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Categoria: Originali (inventate)
Titolo Fanfic: LEI NON SAPEVA RIDERE
Genere: Introspettivo
Rating: Per Tutte le età
Avviso: One Shot
Autore: derebithi galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 12/06/2007 22:43:23

Mi dispiaceva lasciarla non pubblicata... ^^""
 
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- Capitolo 1° -

Lo so... fa schifo^^"". All'inizio volevo fare una storia dove c'era questa bambina che aveva problemi e non sorrideva mai. Poi trovava una persona che le voleva veramente bene, dopo averne passate di crude e di cotte, e tutto si volge al meglio. Solo che era lunga da scrivere ed essendo io ancora inesperta su come si scrivono le cose volevo posticiparla un pò per farla al meglio. Ma non mi andava quindi ecco l'arrangiamento... xD
Comunque... la morale della storia che volevo fare era che forse le persone che noi consideriamo diverse sono nostri pari, anzi più speciali di noi.
Ora leggete o no.. fate come ve pare xD




Questa è la piccola storia di una piccola bambina che non sapeva ridere.

Il traffico era sempre di più. A stento si riusciva ad attraversare la strada. Anche se c’era il passaggio pedonale le persone dovevano aspettare per vari minuti prima di riuscire a passare.
C’era una piccola scuola lì vicino. Era recintata da un cancello bianco. Aveva le mura bianche splendenti con in basso rifiniture in mattone. Le finestre erano molto grandi, prendevano un aula intera. Il tetto era rosso. Intorno c’era un giardino con le altalene, gli scivoli, una scatola con della sabbia e altri giochi. C’erano alcuni tavolini sotto un grande gazebo con delle panchine gialle e rosse. Tutto il giardino era pieno di fiori, di aiuole, di alberi che facevano ombra. Una scuola normale, distinta però per il suo nome. “Scuola privata Oriben”.
La scuola Oriben era privata e solo bambini speciali ci entravano. Questi bambini erano affetti da problemi psicologici ed erano dichiarati “bambini dalla mente instabile”. Alcuni avevano personalità multiple, altri parlavano da soli, altri erano affetti da mutismo consenziente, altri ancora avevano aggredito delle persone in passato. Questi erano i casi più popolari alla Oriben. Tra l’altro venivano inseriti ragazzi affetti da sindrome di down e ragazzi autistici. Gli orari della scuola prevedevano tutto il giorno. Quindi i bambini entravano dalle otto del mattino e tornavano a casa alle cinque del pomeriggio. Il loro programma erano le materie fondamentali come lingua, matematica, geografia, storia ed in più si svolgevano attività ricreative come disegno, musica, giochi. Durante l’arco della giornata ogni bambino doveva vedersi con il medico della scuola, almeno un ora o due al giorno, per parlare e fare alcune visite.
Alla scuola Oriben c’erano in tutto 160 bambini divisi in venti classi diverse. In una di queste classi, precisamente nella 2°A, c’era una bambina speciale come gli altri. Si chiamava Marie (pronunciato Marì *nd autrice) che se ne stava sempre in disparte. Non giocava mai con nessuno, tranne nei giochi organizzati dalle educatrici. Era molto silenziosa ma anche brava nello studio. Sembrava una ragazza “normale”, se normali si possono considerare le persone senza problemi psichici, ma c’era qualcosa che la faceva assomigliare a tutti gli altri bambini. Marie non sorrideva mai. Neanche una lieve smorfia che potesse sembrare simile ad un sorriso, non rideva neanche. Marie era in quella scuola da due anni, ma per tutta la vita era stata seguita da medici privati. Non aveva mai riso, neanche una volta. All’inizio si era pensato che Marie fosse autistica, ma il fatto che con i genitori e che con gli insegnanti parlava dimostrava tutt’altro. La bambina non sorrideva, e basta.

Quel giorno il traffico era molto. Per colpa del rumore che facevano i clacson della auto i bambini dovettero rimanere all’interno della scuola. Alcuni di loro non sopportavano rumori forti e potevano avere qualche crisi. Era l’ora dell’intervallo. Quel giorno era il compleanno di Marie che compiva sette anni. Le educatrici avevano organizzato tutto. Alle pareti della classe avevano appeso dei disegni fatti dagli altri bambini che dicevano “buon compleanno Marie”. Avevano tutti scritte strane e tutti colorati in modo diverso. Alle finestre c’erano delle immagini di pacchetti regalo e di alcune torte disegnate. Dal soffitto pendevano dei palloncini e molti bambini ci andavano sotto per giocarci, saltando come tante cavallette. Quando le educatrici annunciarono l’ora dell’intervallo dalla porta della classe entrò un vassoio con sopra una grande torta al cioccolato con della panna intorno e nel mezzo un disegno di un cartone animato che piaceva a Marie. Appena la videro, i bambini corsero come impazziti per assaggiarne subito un pezzo. Dopo aver spento le candeline Marie distribuì i pezzetti di torta ai suoi compagni che si sporcarono tutti nel mangiarla.
Quel giorno si dedicò tutto alla ricreazione e al compleanno di Marie. I bambini la invitavano a giocare e alcuni la facevano parlare, anche se a stento.
Venne la sera. Erano ormai le cinque e fuori dalla scuola c’erano un sacco di genitori ansiosi di rivedere i propri pargoli. Li abbracciavano, li baciavano e ogni volta gli portavano un regalo diverso, dal cibo ai giocattoli. I bambini, come sempre, se ne andavano felici, anche se molti non lo dimostravano. Anche Marie tornava a casa, venuta a prendere dalla sua nonna che con fare gracile e lento la prendeva per mano, le dava una carezza e le regalava una focaccina e un succo di frutta. Marie prendeva tutto ringraziando la nonna. E poi entrambe svanivano nel caos cittadino.
C’era una cosa che Claire, l’educatrice di Marie, si chiedeva da tempo. Il fatto che la bambina non sapesse ridere forse dimostrava in qualche modo la sua tristezza per aver perso i genitori?
Quando nacque lei era già orfana. La nonna la trovò davanti a casa sua in una piccola cesta. Non si era mai saputo chi fossero i suoi genitori e forse, capendo questo, Marie si era chiusa in sé stessa. Ma ciò non spiegava perché da sempre non sapesse ridere.
Claire, dopo quattro anni che la conosceva, decise di chiederlo direttamente a lei. A volte i bambini parlano più facilmente con le persone che vedono tutti i giorni, pensò mentre si ricordava i medici che le facevano la stessa domanda.
Quel giorno Marie era vestita con un abito bianco. La gonnellina era bordata di pizzo e ai piedi aveva delle scarpette lucide. Tra i capelli, lunghi e mossi, aveva un nastro sempre bianco. Come sempre aveva sulle spalle la sua cartelletta rosa con dentro le matite colorate, i pastelli e una bambola di pezza che chiamava Tina. Camminava saltellando con i capelli che svolazzavano ribelli. Fu proprio in quell’occasione che Claire si avvicinò alla bambina e glielo domandò. Si chinò davanti a lei, sotto il suo sguardo perplesso e forse già consapevole.
- Marie, perché tu non sorridi e non ridi mai? – le chiese schietta e subito al sodo. Sapeva che Marie era molto intelligente e girare intorno ad una cosa con lei non funzionava. A quella domanda la bambina prese per mano Claire, la guardò e stavolta il suo sguardo era molto più adulto.
- Io spiegherò questa cosa soltanto a te perché tu diventerai mia madre. – disse subito dopo. L’affermazione, come la voce e l’aura che emetteva erano cose che la facevano sembrare un'altra Marie. L’educatrice rimase in silenzio, come abbagliata da quella nuova sensazione.
- Io non sono Marie. Il mio vero nome è Maryrose Welling. Ho 33 anni, e questa è l’età nella quale sono morta. Mi reincarno, come uno spirito che non vuole cessare di vivere. Sono Maryrose l’errante e vago per salvare il mondo da persone così – disse indicando fuori dalla cancellata bianca che circondava la scuola, poi si volse nuovamente a Claire – Ogni vita che vivo è nella solitudine più profonda. Ogni volta che mi reincarno perdo un emozione umana e per questo non riesco a ridere. Io so che tu diverrai mia madre tu sei la reincarnazione di essa.-
Si fermò un attimo credendo che l’educatrice avesse qualcosa da chiedere, ma sembrava una bambola intenta a fissare la bambina che le stringeva la mano e che parlava come un adulto.
- Io fui la donna che visse per tutta la sua vita nella sofferenza e dalla mia morte mi reincarno per salvare tutti quelli che riesco a salvare. Io ero una ragazza con problemi di epilessia, ed avevo malformazioni in quasi tutto il corpo. Per questo la gente deve sapere che i ragazzi di questa scuola, come tutti quelli che ci sono al mondo non sono persone “anormali”ma bensì un capolavoro della natura. – disse infine. Claire rimase a bocca aperta.

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Quando Marie compì 33 anni morì. Claire non ricordò mai cosa Marie le avesse detto quel giorno perché tutto le era stato cancellato dalla mente. Ma dopo quell’evento il mondo iniziò a migliorarsi. Era una sua impressione forse, ma il merito era stato di quella bambina che non sapeva sorridere. Il suo spirito così forte, lo spirito che per tutta la sua eternità era costretto a soffrire per salvare gli altri aveva compiuto un altro miracolo. Per trentatré anni non ci furono discriminazioni. I ragazzi con problemi psichici erano uguali agli altri. Le persone si aiutavano a vicenda e nessuno si tirava indietro se vedeva una persona morire. Un aiuto in più lo davano tutti. Una speranza.
Però quando Marie compì 33 anni, tutto tornò come prima. La gente dimenticò ciò che era successo, come se nulla fosse mai accaduto.
Marie ora era pronta per reincarnarsi di nuovo. Il suo desiderio di salvare gli altri, di cambiare il mondo era così forte che si era fatto valere anche dopo la sua morte. Così ogni 33 anni Marie si reincarna per far accadere ancora quel piccolo miracolo. Un mondo in cui tutti hanno gli stessi diritti e lo stesso valore.
La bambina che non sapeva sorridere. Questa volta che emozione potrà mancarle?
 
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