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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Originali (inventate)
Titolo Fanfic: QUEL CHERUBINO DI STEFANIA
Genere: Sentimentale, Drammatico
Rating: Per Tutte le età
Avviso: One Shot
Autore: yoshy91 galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 23/07/2007 13:31:21

La piccola Stefania è nata malata e per questo nessuno vuole tenersela con sé.. Riuscira ad avere una vita felice, con una famiglia che le vuole bene?
 
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CAPITOLO UNICO
- Capitolo 1° -

Salve cari lettori ^^

Quella che vi propongo questa volta è una storia un po’ triste e piuttosto corta.

Beh non credo di avere niente da dire inseguito, semplicemente se siete persone sentimentali fate attenzione mentre la leggete.

Commentate mi raccomando, spero vi piaccia ^_^



Stefania abitava in quell’orfanotrofio da quando aveva memoria.

Per lei quell’edificio un po’ rurale e un pò spettrale, dall’aspetto decadente, rappresentava la sua infanzia, l’unico punto saldo nei suoi ricordi.

Nel vederla così, quella casetta a due piani faceva quasi paura; le pareti interne erano gialline sbiadite, mentre i muri esterni erano in sasso. Il tetto, con una tegola sì e una no, pareva voler cedere da un momento all’altro, ma ogni stagione, sotto il caldo estivo di Giugno e le tempeste invernali di Dicembre, quella copertura resisteva in silenzio.

Al primo piano vi era un piccolo bagnetto provvisto solamente di un lavandino bianco scrostato e un water, mentre al secondo piano ce ne era uno più grande, con una bella vasca da bagno nuova, con le tendine azzurrine e le paperelle, un bidé, un water e due lavandini. Sempre al primo piano vi era una cucina, forse un po’ troppo sporca per essere utilizzata, forse un po’ troppo piccola per lavorarci dentro, seguita da una sala che accoglieva al suo interno una lunga tavolata. Al piano superiore, invece, vi erano solo stanzette. Tutte in schiera, tutte uguali esternamente, ma ognuna di esse, al suo interno racchiudeva una storia diversa.



Stefania aveva ormai nove anni, era una bambina molto intelligente e forte di spirito; aveva combattuto guerre che certa gente neanche a trenta anni deve affrontare. All’orfanotrofio non era la più grande, né la più piccola, ma nonostante questo era sempre pronta ad aiutare i bambini più piccoli di lei e alle volte anche quelli più grandi.

La mamma, una ragazza-madre sedicenne, spaventata dall’improvviso sottrattasi del ragazzo ai suoi doveri di padre e dei genitori, presa dalla collera e abbattuta nell’animo, aveva lasciato Stefania, all’epoca ancora in fasce, davanti all’ospedale. Gli assistenti sociali chiusero questa bambina nell’orfanotrofio con la speranza che qualche famiglia volesse prendere con sé quella creatura.

Era nata prematura di quasi due mesi, occhi celesti, riccioli d’oro, pareva quasi un cherubino. Anche nell’animo Stefania era un angelo, un vero angelo dal cuore d’oro.

Ma ogni volta che una famiglia arrivava in orfanotrofio con l’intento di adottare un figlio, questi non la guardavano neanche e andavano avanti, scegliendo sempre altri bambini.

La piccolina se ne era fatta ormai una ragione. Ma la sua fede in Dio era grande e Stefania era sicura che presto sarebbe arrivata una famiglia anche per lei che le avrebbe dato tanto affetto e le avrebbe voluto bene.

I sogni di un bambino valgono più di qualsiasi altra cosa al mondo e questo Doretta lo sapeva.

Doretta era la donna che si era presa cura della bambina da quando era nata. L’aveva fatta crescere, le dava cibo e acqua, era colei che le rimboccava le coperte la notte, che le raccontava le storie sui pirati prima di andare a letto. Doretta, rappresentate dell’orfanotrofio e professoressa di lettere, in cuor suo sperava che questa bambina potesse vivere un adolescenza migliore.



Ma le cose sembravano andare di male in peggio.



Verso i primi di Novembre, il comune, diede un mese di tempo a Doretta affinché ella potesse sbaraccare l’edificio e levare le tende. L’orfanotrofio, ormai etichettato come “luogo-inutile”, edificio decadente e pericoloso, doveva essere abbattuto.

Più bambini possibili vennero fatti trasferire in altre città, in altri orfanotrofi, altri furono mandati in affidamento alle ultime famiglie disponibili.

Tutti i bambini, dai neonati a quelli che stavano per entrare nella fase adolescenziale, vennero fatti mettere in fila indiana in modo che le famiglie, al loro passaggio lungo quella carovana, potessero scegliere il bambino che più preferivano.

Tutti, vedendo i boccoli d’oro di Stefania spuntare dal pavimento, si avvicinavano a lei, intenti a scegliere quel cherubino, ma quando notavano i tubuli che nascevano nei polmoni ed uscivano poi dal naso della bambina, abbandonavano l’idea di prendere un figlio già in partenza malato.



Stefania era nata con una malattia genetica abbastanza rara chiamata “sindrome di Ondina”* o più comunemente “Maledizione di Ondina”. Il solo motivo per la quale questa dolce creatura ancora non aveva trovato una casa era questo, questa maledetta malattia che l’attanagliava nel sonno.

Già perché questa le comportava un “dimenticarsi” di respirare. Perché è così che funziona questa malattia: la notte non si può dormire tranquillamente perché la persona malata “dimentica” che bisogna respirare per vivere.

Stefania era dunque vincolata da questa malattia, dal respiratore che la notte la teneva in vita e da un’esistenza partita male sin dall’inizio.



Il panico però, prevalse su tutto, e Doretta aveva ormai le mani tra i capelli: come avrebbe fatto con la piccola Stefania? Chi l’avrebbe presa in affidamento se non le famiglie contattate dall’assistente sociale? Doretta certamente non poteva tenersela con sé, il marito le era morto in un incidente stradale ed era già abbastanza difficile per lei tirare su due figli, figuriamoci tre.

L’unica soluzione plausibile era quella di trasferirla momentaneamente in ospedale, classificata come caso clinico da tenere sotto-osservazione.

All’ospedale il dottore di turno rifiutò inizialmente la richiesta di Doretta, ma trovatosi davanti agli occhi celesti della bambina, non poté fare a meno che acconsentire alla donna e fare un eccezione per lei.

Stefania stette dentro quel casone bianco tre giorni e tre notti dopodichè, persa di vista Doretta, il primario di Medicina, decise di cacciare via la bambina; i costi erano troppo elevati e il comune non li pagava abbastanza, oltretutto richiedeva attenzione e un letto per la notte. La ritenevano un dispendio di soldi inutile.

La bambina venne quindi sbattuta in strada con la sua bombola d’ossigenazione posta su una carretta trainabile. Quella notte trovò rifugio sotto il capannone di una pescheria abbandonata.

La bombola era ormai agli sgoccioli, ma a Stefania questo non importava perché sapeva che il suo buon Dio da lassù la vigilava.

Chiuse gli occhi e si addormentò nell’incoscienza che un giorno dopo non ci sarebbe più stato per lei.

La mattina seguente fu Doretta, disperata dalla notizia datale dal primario, che corse a cercare la bambina. Trovò il corpo di Stefania poco tempo dopo, disteso a terra ormai privo di alcuna vita.

Di fianco a lei, su una decina di centimetri cubi di terra, vi era un disegno di un angelo che saliva sino al cielo, porgendo la mano al suo Signore. Poi su un cartone strappato da una vecchia scatola di scarpe, c’era scritta, con scrittura infantile e con un fiammifero ormai consumato del tutto, una poesia:



“Questa notte ho fatto un sogno,
ho sognato che ho camminato sulla sabbia
accompagnata dal Signore
e sullo schermo della notte erano proiettati
tutti i giorni della mia vita



Ho guardato indietro e ho visto che
ad ogni giorno della mia vita,
apparivano due orme sulla sabbia:
una mia e una del Signore.



Così sono andata avanti, finché
tutti i miei giorni si esaurirono.

Allora mi fermai guardando indietro,
notando che in certi punti
c'era solo un'orma...
Questi posti coincidevano con i giorni
più difficili della mia vita;
i giorni di maggior angustia,
di maggiore paura e di maggior dolore.

Ho domandato, allora:
"Signore, Tu avevi detto che saresti stato con me
in tutti i giorni della mia vita,
ed io ho accettato di vivere con te,
perché mi hai lasciato sola proprio nei momenti
più difficili?".

Ed il Signore rispose:
"Figlia mia, Io ti amo e ti dissi che sarei stato
con te e che non ti avrei lasciato solo
neppure per un attimo:
i giorni in cui tu hai visto solo un'orma
sulla sabbia,
sono stati i giorni in cui ti ho portato in braccio”**



Doretta strinse al petto quel pezzetto di cartone e chiuse gli occhi. Lacrime amare rigarono le sue guance rosee.

- Il giorno del ringraziamento- raccontò alla polizia –Aveva voluto a tutti i costi imparare questa poesia a memoria, anche se non riusciva a comprendere tutte le parole. Lei l’aveva trovata bella, le piaceva e soprattutto era per il suo Signore- la donna si asciugò un secondo le lacrime con la manica della camicia.

-E’ sempre stata una bambina credente e avrebbe donato la sua vita a Dio. Quando lesse questa poesia per la prima volta, le si accesero gli occhi. Poi sorridendomi ha detto che da grande avrebbe voluto servire il suo Signore per tutta la sua vita e che gli avrebbe scritto anche lei tante belle poesie come quella- Doretta sentiva il cuore esplodere mentre spiegava ai poliziotti il senso di quella poesia –Ogni sera, prima di andare a letto, recitava a memoria le parole di Margaret Fishback Powers poi faceva qualche minuto di silenzio e alla fine ringraziava Dio per tutte le gioie che le aveva dato- la donna a quel punto non ce la fece e si accasciò a terra, piangendo per la perdita di quella che per lei era contata come una figlia.

-Era buona come il pane, più le si faceva un torto e più lei era buona con te. Era un angelo, una santa, era benedetta dal Signore lei- Concluse infine la donna ormai troppo scossa per continuare a parlare.



Gli angeli possono apparire sottoforma di qualsiasi cosa; questa volta quell’angelo era una bambina, una bambina di soli nove anni. Per quei nove anni non aveva fatto altro che badare ad una sola cosa che veramente contava per lei: sua madre. Perché anche se non le era accanto, anche se non la stava aiutando materialmente, la piccola Stefania era lì per lei, per i suoi bisogni. E non la odiava, no, era impossibile per lei farlo. Lei l’amava ed era per questo che in quei nove anni aveva resistito e aveva vissuto, aveva vissuto per lei, aveva vissuto accanto a lei…



“… non vogliono altro che restare vicino le persone da loro amate…”***



* Il nome della patologia ha un origine del tutto mitologica: si narra, infatti, che molti anni fa la ninfa Ondina fu punita dagli dei per essersi innamorata di un mortale, un cavaliere, e fu per questo condannata a dover rimanere sveglia la notte per poter respirare.

** “Messaggio di tenerezza”, di Margaret Fishback Powers.

*** Frase tratta da “Fragile”


 
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