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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Persone famose e TV
Dalla Serie: Tokio Hotel
Titolo Fanfic: SOLO CON TE...INSIEME
Genere: Sentimentale
Rating: Per Tutte le età
Avviso: One Shot
Autore: crazyreds galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 04/09/2007 12:33:38

La mia prima twincest...la dedico alla mia monella sperando che tu possa stare meglio...
 
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UNICO
- Capitolo 1° -

Salve questa è la mia prima twincest su Bill e Tom, chiedo scusa per eventuali errori di battitura e di grammatica,ma l'ho scritta ieri notte alle 3.20 e se la rileggo va a finire che la cambio tutta. Spero vi piaccia...Se volete lasciare qualche commento sarei più che felice di leggerli.

Credo proprio che tra poco pioverà…il cielo è così scuro che non sembra nemmeno pomeriggio…le nuvole plumbee sembrano riflettere il colore che ha assunto il mio cuore…nero … I miei occhi si posano su Magderburg, lì fuori tutto procede come se nulla fosse, il tempo scorre come sempre,tutti ripetono le stesse azioni, vivono tranquillamente la loro semplice vita,quello che io non riesco più a fare da due anni. Osservo il mio riflesso sulla finestra e sorrido amaramente, mi fa male anche questo semplice gesto,perché guardando il mio viso rivedo il tuo… Te lo ricordi Tom? Avevamo scelto questa casa insieme per poter stare più vicini ai nostri genitori ma nel contempo essere finalmente liberi… Quando mi avevi proposto di vivere insieme ti ero saltato addosso ed eravamo finiti a terra entrambe, scoppiando poi a ridere. Mi sembrava tutto così irreale, avevamo vissuto nella stessa casa per 18 anni,questo è vero, ma sarebbe stato tutto diverso, io e te da soli, io e te a sostenerci l’un l’altro…a badare l’ uno all’altro… Ricordo ancora che Gustav aveva previsto il crollo della casa dopo una sola settimana, tu avevi riso dicendo che l’unica cosa che si sarebbe rotta sarebbe stato il tuo letto,ma solo perché lo avresti sfruttato al massimo, io ti avevo apostrofato con un “cretino” , avevi sempre e solo il sesso in testa, il tuo chiodo fisso, forse il secondo, prima c’era la musica. Ancora ricordo la prima volta che avevi preso una chitarra fra le mani, sembravi così piccolo da far tenerezza…ma quando Gordon ti aveva insegnato i primi accordi passavi pomeriggi interi a rifarli, a migliorarli, a crearne di nuovi. In poco tempo eri migliorato tantissimo, strimpellavi per casa le canzoni preferite dalla mamma e io ti venivo dietro cantandole. I nostri primi concerti…davanti ai nonni,agli zii, a quegli stupidi dei nostri cugini che ci prendevano in giro, ma a noi non importava, stavamo facendo qualcosa che entrambi amavamo, qualcosa che ci univa ancora di più, che consolidava il nostro legame. Da lì era stato un crescendo, le nostre serate nei pub, il nostro incontro con Gustav e Georg, il primo album, il primo vero concerto, il bagno di folla, era tutto così irreale. “Questa è la vita che ho sempre sognato” mi avevi detto appena finito un concerto, io ti avevo sorriso esausto,ma felice. Quella sera avevamo festeggiato in albergo, tu poi eri improvvisamente sparito, Georg e Gustav ridacchiavano ipotizzando una tua scappatella con una delle fan, io avevo sentito una morsa allo stomaco,ma non capivo cos’era, forse ero troppo giovane, forse troppo ingenuo. Ricordo che eri tornato due ore dopo, la faccia soddisfatta e un fastidioso sorrisetto compiaciuto che ti andava da un orecchio all’altro, ci avevi raccontato le tue mirabolanti avventure, io ero corso in bagno, avrei voluto piangere,lo sai? Tu eri venuto da me,bussando come un ossesso contro la porta, chiedendomi se stavo male,se avevo bisogno di un dottore…Si Tom,stavo male…ma un dottore non avrebbe potuto curarmi… Mi ero ripromesso di smetterla con quelle assurdità, io e te eravamo fratelli…gemelli… e quello che provavo io era qualcosa di sbagliato, qualcosa che nessuno avrebbe mai dovuto sapere…era sbagliato… Non ero quello che tutti a scuola continuavano a ripetermi…umiliandomi…facendomi versare tante lacrime… Tu mi davi dello stupido, della femminuccia…ma poi tornavi a casa sempre con qualche nuovo livido, con qualche nuovo taglio… Li picchiavi…il tuo fratellino era intoccabile, se qualcuno mi faceva qualcosa allora tu ti sentivi toccato in prima persona perché io e te eravamo una cosa unica, una sola anima in due corpi. Io stringevo con le mie piccole mani le tue enormi felpe, promettendoti che sarei diventato più forte,che non avrei dato più peso a quello che gli altri dicevano su di me, tu mi avevi sorriso…un sorriso dolce… di quelli che riservavi solo a me. Con il tempo avevo imparato a mettere a tacere il mio cuore, perché non volevo rovinare il nostro rapporto, perché a te ci tenevo troppo, perché avevo paura che questa cosa avrebbe potuto allontanarci…quanto sono stato idiota,vero? Mi sembra di sentirtelo dire in questo momento, la tua voce mi rimbomba nelle orecchie,come un continuo ronzio…ma io non voglio che smetta, perché mi resta solo questo…il ricordo della tua voce… Una morsa continua ad attanagliarmi lo stomaco, facendomi star male, è la punizione che mi merito dopo averti detto quelle parole, in quel momento non sono stato forte…sono tornato quel bambino insicuro che piangeva nei bagni della scuola…Ho rovinato tutto, è proprio vero…alle volte le parole fanno più male di un cazzotto, quella sera avrei preferito ricevere un cazzotto in piena pancia piuttosto che sentire la tua voce tremante. Tutto è cominciato durante il concerto, stava andando tutto alla grande come al solito, noi eravamo carichissimi, il pubblico era strepitoso, forse è stato uno dei nostri migliori concerti. In scaletta era prevista “In die nacht”, la nostra canzone… Le luci si erano spente, sul palco e sul pubblico erano calate le tenebre, solo un faro illuminava noi due, tu eri seduto sullo sgabello, tenevi fra le mani proprio quella chitarra, la prima che Gordon ti aveva regalato. Le note erano basse, ricordo che sulle braccia mi era comparsa una leggera pelle d’oca. Le parole erano uscite spontanee dalle mie labbra, avevo cantato tutta la canzone guardando solo te, non mi importava del pubblico, in quel momento c’eravamo solo io e te. Una lacrima era sfuggita al mio controllo, scivolandomi sulla guancia per infrangersi poi sul palco. Tu avevi sollevato lo sguardo su di me,pochi secondi, e mi avevi sorriso, un sorriso che mi aveva sciolto il cuore, un sorriso che mi aveva fatto sentire le farfalle nello stomaco. Quando anche l’ultima nota si era spenta ti eri alzato dallo sgabello e mi avevi abbracciato, il pubblico era andato in delirio. Io avevo nascosto il viso contro il tuo collo, non volevo piangere. Finito il concerto eravamo tornati in albergo, i festeggiamenti erano durati fino alle 4, Saki era venuto con tanto di pigiama a dirci di smetterla,che quello non era un parco di divertimenti. Tu, Georg e Gustav eravate andati via fra le risate, avrei voluto bloccarti,ma non ce ne fu bisogno. Dopo soli 5 minuti eri tornato da me, avevi un’espressione tranquilla in viso, io, con la maglietta in mano, ti avevo invitato ad entrare. Ti eri accomodato sul letto,anzi ci eri saltato direttamente sopra e avevi cominciato a parlarmi del concerto, di quanto eri stato grandioso e altri vaneggi sulle tue brillanti performance. Io ero rimasto in piedi davanti a te e ti sorridevo divertito, quasi prendendoti in giro. Tu ti eri alzato di scatto e avevi cominciato a farmi il solletico, ero arrivato a supplicarti di smetterla. Allora ti eri bloccato all’ improvviso, imprigionandomi i polsi fra le tue mani e tutto era accaduto nel giro di pochi secondi. Avevo sentito le tue labbra contro le mie, in quel momento il mio cervello si era svuotato, incapace di pensare. Avevo sentito una scossa lungo tutta la schiena quando la punta della tua lingua aveva sfiorato il mio labbro inferiore,invitandolo a dischiudersi. Un gesto automatico, un gesto che il mio cervello sembrava già preparato a fare. Avevo stretto la tua felpa fra le mani,proprio come da bambino. Avevo l’impressione che il tempo si fosse fermato, che i secondi, i minuti, le ore avessero smesso di scivolare via veloci, mi trovavo in un mondo diverso, un mondo perfetto. Avevamo passato la notte insieme, sfiorandoci, cercando di trattenere i gemiti. Ci eravamo poi sdraiati l'uno accanto all’altro, anche se la stanza era scarsamente illuminata vedevo i suoi occhi che mi scrutavano,che mi osservavano con uno sguardo diverso dal solito, ancora oggi non sarei in grado di spiegarlo…un sacco di emozioni che si intrecciavano… Solo in quel momento il mio cervello sembrava essersi messo in moto, avrei preferito mille volte non averlo… Mi ero alzato di scatto, lo sguardo che fissavano il lenzuolo bianco che copriva il mio ventre altrimenti nudo, gli echi del passato sembravano riemergere,facendomi annegare in quel mare di cattiverie…gay…era questa la parola che mi rimbombava in ogni angolo del corpo…la parola con cui ero sempre stato apostrofato da bambino, per la quale avevo pianto tutte le notti…no io non lo ero…non potevo esserlo…avevo fatto tanto in quegli anni per evitare che la gente potesse pensare che io fossi omosessuale…non lo ero…NON LO ERO… Avevo sentito la tua mano sfiorarmi il braccio, un moto di rabbia mi era salito dallo stomaco, avevo spezzato quel leggero legame colpendoti. “Non toccarmi” ti avevo urlato contro, mi ero poi liberato dalle coperte che mi si erano attorcigliate attorno alle gambe e avevo cercato i miei boxer,abbandonati ai piedi del letto. “Bill che ti succede?” la tua voce era stata come un cazzotto allo stomaco, il tono lieve, con una nota quasi tenera, mi osservavi, i tuoi occhi castani mi scrutavano apprensivi, cosa avevi provato in quel momento Tom? Paura? Paura di aver fatto qualcosa di sbagliato, di aver rovinato tutto? Non sei stato tu…qui l’unico coglione sono io…io che ho lasciato andar via la persona più importante della mia vita…la metà della mia anima. Mi ero rivestito in fretta ed ero entrato nel bagno,bagnandomi la faccia. Tu eri apparso poco dopo sulla soglia della porta,già rivestito per metà. “Bill cos’hai?” mi ero voltato di scatto verso di te, se avessi visto la mia faccia in quel momento mi sarei sputato addosso da solo. “Vattene” ti avevo detto fra i denti. “Ma cosa…”avevi provato a dire,ma io ti avevo fatto uscire dal bagno con uno spintone,poi un altro, ed un altro ancora. “Vattene ti ho detto,vattene! Io non sono gay,cazzo! Perché mi hai fatto questo?dimmelo! non ti è bastato quello che ho dovuto passare da bambino? Cosa credevi di ottenere? Eh Tom? Un’altra notte di sesso? Volevi vivere qualche nuova esperienza? Io non sono un frocio, non sono la puttanella che puoi usare in assenza delle tue amichette, non ti azzardare mai più a mettermi un dito addosso o ti riempio di cazzotti” Che stupido vero?e non pensavo una sola cosa di quello che ti ho sputato in faccia,nulla… Tu eri rimasto pietrificato dalle mie parole, gli occhi ti erano diventati leggermente lucidi, avevi aperto e chiuso la bocca un paio di volte,ma nessun suono era venuto fuori. “Mi fa schifo pensare a quello che ho appena fatto, schifo! Dio quanto sono stato coglione,avrei dovuto prenderti a calci non appena ti sei avvicinato,se tu hai strane tendenze represse io non sono la sgualdrina su cui le devi sfogare,faresti meglio ad andartene perché la tua vista mi nausea” Ti avevo dato le spalle, non avrei dovuto farlo perché solo guardando il tuo viso mi sarei picchiato da solo, lo sguardo mortificato che ti rendeva terribilmente dolce. “Io…me ne vado…” La tua voce aveva tremato. ”E da 20 minuti che io te lo sto ripetendo” se realmente avessi capito le tue parole ti sarei corso dietro dopo aver sentito la porta chiudersi.
Non avevo chiuso occhio, mi rigiravo nel letto dove ancora si sentiva il tuo profumo. Avevo buttato le federe e le coperte dentro alla vasca ed ero rimasto sul materasso spoglio. Ti sarei dovuto correre dietro anche in quel momento, forse sarei arrivato in tempo, forse ti avrei impedito di salire su quel taxi che ti allontanava per sempre da me. Il mattino a colazione non ti eri fatto vivo, Gustav e Georg mi avevano chiesto tue notizie,ma io avevo risposto parecchio scazzato che non ero la tua balia. Saki mi aveva poi costretto a salire in camera tua. Io avevo bussato una volta,due,alla terza avevo abbassato la maniglia,trovando la porta aperta. La stanza era perfettamente in ordine, il letto ancora fatto, ogni soprammobile al suo posto, sembrava che lì dentro non ci fosse entrato nessuno. D’impulso corsi ad aprire l’armadio, vuoto… Le valigie erano scomparse, nessuno dei tuoi vestiti era appeso. Te n’eri andato, te n'eri andato veramente e non sapevo che sarebbe durato così tanto. Nei giorni seguenti avevamo provato a contattarti,ma sembravi sparito nel nulla. Io sono ancora qui che ti aspetto,davanti a questa finestra. Se potessi tornare indietro a quella notte ti avrei stretto a me,sussurrandoti quello che tenevo nascosto da anni nel mio cuore. Purtroppo le cose non vanno mai a finire come nelle favole che le mamme raccontano ai figli per farli addormentare, non ci sono lieti fini, nessun e vissero felici e contenti, la vita ti riserva amare sorprese, ti porta via quello che non ti meriti. Io resterò comunque qui ad aspettarti,nella speranza di vederti entrare da quella porta, nella speranza di poterti riabbracciare e stare nuovamente con te… solo con te…insieme.


 
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