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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Libri e Film (da libri)
Dalla Serie: Harry Potter
Titolo Fanfic: LUCIFER
Genere: Romantico, Drammatico, Avventura, Fantasy
Rating: Per Tutte le età
Avviso: What if? (E se...)
Autore: erikuccia galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 20/06/2007 18:14:03 (ultimo inserimento: 28/06/07)

"Io che porto il nome di quell'angelo portatore di luce che ha finito per tradire il suo mondo, i suoi simili, per un'ambizione più grande."
 
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L'AVVENTO DI LUCIFERO
- Capitolo 1° -

Nota: Questa è la prima fiction vera e propria che scrivo su Harry Potter. Ad essere sincera è la prima long-fiction nata da questa splendida saga, e spero che la mia inesperienza non vi arrechi fastitio, disturbo o nausea. Sappiate che farò del mio meglio per non deludere nessuno, me per prima. Vi giuro che darò tutta me stessa in quest'ennesima fiction che, ve lo dico sin da ora, avrà tempi piuttosto lunghi, per varie ragioni. Innanzitutti gli esami accademici che mi succhiano giorno dopo giorno linfa vitale, poi le imminenti vacanze che mi porteranno via dalla mia bella capitale, e infine dalla mia totale inseperienza in questo nuovo campo.
Ed ora, buona lettura.
Erikuccia, come sempre.









LUCIFER










Capitolo 1* : L'avvento di Lucifero


















"Come mai sei caduto dal cielo,
Lucifero, figlio dell'aurora?
Come mai sei stato steso a terra,
signore di popoli?
Eppure tu pensavi:
Salirò in cielo,
sulle stelle di Dio
innalzerò il trono,
dimorerò sul monte dell'assemblea,
nelle parti più remote del settentrione.
Salirò sulle regioni superiori delle nubi,
mi farò uguale all'Altissimo.”
(Isaia 14, 12-14)


***



Io.
Si. Proprio io.
Sempre attento a dare di me un’immagine che collimasse con quella di tutti coloro che mi avevano preceduto. Purosangue per nascita, Serpeverde per scelta e destino.
Io, che porto il nome di quell’angelo portatore di luce che ha finito per tradire il suo mondo, i suoi simili per un’ambizione più grande. Io che sono nato per fare il male, che godo nel fare il male, ho finito per perdermi nel riflesso di due occhi che – Maledizione! – mi era stato ordinato di spiare, seguire, controllare. E che per anni avevo odiato, disprezzato, deriso.
Avevo 22 anni quando il mio curriculum, l’intero corsus honorum della mia vita, si macchiò per una defaillance che mi cambiò completamente, anche se non abbastanza. Fu come una piccola parentesi, come una ventata di un’aria che avevo sempre rifuggito, ma che di colpo mi riportava odori di cui non avrei potuto neanche immaginare l’esistenza. Per questo, mio malgrado, ho deciso di assaporare quel momento, di respirare quella vita tanto lontana dalla mia, perché sapevo che sarebbe finita. Ed è esattamente così che è andata: le catene del mio destino erano troppo spesse, troppo dure da abbattere. Quand’ero giovane pensavo che prima o poi sarei riuscito a liberarmene, che sarei riuscito a cacciare via quel destino che, come un peso imponente, controllava i miei movimenti. Crescendo ho imparato ad essere fiero di quello che ero: non solo fingere di esserlo davanti alle persone che si aspettavano grandi cose da me, ma esserlo sul serio, fino ad ogni minima fibra del mio corpo. Ora se mi guardo allo specchio mi riconosco. Seguo con lo sguardo ogni lineamento, rendendomi conto che conosco davvero tutto quello che questo viso e questi lineamenti nascondono. Oggi sono solo io, e l’ho scelto personalmente. Ma allora, sebbene mi piegassi sempre ai voleri e alle aspettative dei miei genitori, divertendomi a tormentare chi mi dava noia o semplicemente non condivideva la mia stessa filosofia, non capivo quanto fosse mio quell’atteggiamento. Pensavo che fosse solo frutto dell’influenza che la famiglia e gli amici avevano avuto su di me. Invece ora posso dire che io non sarei potuto essere nessun altro se non quello che sono. Ma ora sto divagando.
La mia vita adesso scorre su binari sicuri: ho consapevolezza di me stesso e delle mie responsabilità. So chi sono, e non desidero essere nessun altro.
Nessun altro… Se non quel giovane ragazzo così orgoglioso per la sua prima missione: così giovane da essere tanto ingenuo da non accorgersi che non si può decidere chi amare, anche se fosse l’ultima persona su cui si fosse scommesso. Non mi credete? Allora è probabile che non abbiate mai vissuto quella pulsante passione che tradisce la razionalità e gli ideali, che ti fa agire come se fossi un folle, quasi come se non avessi un passato e un futuro che, per una piccola defaillance, avrebbero potuto tormentarti per sempre. Se non avete mai amato, forse non potreste mai credere a questa storia. E suppongo che sia strano sentire questa frase uscire dalla mia bocca: sa dell’incredibile non è vero?
Io stesso non ci avrei creduto se all’età di 22 anni mi avessero detto quello che mi aspettava. Avrei riso in faccia allo sventurato che avrebbe avuto abbastanza coraggio da venirmi a dire una cosa del genere. Già allora alcune componenti del mio futuro erano andate al loro posto, e non pensavo che una come lei ed uno come me potessero fare in modo che tutto saltasse, anche se solo per un breve, indimenticabile lasso di tempo.
Non so perché adesso ho il bisogno di rendere così reale quello che accadde allora. Non so cosa mi abbia spinto a puntare la bacchetta su una pergamena vuota con l’intento di riempirla con gli eventi che accaddero nel lontano 1978. Non sono vecchio, e non sono in punto di morte: nessuna motivazione di riparazione postuma o di rimorso per quello che avrebbe potuto essere ma che invece non era stato. Semplicemente questa mattina, quando mi sono alzato e ho guardato il profilo di mia moglie dormirmi accanto ho visto un viso più giovane, con delle efelidi chiare sulle gote e due occhi in grado di fulminare chiunque avesse avuto l’infelice idea di farla arrabbiare. Non mi sono mai chiesto se questo tipo di pensiero costituisse, di per sé, un atto di adulterio. Se così fosse, confesso di aver tradito mia moglie moltissime volte.
Non che questo costituisca un problema. Mi è stato insegnato che è l’uomo, all’interno di una famiglia, ad avere il potere. Sono io che comando, e mia moglie non può farci un bel niente. Anzi, dovrebbe anche ritenersi fortunata perché, nonostante tutto, non l’ho mai tradita nei fatti, ma solo in quei pensieri che, ogni tanto, oscillano verso un’altra donna.

***

Dicembre, 1977


«Che cosa vuoi dire?!»
Un ragazzo di diciassette anni dal naso adunco, simile al becco di un qualche uccello esotico, aveva incrociato le braccia sul petto, assumendo un’espressione grave e pensierosa. La lunga toga ricamata con elementi verdi e argentati gli cadeva goffamente lungo il corpo, dando all’intera figura un aspetto sciatto e sporco. Severus Piton non era mai stato considerato un rappresentante della bellezza mascolina, né trattato alla stregua di un adone. Non c’era una sola ragazza, in tutta Hogwarts, che avesse mai posato gli occhi su lui, se non per disprezzarlo o deriderlo. E il fatto che fosse il bersaglio preferito del club più in di tutta la scuola non lo aiutava affatto. Erano sette anni che sopportava i loro scherzi e le umiliazioni che gli rifilavano, e questo di certo non aiutava la sua vita sociale, già piuttosto pessima per via del suo stesso carattere.
Eppure, a livello accademico, era invidiato da molti studenti delle varie case. Studente modello, con voti alti e irraggiungibili per quasi tutti gli altri. Quasi. C’era infatti una sola persona che potesse davvero competere con la mente allenata e risentita di Severus, una sola persona che, pur non appartenendo alla sua casa, cercava sempre di aiutarlo, di scusarsi per l’atteggiamento di quelli che invece lo trattavano semplicemente come bersaglio; ed era la stessa persona di cui il suo amico gli stava parlando in quel preciso momento. Incredibilmente.
«Esattamente quello che ho detto.» rispose l’altro, impaziente. I lunghi capelli biondi, fini come leggeri fili di seta, erano tenuti ordinatamente in una coda di cavallo grazie ad un fermaglio di un nero intenso, con piccole decorazioni argentate. Gli occhi grigi, ornati da lunghe ciglia chiare, guardavano in direzione di Piton con fastidio e rabbia. Non aveva tempo da perdere, e sciocche domande retoriche non lo aiutavano affatto. Se davvero voleva portare a termine la prima missione che gli era stata affidata aveva bisogno di un alleato, e sapeva che in tutta la scuola non c’era nessuno di più adatto di Severus Piton. Per questo, suo malgrado, il giovane uomo cercò, con qualche difficoltà, di mantenere i nervi saldi. «L’ Oscuro Signore la vuole nelle sue schiere, anche se non riesco a comprenderne il motivo.»
«Probabilmente perché ha delle capacità niente male in tutte le Arti Oscure, che poi è ciò che interessa maggiormente all’ Oscuro Signore.»
«Si, si…» sbuffò Lucius Malfoy, stringendo più forte il pomello del suo bastone da passeggio, ornato con un lungo serpente in avorio che tentava di mordersi la coda. Era seccato, e non faceva niente per nasconderlo. «So che hai un’adorazione per quella sporca mezzosangue, Severus. Ma è questo che è, solo una strega col sangue sporco. Pensavo che ormai avessi ritrovato la ragione.»
Sul volto di Piton si dipinse un impercettibile smorfia di rabbia. Non disse niente, ma, come al solito, ingoiò il pasto amaro, ripromettendosi, come faceva sempre, che un giorno avrebbe dimostrato al mondo che anche uno che aveva avuto la sfortuna di nascere da un babbano poteva diventare un grandissimo mago oscuro. Il più grande. Ma spiegarlo a Lucius Malfoy non sarebbe servito a niente; per questo Piton aveva sempre evitato l’argomento, arrivando anche a mentire sulla propria nascita. Dopotutto se neanche lui voleva riconoscere nel babbano che portava il suo cognome un padre, perché mai avrebbero dovuto farlo gli altri? Sarebbe servito solo a inimicarsi i suoi stessi compagni di casa, così fanatici della loro discendenza purosangue. Ed uno di questi era proprio Lucius Malfoy, colui che, più di altri, seguiva l’insegnamento di Salazar Serpeverde.
Sapeva che l’ex alunno di Hogwarts non concepiva come maghi le persone che non avevano il sangue puro, ossia una lunga discendenza di maghi altezzosi e snob.
«Non ho nessuna adorazione per quella mezzosangue!» esclamò Piton. Il suo volto imperscrutabile non lasciò trapelare il fastidio che provava per quella parola. E in più non lasciava trapelare niente di quello che pensava sulla ragazza. «Però non puoi non riconoscere che ha delle doti magiche veramente molto sviluppate. E’ l’unica che riesce quasi a reggere il confronto con me. Quasi.»
«Va bene, va bene.» disse Lucius che sembrava già esasperato. «Non sono qui per scoprire quello che pensi di lei. Sinceramente non me ne frega niente. Però devo portare a termine questa missione!»
«E come intendi fare?» chiese poi, dopo aver contato mentalmente fino a dieci ed aver placato la sua piccola e silenziosa rabbia.
«Sono qui, no?» rispose sardonico l’altro, allargando le braccia come a voler rendere più massiccia la sua presenza. «E ci sei anche tu.»
«Si, ci sono anche io.» La voce di Piton si era abbassata di colpo quando un gruppo di matricole di Tassorosso avevano attraversato i sotterranei per raggiungere l’aula dove si sarebbe tenuta la solita lezione di pozioni. I passi delle ragazze che avevano ridacchiato quando l’avevano guardato andarono via via scemando, scomparendo dietro una pesante porta. Attese che l’antro buio in cui si trovava tornasse ad essere silenzioso, quindi, con uno sguardo sempre più preoccupato si rivolse all’amico. «Ma sono al mio ultimo anno e credo che Silente cominci a sospettare qualcosa.»
«Qualcosa?» sbottò Lucius, non preoccupandosi di celare l’astio che da sempre aveva provato per il preside della scuola che per sette lunghissimi anni aveva frequentato. «Cosa vuoi che sospetti? Non è successo niente, non è stato ancora fatto nulla.»
«Ma non pensi, » domandò Piton che cominciava ad essere seccato al pari di Malfoy « che se me andassi in giro a chiedere ai migliori alunni della scuola di schierarsi dalla parte dell’Oscuro Signore, magari qualcosa potrebbe anche capirlo?»
«Tu agiresti così?» Lucius arcuò un sopracciglio, e il suo volto dalla pelle nivea e scintillante assunse l’espressione trionfante di chi sa di essere superiore all’altro. Non aveva mai avuto grandi problemi con Severus Piton, anzi. Nonostante fosse di anni più piccolo, aveva trovato in lui una mente attenta e preparata e una malvagità che poteva essere paragonata solamente alla sua. Ma Severus aveva un limite: non odiava abbastanza i babbani e i mezzosangue. Era sempre pronto ad abbozzare, adducendo la scusa che una persona non è tale per come nasce. Piton, infatti, promuoveva la filosofia che un uomo non nasce così com’è, ma si forgia, diviene, matura. Diceva che i maghi non avevano colpa se uno dei genitori aveva avuto l’idea poco brillante di mettersi nel letto un babbano. Lucius non condivideva una sola parola di tale scuola di pensiero. Per lui, come per tutti i suoi antenati, un mago poteva definirsi tale solo quando nel suo sangue scorreva sangue di maghi e streghe. Ciò nonostante, erano sempre stati buoni amici, se si poteva usare questa parola per due persone che, malgrado tutto, pensavano sempre prima di tutto e tutti al proprio tornaconto.
E in definitiva Lucius sapeva di essere su un altro livello, rispetto a Severus. E non solo per l’aspetto che già li posizionava ad estremi opposti. Era piuttosto questione di personalità: Lucius l’aveva. Non sospettava nemmeno che Severus, di personalità, ne aveva da vendere.
«Perché, che cosa avevi in mente Lucius?»
«Ovviamente non chiederei direttamente a quella mezza-strega se vuol passare dalla nostra parte. E’ ovvio che, agendo in questo modo, richiameremmo troppa attenzione sulla faccenda, e di certo non è questo quello che l’Oscuro Signore vuole. Vuole attaccarli quando meno se lo aspettano, e meno Silente e il suo circolo di reietti sanno di questa storia, più possibilità abbiamo noi.»
«E che cosa intendi fare? Farle un’imboscata? Ti giuro che non sarà così facile. Quell’arrogante di Potter le fa sempre la scorta.»
«Un’imboscata?» ghignò Malfoy, che sembrava veramente divertito. «Cielo, Severus, a volte sei così provincialotto.»
Ancora una volta Severus si sforzò di non reagire. Sapeva che sarebbe arrivato il giorno in cui tutti avrebbero riconosciuto il suo valore, la necessità della sua presenza, e allora avrebbe riso in faccia a tutti quelli che l’avevano trattato alla stregua di una vecchia pezza per piedi.
«Mi vuoi dire allora qual è la tua brillante idea o devo provare ad indovinare?»
«Non ora, non qui.» rispose Malfoy, tornando serio. «Sai che ci sono sempre orecchie che ascoltano dentro questa maledetta scuola. Silente mi sta aspettando nel suo ufficio.»
«Silente? E questo cosa vorrebbe dire?»
«Lo vedrai, Severus. Ricorda sempre che Lucius Malfoy ne sa sempre una più del diavolo da cui prende il nome.»
Detto ciò Lucius voltò le spalle all’amico e si diresse verso la gradinata in pietra che gli avrebbe permesso di lasciare i sotterranei umidi e bui. Piton lo guardò allontanarsi, senza fare niente. Poi, quando i suoi occhi non trovarono più nulla da osservare, tornò a concentrarsi sull’inventario a cui era occupato prima che il biondo venisse a narrare la strana novella.

Lily sbuffò, annoiata.
Se c’era una cosa che non sopportava era dover rimediare agli errori degli altri per permettere ai Grifondoro di concorrere per l’ennesima volta alla vincita della coppa delle case. Come prefetto aveva delle responsabilità che, all’inizio del settimo anno, aveva accettato con orgoglio e felicità. Ma adesso che quelle responsabilità diventavano atti veri e propri rimpiangeva il suo quarto anno, quando era qualcun altro a prendere decisioni fastidiose. Stava perdendo un intero pomeriggio, e la cosa non le piaceva affatto. Si passò una mano tra i folti capelli rossi, che le ricadevano selvaggi sulle spalle, incorniciando un ovale decorato da due magnifici occhi verdi ornati da lunghe ciglia. Il suo sguardo vagò per la sala comune della torre dei Grifondoro, dove un fuoco scoppiettava allegro all’interno del grande camino, riscaldando l’intero ambiente. Oltre la finestra il cielo terso sembrava quasi sovrastare un paesaggio estivo, se non fosse stato per le temperature così basse e il vento che giungeva attutito per via della lastra di vetro.
«Non hai ancora capito?» chiese, seccata indicando al ragazzo che aveva seduto davanti un punto preciso del libro che stavano studiando. Una pozione più o meno semplice era spiegata passo dopo passo con una chiarezza che sarebbe parsa stupida persino ad un bambino di sei anni.
«Ehi, non ti arrabbiare se non abbiamo lo stesso quoziente intellettivo!»
James Potter, cercatore della squadra di Quodditch, si mise una mano tra i capelli scuri con fare rassegnato. Sapeva che non sarebbe riuscito a capire quella maledetta materia neanche se ci avesse perso tutto il suo tempo libero, ma sapeva altrettanto bene che doveva fare qualcosa, altrimenti avrebbe finito col mettere la sua casa nei guai.
« Almeno lo riconosci» disse Lily sospirando ancora, infastidita. Rubò a James la sua pergamena e si mise a controllare gli appunti presi con una grafia quasi illeggibile. Controllò ogni riga e ogni parola, accorgendosi che il ragazzo aveva di nuovo saltato il passaggio che gli aveva spiegato solo pochi minuti prima.
«Qui.» disse freddamente, indicando il punto.
James, controvoglia, abbassò lo sguardo sull’esercizio che aveva appena cercato di risolvere non riuscendo tuttavia a capire cosa la prefetta gli stesse indicando.
«Che c’è?» chiese, scrollando le spalle.
«Io ci rinuncio!» esclamò Lily, sbattendo il pugno sul tavolo traballante a cui era seduta, facendo voltare nella sua direzione alcuni dei suoi compagni, non abituati a vedere la bella e brava Evans perdere così palesemente le staffe. «Ma com’è possibile che tu non abbia ancora capito che agli ingredienti di base devi aggiungere due grammi di estratto di Ninfea e sottrarre un terzo di pozione prima di cominciare a mescolare? Te l’ho ripetuto cento volte!»
«Senti sei tu il genio, no?» rispose bruscamente James, allontanando con un gesto deciso libro e pergamene.
«Se tu non fossi sempre così concentrato a dire spropositi a lezione o combinare scherzi dal gusto ambiguo adesso non ci troveremo in questa situazione.»
«Beh se tu non fossi sempre così saccente da provocare le mie reazioni, probabilmente io me ne starei sempre buono buono per conto mio, va bene?»
«Lily, James, siete ancora qui?» Un ragazzo dagli occhi celesti, velati da una malinconia quasi palpabile aveva sorriso comprensivo quando i due compagni si erano voltati verso di lui con lo sguardo accigliato per la rabbia. «Non mi dite che stavate litigando di nuovo!» esclamò, divertito.
«Remus, anche tu sei prefetto, e Silente dice che lo ha fatto per tenere a bada questo qua» rispose Lily, lanciando un’occhiataccia al ragazzo che continuava a guardare la sua pergamena come se sopra ci fosse scritto qualcosa in una lingua perduta. « Perché non ci pensi tu alla carriera accademica del tuo amico? Oppure Sirius…quel ragazzo è un genio, sa un mucchio di cose, dov’è quando serve?»
Remus Lupin sorrise, sedendosi accanto all’amico. «Oh, io non conterei molto su Sirius, Lily. Ha troppo tempo da perdere per dedicarlo alla cultura. E poi sai bene che il professor Lumacorno ha chiesto a te di prenderti cura del nostro James, no?»
«E a chi altro poteva chiederlo se non alla sua pupilla?» commentò James, incrociando le braccia sul petto con fare risoluto.
La ragazza arrossì lievemente a quella battuta, sapendo che in realtà si trattava della verità. Tuttavia il suo orgoglio di prefetta e di persona che si era meritata la parzialità del professore saltò fuori «Non prendertela con me se tutti sanno che senza il mio aiuto non vai da nessuna parte, Potter.»
«Oh, questo si che è un colpo basso!» rise Lupin che, nonostante quello che diceva, adorava sempre fare da testimone ai battibecchi quotidiani tra i suoi due amici.
«Piantala.» rimbrottò James, riavvicinando il libro in modo che potesse ricominciare a consultarlo, come se le parole di Lily fossero bastate ad addomesticarlo. «E comunque, a cosa serve? Posso stare qui anche tutto il giorno, ma questa roba non mi entrerà mai in testa!»
«Ti stai comportando come una matricola.» lo rimproverò Lily «Sono cose facili, non è vero Remus?»
Quest’ultimo, chiamato in causa contro la sua volontà, cercò di prendere tempo per non dare una risposta che, in un caso o nell’altro, l’avrebbe messo contro ad una delle due persone che sedevano allo stesso tavolo.
«Capirai, parla bene lei.» gli bisbigliò James «Scommetto che avrà già fatto tutti i compiti da qui alla fine del mondo.»
«Hai qualche problema?» chiese seccata Lily, stringendo i pugni dopo aver afferrato ogni singola parola di quell’arrogante. «Ti ho dedicato tutto il mio pomeriggio e hai ancora il coraggio di parlare?»
«Ti vorrei far notare che anche io ho perso gran parte del pomeriggio, sai? E poi la scelta è stata la tua. Se mi avessi fatto copiare il procedimento avremmo finito da ore.»
«Si, per poi ricominciare tutto da capo nell’arco di pochi giorni?» domandò con ironia Remus.
«Ehi tu, ma si può sapere da che parte stai?» domandò James, non apprezzando che il suo amico prendesse quasi le difese di Lily.
«Da nessuna, si tratta solo di evidenziare la realtà delle cose, ed è questa.»
«Comunque ve l’ho detto: posso stare tutta la vita su questo libro senza capirci niente.»
«Guarda che io non ho tutto questo tempo, neanche se è per fare un favore al professore!»
«Ah si?» la punzecchiò James «e cos’è che dovresti fare?»
«Non penso che la cosa ti riguardi.»
Un sorriso malizioso e un tantino perfido si dipinse sul volto del bel ragazzo i cui occhi color dell’ambra, nascosti dietro un paio di occhiali che a volte ricadevano lungo il naso aquilino, lasciavano trapelare il divertimento che provava a prendersi gioco della ragazza a cui tutte volevano somigliare almeno un po’.
«Scommetto.» disse guardandola con aria di sfida «che ti andresti semplicemente a rifugiare in biblioteca. Ti conosco e so che non sei affatto una ragazza mondana.»
«E invece ti sbagli!» disse la ragazza tra i denti. Non le piaceva l’idea di essere così prevedibile, né che James la considerasse solo una secchiona. Non che le importasse veramente cosa pensava quell’adone di lei, ma in definitiva non le erano mai piaciute le persone che si disturbavano a dare giudizi troppo affrettati o che fossero costruiti senza basi certe. E in più odiava l’atteggiamento con cui James Potter si metteva ad elargire sentenze, come se fosse lui il padrone del mondo. «Ho qualcosa da fare e che sto perdendo per colpa tua!»
«Lily…» s’intromise Remus, avendo capito che forse era giunto il momento di placare gli animi
«Se avevi degli impegni potevi dirlo subito. Sono sicura che se lo avesse saputo James non ti avrebbe trattenuto così a lungo con i suoi capricci di bimbo viziato.»
«Ma che impegni!» disse James, guardando male il suo amico per averlo paragonato ad un bambino capriccioso. «Sai bene com’è fatta, la conosci anche meglio di me.»
«Bene.» disse Lily, alzandosi in piedi e scansando una ciocca di capelli che le era caduta sul volto. «Vedi di cavartela da solo, allora. Io ho da fare.»
E dopo aver raccolto anche i suoi libri si allontanò con un passo affrettato e deciso che tuttavia non la faceva apparire meno femminile.
Remus e James non poterono far altro che guardarla allontanarsi. «Ma possibile che devi sempre fare così?» si lamentò Lupin
«Io non ho fatto niente.» si difese James, cercando di scomparire all’interno del suo libro di pozioni.
«Ti serve Lily per passare il corso e per non causare troppi intoppi alla corsa alla coppa dei Grifondoro. Lo sai anche tu.»
Si, lo sapeva anche James, ma sarebbe morto prima di ammetterlo.
«Va bene, dammi una mano con questa pozione, forza.» disse, rassegnato.
Lupin sorrise. «Non pensarci nemmeno.»

“Quel mentecatto!” Pensò Lily con rabbia, raccogliendosi i capelli in una coda alta mentre vagava nel castello senza sapere dove stava andando. Non poteva andare in biblioteca, perché non voleva dare soddisfazione a quell’arrogante di James, e il cortile ormai era insopportabile per via del freddo, ma soprattutto delle malelingue che vi avrebbe trovato: non voleva farsi vedere mentre girovagava come un’anima in pena. Così continuò a camminare senza una meta precisa, sperando che l’arrabbiatura scemasse, almeno un po’. Ma come faceva a calmarsi? James non faceva che trattarla come una disperata, una secchiona, solo una da usare prima di un compito in classe. E come se non bastasse le stava sempre tra i piedi con i suoi stupidi scherzi e con le sue banali provocazioni che erano capaci sempre di mandarla fuori dai gangheri. Perché non provava ogni tanto ad essere più gentile? A comportarsi un po’ meno da troglodita? Doveva sempre dire la cosa sbagliata nel momento meno opportuno! Perché non si decideva a crescere, ad avere il coraggio di dire quello che pensava?
«Maledizione!» imprecò, gettando lontano uno dei rotoli che teneva in mano. Non era un comportamento che le si confaceva, però dopotutto anche la sua pazienza aveva un limite.
«Ahio!» una voce maschile ben riconoscibile attirò l’attenzione della ragazza.
«Ehi, mezzosangue, che cavolo ti salta in mente?»
Lucius Malfoy, il serpeverde più odiato dai Grifondoro, anche dopo aver lasciato Hogwarts, il nemico giurato di James, stava davanti a lei, massaggiandosi il braccio, nel punto in cui era stato colpito dal rotolo. Come al solito si rivolgeva a lei con tutta la meschinità della sua anima nera. Tuttavia, sebbene non avessero vissuto nella stessa scuola se non per due anni, Lily si era come abituata agli insulti che quel malvagio le rivolgeva sempre, e neanche la parola mezzosangue, che al secondo anno l’aveva turbata, la sconvolgeva più di tanto. Probabilmente dipendeva dal fatto che ormai aveva capito che dalla sua bocca sarebbero usciti solamente e sempre insulti, e che quindi non valeva davvero la pena di prendersela.
Camminò decisa verso di lui e senza staccargli gli occhi di dosso si abbassò a raccogliere il rotolo di pergamena. L’altro la guardò, immobile, seguendo ogni singolo gesto che la ragazza faceva. «Grazie al cielo ho preso te, e non qualcun altro. Se non altro non dovrò neanche chiedere scusa. Peccato che fosse solo un rotolo.» sibilò con astio.
L’altro la guardò, irato. Quella ragazza era davvero in grado di mandarlo su tutte le furie con poche parole e altrettanti gesti. Ancora non riusciva a domandarsi perché, per la sua prima missione, avrebbe dovuto sporcarsi le mani con una come Lily Evans.
«Ah è così? Non solo mi colpisci, ma non intendi neanche chiedere scusa?» chiese tra i denti.
«Io? Chiedere scusa a te? Malfoy, sei forse impazzito?» Lily sorrise divertita. Quanto le piaceva rispondere a tono a quel cadavere ambulante. Se non altro così dimenticava la rabbia che provava verso James.
Lucius non si mosse. Con i piedi ben impiantati al pavimento continuò a fissare la ragazza.
«Hai la lingua troppo lunga, ragazzina.» disse Lucius, come un leader della mafia davanti al testimone chiave di un processo penale.
«Lo so.» rispose prontamente la ragazza, sorridendo soddisfatta «E questo perché ho un cervello che funziona bene, a differenza del tuo.»
Ancora una volta Lucius rimase fermo a fissare la ragazza che aveva davanti. Aveva una voglia di prenderla a schiaffi, di sentirla urlare, di vederla implorare. Ma non era quello il momento. E non era quella la ragazza. Almeno non finchè l’Oscuro Signore progettava su di lei, ma sapeva che non sarebbe stato per sempre.
«Arriverà il giorno, Evans, in cui pagherai per questo tuo comportamento.»
«Strano.» rispose determinata Lily. «Avrei detto la stessa cosa. Ad ogni modo, che ci fai qui? Pensavamo ormai di esserci liberati della tua superbia, mister purosangue»
Un ghigno divertito si dipinse sul volto del serpeverde. «Non sai che ho fatto domanda per diventare un Auror?»
«Un auror?» il tono di voce di Lily era palesemente scettico e sardonico. «Tu? Tu che sei sempre stato così tanto innamorato delle Arti Oscure? Non dirmi che al Ministero hanno accettato la tua richiesta…»
«E perché non avrebbero dovuto farlo scusa? Ho sempre avuto ottimi voti, e il mio M.A.G.O. in trasfigurazione e pozioni è stato una fiammeggiante E. In più come hai giustamente notato tu ho sempre provato molto interesse per le Arti Oscure, il che vuol dire che per me è molto facile riconoscerle, non trovi? Ad ogni modo mi è stato detto che Geoffrey Abrahmus Hoffman è uno degli Auror migliori, e che sarebbe stato utile per me seguire i suoi insegnamenti. Dal momento che ora il professore insegna qui ho chiesto a Silente se potevo fare una sorta di internato e indovina un po’? Il nostro caro preside ha accettato. Suppongo che questo vorrà dire che ci vedremo molto spesso.»
«Pensavo che fossi venuto a trovare la tua bella, la tua cara Narcissa» lo schermì Lily, che non riusciva a credere alla storia che aveva appena sentito. Lo sapevano tutti che Malfoy sarebbe diventato un mago oscuro, come avevano potuto anche solo pensare che sarebbe cambiato, che sarebbe potuto diventare un Auror?
Lucius rimase qualche secondo in silenzio, come se non sapesse cosa dire o come rispondere, e sul volto della Grifondoro si dipinse un grande sorriso colmo di soddisfazione, ma fu questo il suo errore. Con quel gesto aveva richiamato tutto l’orgoglio di un purosangue e tutto l’astio che Malfoy aveva sempre provato per lei, e per le ragazze come lei. Sempre ammesso che ce ne fossero ragazze come lei, e di questo non era ancora sicuro.
«Non dovresti essere invidiosa dei purosangue perché è un livello che non puoi raggiungere.» disse infine, sorridendo perfidamente.
Lily non si curò di lui, e passò oltre. Ogni volta che se lo trovava davanti sentiva l’impulso di prenderlo a schiaffi finchè non le avesse fatto male la mano. Lucius Malfoy era un ragazzo malvagio, meschino e arrogante. Era un diavolo incarnato, il male che c’era stato ad Hogwarts e che, a quanto pare, ci sarebbe stato. Non si sapeva come avesse potuto Silente decidere di ammettere una persona come quella. Era un purosangue, era discendente di una famiglia importante, ma non era bastato sapere che Lucius Malfoy era stato sempre un seguace delle arti oscure per frenare Silente? Al preside non era bastata quella velata minaccia che Lucius aveva fatto al suo settimo anno, dicendo che sarebbe diventato ancora piu potente di Silente? E pensare che tutti, nei Grifondoro, avevano festeggiato quando si era diplomato: persino lei aveva messo da parte i suoi studi per unirsi ai brindisi, ed invece era tornato, di nuovo.
Quel cretino di un serpeverde era l’unico, l’unico davvero, che riuscisse a farle perdere sempre la calma, l’unico che la trasformava, facendola diventare quella che non era. Non si trattava della stessa cosa che avveniva con James o con Sirius. Loro la facevano arrabbiare, certo, ma lei restava sempre padrona di sé, e sempre padrona del gioco.
Con Malfoy invece doveva sempre stare attenta, doveva sempre ascoltare quello che diceva per potergli rispondere a tono, per dimostrargli che, anche se aveva sangue babbano nelle vene, era migliore di molti maghi così detti purosangue. Migliore anche del sangue puro e malvagio che scorreva nelle vene di un purosangue serpeverde. Si, un giorno lo avrebbe dimostrato a tutti, anche a Malfoy. E allora quel diavolo avrebbe dovuto ammetterlo, avrebbe dovuto ammettere che era migliore e che non c’era storia. Avrebbe smesso di chiamarla mezzosangue, avrebbe smesso di guardarla come se fosse stata la cosa più disgustosa nell’intero universo, e l’avrebbe vista solo come Lily Evans, grifondoro.

Lucius proseguì verso l’ufficio di Albus Silente , con le mano destra stretta intorno al pomello del suo bastone, e il suo incedere che lasciava trapelare tutta la sua arroganza e maledicendo per l’ennesima volta Lily Evans e la sua poca fortuna nel vedersi assegnare le missioni.
Lily Evans.
Non sopportava quella sua aria da superiore, non sopportava il modo in cui lo guardava, come se fosse solo un bambino capriccioso. Non sopportava l’idea che una mezza babbana come lei avesse un’opinione così bassa di lui, di lui che era un purosangue, di lui che era un Malfoy. Di lui che era semplicemente se stesso, semplicemente Lucius.
Avrebbe dovuto mostrare più rispetto, avrebbe dovuto rendersi conto del grande divario che li separava. Avrebbe dovuto ringraziare il cielo anche solo per il fatto di poter vivere sotto lo stesso tetto incantato. Invece se ne andava in giro a testa alta, sempre pronta a dire una parolina di troppo che non faceva altro che farlo innervosire di più. Lo guardava continuamente con quello sguardo pieno di sfida e di ribrezzo a cui lui non era abituato e che non avrebbe accettato mai da una come lei. Ma gliel’avrebbe fatta pagare, di certo. Non sopportava che venisse messa in discussione la sua credibilità, e un Malfoy non poteva davvero lasciarsi sopraffare da una mezzosangue qualsiasi. Anche se quella mezzo sangue si chiamava Lily Evans.
«Ma guarda un po’. L’amante di Mocciosus è tornato!»
Lucius Malfoy riconoscendo l’infelice epiteto dato a Piton si fermò, voltandosi in direzione della persona che aveva parlato. Un sorriso beffardo si dipinse sul suo volto quando riconobbe chi aveva parlato.
«Sirius Black» esclamò, cercando di nascondere il suo sorriso abbassando leggermente il volto e appoggiandosi con entrambi le mani al suo bastone da passeggio. «Dimmi un po’, sei ancora un traditore del tuo sangue?»
«Dovresti saperlo.» rispose il ragazzo alzandosi dal gradino su cui aveva trovato un po’ di ristoro. «dal momento che fai comunella con mio fratello.»
«Il buon vecchio Regulus.» commentò Lucius « Lui si che rende onore alla famiglia Black, non come te che stringi amicizia con la feccia della società.»
«Oramai non faccio più parte della famiglia Black. Non sai che il mio nome è stato cancellato dall’albero genealogico?» rispose il ragazzo puntando i suoi occhi plumbei verso il nemico di sempre.
Lucius lo guardò leggermente sorpreso. Sapeva che Sirius aveva rinunciato alla sua discendenza di purosangue, ma non avrebbe mai potuto immaginare che se ne fosse andato in giro a sbandierare il fatto che si era allontanato dalla sua famiglia nobile e purosangue per star dietro a quel filantropo di James Potter che stringeva amicizia con i bassifondi della società magica.
«E’ strano vedere come certe cose possano rendere orgoglioso un mago, anche quando si tratta di eventi che per lo più dovrebbero suscitare disprezzo.»
«Mi disprezzi perché me ne sono andato di casa?» un sorriso beffardo fece capolino sul viso scarno di Sirius Black. «Lucius, potevi dirlo che ci tenevi tanto a diventare mio amico. Adesso mi spiego perché ti sei messo insieme a Narcissa. In effetti nessuna persona sana di mente poteva innamorarsi davvero di quella strega, e bada che uso l’epiteto in senso negativo.»
«Lascia la mia ragazza fuori da questo genere di conversazione.» sbottò improvvisamente Malfoy. Aveva incontrato due persone ed entrambi non avevano fatto altro che prenderlo in giro per via della sua ragazza.
«Oh, che tenero!» lo sbeffeggiò Sirius, consapevole che il suo atteggiamento avrebbe infastidito mortalmente il biondino. «Non pensavo che anche una vipera come te potesse ergersi a difesa della donna che AMA».
Sirius scandì lentamente l’ultima parola. Se c’era qualcosa che l’ex serpeverde non poteva capire e non poteva concepire era proprio l’amore, e il grifondoro sapeva che trattarlo come uno stupido babbano innamorato era la sola cosa che potesse provocare veramente Lucius.
Quest’ultimo infatti serrò le mascelle, lanciando a Sirius uno sguardo carico di astio. La cosa che lo infastidiva era rendersi conto che per le persone lui era solo un surrogato di Narcissa, come se vivesse in funzione della sua eterna fidanzata: non era così, non era affatto così. Se aveva detto a Sirius di non metterla in mezzo era solo perché quella faccenda non la riguardava, perché era una missione che era stata data solo a lui, a Lucius Malfoy, e a nessun altro. E quel Black non era nessuno per insinuare qualcos’altro.
Se non avesse avuto degli ordini stabiliti avrebbe lanciato una maledizione verso il ragazzo che in quel momento lo stava fronteggiando, godendo del dolore che gli avrebbe procurato. Invece, suo malgrado, non fece niente di così avventato. Drizzò la schiena in un atteggiamento fiero ed arrogante. Che cosa gliene importava di quello che poteva dire un purosangue decaduto e dimenticato dai suoi stessi familiari? Sorrise, con una smorfia di crudeltà.
«Resta pure qui a perdere tempo nelle tue stupide provocazioni.» disse con la voce simile ad un sibilo sussurrato. «Io ho ben altro da fare…C’è Silente che mi sta aspettando.»
«Silente?» chiese Sirius, preso in contropiede.
Lucius sorrise ancora, con un pizzico di malizia e poi si allontanò, nonostante Sirius non fece che ripetere il nome del preside con un tono di voce man mano più alto.

L’ufficio di Silente, a cui si poteva accedere, dopo aver pronunciato la parola d’ordine, attraverso un’alta quanto sinuosa scala a chiocciola, era un ambiente spazioso e piuttosto luminoso. Oltre una grande finestra a sud era possibile affacciarsi sul panorama della Foresta Proibita che doveva essere uno spettacolo con la luce del tramonto. L’ambiente, di pianta circolare, era ricolmo di molti oggetti magici, tra cui il cappello parlante che presenziava alla cerimonia di smistamento ogni anno. Vecchi presidi guardavano il nuovo venuto dalle loro cornici poste in alto. Di certo molti di loro non si sarebbero mai aspettati di vedere Lucius Malfoy dentro quell’ufficio dopo aver preso il suo diploma.
«Buongiorno, Silente.» disse il giovane uomo inchinando leggermente il capo in segno di saluto.
Dietro la scrivania un uomo dai lunghi capelli argentati, così come la lunga barba sistemata nella cintura, guardò, attraverso gli occhiali a mezzaluna il giovane consigliere che gli era stato mandato. Gli occhi celesti erano illuminati da un sorriso sereno e accogliente.
«Benvenuto Lucius.» disse il preside con la sua voce pacata e serena. «Prego, accomodati pure.»Silente fece un piccole gesto con la bacchetta e di fronte alla sua scrivania apparve una sedia di legno dallo schienale dritto ornato con soffice stoffa rossa e dorata.
«Molto bene. Grazie.» rispose Lucius, mettendosi comodo. Si sistemò il suo bastone da passeggio tra le gambe e vi appoggiò sopra le mani. Nonostante il suo carattere e la sua boria, non si poteva non ammettere che quel ragazzo aveva l’eleganza in ogni gesto che faceva.
«Suppongo faccia uno strano effetto ritrovarsi in queste mura senza esserne uno studente.» commentò Silente sorridendo amabilmente.
Dentro di sé Lucius sentì il sangue ribollirgli nelle vene. Era proprio questo l’atteggiamento del preside che non aveva mai sopportato. Perché doveva essere sempre così maledettamente zuccheroso? Perché doveva assumere le sembianze di un personaggio uscito da una favola per bambini? Sul suo viso, tuttavia, si dipinse un sorriso che apparve quasi spontaneo e sincero, sebbene fosse leggermente tirato.
«Non così tanto, alla fine.» rispose «Ho sempre saputo che avrei finito per tornare in questa scuola ricoprendo un ruolo di prestigio e rispetto.»
«Ambizioso come sempre, vedo.»
«Non ha senso vivere senza esserlo.» commentò Lucius, serio.
Silente unì le mani, sfiorandosi le dita e guardando per qualche secondo il suo ex alunno con quello sguardo capace di vedere ogni cosa. Poi sorrise di nuovo, tornando a parlare. «Spero che tu un giorno possa arrivare a capire che l’ambizione è solo un mero faro dove puntare la bussola della propria esistenza. Ricorda sempre che se si passa tutto il tempo a guardare una meta lontana si rischia di perdere il meraviglioso paesaggio del mondo che ci circonda.»
Lucius sentì l’impulso di prendere il volto del vecchio preside e di sbatterlo sulla scrivania, come se solo in quel modo potesse far uscire tutte quelle maledette perle di saggezza dalla mente di Silente.
Aveva sempre odiato quelle frasi piene di saggezza e di stupidi luoghi comuni che non servivano a niente e a nessuno. Che cosa voleva dire che se si puntava ad un obiettivo si perdeva il meraviglioso paesaggio del mondo? Lucius era convinto che non fosse lui a dover guardare il mondo, ma viceversa. Era convinto che il motivo per cui sua madre l’aveva messo al mondo era quello di diventare un grande mago conosciuto e rispettato da tutti: stimato dai suoi simili e temuto da coloro che non appartenevano al suo rango. Questa era l’unico modo di essere che aveva sognato per se stesso e l’unico che voleva. Sarebbe diventato un mago di grandezza pari a quella dell’Oscuro Signore e tutti avrebbero tremato a sentir pronunciare il suo nome.
«A che mi serve guardarmi intorno senza avere una ragione per vivere?» domandò con un sorriso smaliziato. «Noi tutti veniamo al mondo perché abbiamo un ruolo da ricoprire. Chi si ferma a guardare gli altri è solo un perdente che non sa attaccarsi abbastanza alla vita, ecco tutto. Io non sono uno spettatore e non lo sarò mai. Voglio diventare grande, Silente, e lo sarò.»
Nella sua voce apparve una velata minaccia, ma il Preside parve non accorgersene. Continuò a sorridere con quella sua aria calma e pacata.
«Sei stato un mio alunno Lucius.» concluse infine «Quindi non posso che augurarti tutto il meglio che la vita può offrirti. Spero solo che tu sia capace di capire quali saranno le cose migliori.»
«Oh, non si preoccupi.» soffiò il ragazzo, quasi imitando un gatto che faceva le fusa. «So già quale strada seguire.»
«Molto bene.» tagliò corto Silente. «Sono contento per te. Adesso che ne dici di parlare del vero motivo per cui sei qui?»
«Non aspettavo altro.» annunciò Lucius, cominciando a togliersi finalmente i guanti. Sulle sue mani bianche e ossute brillava un gioiello. Un anello d’oro dalla pietra squadrata brillava solitario all’anulare della mano destra. Sopra vi era inciso in argento un serpente arroccato sopra una M disegnata con i vecchi caratteri gotici. Negli occhi il serpente aveva due grandi rubini che catturavano tutta la luce.
«Ah!» esclamò Silente visibilmente colpito. «Vedo che tuo padre ti ha passato la guida della famiglia.»
Lucius guardò il suo anello, sorridendo. Certo che lo aveva fatto. Quando Abraxas Malfoy aveva scoperto che l’Oscuro Signore aveva scelto il proprio erede per portare una nuova strega nel giro dei mangiamorte non aveva potuto far altro che ammettere che suo figlio lo aveva superato di molte spanne ormai. Ovviamente Lucius si era sempre guardato bene dal dire che la ragazza a cui era legato il successo della sua missione era una strega dal sangue sporco. Sospettava che se lo avesse fatto il suo vecchio non gli avrebbe mai passato il tesoro della famiglia.
L’anello di Rupert Malfoy, l’uomo che per anni aveva supportato Salazar Serpeverde nella sua lotta per innalzare il livello accademico della scuola di stregoneria di Hogwarts. Il capostipite di tutta la famiglia che per primo aveva sottolineato l’importanza di una discendenza pura e nobile. E adesso Lucius portava il suo anello, quello su cui, si diceva, Salazar Serpeverde aveva gettato un incantesimo potentissimo. Fino a quel momento l’unico potere che quell’anello aveva palesato era stato quello di sancire chi fosse la persona più adatta a guidare la famiglia Malfoy. Ed ora quell’anello era in mano sua, in tutti i sensi.
«L’anello dei Malfoy…» borbottò Silente, perso nei suoi mille pensieri che mai nessuno era riuscito a carpire. « L’anello di Rupert Malfoy… Si, sono sicuro che esso e il potere che porta in sé sapranno indicarti qual è il sentiero giusto…»
«Il suo potere?» domandò Lucius, curioso. Quel vecchiaccio parlava come se conoscesse meglio di lui la reliquia che da più di mille anni apparteneva alla sua famiglia. E se era veramente così il giovane Malfoy non si sarebbe mosso finchè non avrebbe ottenuto le informazioni di cui necessitava. «Quale potere?»
Silente tornò a guardare il suo ospite dritto negli occhi, sorridendogli educatamente. «Oh non dare peso alle parole di un povero vecchio. Parliamo piuttosto del motivo per cui ti trovi qui. Ho sentito dire in giro che al Ministero tutti sono rimasti affascinati da te e dal tuo spirito d’intraprendenza. Pensavo che laggiù odiassero tutto quello che era contrario alla tradizione, ma a quanto pare il mondo cambia con la stessa frequenza con cui mutano gli ideali.»
«Probabilmente hanno riconosciuto il mio talento e non avevano voglia di lasciarselo scappare.» cinguettò Lucius, adagiandosi sulla sua superbia.
«Non ne dubito. Ora veniamo al dunque: ho parlato con il professor Hoffman e alla fine ha accettato di assumerti come suo assistente.»
«Alla fine?»
«Si, ti confesso che non era così entusiasta di impegnarsi a formarti come Auror. Diceva che ormai aveva chiuso con il Ministero e che non voleva rivivere quegli anni passati a prendere ordini da politici corrotti. Quando è arrivato qui a Hogwarts annunciò che se aveva deciso di insegnare era solo perché io ero un suo buon amico e che mi doveva tanti di quei favori che aveva deciso di riunirli in uno solo, prendendo la cattedra che io gli offrivo. Come puoi dunque capire dalle mie parole, se non fosse stato per me il professor Hoffman si sarebbe ritirato, probabilmente abbandonando anche il mondo della magia.»
Lucius non proferì parola, però non riusciva a capire come un mago grande come Geoffrey Abrahmus Hoffman potesse davvero pensare di abbandonare il mondo che lo aveva reso pari quasi ad una leggenda.
«Probabilmente ti starai chiedendo perché avesse sfiorato così spesso una simile idea.» proseguì Silente, con fare pratico. «Non entrerò nei dettagli, perché non ho il diritto di appropriarmi di ricordi ed eventi personali che non mi riguardano, ma una cosa te la voglio dire. Gli Auror sono maghi potentissimi, è vero. Il mondo della Magia prospera sulle loro spalle, ma tutto questo ha un prezzo Lucius. Diventando Auror un mago si prepara a quelli che probabilmente saranno gli anni più bui e drammatici della propria esistenza. Durante una simile carriera si perdono tutti gli affetti. Si è costretti a viaggiare e ci si deve sempre tenere pronti. E’ una vita che non offre stabilità e che può portare alla morte delle persone che ti sono intorno. Per questo l’addestramento degli Auror è così complesso e così ricco di test attitudinali e psicologici: solo coloro che desiderano veramente intraprendere questa carriera, che lo sentono quasi come bisogno, possono andare avanti, perché solo loro possono sopportare abbastanza a lungo una vita simile. Ma tutti gli altri… Quelli che scelgono questo mestiere solo per sogni di grandezza… Beh loro perdono il sentiero e rimangono smarriti all’interno di un dolore che, te lo posso assicurare, è un dato certo. Per questo ti ho fatto venire qui, prima di mandarti dal professore. Ti sto offrendo l’occasione per rinunciare o per dire a te stesso se è veramente questo quello che vuoi o meno. Da questa decisione può dipendere tutta la tua vita, quindi non rispondere con superficialità.»
«Io voglio fare l’Auror» rispose ferocemente Lucius. Non aveva apprezzato quella predica da parte di Silente. Lo stava trattando come una nullità che non sapeva quello che stava facendo o che non era in grado di svolgere funzioni di così alta importanza. «Hanno accettato la mia richiesta al Ministero e non solo perché il nome di mio padre ha ancora un peso nel nostro mondo, ma perché sanno che sono un mago potente che può fare la differenza. E poi, Silente, un Malfoy non rinuncia mai, non si fa mai indietro una volta che ha scelto la strada da percorrere.»
«Come vuoi.» rispose pacatamente Silente, sfoggiando di nuovo un suo sorriso angelico e tranquillo. «Era però mio dovere farti questa…come l’hai chiamata?…ah si predica.»
«Non sono più un suo alunno, non ha più nessun dovere nei miei riguardi.»
«Ma stai per diventare un mio dipendente, in un modo o nell’altro, e sbagli se pensi che io mi preoccupi solo per i miei alunni.»
«Un dipendente?» Lucius Malfoy era impallidito improvvisamente. Ricco di famiglia e dal lignaggio alto non aveva mai lavorato. Aveva passato la sua vita a sperperare i soldi della sua discendenza, perdendo tempo a fare solo quello che voleva lui.
«Come ti ho già detto sarai l’assistente del professor Hoffman durante tutte le sue lezioni, e nelle ore in cui non dovrà spiegare alle classi, si dedicherà completamente a te. E’ l’unico modo per prendere lezioni da lui.»
«Quindi io…lavorerò?» la voce di Lucius non nascondeva il suo tono basito.
Silente annuì, ancora sorridendo. «Ovviamente, dal momento che il tuo è un tirocinio, o meglio, un internato, non ti verrà consegnato nessun tipo di pagamento o salario. La tua ricompensa risiederà nell’aver preso lezioni private dal più grande Auror di tutti i tempi.»
Lucius sarebbe voluto scattare in piedi e urlare. Non solo quel matto l’avrebbe fatto lavorare, ma non gli avrebbe dato neanche un soldi? Era quasi un affronto all’intera famiglia, ma Lucius sapeva che per portare a termine la sua missione aveva bisogno di una scusa per tornare ad Hogwarts, e quindi non poteva fare storie, e accettare tutte le condizioni che il preside gli dava.
«Ovviamente.» rispose a denti stretti, infine.

Lily tornò nella sala comune dei Grifondoro decisamente più tranquilla. Incontrare Malfoy e scaricare su di lui il suo nervosismo era sempre una mossa decisamente intelligente, perché le permetteva di prendere due piccioni con una sola fava. Nonostante questo, quando passò davanti al tavolo dove James e Remus stavano ancora trafficando con gli esercizi, tirò dritta, evitando volontariamente lo sguardo supplichevole che Lupin le aveva lanciato. Per quel giorno lei aveva dato, e non sarebbe di certo tornata davanti a James, dopo che lui, per l’ennesima volta, l’aveva trattata come qualcosa di scontato, qualcosa a cui lui poteva sempre ricorrere qualora si trovasse in difficoltà. Doveva imparare che doveva essere gentile, che doveva moderare le parole e soppesare le conseguenze delle sue scelte. Doveva imparare che nella vita,il piu delle volte, i premi si devono meritare.
Salì al dormitorio femminile, non avendo altro da fare. Aveva già finito i compiti, si era gia portata avanti con quelli per la settimana successiva, aveva già rimesso in ordine le sue cose: non le restava altro da fare che ammettere che, alla fine, James aveva ragione. La sua vita era un banale succedersi di eventi sempre uguali. Sbuffò, tristemente. Le scocciava ammettere che quel cretino aveva avuto ragione. La sua stanza era completamente deserta: le sue compagne stavano studiando, oppure stavano flirtando con qualche bellimbusto di corvonero o tassorosso, troppo in cerca di avventura per accontentarsi dei grifondoro che restavano quasi sempre a bocca asciutta.. Si sedette sul letto sentendosi, di colpo, dopo tanto tempo, sola. Fin da piccola, per via della sua sete di conoscenza e per la sua intelligenza sviluppata, era sempre stata allontanata dai coetanei che la consideravano troppo noiosa, troppo saccente. Ed ogni volta lei si rifugiava in qualche libro, in qualche storia che, una volta finita, serviva solo a rendere più grigia la sua esistenza. Aveva amato profondamente il cinema: ricordava quanto fosse divertente sedersi davanti ad una scatola e vedere donne bellissime diventare delle regine, delle eroine, delle persone di cui il mondo non poteva fare a meno. Ricordava che quando era piccola sognava di essere come loro, ma presto i suoi sogni erano sfumati per lasciare spazio alla realtà. Sua sorella Petunia non faceva altro che ripetere che doveva comportarsi come una persona e non stare sempre con la testa tra le nuvole. Le diceva che la gente avrebbe finito col prenderla per una matta e che lei avrebbe smesso di essere sua sorella. Forse era proprio per questo che, da quando era diventata una strega riconosciuta da Hogwarts, i rapporti con Petunia erano diventati freddi e puramente formali. Però, in fin dei conti, la sua infanzia le era piaciuta, perché, attraverso i libri più che attraverso le pellicole, ogni giorno poteva essere una persona diversa: poteva udire le parole d’amore del signor Darcy, poteva vagare tra la nebbia, sulle colline, insieme ad Heathcliff, poteva osservare Mina mentre rincontrava un principe dei Carpazi…Però le succedeva che alle volte, paragonando il suo mondo di fantasia con quello reale si accorgesse di quanto, in realtà, fosse sola. Poi era arrivata ad Hogwarts e di colpo aveva trovato degli amici. Tanti amici. Aveva trovato professori che la stimavano o che la eleggevano senza bisogno di parole quale ‘studentessa preferita’, aveva trovato ragazze che le confidavano i loro segreti e amici che si sarebbero anche fatti in quattro per aiutarla.
Eppure James… Quel cretino la trattava sempre male, la riduceva ad una nullità e lei provava l’impulso di picchiarlo, davvero. Forse il ragazzo non si rendeva conto che con il suo atteggiamento spocchioso e a volte meschino faceva risvegliare in lei ricordi di giorni in cui nessuno vedeva in lei altro che la ragazzina che leggeva tanti libri. E probabilmente era davvero questo il grande limite di James: parlava senza rendersi conto che le sue frasi, le sue parole, potevano ferire gli altri.
In questo, alla fine, non era poi tanto diverso da quel Lucius Malfoy che aveva tanto odiato.
E così, in quel pomeriggio, Lily si trovò di nuovo in compagnia della sua solitudine, a guardare i letti vuoti intorno al suo, sapendo che le altri si stavano divertendo piu di lei, troppo occupate a costruirsi una favola per potersene stare da sole a piangere la propria solitudine.
Da sola in quella grande stanza, si trovò a provare un po’ di invidia per le sue compagne di stanza, di studio…Lei non aveva mai provato l’estasi di amare completamente una persona, di perdersi nel desiderio di un’altra persona. Non aveva mai sperimentato la sensazione di non poter vivere senza il respiro della persona che si è scelta. A diciassette anni non era ancora mai stata innamorata.
Si alzò dal suo letto, sbuffando, e si avvicinò alla grande vetrata della finestra. Fuori il sole stava tramontando, e Lily contemplò i confini di quella visione che conosceva bene, e che ogni volta amava. Hogwarts, al tramonto, era davvero uno spettacolo incredibile. Sospirò.
«Ci mancavano solo i problemi di cuore…» si disse, cercando di infondersi il suo naturale buon umore. Non ci riuscì. Poggiò leggermente la mano sul vetro freddo, continuando a guardare fuori. Fu allora che lo vide. Chiuso nel cappotto scuro, Lucius Malfoy camminava frettolosamente, calpestando la terra come se volesse ferire anche lei. «Non sarebbe male,» si trovò a pensare. «se non fosse per quel suo caratteraccio. Se fosse un grifondoro, e se avesse un cuore, probabilmente sarebbe l’idolo della maggior parte di noi ragazze.»
Ma questo non cambiava le cose. Malfoy era il ragazzo peggiore che avesse mai conosciuto, il più malvagio, il più vile, il peggiore. E chiunque avrebbe provato ad amarlo sarebbe stata morsa dal veleno di un serpente e per sempre avrebbe sofferto, senza amore, e senza amici, fuggiti via alla vista di un tradimento.

***

Severus Piton varcò l’aula di Difesa contro le Arti Oscure quando mancavano pochi minuti all’inizio della lezione. I posti erano quasi tutti occupati, e tutti i ragazzi che vi erano accomodati non facevano che chiacchierare, con voce bassa e concitata, del ragazzo che organizzava la cattedra del professore Hoffman, che invece ancora non era arrivato.
«Che cosa ci fa lui qui?» stava chiedendo James Potter, continuando a fissare le spalle ricurve di Malfoy, piegato sulla cattedra.
«Te l’ho detto…» bisbigliò di rimando Sirius, seduto al suo fianco. « Ieri l’ho incontrato e mi ha detto che aveva un appuntamento con Silente.»
«Con Silente?» domandò di nuovo James, passandosi una mano tra i capelli in un gesto che lo caratterizzava dall’infanzia. «Che c’entra Silente?»
«E’ lui che assume il personale della scuola.» commentò serafico Lupin, sfogliando distrattamente le pagine del libro che aveva davanti. Sembrava essere più distratto del solito e James lo notò.
Lanciò un’occhiata a Sirius che si limitò a scrollare le spalle. “Lo sai” sembrava dire il linguaggio del corpo. Si, James lo sapeva, lo sapeva bene. Solo che con le ripetizioni con la Evans, le partite di quidditch, i compiti che lo tartassavano e il ritorno improvviso di Malfoy lo avevano così tenuto occupato che aveva finito con il non accorgersi che quella sera ci sarebbe stata luna piena. E come ogni mese, appena sentiva l’odore di plenilunio Remus sembrava perdere tutte le sue capacità intellettive, restandosene chiuso in un mondo che non accettava ospiti. L’influsso della luna, che una volta al mese lo trasformava in un essere in cui non si riconosceva, lo isolava dal resto del mondo, abbracciandolo in una morsa stretta che vagamente odorava di malinconia.
«Ehi Remus.» bisbigliò, avvicinandosi all’amico. «Questa sera ci vediamo al platano come ogni mese, va bene?»
Sul volto pallido di Piton un tenue sorriso apparve, ma durò così poco che James si domandò se lo avesse visto sul serio o meno. Non c’era niente da fare, quel giorno Remus sarebbe stato inconsolabile, e la vista di Malfoy che si sistemava alla cattedra, con quel suo cipiglio arrogante e superbo non lo aiutava affatto.
«Non sopporto di vederlo di nuovo» esclamò poi, tornando ad affrontare l’argomento iniziale.«Ero così contento quando si è diplomato portando le sue natiche purosangue fuori da questo posto. Non capisco proprio perché Silente abbia dovuto assumere Lucius Malfoy. I soldi non gli mancano di certo e tutti sanno quanto odiasse questo posto.»
«Vuole diventare Auror» commentò Lily con aria assente.
«Cosa?» esclamarono in coro Sirius e James, mentre anche Piton prestava attenzione alla conversazione. Lucius non aveva fatto parola del suo piano, eppure a quanto pareva Lily Evans sapeva più di lui, lui che Lucius aveva cercato per un aiuto.
«Vuole diventare Auror» ripetè Lily, dopo essersi voltata verso i due ragazzi, cadenzando ogni sillaba come se davanti avesse invece due bambini che non potessero capire perfettamente la lingua degli adulti.
«E tu come lo sai?» chiese James, sospettoso.
«Me lo ha detto lui, ieri. L’ho incontrato dopo aver lasciato te e Remus» rispose la ragazza, spiando brevemente il giovane Malfoy che finalmente si era accomodato e aveva preso a guardale la classe con la boriosità che gli era caratteristica. Mentre i Serpeverde facevano sorrisi e vaghi cenni di assenso e di incoraggiamento, i Grifondoro non facevano che stringere i pugni e commentare malevolmente quella sgradita presenza.
«E perché non ce l’hai detto? Eravamo ancora nella sala comune quando sei rientrata, lo so, ti ho vista. Saresti potuta venire al nostro tavolo a darci questa funebre notizia in modo che oggi fossimo già pronti, e invece te la sei tenuta per te. Posso sapere il motivo?» James era offeso. Una notizia come quella andava condivisa immediatamente, soprattutto se ad averla era una Grifondoro ed un Prefetto. E invece Lily si era tenuta il suo segreto pronto a sbatterlo in faccia per mostrare ancora una volta che era superiore, che conosceva meglio il mondo e le regole che lo governavano. E il ragazzo lesse in quell’atteggiamento un affronto personale. Eppure pensava che ormai le cose tra loro due si fossero appianate. Da quando, durante il quinto anno, Lily lo aveva aggredito dopo il divertente scherzetto fatto a Mocciosus, James si era dato una calmata e aveva cercato, per quanto gli fosse possibile, di reinserirsi nei ranghi. Aveva smesso di fare scherzi così plateali, aveva smesso di far agitare il boccino in ogni situazione per mettersi in mostra, eppure l’astio che Lily provava verso di lui non era scemato per niente. Al cospetto dei suoi grandi e belli occhi verdi James Potter era rimasto l’arrogante cicisbeo che non si curava d’altro se non di sé stesso.
«Non ero così ansiosa di parlare con te visto il tuo comportamento, se proprio vuoi saperlo.» bruscamente Lily tornò a voltare le spalle a James, apprendo con rabbia il suo libro. Doveva controllarsi. Non poteva permettere a quel… quel… quel… Non aveva neanche le parole per descriverlo. C’erano state delle volte, in quegli ultimi due anni, che aveva trovato quasi piacevole la sua compagnia. Ma quei momenti erano stati mere illusioni che si erano dissolte sotto lo strato spesso di realtà. James Potter era un pomposo ragazzo ricco che si divertiva a saltare sui sentimenti e sulla dignità delle persone, e non sarebbe mai cambiato. No, perché in fin dei conti a lui piaceva essere quello che in definitiva era. Che cosa gli aveva fatto anche solo pensare che dopo il modo in cui l’aveva trattata lei sarebbe corsa da lui a raccontargli quello che gli era successo? L’aveva forse scambiata per una delle oche che gli moriva dietro, spasimando ad ogni suo più piccolo movimento? Se aveva commesso un simile errore la colpa era solamente la sua, perché di certo lei non aveva mai fatto nulla per dare di sé quella spocchiosa immagine.
«Oh James, non farla arrabbiare» bisbigliò Peter, timoroso dell’amico tanto quanto della furia di Lily Evans.
James sbuffò, contrariato. Di nuovo guardò Sirius e con fastidio notò che stava trattenendo a stento una risata. Quanto si divertiva il signorino Black vedendolo messo all’angolo da una ragazzina.
Spaziò con lo sguardo nell’aula, cercando di calmare i suoi nervi, ma purtroppo i suoi occhi nocciola incontrarono uno spettacolo che gli fecero bollire il sangue nelle vene.
«ehi mocciosus » sibilò tra i denti, con aria perfida «Perché la stai guardando?»
Severus distolse lo sguardo dalle spalle dritte e fiere di Lily per incrociarlo con quello del suo nemico di sempre. «Che vuoi Potter?»
«Non ti illuderai mica di poterle piacere, vero?» James sorrise, crudele. Finalmente aveva trovato una valvola di sfogo, la vittima su cui avrebbe gettato tutto il nervosismo che aveva addosso. E come al solito il bersaglio scelto era sempre lo stesso. Severus Piton. «ehi lily» disse a voce più alta, in modo che la Grifondoro lo sentisse. «Credo che Mocciosus abbia una cotta per te.»
Lily si voltò prima a guardare James con fare omicida, per poi spostare il suo volto imbarazzato nella direzione di Severus. Sebbene lui non facesse che chiamarla ‘mezzosangue’, come il suo poco educato amico, Lily provava sempre un sentimento misto di dispiacere, pietà e conforto nei confronti di Piton. Dopotutto era dal primo anno che James lo ridicolizzava davanti all’intero corpo studentesco, e il fatto che Potter fosse il ragazzo più popolare della scuola non aveva mai aiutato Piton nella vita sociale, anzi.
«Che vuoi che me ne importi di quella…»
«oh secondo me te ne importa eccome!» lo schernì ancora James, ignorando l’astio che traspariva dagli occhi della ragazza. Sapeva che Lily non aveva mai apprezzato quel tipo di comportamento, ma in quel momento non gli importava. Dopotutto stava accadendo tutto per colpa sua. Perché si era vista con Malfoy e non glielo era andata a dire. «la stavi guardando con…»
«Potter» esclamò Lucius. Il suo tono di voce, sebbene più alto del solito, non sembrava lasciar trasparire alcuna rabbia, eppure tutti si accorsero che il sentimento che aveva portato Malfoy ad intromettersi era l’ira. «Perché non ripassi la lezione invece di infastidire i tuoi compagni?»
James guardò il suo nemico con gli occhi nocciola stretti in due fessure. «La cosa non ti riguarda, brutta serpe.»
«Ah no?» chiese ironicamente l’altro, rimanendo seduto con la stessa eleganza che caratterizzava Sirius. «Io penso il contrario invece. Sono l’assistente del professore e come tale posso punire chiunque disturbi gli altri. E cosa ancora più importante posso togliere punti ad ogni casa. Ho saputo che per colpa tua a Grifondoro ne sono stati molti, non è così?»
Serrando la mascella, James guardò Lily. Se avesse fatto perdere altri punti alla casa non lo avrebbe mai perdonato, né lo avrebbe lasciato in pace. Avrebbe voluto scavalcare la cattedra e gettare uno schiantesimo a quella faccia che tante volte aveva desiderato prendere a pugni. Si guardò le mani, come se fossero loro le padrone del suo cervello a quel momento.
Vuoi che lo colpiamo? Vuoi che lo prendiamo a pugni, James? Possiamo farlo, e ci piacerebbe anche. Oh si, ci piacerebbe un mondo.
Non c’era cosa che anelasse di più in quel momento. Dar ragione alle proprie mani e togliersi quello sfizio che, per vie delle regole e delle situazioni, non era mai riuscito a portare a compimento. Dopotutto non dicevano tutti che il modo migliore per liberarsi delle tentazioni è cedere ad esse?
«Allora Potter, che cosa hai da dire adesso?»
James, dai, colpiamolo. Lasciacelo colpire. Ti sentirai meglio dopo.Si, si sarebbe sentito senz’altro meglio nell’aver dato a Malfoy quello che si meritava, ma poi, come sarebbe stato vedendo la delusione e la rabbia negli occhi della bella prefettina che gli sedeva davanti? Il gioco valeva davvero la candela?
«Niente.» concluse poi, stringendo i pugni, come a voler incatenare le sue mani che avrebbero voluto agire indipendentemente dai dettami del cervello.
«Niente, signore.» lo punzecchiò Malfoy, sapendo che in quel modo gli avrebbe fatto saltare i nervi.
E fu così che andò. James imprecò a bassa voce e probabilmente avrebbe fatto di peggio se Lily non si fosse voltata a guardarlo, con aria di sfida, come se volesse vedere se era capace o no di mettersi di nuovo nei guai.
«Niente, SIGNORE» ripetè con astio.
Allora sul volto del nuovo assistente si dipinse un sorriso soddisfatto e il suo sguardo andò ad incrociare quello di Piton. Lily lo notò, e per la prima volta in vita sua si trovò a domandarsi se anche ne covo delle serpi esistesse qualcosa di simile all’amicizia. Lucius non era forse intervenuto per dare una mano a Piton, messo in imbarazzo da James?
Per un attimo i loro sguardi si incrociarono, ma poi Lucius tornò a guardare l’aula nella sua interezza, sorridendo soddisfatto. Aveva pensato che la faccenda dell’assistente gli avrebbe dato solo seccature, e invece cominciava ad apprezzare quella nuova posizione che gli conferiva potere per provocare e punire tutti coloro che provavano a intrecciare la sua strada. Non solo avrebbe portato a termine la sua missione, ma si sarebbe anche divertito un mondo nel farlo.
«Buongiorno ragazzi.» una voce cavernosa e rauca si insinuò nello sguardo pieno di scintille che James stava ancora rivolgendo al nuovo assistente.
«Buongiorno professore.» risposero tutti gli studenti in coro, salutando il loro professore di Difesa contro le Arti Oscure: Geoffrey Abrahmus Hoffman. L’uomo, alto più di un metro e ottanta, era vestito con un completo purpureo di foggia romantica, risalente probabilmente alla moda della Francia di fine settecento. La giacca, dal taglio elegante e vagamente italiano, era leggermente più lunga nella parte posteriore, mentre quella anteriore era resa ridondante dai merletti della camicia bianca che spuntavano ordinati dalla spilla che chiudeva il colletto.
Lanciò un’occhiata a Malfoy, che sedeva comodamente al posto d’onore, alla cattedra, e sospirò, infastidito. Senza dire una parola si rivolse alla classe, fissandola con i suoi profondi occhi viola screziati di piccole pagliuzze nere. Occhi che sembravano capaci di spalancare le porte dell’inferno più cupo, occhi in grado di fare qualsiasi cosa. Quello destro, seminascosto dalla lunga frangia obliqua, era stato deturpato da una cicatrice con la forma che richiamava vagamente un sette. Eppure anche quel taglio profondo non era riuscito a rovinarne la bellezza. Tutte le ragazze si erano innamorate di lui, la prima volta che avevano incrociato quello sguardo tagliente e freddo, distaccato ma incredibilmente profondo. Lily ricordò con un sorriso il suo primo anno ad Hogwarts, quando aveva passato i primi due trimestri a sognare del suo professore, del suo sguardo posato su di lei. Ora invece non provava più niente e se anche incrociava quello sguardo non faceva altro che sorridere al suo professore preferito. Con un gesto naturale il professor Hoffman si scansò un ciuffo ribelle della frangetta dall’occhio. Il fatto che l’avesse tagliata obliquamente non gli permetteva di richiuderla nello chignon in cui aveva stretto il resto dei lisci e setosi capelli scuri. Si sedette sulla cattedra con movimenti fluidi ed eleganti, accavallando le gambe, senza che il gesto gli facesse perdere la sua naturale virilità. Non si scusò con Malfoy per le spalle che gli dava, e James godette quando notò il fastidio sul volto dell’ex serpeverde.
«Come vi avevo promesso, oggi, finalmente, cominceremo a parlare di vampiri.» disse il professore, intrecciando le dita, e sorridendo non appena l’entusiasmo degli allievi lo travolse. Erano mesi che gli chiedevano quando avrebbe cominciato a parlare di quelle creature che sembravano affascinarli oltre l’umana comprensione. «Calmi, calmi…» proseguì «Non incontrerete un vampiro ancora per molto tempo, quindi raffreddate i vostri ardenti spiriti. Quella di oggi sarà solo una lezione teorica, e spero che vogliate stare attenti lo stesso. Perché il giorno in cui incontrerete un non-morto intenzionato a nutrirsi di voi magari rimpiangerete il non aver prestato attenzione alla bellissima lezione del vostro professore preferito.»
Alcuni risero, ma Malfoy guardò il professore che gli era stato indicato con occhi increduli. Silente, con il suo discorsetto, gli aveva lasciato intendere che Hoffman fosse un’anima cupa, chiuso in se stesso, un misantropo, un misogino, insomma la copia peggiore di un essere umano mancato. Invece sembrava stranamente pimpante, allegro, come se non ci fosse niente che desiderasse di più di trovarsi in quell’aula. Quell’atteggiamento stonava vistosamente con le parole che il preside aveva usato per descriverlo.
«Molto bene, iniziamo da un po’ di storia.» esclamò il professore, ignorando lo sguardo di Malfoy che sembrava scavargli nelle spalle e battendo le mani, come per infondere coraggio a sé stesso e alla classe che aveva davanti. Questo atteggiamento piaceva molto a Lily. Adorava il professor Hoffman, non solo perché li trattava quasi come se fossero alla pari, ma anche perché non si perdeva in chiacchiere, come molti dei suoi colleghi. Sapeva che cosa doveva fare ogni giorno, e iniziava subito. Divertente ed efficace. «Molti pensano, erroneamente, che il vampirismo sia nato nel 1897, quando il noto mago Bram Stoker diede alle stampe il suo saggio sul conte Dracula, che aveva avuto modo di incontrare. I babbani hanno preso questo testo come un romanzo di fantasia, eppure sono stati travolti dalla superstizione contro queste creature, dando per ufficiale che i vampiri sono nati nel 1897. Ovviamente è errato. Se cominciassi a parlare di tutti i residui che si sono trovati di queste creature immagino che dovremmo risalire all’era preistorica, quando vennero trovati dei cadaveri con delle pietre sul petto, come se chi li aveva sotterrati avesse paura che potessero rialzarsi dalla morta, diventare rèvenants. In realtà i vampiri esistono dall’origine del mondo, come gli umani. La leggenda vuole che essi vivessero sotto terra, raccolti in piccole caste o tribù. Poi l’uomo con la sua voglia di superare tutti i limiti ha scavato e scavato, per metri, per chilometri, distruggendo il regno sotterraneo di queste creature. Si narra che molti vampiri morirono per via della caduta delle grandi arcate del loro Regno, ma non si sa niente di certo riguardo a questa teoria. Ad ogni modo, quelli che sopravvissero furono costretti a rintanarsi all’esterno. Ora, la loro vita, fino a quel momento, li aveva abituati alle ombre e alle tenebre, per questo non possono sopportare la vista del sole.»
Sirius sbuffò, poggiando il volto su una mano. «Questa sembra una lezione di storia della magia, e per quello abbiamo già Ruf.»
«Sono sicuro, signor Black» disse pacatamente il professore «che presto troverà la mia lezione più interessante di quella monotonale del mio collega. «Ora si dice che il sostentamento principale dei vampiri fosse un alimento reperibile solo nelle viscere della terra. Quindi, quando furono costretti a vivere in esilio, in superficie, per un lungo periodo morirono di fame, finchè non scoprirono una magia: il sangue umano. La vita. Avevano scoperto che nutrendosi della vita di altri esseri umani, immagazzinando emozioni ed esperienze non solo guadagnavano una nuova umanità, ma diventavano più forti. Con gli anni, con i secoli, i vampiri più antichi hanno scoperto che non avevano bisogno di bere tutte le sere, e che più anni avevano e meno erano in pericolo alla luce del sole, scoperta che mi permette di essere qui anche di primo pomeriggio.»
Il professor Hoffman fece una piccola pausa, guardando intorno i volti dei suoi studenti. Non si era aspettato grandi reazioni, dal momento che era un fatto noto che lui fosse un non-morto, ma almeno un apprezzamento per l’ultima battuta avrebbero potuto anche farlo. Non ci badò, e riprese a spiegare. «Ovviamente, come ogni creatura di questo mondo, esistono vampiri buoni e vampiri cattivi, ed io sono qui per parlarvi della seconda razza, quelli cattivi. Per prima cosa vi darò una dimostrazione di come si nutre un vampiro. Signor Malfoy vorrebbe venire qui, per favore? Farmi da cavia?»
Se possibile Lucius era diventato più bianco di quanto fosse già in realtà. I grandi occhi grigi si erano fatti vitrei ed erano sbarrati. La classe aspettava impazientemente.
«Andiamo, è o non è il mio assistente?» Suo malgrado Malfoy si alzò dal suo posto a sedere e con fare titubante si avvicinò al professore. «Per l’amor di Dio, Lucius, si calmi. Non ho intenzione davvero di bere il suo sangue, anche perché, a vederla, non penso che abbia abbastanza sangue per soddisfare il mio appetito e suppongo che quello che abbia non sia di mio gusto.»
La classe, o almeno la metà dei Grifondoro, esplose in una sonora risata, e James si azzardò anche ad accennare un applauso. Quel professore era davvero un genio.
«allora…» riprese il professor Hoffman, intrecciando le sue gambe lunghe e sottili attorno alla vita del suo infelice assistente. «…sebbene per legge sia vietato nutrirsi di persone contro la loro volontà, i vampiri malvagi non si curano di queste ristrettezze e per lo più amano attaccare i loro nemici alle spalle, immobilizzandolo. Se fate attenzione vedrete che ho bloccato Lucius all’altezza dell’addome, in modo che possa muoversi il meno possibile. E in più gli ho bloccato anche le braccia. Essendo dietro il nemico, i vampiri si assicurano di non essere visti perfettamente, per questo possono scegliere il punto migliore per affondare i canini, e il punto migliore è sempre la giugulare.» Detto questo il professore mostrò appena le sue zanne abbassandosi velocemente sul collo di Malfoy che non emise un suono, ma che lasciava trasparire tutta la sua ansia dal volto contratto e teso. Il morso non avvenne. «Ora, se un vampiro è arrivato a questo punto fatevi mentalmente il segno della croce e preparatevi ad andare in un altro mondo: l’aldilà o quello dei vampiri. Perché se un vampiro è arrivato così vicino alla vostra giugulare non c’è niente che possiate fare. Per questo ci vogliono nervi saldi e riflessi pronti. Ovviamente se vi sentite prendere in questo modo, non pensate se sia un vampiro o meno. C’è un incantesimo che può dirvi subito se quello che avete di fronte, o meglio, alle spalle è un vampiro o no. Qualcuno sa dirmi di cosa sto parlando?»
Timidamente Lily alzò la mano.
«Si, signorina Evans?»
«Lo Smagliante Incantatio.» disse, con un sorriso, mentre la sua mano riprendeva un po’ di fiato dopo la corse che Lily le aveva fatto fare sulle pergamene.
«Molto bene, cinque punti per i Grifondoro.» esclamò entusiasta il professore. «Questo incantesimo, simulando la luce del sole di mezzogiorno, con la componente magia e della sua potenza, incenerisce all’istante il volto del vampiro. Non lo uccide, ma lo debilita molto. Se vedete una parte del suo bel volto diventare cenere, complimenti, avete vinto un vampiro, altrimenti…beh, dal momento che vi ha preso alle spalle, è meglio darsela a gambe. Ma torniamo all’opzione numero uno: abbiamo scoperto che quello che ci ha attaccato è un brutto mostro con i denti affilati, a questo punto come ci muoviamo? E giuro che se qualcuno mi parla di aglio e croci tolgo cento punti alle loro case.»
«C’è il sanguis nefasis» borbottò Piton con un tono di voce abbastanza alto perché il professore potesse udire il suo intervento.
«Grande idea, signor Piton. Come al solito non si smentisce mai… Conosce perfettamente tutte le pozioni. Far bere ad un vampiro il sangue di un cadavere sporcato con quello di un vampiro è un ottima idea, e funziona alla grande, ma penso che siano pochi i maghi che se ne vadano in giro con una provetta di questo veleno, non pensa? Ora cercate di riflettere. Possibile che nessuno di voi sappia dirmi un metodo piu…fattibile? Vi assicuro che non vi lascerò liberi di andare finchè non mi avrete dato la risposta che mi aspetto da una classe dell’ultimo anno»
Improvvisamente molte mani vennero alzate al cielo, titubanti ma fiere. Hoffman sorrise, soddisfatto di sé stesso e dei suoi allievi.

 
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