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Categoria: Libri e Film (da libri)
Dalla Serie: Harry Potter
Titolo Fanfic: RICORDANDO ALYSSENDA
Genere: Sentimentale, Drammatico, Introspettivo
Rating: Per Tutte le età
Avviso: One Shot
Autore: chary galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 30/07/2007 12:14:17

Rodolphus in fuga. Arriva a chiedere la morte alla donna che, prima di Bellatrix, l'aveva amato da morire... commentatemi!!
 
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RICORDANDO ALYSSENDA
- Capitolo 1° -

RICORDANDO ALYSSENDA

“Una donna mi amava, una volta.
Prima di Bellatrix, prima di mia moglie.
Prima dell’Oscuro Signore.
Prima di ogni cosa.
Quando ancora ero un diciassettenne esuberante e pieno di sé, uno che poteva pretendere tutto dalla vita senza neppure darle un bacio di ringraziamento.
Lei era una ragazza senza pretese, con i capelli mori e gli occhi color oro. Una ragazza silenziosa, che passeggiava per i corridoi su tacchi troppo alti per lei, avvolta da una mantella lilla, che aveva sempre lo stesso profumo di glicine e di edera.
Una volta mi disse che, nel giardino di sua madre, le piante si erano abbracciate talmente strette che ogni cosa oramai era pervasa dal loro profumo, dalla loro felicità, dalla forza che attingevano dalla completezza di essere assieme, una stretta all’altra. Diceva che era così che doveva essere l’amore, secondo lei.
Alyssenda, si chiamava, Alyssenda Vane, con gli occhi d’oro e le labbra bianche, con la pelle di porcellana e quella piccola viola nera tatuata sulla spalla.
Oggi come oltre vent’anni or sono, me la ricordo, perché lei era indimenticabile, perché era stata splendida, ogni suo gesto era stato semplicemente perfetto. Il dito affusolato che pareva nascondersi fra le pagine dei libri, e che poi ricompariva per un istante mentre la pagina veniva voltata.
Quegli occhi in perenne movimento, che avevano il colore della sabbia, non quello del sole, non avevano quella luce, quel puro splendore. Erano densi, ti intrappolavano nelle loro recondite profondità, e poi tornavano loro, gli occhi dorati, gelidi come metallo e splendidi come l’oro.
Ricorderò sempre la nostra ultima conversazione, mentre io ero in fuga e lei era una bella donna affaccendata di fronte ad un bollitore elettrico.
- Ciao, Rodolphus.- mi salutò, con voce atona, con voce bassa e gentile, con quella sua voce che poteva voler dire tutto e che spesso non voleva dire nulla
- Ciao, Alyssenda.- le risposi, fissandole il nodo del grembiule. La semplicità dei suoi gesti, la bellezza del suo corpo snello, quell’eterno profumo di glicine ed edera. La pallida e gentile Alyssenda, che di normale non aveva nulla e che non aveva nulla di eccezionale. Alyssenda Vane, che aveva vissuto quegli ultimi anni rintanata in un angolo buio della mia mente, a ricamare un’immaginaria tela di Penelope in attesa del mio ritorno.
- Cosa succede, Rodolphus?- chiese a bruciapelo, voltandosi di scatto, gli occhi d’oro scuro profondi come non mai – cosa succede? Che terribile malinteso ti ha reso un ricercato?-
- Non ci sono malintesi, Alyssenda.-
- Lo sapevo.- sospirò lei, passandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio – sapevo tutto questa quasi prima che accadesse. Te lo leggevo negli occhi, che saresti stato con lui. Altrimenti, che posso dirti, non avresti scelto lei.- tenni alto lo sguardo
- Niente affatto. Io amo mia moglie.-
- Lei era affascinante e tenebrosa, troppo bella per quasi tutti i nostri coetanei, troppo pericolosa per quelli che rimanevano. Ma tu hai voluto averla, Lestrange, stringertela al petto e sussurrare che l’amavi per davvero.- fece una smorfia – non importa. Non sei qui per implorare il mio perdono, immagino.- la fissai mentre versava il the con gesti misurati e lenti.
Il vapore si alzò dalla tazza, e parve rimanere nell’aria per ore intere, prima che io potessi di nuovo parlare con quella che sarebbe potuta essere la donna della mia vita.
- Uccidimi, Alyssenda.- sussurrai la mia richiesta, terrorizzato da ciò che sottintendeva, sentendomi profondamente ingiusto per la scelta che le imponevo. Povera, dolce, gentile Alyssenda.
- Ucciderti, Rodolphus? Tu non sai quante persone sarebbero più felici di me a ricevere questa proposta.-
- Questa supplica.- la corressi. Silenziosa come un’ombra, Alyssenda si sedette sulla sedia a dondolo, scolpita con motivi floreali, con motivi semplici e senza pretese com’era lei.
- Se è una supplica, Rodolphus Lestrange… allora non posso davvero ignorarla.- sorrise mestamente, passandosi le mani fra i capelli, disciplinandosi quella chioma così mora, così bella.
Si alzò, si risedette, si alzò di nuovo ed estrasse dal cassetto della cucina un coltello
Si avvicinò a me, poi scosse la testa
- No, non credo che questo sia adatto a te, Rodolphus Lestrange.- mormorò, andando a riporre l’attrezzo da cucina. – torno subito.- mi rassicurò dopo, uscendo dalla stanza.
Rimasi immobile in quella grande camera vuota. Il fuoco nel camino andava morendo, il ticchettio della pendola era ovattato e giungeva tanto lontano. O forse ero io a non udire più i suoni come prima? Forse era la morte che stava giungendo prima sulla mia mente, e solo poi sul mio corpo?
- Ecco.- Alyssenda riapparve, portando con sé un pugnale dal manico d’avorio finemente scolpito. Sorrideva – ricordi mio padre, Jonathan Vane?- annuii con un cenno del capo – morii in un incidente di caccia quando avevo sette anni. Questo è nato dalla zanna che gli ha trapassato il cuore.- un’espressione gelida e ferita si espanse sul volto pallido di Alyssenda – e adesso credo che tu voglia iniziare.- mi fece cenno di sedere sulla poltrona alle mie spalle.
Non dissi niente mentre obbedivo. Non pensavo, non tremavo. Appoggiai le braccia ai sostegni, donando al cielo il pallore bluastro delle mie vene.
Alyssenda sfiorò la lama del pugnale, prima di avvicinarsi. Si chinò davanti a me, fronte contro fronte e sussurrò
- Sono felice che tu sia venuto qui, da me.- mi accarezzò la guancia, ripercorrendo i miei lineamenti con un dito gelido e fragile -… anche se per darmi questo macabro compito.- improvvisamente, iniziò a piangere, silenziosa, senza attirare l’attenzione. Lacrime di cristallo le colavano lungo le guance – ma non posso farlo. Perché ancora ti amo. Perché non ho mai smesso.- suonava così perfetto, così banale e nel contempo così splendido. Angelo mio, la mia Alyssenda.
- Alyssenda…- sussurrare il suo nome era così stranamente confortante, era caldo come la cioccolata liquida, come la lava di un vulcano, eppure non faceva male -… Alyssenda…-
Indietreggiò, fissando il coltello, fissando sé stessa. Crollò sulla sedia a dondolo, gli occhi offuscati dalle lacrime, gli occhi color sabbia bagnata, gli occhi di metallo.
Aveva lo sguardo fisso quando si passò il pugnale sui polsi.
Rimasi immobile a guardarla morire, perché era quello che lei voleva, perché era quello che aveva a lungo desiderato, ma ora poteva farlo, perché aveva finito di parlare.
- Mi mancherai, Alyssenda Vane.- sussurrai
- Non è vero.- ridacchiò lei, appoggiandosi alla sedia a dondolo e dandosi una leggera spinta. Mi alzai in piedi e raggiunsi le sue spalle
- Se ti avessi amata dal principio, non sarebbe finita così.-
- Forse, Rodolphus. Forse.- mi corresse gentilmente. Poggiai le mani sullo schienale della sedia e spinsi, sorridendo mio malgrado, al pensiero di quella morte. La mia tenera Alyssenda se ne andava verso luoghi migliori, dove poteva illudersi non fossi stato così sciocco.
Il sangue le aveva impregnato la mantella lilla, l’odore del ferro soffocava quello del glicine e dell’edera. I suoi occhi diventavano sempre più scuri, sempre più vitrei ed assenti
- Non ho altro da dirti, Alyssenda.-
- Lo so, lo so…- sussurrò lei, poggiando il capo contro la spalla -.. lo… so… lo so.- andai di fronte a lei, e le presi un polso, baciando con trasporto la profonda ferita. Il sangue non aveva sapore, in quel momento, tanto ero assorto, tanto ero perso.
- Ti amavo a mio modo, Alyssenda.-
- Lo so. So anche questo, Rodolphus.-
Lentamente, portò le sue labbra sulle mie.
- Ti amo, Rodolphus.- e si spese, esausta, stanca, spaventata ed intontita, si addormentò sulla mia spalla, crollando su di me. La cascata dei suoi capelli neri inondò il mio petto. Rimasi a fissarla, mentre moriva. Prima che le tenebre cadessero per sempre su di lei, però, la mia Alyssenda sfidò la sorte per lanciarmi un ultimo sguardo.
E allora i suoi occhi furono splendenti come il sole.”

Rodolphus Lestrange si consegnò agli Auror la notte dopo.
Quando però, tempo dopo, il Lord Oscuro lo fece evadere, Rodolphus non rispose subito alla chiamata. Si prese il tempo per raggiungere la casa di Alyssenda, entrare nel salotto, uscire nel giardino.
Trovò il tralcio d’edera, le cui foglie verdi scintillavano come smeraldi nello stringersi al resto del glicine, perito ormai per il caldo e per la mancanza di cure.
Rodolphus sfiorò la pianta secca e le strappò un bocciolo morto sul fusto.
Poi strinse fra le dita una foglie di edera e la recise.
Si mise in tasca ciò che restava di Alyssenda Vane.
Poi, in lacrime, sradicò per sempre quel tralcio di edera che si permetteva ancora di vivere dopo la dipartita del suo amore.

FINE

 
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