, ma riusciva a sbirciare nei loro cuori. Qualcosa li rendeva scuri.
Si fermò a pochi passi dal capo villaggio, stringendo l’anfora come per usarla come scudo.
“ci puoi aiutare?”
gli disse lui. Lei rimase in silenzio fissandolo
“ci hai aiutati fino ad ora con la tua acqua, ma ora abbiamo bisogno di denaro, oro!”
lei scosse la testa, <i>non capiva</i>. Gli sguardi degli abitanti si facevano più scuri
“non ci vuole aiutare!”
gridò la moglie del mugnaio
“scommetto che vuole tenere tutte le ricchezze per se!”
strillò il banchiere, che ormai custodiva solo qualche vecchio bottone.
Lei si voltò e fece per fuggire, ma il capo villaggio la afferrò per un braccio e lei, perdendo l’equilibrio, cadde e rovesciò l’acqua. Il prezioso liquido però, essendo stato contaminato dalla avarizia degli uomini, si era tramutata in veleno nero.
Gli agricoltori si infuriarono
“è una strega! Voleva avvelenarci tutti”
urlarono
“voleva ucciderci e prendere quel poco che ci resta!”
si unirono altri, corrosi dall’odio
alcuni uomini la afferrarono per le braccia e la trascinarono nella piazza, fu bruciata viva senza pietà.
La cavalla d’oro, come ad ogni sera, andò per recuperarla. Il villaggio era deserto, tutti gli uomini si erano barricati nelle capanne, chiusi nella loro cieca disperazione.
Lei trottò per le case, fiutando l’odore della sua padrona. Le sue orecchie si muovevano freneticamente e destra e sinistra, avvertiva che qualcosa non andava. Sentiva nell’aria la morte, la tristezza, la rabbia. Sentimenti che da quasi cento anni non frequentavano quel luogo. Raggiunse la piazza e la vide, un brandello della veste si era salvato al fuoco. Si avvicinò, strusciando il naso sul quell’unico frammento rimasto. L’ultimo segno dell’esistenza di quella creatura. Lo prese tra i denti, galoppò via, veloce come il vento di una tempesta.
Il dio della montagna fu straziato dal dolore quando seppe cosa era accaduto leggendo negli occhi della cavalla.
“maledetti!”
la terrà tremò
“come hanno potuto fare questo?”
il cielo tremò
“la pagheranno cara! Fino ad ora li abbiamo protetti e loro come ci ripagano?”
la cavalla nitrì piano abbassando lo sguardo, anche il suo cuore si era fratturato e un vento freddo era entrato in lei.
Il dio della montagna fu commosso da tanto dolore e tanta fedeltà. Egli decise di sigillare il cuore della puledra in una coltre di ghiaccio in modo che la frattura non le spezzasse il cuore definitivamente, uccidendola. Il manto d’oro della bestiola si trasformò in azzurro gelido, le lacrime che aveva versato per la padrona si trasformarono in piccole gemme di ghiaccio e svanirono.
“da oggi veglierai su questo luogo sacro”
le disse
“soltanto gli uomini dal cuore puro potranno accedere alla fonte, gli altri dovranno essere fermati. Per questo avrai bisogno di forza e velocità”
Un semplice gesto e la coda della animale si trasformò in quella di uno scorpione, altre quattro zampe si aggiunsero alle presenti.
Gli uomini del villaggio, quando giunse l’inverno provarono a implorare pietà al dio. Una dopo l’altro stravano morendo di stenti e di fame. Nel loro cuore, però, l’avarizia e l’egoismo regnava ancora. Ognuno di loro pensava soltanto a se stesso, non si aiutavano tra loro. Addirittura alcuni si erano uccisi per rubare quel poco pane che restava.
Lo scorpione di ghiaccio aveva seccamente bloccato l’accesso ad ognuno di loro, uccidendone alcuni.
Erano passati 400 anni da quando lo scorpione di ghiaccio vegliava sulla fonte, nessun umano era ancora riuscito ad ottenere il permesso di accedere alla fonte. La vecchia storia della ninfa era stata dimenticata, e con essa la storia dello scorpione di ghiaccio e del dio della montagna.
Si vociferavano ancora delle leggende al riguardo, ma erano solo vecchie storie, storielle da raccontare ai bambini prima che andassero a dormire e nulla di più.
Alcuni bimbi, i più buoni, sentono durante le notti in cui nevica il pianto silenzioso della cavalla, che riesce a raggiungere il loro cuore nonostante il ghiaccio. Quelli allora sgattaiolano in fretta fuori dai letti e le lasciano sul retro un po' di biada per consolarla e farla sentire meno sola. La mattina la biada è sempre sparita, e se il bambino la sera prima aveva un po' di raffreddore il giorno dopo era sempre guarito.
Lei resterà sempre al suo posto, e veglierà al suo tesoro. Aspettando per l'eternità qualcuno degno di varcare la soglia della fonte sacra.