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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Originali (inventate)
Titolo Fanfic: CIÒ CHE NON HO MAI RACCONTATO.
Genere: Sentimentale, Romantico, Introspettivo
Rating: Per Tutte le età
Avviso: One Shot
Autore: irenes galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 14/06/2007 22:48:44

La storia che vorrei aver vissuto... o che devo ancora vivere.
 
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- Capitolo 1° -

Guardai fuori dal finestrino dell’automobile. Erano solo le cinque del pomeriggio, ma il sole era stato da tempo oscurato dai banchi di nuvole grigie e tutto sembrava preannunciare un temporale. Il paesaggio stava cominciando a stufarmi: ai lati della strada si estendevano campi di grano e solo qua e là si scorgeva qualche abitazione.
“Dove mi stai portando?” chiesi per l’ennesima volta, sperando almeno stavolta in una risposta concreta.
“Ti piacerà”, rispose lui impassibilmente, tenendo lo sguardo puntato sulla strada. Era evidente che voleva farmi una sorpresa.
“Capisco che tu abbia la patente mentre io sia solo un’insulsa sedicenne, ma ciò non giustifica il fatto che tu possa portarmi dove ti pare” cercai di spronarlo a parlare, ma le parole uscirono insicure e non produssero l’effetto desiderato.
Lui rimase in silenzio e, con un gesto automatico, infilò un cd nell’autoradio. E così, aveva deciso di ignorarmi. Stavo per ribattere nuovamente quando commisi il grande errore di voltarmi a guardare il profilo del suo viso, rimanendo ancora una volta senza fiato. Non potevo fare a meno di stupirmi ogni volta della sua bellezza, quasi fosse un bambolotto in porcellana; sembrava addirittura aumentare di volta in volta. I morbidi lineamenti del suo viso sembravano ancora più perfetti nel nostro primo incontro da soli; in fondo, eravamo solo amici e lui non aveva commesso azioni dalle quali potesse trasparire un interesse verso me in particolare. In fondo, eravamo da soli in quell’auto solo perché gli altri ci avevano dato buca. Ma, in quel momento, sembrava che il sole se ne fosse andato per lasciar spazio ad una luce più bella: la sua luce.
Scostai lo sguardo e scacciai quei pensieri, che furono subito rimpiazzati da altri: Lorenzo, infatti, aveva appena svoltato a destra e preso una stradina che in nessun modo sarei riuscita a scorgere se fossi stata da sola. Dove mi stava portando? E perché non voleva dirmelo? Mille domande mi invadevano la mente: mille domande e neanche una risposta.
Non sentii subito il ticchettio della pioggia sui finestrini della macchina, perché ero troppo assorta nei miei pensieri. Le gocce d’acqua diventarono sempre più numerose, finché la lieve pioggia iniziale si trasformò in un diluvio. Ma l’acqua non mi dava fastidio, anzi: contribuiva a rendere il posto in cui ci stavamo recando ancora più incantevole e misterioso. La pioggia cadeva incessantemente, ma le nuvole continuavano ad essere abbastanza alte da riuscire a scorgere anche il paesaggio in lontananza.
“Siamo arrivati”, disse infine Lorenzo. Rimasi stupita nell’osservare che il panorama non era ancora mutato: i campi di grano erano ancora tutt’attorno a noi. Iniziai a chiedermi cos’avesse di tanto speciale quel posto. Lorenzo aprì la portiera dell’auto e m’invitò a scendere, facendo bene attenzione a coprirmi con il suo ombrello. Eravamo così stretti l’uno accanto all’altra sotto un ombrello troppo piccolo che riuscivo ad udire il suo respiro piatto e regolare.
Sentivo il suo profumo sul mio giubbotto. Era il profumo del cielo e del mare, delle stelle, della bellezza; era il suo profumo, era quello che sentivo nelle notti senza sonno e nei momenti in cui mi chiedevo cos’era che ancora mi mancava. Avevo dei genitori che mi avevano cresciuta con tutto l’amore di cui disponevano; i miei voti a scuola erano ottimi e presto avrei ricevuto una borsa di studio; avevo dei veri amici, il mio appiglio nei momenti di crisi. Avevo lui; ma lo avevo soltanto come amico, e non mi bastava. Era lui che mi mancava.
Una folata di vento mi riportò alla realtà. L’ombrello non sembrava poter sopportare quella corrente ancora a lungo.
“Forse non era la giornata più adatta per venire qui.” Dovetti fare uno sforzo per sentire le sue parole nello scrosciare della pioggia. Non seppi cosa rispondere: del mio canto, neanche un temporale avrebbe potuto rovinare quel momento.
Ci spostammo di qualche metro, e solo allora mi accorsi che il paesaggio era cambiato radicalmente. Non eravamo più in mezzo ai campi di grano, bensì sull’orlo di un dirupo alto abbastanza da averne paura, in fondo al quale giaceva un lago. Il vento era diventato così forte che l’ombrello scivolò dalle mani di Lorenzo e fu sospinto lontano. Lo vidi ondeggiare nell’aria, precipitando lentamente nella profondità che mi si presentava davanti; volò sempre più lontano, finché non scomparve definitivamente dalla mia vista. I capelli iniziarono ad inzupparsi d’acqua e gli abiti mi si appiccicarono al corpo. Poco importava, in quel momento.
Lorenzo mi prese per mano e mi guidò tra le insicurezze del terreno. Il suo gesto mi disorientò lievemente: in fondo non l’aveva mai fatto prima d’allora. Mi lasciai trasportare, nonostante avessi una certa paura del ciglio del precipizio al quale ci stavamo velocemente avvicinando. Infine lo raggiungemmo e, se lui non mi avesse tenuta per mano, sarei molto probabilmente caduta. Si sedette al suolo infradiciato e io lo imitai; la pioggia continuava a scorrere sulla mia pelle. La vista mi mozzava il fiato a tal punto che non riuscii a dar voce al mio stupore.
“Mi ci portava spesso mia madre, quand’ero ancora un bambino. Inseguivo le farfalle, e mi sentivo libero quasi fossi anch’io una farfalla. Talvolta iniziava a piovere e dovevamo rifugiarci sotto quella sporgenza per non bagnarci”, disse, indicando una convessità nella roccia.
“E’ un posto stupendo”, dissi, col fiato corto.
“Sei la prima persona che porto qui; è stata una fortuna dover lasciare gli altri a casa, di certo non avrei svelato a tutti loro l’esistenza di questo luogo.”
Le sue parole mi presero alla sprovvista, ma non lo lasciai dare a vedere. Non volevo che quell’istante fosse rovinato da un mio gesto stupido. Avevo paura che decidesse di andarsene da un momento all’altro; sarei rimasta lì anche per tutta la notte. Nonostante tutto, però, cominciavo a sentire un po’ di freddo e di tanto in tanto rabbrividivo. Lorenzo evidentemente se ne accorse, perché si avvicinò ancora di più a me e mi strinse tra le sue braccia. Appoggiai la testa sulla sua spalla e mi lasciai andare. Sentivo vicino come non mai il suo profumo, e mi invadeva le narici, scivolando dentro me, dentro, sempre più dentro; sino al mio animo.
“Io… Non sono mai stato bravo nell’esprimere i miei sentimenti”, iniziò. “Ma vorrei che tu sapessi che in questo momento sei la cosa più importante che io…”
Voltò la testa dall’altra parte e non finì la frase.
“Scusami”, aggiunse in fretta, “non volevo. Mi sono lasciato prendere dalla situazione.”
“Non devi scusarti”, dissi, arrossendo lievemente, “era bello.”
Mi guardò nuovamente. L’azzurro dei suoi occhi brillava di una luce che non avevo mai notato prima d’allora, quasi vi fosse riflesso il chiarore del sole. Ma il sole, oltre che essere nascosto dietro alle nuvole grigie, stava anche iniziando a calare, lasciando il suo posto all’oscurità. Lorenzo mi accarezzò la guancia con la mano, gli occhi ancora fissi sui miei; sentii il calore di quella mano, nonostante facesse molto più freddo di prima. Probabilmente, però, non era la sua mano ad essere diventata calda, bensì le mie guance.
Non sarebbe potuto accadere nulla di diverso, lì, in quel posto, in quella situazione. Lorenzo mi prese il viso tra le mani e lo avvicinò lentamente al suo; non opposi alcuna resistenza, semmai lo incitai a proseguire. Le nostre labbra s’incontrarono dolcemente, e proseguimmo in quel bacio sotto alla pioggia quasi fosse l’ultimo prima di un addio. Ma non era l’ultimo, no; questo era appena l’inizio.
 
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