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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Originali (inventate)
Titolo Fanfic: THE SEVEN EMPIRES WORLD
Genere: Sentimentale, Azione, Avventura, Fantasy, Soprannaturale
Rating: Per Tutte le età
Avviso: AU, RRS
Autore: otaku18 galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 01/06/2007 06:55:43 (ultimo inserimento: 08/09/07)

Sette regni in guerra per la supremazia.E nel nostro mondo Amy Donovan,ricca,bella e viziata.Cosa li lega?Tutto comincia da un medaglione...
 
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- Capitolo 1° -

Bene, allora: prima di fiondarvi nella lettura di questa bellissima fiction (...) occorre dire due paroline: è l'opera della collaborazione tra me, mangaka91, e otakuhitomi; scriveremo un capitolo a testa, ma la storia è inventata da entrambe. I commenti - che ovviamente manderete - potete mandarli a quetso indirizzo comune, esprimendo complimenti, consigli e anche critiche!

beh, non mi resta che da dirvi... buona lettura!!

Martarella =P







THE SEVEN EMPIRES' WORLD



CAPITOLO PRIMO



La stanza era avvolta in una cupa penombra. Era una camera ampia, e piuttosto lussuosa: su una parete vi erano due finestre, ed una porta a vetri che conduceva ad un terrazzo vasto e disseminato di piante esotiche. Il pavimento della stanza era ricoperto da uno strato di alta e morbida moquette color lilla; su una parete troneggiava un enorme armadio di ciliegio, ricco di fregi e complicate decorazioni; sull'altra, invece, si trovava una grande TV al plasma, sotto al quale invece era conservata in una teca una vastissima raccolta di DVD di ogni genere. Ad un angolo si trovava un impianto stereo hi-fi.

Di fronte a questa parete si trovava il letto: era enorme, con un baldacchino dal quale pendevano delle sottili tende color lilla, come le coperte ricamate; dentro a questo giaceva una ragazza addormentata, con una mano posata sul cuscino, accanto al viso. Respirava quietamente, e le labbra erano appena curvate in un sorriso. Ai suoi piedi si trovava un gatto, anch'esso addormentato: il suo pelo era lungo e bianco, tale che da lontano sembrava un candido e morbido cuscino.

La stanza era immersa nel silenzio, interrotto solo da dei mormorii che la ragazza pronunciava nel sonno.

Improvvisamente lo stereo si accese, diffondendo una piacevole melodia, mentre le serrande che oscuravano le finestre si aprivano automaticamente, facendo entrare nella camera una cada luce solare.

Quando un raggio investì con delicatezza il viso della ragazza, questa borbottò piano, poi aprì gli occhi. Si mise a sedere, stiracchiandosi, mentre anche il gatto socchiudeva gli occhi verdi e magnetici, fissandola con aria sorniona.

“Buongiorno, Lucy-loo...” mormorò, accarezzando la gatta, che inarcò la schiena, cominciando a fare le fusa.

La ragazza si alzò lentamente ed infilò delle ciabattine rosa, dirigendosi verso il suo bagno personale.

Nel frattempo la porta della stanza si aprì, ed entrò una cameriera dall'aria molto nervosa. “S-signorina Amy?” chiamò con voce esitante, guardandosi intorno nella stanza vuota.

“Grace, sei tu?” rispose la ragazza dal bagno con voce leggermente alterata “Ma insomma, quante volte devo ripeterti di bussare prima di entrare?! Va bene che sei stata appena assunta, però certe cose sono elementari!”

La cameriera, una ragazza giovane con due grandi occhi azzurri, si inchinò istintivamente, balbettando: “M-mi dispiace, signorina... n-non succederà più!”

“Vorrei ben vedere!” replicò Amy, uscendo dal bagno avvolta in un grande asciugamano bianco.

Guardò Grace per qualche secondo, battendo piano un piede per terra; poi spazientita esclamò: “Beh, cosa stai aspettando? I miei vestiti, dai!” aggiunse vedendo l'aria confusa della ragazza.

Grace trasalì e corse a prendere la divisa scolastica, mormorando qualche scusa. La ragazza afferrò i vestiti sospirando e la congedò con un cenno, che l'altra capì solo dopo qualche secondo. Uscita la cameriera, alzò gli occhi al cielo e cominciò a vestirsi.

Una volta pronta, Amy si guardò allo specchio, soddisfatta. Era bella, e sapeva di esserlo. Aveva degli occhi grandi ed espressivi, di un colore nocciola screziato di pagliuzze dorate, occhi che da un momento all'altro potevano diventare sereni, rassicuranti, infuriati, minacciosi. Completavano il viso un naso sbarazzino e delle labbra piene e rosee. I capelli erano lisci e lunghi fino alla vita, color del rame: usava mille attenzioni per mantenerli morbidi, folti e lucenti.

Aveva un corpo armonioso: proporzionato e ben fatto; anche dai movimento trapelava una grande decisione, e una certa attitudine al comando.

Amy sorrise al suo riflesso, ed uscì dalla camera, rincorsa da Grace che portava il cappotto e la cartella con i libri.

Attraversarono vari corridoi, pieni di dipinti e statue di squisita fattura, fino ad arrivare ad una bella ed imponente sala da pranzo, con un grande tavolo di mogano al centro. Nonostante i mobili antichi, l'atmosfera non era opprimente, dato che un intero lato della stanza consisteva in una grande vetrata, che oltre a far entrare una grande quantità di luce permetteva la visione dello splendido parco dietro casa.

Amy corse dapprima verso il vetro, beandosi dei caldi raggi del sole: adorava la luce e il calore; appena la temperatura lo permetteva trascorreva ore e ore all'aperto, leggendo o semplicemente stando sdraiata, ad occhi chiusi, percependo il sole e godendo di esso.

Dopo qualche secondo, però, se ne allontanò, e si sedette al tavolo. Scoccò un'occhiata eloquente a Grace, che subito corse a prendere la colazione; tornò poco dopo con un vassoio, sul quale c'erano latte, biscotti, marmellata e mille altre squisitezze: lo posò sul tavolo e subito si dileguò.

Contemporaneamente da un'altra porta entrò un uomo, alto e robusto, ma con un viso benevolo; le si avvicinò e scompigliandole affettuosamente i capelli disse: “Buongiorno, piccola...”

Amy si riaggiustò in fretta, ma sorrise: probabilmente era l'unico al quale permetteva di fare qualcosa del genere senza ripercussioni. “'giorno, papà!” fece, inzuppando un biscotto nella sua tazza di latte.

“Posso favorire?” chiese, facendole l'occhiolino.

“Beh, è un grande onore... ma per questa volta...” scherzò lei, scostando la sedia accanto alla sua e facendolo accomodare.

I due cominciarono a fare colazione insieme.

“Allora, come va con questa nuova ragazza, con Grace?” le chiese il padre, prendendo un pasticcino dal vassoio.

La ragazza sospirò. “A dir la verità non troppo bene, papà... cioè, naturalmente deve ancora imparare parecchie cose, ma per quello c'è tempo. Più che altro mi irrita il suo atteggiamento... sempre lì a tremare, a guardarmi con quegli occhi da cucciolo terrorizzato...” imitò in modo convincente le reazioni spaventate della ragazza “Insomma, non la mangio mica!”

Il padre ridacchiò sotto i baffi, un po' per l'imitazione, un po' perché comprendeva quella povera cameriera: Grace, infatti, era la dodicesima ragazza che ricopriva, o meglio cominciava a ricoprire quell'incarico; le altre o erano state licenziate durante uno scatto d'ira di Amy o se ne erano andare volontariamente in preda ad una crisi di nervi. Circolavano addirittura leggende riguardo al fatto che avesse cacciato la sua terza cameriera perché, lavando un peluche della sua collezione, questo si era sbiadito. Amy infatti aveva un'intera stanza adibita allo scopo: mensole e mensole piene di pupazzi, e pretendeva che tutti fossero periodicamente spolverati e che subito dopo però tornassero esattamente al loro posto. E quella ragazza era il palese esempio di cosa succedeva a chi contravveniva a questa regola.

Era perfettamente normale, quindi, che una cameriera, sapendo che poteva essere licenziata in men che non si dica per qualsiasi sciocchezza, fosse decisamente nervosa e spaventata.

Per di più Amy non aveva un carattere facile: era abbastanza capricciosa, e dava per scontato che i suoi ordini dovessero essere prontamente eseguiti; era poco paziente ed abituata a non essere contraddetta.

L'uomo sospirò, consapevole che probabilmente la colpa era sua: aveva assecondato ogni suo capriccio da bambina, cosicché ora, a quasi quindici anni, era decisamente viziata. L'unica sua attenuante era che aveva agito in buona fede, cercando di non farle sentire la mancanza della madre, venuta a mancare dieci anni prima.

“Accidenti, com'è tardi!” esclamò ad un tratto Amy, saltando su dalla sedia “Papà, devo andare... o a arriverò tardi a scuola! Come minimo l'autista starà già aspettando... uff, si lamenta sempre che sono in ritardo, ma come si permette, poi?” cominciò a borbottare tra sé e sé.

“Va bene, tesoro” disse l'uomo “Vai pure, ci vediamo più tardi.”

Amy si chinò e gli scoccò un sonoro bacio sulla guancia. “A dopo, papà!” esclamò “Grace, il cappotto! E lo zaino? Grace, insomma!!” fece spazientita, lanciando un'occhiata al padre come per mostrargli un esempio di quello che intendeva prima. La cameriera, terribilmente mortificata, accorse in tutta fretta, infilandole il cappotto e porgendole la borsa dei libri.

Amy era già sulla porta di casa quando il padre tossicchiò, e piano disse: “Amy, tra pochi giorni sarà il tuo compleanno... non vorresti organizzare una festa, o magari una cena con le tue amiche... quelle cose che alle ragazze piace tanto fare!” Si sforzava di essere gioviale, ma il suo volto era teso.

A quelle parole gli occhi della ragazza si incupirono, diventando due fessure marrone scuro. Li fissò dritto davanti a sé, e senza guardarlo in faccia disse piano, ma decisa: “Meglio di no, papà... meglio di no.” Dopodiché con un sorriso forzato uscì di casa.



Amy era sulla moquette, il volto premuto contro il vetro della portafinestra, osservando la miriade di gocce di pioggia che cadevano dal cielo plumbeo e si infrangevano sul cotto del balcone come tante piccole bombe.

Si avvolse più strettamente nella coperta, ed infilò in bocca un cioccolatino, prendendolo dalla scatola che aveva vicino: questo era il suo trattamento per i giorni in cui si sentiva particolarmente triste. E quello probabilmente era il peggiore di tutti.

Nonostante la coperta, rabbrividì. Non era il freddo, lo sapeva bene. O meglio, non quel freddo, quello che poteva raggiungerla da fuori: era il gelo che in quel momento sentiva dentro di sé, come se tra le costole al posto di un cuore che batteva avesse un blocco di ghiaccio.

Bel modo di trascorrere il proprio compleanno, pensò con un sorriso ironico e amareggiato.
Quindici anni... se le cose non fossero state in quel modo, probabilmente avrebbe dato una grandissima festa, come le avevano suggerito le amiche, ed anche suo padre.

Ma non se la sentiva di festeggiare. Di ridere, di divertirsi, quando dieci anni prima... in quello stesso giorno... sua madre...

Immagini confuse si susseguirono davanti ai suoi occhi. I festoni, una folla di bambini, una grande torta, solo un posto vuoto... e poi quell'uomo vestito di nero, suo padre che piangeva, che mandava via tutti... che le si avvicinava e sussurrava tra le lacrime: “Mamma è diventata un angelo”... e un palloncino solitario che saliva su, sempre più su... rosso scarlatto contro il cielo azzurro...

Si alzò in piedi e buttò la coperta da una parte, in preda ad uno scatto di rabbia.
Lei... lei se n'era andata, l'aveva lasciata quando non era che una bambina di cinque anni.
Amy non aveva versato una lacrima per sua madre, né durante il funerale né in seguito. Tutti avevano pensato che fosse una bambina molto forte, che non volesse rattristare il suo papà... la realtà era che Amy odiava sua madre. La odiava per essersene andata quando aveva ancora bisogno di lei.

E ora... ora non le avrebbe permesso di rovinarle anche quel giorno. Era come una sfida tra loro due.

Afferrò il cellulare, e chiamò una decina di amiche per festeggiare il suo compleanno in qualche locale; in pochi minuti aveva organizzato tutto. Si, si sarebbe divertita. Era decisa a farlo. Sorrise come per incoraggiarsi, e cominciò a pensare a cosa avrebbe indossato.



Era sera tardi quando rientrò a casa, piena di pacchetti e di cose da raccontare a chi avesse avuto la pazienza di ascoltarla. Era allegra, come mai Grace l'aveva vista: rideva di gusto ad ogni sciocchezza, faceva battute, non la smetteva mai di parlare, tanto che per la prima volta la giudicò una ragazza simpatica e spiritosa. Cosa che strideva decisamente con l'idea che si era fatta di lei.

Dopo aver congedato Grace – ovvero dopo una buona mezz'ora di racconto – Amy fece un bagno caldo e rilassante, liberandosi di quel po' di tensione che le era rimasta. Uscì dalla vasca fumante e si avvolse in un morbido asciugamano rosa, mentre un altro le cingeva i capelli umidi. Calzando le sue morbide pantofole, tornò nella camera e stava per indossare il pigiama quando qualcuno bussò alla porta. “Tesoro, sono io, posso entrare?”

“Certo, papà...” rispose lei, mentre l'uomo apriva la porta. Aveva un'espressione allegra e soddisfatta: era contento che finalmente sua figlia si fosse decisa ad uscire da quella camera. Guardò sorridendo Amy, che lo squadrò un po' confusa, sorridendo di rimando. “Cosa c'è, papà?”

“Ah, si...” mormorò l'uomo, come se si fosse scordato il motivo per il quale si era recato là. Il suo volto si fece improvvisamente stanco e preoccupato, mente da dietro la schiena tirava fuori un pacchetto. Era una semplice scatoletta di cartone, senza nessuna scritta, che Amy non avrebbe neppure considerato, tra la montagna di regali scintillanti che aveva ricevuto. Ma vedendola tra le mani del padre, che fissava la scatola con gravità, non poté fare a meno di sentirsi incuriosita, e, come era suo carattere, fare di tutto per ottenerla.

“È... è per me?” disse piano, tendendo istantaneamente la mano.

Il padre allontanò di scatto la scatola, esclamando: “Aspetta!”

La mano di Amy ricadde lentamente lungo il fianco. “Come, aspetta?” fece, delusa e indispettita “È per me o no?”

“È per te...” rispose il padre con voce stanca. Sapeva che il suo era un compito ingrato, e questa consapevolezza rendeva tutto molto più difficile. “Ma devi dirmi prima se sei sicura di volerlo.”

“Certo che lo voglio! È un regalo, no? E di chi?”

L'uomo sospirò. Era così serena, così lontana dalla realtà... “Questo... è un regalo di mamma” annunciò un po' esitante.

“Di mamma?” mormorò Amy, assaporando il suono di quella parola che non usava da così tanto tempo. “Come... come è possibile?”

“Vedi, lei... mi aveva lasciato questo, da darti quando avessi compiuto quindici anni. E quel giorno è arrivato. Ma non sei obbligata a prenderlo. Se non sei sicura puoi rifiutare...” concluse, con tono quasi speranzoso.

Amy fu tentata di non prenderlo, giusto per fare un dispetto alla madre; ma ormai era troppo incuriosita, così affermò con decisione: “Sono sicura: dammela.”

Il padre socchiuse gli occhi e espirò, come se improvvisamente un grande carico gli fosse piombato sulla schiena. Ciononostante, tese la mano, ed Amy in fretta afferrò l'ambita scatoletta e la apriva freneticamente. Sollevò il coperchio lentamente, come per creare un attimo di suspance: dopodiché vi tuffò la mano dentro ed estrasse con grande meraviglia una collanina alla quale era appeso uno strano medaglione. La ragazza con fare quasi riverente lo posò sul palmo della mano per osservarlo meglio: aveva la forma di un cerchio, con delle rune che seguivano la linea della circonferenza; all'interno si trovava una sorta di fiamma in rilievo: lingue di fuoco che si sovrapponevano; rosso, arancio e giallo che si mescolavano al nero in maniera talmente realistica che Amy non lo toccò per paura di scottarsi.

“È... è magnifico!” fece la ragazza in un soffio “Dio, sembra vivo... ma di che materiale è fatto? E cosa vogliono dire queste rune? Eh, papà?” esclamò alzando gli occhi dal gioiello.

La stanza era vuota.



Tutto era compiuto.

Aveva svolto il suo compito, per quanto avrebbe dato tutto quello che aveva perché quel Fato non fosse destinato proprio alla sua bambina. Non era pronta, pensò angosciato. Non era preparata ad una cosa del genere. Non avrebbe resistito. Non...

Cercò di calmarsi. Non poteva farci niente, non c'era scelta. Quello era il suo destino. Lo era fin da quando era venuta al mondo, e niente e nessuno l'avrebbero potuto cambiare. Era stato costretto a vederla crescere felice e spensierata, senza alcun presentimento di quello che le sarebbe capitato. Non aveva potuto dirle niente: il suo compito era solo quello di consegnarle il medaglione quando sarebbe venuto il momento. E quel momento era arrivato. Ora non poteva fare altro che restare ad osservare.



Rimasta sola nella stanza, Amy restò un attimo a bocca aperta, cercando di capire cosa fosse successo. Perché mai, infatti, suo padre se n'era andato? Ci rifletté un po' su, poi scrollò le spalle e pensando “Sarà l'età!” tornò a fissare il medaglione, affascinata. Percorse con un dito le fiamme che sembravano ardere all'interno di esso; poi automaticamente lo infilò al collo. E il gioiello aderì perfettamente alla pelle umida, come se fosse il suo posto da anni, come se fosse sempre stato lì.

Amy sorrise ed andò verso lo specchio per osservarsi meglio.

“Sembra fatto apposta per me!” pensò compiaciuta, ma guardando il suo riflesso si ricordò di indossare ancora l'asciugamano. Rimproverandosi per la sua sbadataggine, diede le spalle allo specchio, dirigendosi verso il letto per prendere il pigiama.

D'improvviso sentì una fitta di dolore al petto.

“Ahi!” esclamò, portando subito la mano al medaglione “Ma... ma cosa sta succedendo? È rovente, brucia...”

Cercò di levarselo immediatamente, ma anche usando tutte le sue forze non ci riuscì: il gioiello sembrava incollato alla sua pelle.
Sforzandosi di non andare nel panico, cominciò a pensare razionalmente: da cosa era originato quel calore? Non poteva certo essere il medaglione.
Insomma, era un oggetto, ferro, metallo...

Amy lo guardò, come per confermare le sue riflessioni.

No.
Non era assolutamente possibile.
O gli occhi la stavano ingannando – e sarebbe stata la soluzione più semplice e tranquillizzante – oppure stava davvero vedendo le fiamme del medaglione muoversi, ondeggianti, sinuose... vive.

Scosse la testa, spaventata.
Cercò ancora invano di levarselo, per gettarlo via il più lontano possibile, con tentativi sempre più frenetici e disperati.

Cosa... cosa diavolo stava succedendo?

Corse allo specchio, e anche nel riflesso le fiamme del medaglione si muovevano.
Il calore aumentava sempre più; le pareva di avere un fuoco bruciante al centro del petto.

Nello stesso momento la superficie dello specchio smise di riflettere.

“Ma... cosa...” esclamò, tendendo la mano verso quella che sembrava diventata una parete bianca e tremolante, come una sorta di gelatina.
Cosa diavolo stava succedendo alla sua vita?

All'improvviso un punto della parete prese a tremare, e da esso onde simili a cerchi nell'acqua cominciarono a propagarsi su tutta la superficie.
Amy non riuscì a distogliere lo sguardo, atterrita eppure affascinata da quello strano fenomeno.

Ma poi rimase solo il terrore, un terrore tale che il suo cuore smise per un attimo di battere.
Perché da quello stesso punto sotto i suoi occhi increduli e inorriditi fuoriuscirono delle dita, poi una mano, infine un intero braccio, che annaspò un po' nell'aria, per poi afferrare saldamente il suo polso.

Amy cercò di urlare, ma dalla sua bocca non uscì alcun suono. Si divincolò selvaggiamente, tentando di liberarsi da quella stretta gelida e forte: ma ogni suo sforzo era inutile, la presa su di lei era salda, solida, crudele.

“No... no...” La sua voce era un gemito, soffocato dal terrore e dalle lacrime che sgorgavano spontanee dai suoi occhi, mentre il braccio la tirava con forza verso di sé.

“LASCIAMI!” riuscì ad urlare “LASCIAMI!!” Tempestò la mano di pugni, la colpì con tutte le sue forze, cercando nel panico di ritrarsi, di allontanarsi, rabbrividendo ed urlando, mentre la mano la tirava sempre più vicino allo specchio.



Il padre sedeva ancora alla scrivania. La sentiva. Sentiva sua figlia, la persona che più era importante per lui, la sua ragione di vita, urlare per un terrore folle. E poteva anche vederla. La immaginava mente si dibatteva, cercando di opporsi a quello che era il suo destino, mentre si sforzava invano di allontanarsi dal cupo baratro in cui sarebbe precipitata. In cui era inevitabile che precipitasse. Immagini e suoni che gli straziavano il cuore, e che l'avrebbero perseguitato durante le lunghi notti a venire. Notti insonni, notti di pensieri, di paure, notti di ripensamenti.

Eppure non poteva muoversi. Doveva rimanere lì, ancorato alla scrivania.

Le urla si fecero più disperate, agghiaccianti. Avrebbe voluto tapparsi le orecchie, impedire che quei suoni lo raggiungessero. Ma non sarebbe stato giusto. Doveva ascoltare, sarebbe stata la sua punizione, la pena da pagare per l'orrore verso il quale stava mandando la figlia. Conficcò le unghie nel legno pregiato della scrivania, per impedirsi di intervenire, trattenendo senza accorgersene il respiro, il cuore che batteva all'unisono con quello della figlia, che gridava sempre più selvaggiamente...

E poi fu il silenzio.

Lentamente l'uomo si rilassò, e lasciò andare un lungo, profondo respiro. Era fatta. Chinò il capo, prendendosi la testa tra le mani. Si chiese se avrebbe mai più rivisto sua figlia.





La prima sensazione che Amy avvertì fu il freddo, un gelo che si arrampicava sul suo corpo come tanti serpentelli di ghiaccio, facendola rabbrividire. L'oscurità la avvolgeva, impedendole di vedere qualsiasi cosa si trovasse intorno a lei.

Si sentiva frastornata e indolenzita, come se l'avessero tirata contemporaneamente per braccia e gambe; nella sua mente regnava la più grande confusione. Ma non era nel suo carattere restare immobile a lungo: posò le mani per terra, cercando di esplorare al tatto il terreno intorno a lei, ma le ritrasse subito, inorridita: il suolo era umido, e evitò di indagare su cosa lo rendesse così. Che schifo. Aveva la nausea al solo pensarci.

Mano a mano che la nebbia che avvolgeva i suoi pensieri cominciava a dileguarsi, cominciò a ricordare cosa fosse successo: l'improvviso bruciare del medaglione, lo specchio che si trasformava, e poi quel braccio mortalmente pallido, quella mano gelida che la attirava a sé... un nodo di paura e repulsione al solo ricordo le chiuse la gola. Meglio non pensarci, si disse. La paura decisamente non era una delle emozioni che predominavano nel suo carattere: avrebbe affrontato la situazione a testa alta, come suo solito, e di sicuro ne sarebbe uscita facilmente.

Ciononostante, il suo cuore non poté fare a meno di accelerare i battiti quando udì dei passi, leggeri e fruscianti, che si avvicinavano. Trattenne il respiro per sentire meglio, mentre il suono si faceva sempre più prossimo; quando si fermò, era sicura che chiunque ne fosse l'origine si trovava decisamente vicino a lei.

Avrebbe parlato per prima, stabilì. Era il modo migliore per dimostrare che non era affatto intimorita. E lei non lo era, si ripeté. La paura è per i deboli. La paura è per i deboli. La paura è per...

Improvvisamente la circondò un fascio di luce bianca, così accecante che fu costretta a schermarsi gli occhi con una mano, se non a chiuderli del tutto.

“Cosa... cosa diavolo...” esclamò, sentendosi la voce leggermente rauca.

“Eccoti qua, finalmente” risuonò una voce dall'ombra; era armoniosa e gentile, ma in essa si poteva sentire una nota glaciale. Non era troppo profonda, ma si capiva che si trattava di una voce maschile “Ti aspettavo con ansia, sai? Si può dire che sei mia ospite...”

“Ospite?” ripeté Amy, frastornata dalla luce abbacinante che l'aveva investita tutto ad un tratto “Cosa vuol dire? E dove mi trovo?”

“Quante domande...” la voce rise, e fu come se mille cristalli di ghiaccio si scontrassero fra di loro “Calma, ragazza.”

Amy si sentì montare dentro una gran rabbia. “Senti un po', tu... prima di tutto, scordati di chiamarmi ragazza. Nessuno si è mai permesso di chiamarmi così, e tu di certo non sarai il primo!”Questo era un punto da mettere subito in chiaro. “Secondo, dimmi dubito dove mi trovo, chiaro? Perché non ho intenzione di restarci un minuto di più!” Tentò di alzarsi, ma le gambe cedettero e ricadde in ginocchio.

“Che caratterino” ridacchiò la voce “Peccato che in questo momento non ti possa servire.”

La ragazza rimase piuttosto sorpresa da quella reazione: abituata ad essere obbedita di tutto punto, e nel minor tempo possibile, non poteva tollerare quella calma, quell'indifferenza, e soprattutto quel tono ironico.

Decise di riprovare. “Il mio carattere non è affar tuo.” disse decisa “Preoccupati invece di rispondere alle mie domande. Voglio sapere immediatamente dove – diavolo – sono.” scandì “E per quale motivo, anche. E soprattutto... come vi permettere di lasciarmi qui per terra, invece di darmi una sistemazione conveniente! Insomma, io...”

Si bloccò quando un braccio, lo stesso che era sbucato dal suo specchio, ne era certa, penetrò all'interno del fascio di luce; e al ricordo l'orrore tornò ad impadronirsi di lei, e si ritrasse automaticamente. Ma era senza forze, e non poté impedire che due dita, fredde come il ghiaccio, le sollevassero il mento, come per far veder meglio il suo viso. Amy rabbrividì a quel tocco.

“Lasciami...” disse debolmente, come se con quelle dita le stesse prendendo energia “Lasciami subito...”

“Hai una pelle molto morbida” affermò la voce in tono piatto, semplice, come se fosse una normale osservazione.

“C-che?!” Amy sentì il rossore salire suo malgrado alle guance.

La mano le sfiorò la pelle appena sotto lo zigomo, indugiandovi sopra con la punta gelida delle dita. “E calda...” aggiunse la voce, con appena un po' di malizia.

Amy si sentì il sangue ribollire nelle vene, e un'ondata di energia la percorse. Nessuno poteva prendersi gioco di lei a quel modo. Nessuno. “Smettila!” esclamò, dando uno schiaffo alla mano. Sentì un'esclamazione di sorpresa e ne fu soddisfatta: quel tizio cominciava davvero ad irritarla. E quando Amy si irritava, non c'era paura che potesse fermare al sua rabbia. Si alzò di scatto e puntò un indice contro l'oscurità dove aveva visto sbucare il braccio, piantando l'altra mano sul fianco in atteggiamento da battaglia.

“Ora stammi a sentire: prima di tutto non provare più a mettermi le tue viscide manacce addosso, razza di verme! Secondo, se non lo sai, io sono Amy Donovan, l'unica figlia di Patrick Donovan, della Donovan&co... la più importante compagnia di investimenti del Regno Unito! Non ti conviene mettertelo contro, sai? Ha il potere di far fallire qualsiasi attività tu intraprenderai, e – credimi – lo farà, appena saprà il trattamento ignobile che mi è stato riservato, e...”

Si fermò sentendo di nuovo quella risata; stavolta aveva un tono canzonatorio e riempiva la stanza, circondandola da ogni direzione.

“Dove punti quel dito? Sono qui...” Sentì la voce alle sua spalle, un sussurro gelido dietro l'orecchio, mentre quelle dita fredde le sfiorarono il collo.

Prima che lei potesse voltarsi, la presenza era sparita con un risolino.

“Ti sembra così divertente?” esclamò Amy irritata, cercando di capire dove si trovasse; ma il fascio di luce, che rendeva lei ben visibile, le impediva di vedere tutto il resto.

“Si”rispose semplicemente la voce “Ma adesso basta giocare...” mormorò, con un tono serio e tagliente che le fece accapponare la pelle.

“S-sta lontano da me!” esclamò tentando invano di sembrare spavalda e niente affatto preoccupata. “Ti avviso che ho seguito un corso di autodifesa!” mentì cercando di intimorirlo.

La voce rise sommessamente, come se si prendesse gioco di lei e delle sue minacce.

“E smettila di ridere, è una cosa che mi manda in bestia!” continuò la ragazza “Anzi, comincia a farti vedere...”

“Ti fa paura non sapere con chi stai parlando, vero?” Il sussurro arrivo nuovamente alle sue spalle, subdolo, sinuoso, gelido come una brezza invernale.

Amy si voltò, spaventata, con un braccio alzato per colpirlo, o almeno tentare di farlo, esclamando: “Adesso ba...”

In un istante, senza neanche capire bene come, si ritrovò con le braccia immobilizzate da una mano, che le teneva entrambi i polsi bloccati sopra la testa, a fissare in volto il suo persecutore.

“...sta” terminò in un soffio.

Era di una bellezza disarmante, tale da mozzarle il fiato: aveva un colorito pallido, puro e senza la minima imperfezione; filze color argento ricadevano sulla fronte, mentre il resto dei capelli era gettato all'indietro. Gli zigomi erano appena marcati, il naso, dritto e regolare, sovrastava delle labbra leggermente pallide. Amy provò un inspiegabile impulso a sfiorarle, che svanì appena vide gli occhi. Se fino ad un istante prima aveva considerato belli i suoi, al confronto con quelli la sua convinzione sparì in un baleno. Avevano una linea elegante e leggermente allungata, ma quello che lasciava senza fiato era il colore: l'iride era di un chiaro verde-acqua, come il mare in un giorno d'inverno, con punte di grigio; il colore di una parete di ghiaccio screziata di venature azzurrine. Amy si sentì come incatenata a quegli occhi, a quello sguardo, a quel viso.

Era giovane, o meglio, così sembrava ad occhi umani. Perché la ragazza ne era certa, quello non era un essere umano: non solo per il colore argenteo dei capelli, ogni suo tratto era caratterizzato da una perfezione così manifesta da sembrare sovrannaturale. Ecco, era il viso che avrebbe attribuito ad un angelo. Peccato che il sorriso ironico e vagamente provocatorio che aleggiava sulle sue labbra fosse tutt'altro che angelico.

“Siamo diventate calme tutto a un tratto, eh?” disse, avvolgendola nella brezza gelida che era il suo respiro.

Amy avrebbe voluto ribattere, avrebbe anche dovuto farlo, ma la sua mente in quel momento era completamente vuota.

“Abbigliamento curioso” aggiunse l'altro, squadrandola con aria colpita. Amy impiegò qualche secondo per capire di cosa stesse parlando; poi con orrore si rese conto di essere ancora avvolta nell'asciugamano da bagno, mente quello che le tratteneva i capelli era caduto a terra nel contrasto di poco prima.

“Stavo... stavo facendo il bagno” balbettò, per poi pensare stizzita che non aveva alcun motivo per doversi giustificare con lui.

“Ah” si limitò a dire il ragazzo, se così si poteva definire. Con la mano libera, prese una ciocca dei lunghi capelli di lei, cominciando a giocherellarci con le dita. Le rivolse un sorriso sghembo e aggiunse in tono vagamente ironico: “Interessante”.

Non lo sopportava. Si stava prendendo gioco di lei, approfittando del fatto che non si poteva ribellare, pensò furiosa. E le stava anche toccando i capelli, cosa che lei detestava. Cercò di divincolarsi, ed imprecò sottovoce constatando che anche usando tutte le sue forze la morsa d'acciaio che le imprigionava le braccia non si era allentata neanche un po'.

Lui finse un'espressione stupita. “Ma che linguaggio per una signorina...” La sua voce era melodiosa, e anche se il tono era provocatorio Amy non poté fare a meno di trovarla piacevole; di conseguenza l'odio per quel ragazzo si acuì.

“È inutile” aggiunse lui in tono serio “Che cerchi di liberarti, intendo. Non hai neanche la più lontana possibilità di riuscirci, quindi lascia perdere dal principio.”

La ragazza gli rivolse uno sguardo assassino, che però ebbe come unico effetto quello di farlo sorridere nel modo ironico che lei detestava.

“Per favore...” commentò, piegando il capo da una parte, con un'espressione tra il compassionevole e il canzonatorio “Non crederai mica che possa farmi il minimo effetto.”

Poi, di scatto, chinò il capo, e alzando dal basso gli occhi verso di lei si portò la ciocca di capelli che aveva tra le dita alle labbra. “Ha un buon profumo...” fece piano, continuando a fissarla negli occhi.

Amy si sforzò di non arrossire, e tirò indietro la testa per liberare quella ciocca dalle sue mani, e anche per allontanarsi dal gelo stordente del suo respiro. “Mollami subito!” esclamò, con la maggiore decisione che le riuscì.

L'altro, imperturbabile, schiuse le dita, lasciando scivolare via con un guizzo ramato i suoi capelli; subito dopo aprì anche l'altra mano, e le braccia di Amy ricaddero inerti lungo i fianchi. Dopodiché si voltò, dandole le spalle. Mentre lei si chiedeva cosa avesse potuto causare un cambiamento così repentino, lo sentì dire: “Sei una persona piuttosto bizzarra... sarebbe divertente rimanere a chiacchierare, ma non possiamo perdere troppo tempo. Sei attesa, e non è carino fare aspettare le persone...” e batté le mani in aria.

A quel gesto ci fu come un lampo accecante. Amy, abbacinata, dovette chiudere gli occhi, abituati alla quasi completa oscurità, e non osò riaprirli se non dopo qualche secondo, temendo di rimanere abbagliata. E appena fu in grado di vedere quello che la circondava, rimase a bocca aperta.

Ghiaccio. Ogni dettaglio, ogni singolo particolare in quella stanza era di ghiaccio. Era una sala rettangolare, dall'aria elegante e un po' austera; la luce entrava da delle grandi finestre a bifora, battendo sul lucido pavimento azzurrino e illuminando per riflesso tutta la sala, al centro della quale troneggiava un imponente tavolo a ferro di cavallo, che sorgeva direttamente dal pavimento. Era di un ghiaccio compatto e piuttosto scuro: aveva linee semplici ma eleganti, con un motivo a spirali che ne seguiva il perimetro. Attorno ad esso di trovavano delle sedie, dallo schienale alto e imponente, ornate di fregi non troppo vistosi. Sembrava infatti che non dovessero offuscare la magnificenza del trono che si trovava al centro del ferro di cavallo, la posizione predominante. Era di un ghiaccio traslucido, rilucente come cristallo, con linee morbide e decise allo stesso tempo, come ad indicare che chi vi si sedeva poteva essere contemporaneamente misericordioso o terribile. Qualcosa, però, faceva propendere per la seconda ipotesi: due serpenti di ghiaccio,infatti, talmente realistici che ci si aspettava di vederli muovere da un momento all'altro, si arrampicavano con fare sinuoso attorno alle gambe del trono, avvolgendosi in spire lungo i braccioli, nascondendosi a un tratto dietro lo schienale per poi spuntare al di sopra di esso, con le fauci spalancate e i denti affilati pronti a colpire. Gli occhi erano pietre preziose, di un intenso blu, che Amy non seppe riconoscere; le scaglie del corpo, invece, sembravano di zaffiro e madreperla, e illuminate dal sole rilucevano come se i serpenti si stessero muovendo.

Con un pensiero un po' prosaico per la situazione, la ragazza fu portata a paragonare quella stanza alla sala riunioni di suo padre: un tavolo a ferro di cavallo, molte sedie intorno e quella di suo padre, il presidente, nel punto predominante, più alta e imponente delle altre. Certo, non era di ghiaccio e non c'erano statue di serpenti, ma come concetto più o meno erano simili.

Mentre lei si guardava intorno, atterrita ed affascinata da quello spettacolo strano e meraviglioso, il ragazzo aprì le braccia, e un grande portone, che si trovava nella parete opposta a quella del tavolo, si spalancò istantaneamente.

“Che il Consiglio si riunisca!”proclamò in tono solenne, e le sue parole riecheggiarono nel silenzio della sala deserta. Poi si voltò vero Amy, che pensava quasi di essere stata dimenticata, e disse: “Ci vorrà qualche minuto”.

“Ehi, mi vuoi spiegare una buona volta cosa diavolo succede?!?” esclamò la ragazza esasperata. “Insomma, io stavo tranquillamente andando a dormire, poi questo cavolo di medaglione ha preso a bruciare” Quando disse questo, gli occhi del ragazzo ebbero un guizzo, ma lei non se ne accorse “il mio specchio è diventato di gelatina e mi sono trovata in questo posto sballato, con un pazzo maniaco che mi importunava, e ora vengo portata in una sala interamente di ghiaccio dove tra poco ci sarà una riunione del Consiglio – che tra parentesi non ho la minima idea di cosa sia – e tu mi dici tutto tranquillo che «ci vorrà qualche minuto»?!?!” Tacque per riprendere fiato, sentendo l'eco delle proprie parole perdersi in lontananza. “Insomma” riprese in tono più basso “io PRETENDO delle informazioni, chiaro?”

Contro ogni previsione il ragazzo non rise, come invece si era aspettata. La guardò come se fosse qualcosa di estremamente interessante, e disse più a sé stesso che a lei: “Non l'avrei detto... a dir la verità immaginavo qualcosa di diverso. Mah, forse è anche meglio così: di sicuro è più divertente!” concluse con un sorriso enigmatico.

“La pianti di dire cose senza senso, accidenti?!” fece Amy stizzita “Dimmi immediatamente quello che voglio sapere!”

“Mi dispiace, ma non mi è concesso.” replicò lui.

“Come sarebbe a dire che non ti è concesso?” saltò su lei “Insomma, rispondimi: dove sono? Perché sono qui? E anche tu, chi diavolo sei?!?”

“Mmmm... dire che sono delle belle domande. Beh, alle prime due non sta a me rispondere” disse con tranquillità “Per la terza ti posso dire che il mio nome è Erayn Eis Tibereina, capitano delle Shulday dell’Algor”

“Era… che?” ripeté la ragazza, sbattendo gli occhi perplessa “E di cosa saresti il capitano?”

“Delle Shulday… ma questo non ti deve importare. E nemmeno” continuò anticipando la domanda che lei stava per porgli “cosa sia l’Algor. Anzi, credo che neanche avrei dovuto dirtelo. Beh, pazienza!” fece piegando il capo da una parte “Il mio nome è semplicemen…”

Improvvisamente il ragazzo si bloccò, e dal suo volto sparì ogni socievolezza: divenne di colpo rigido e impettito, e seguendo il suo sguardo Amy ne capì il motivo.

In quel momento infatti una serie di persone entrarono nella sala, avanzando sul pavimento di ghiaccio così silenziosamente che la ragazza si chiese come accidenti aveva fatto quel ragazzo, Erayn, a sentirli; oltrepassarono due statue a forma di tigre, che si trovavano ai lati dell’immenso portone, e sempre silenziosamente si sedettero sulle sedie alte e austere.

“Ish fey edonè, Membri del Consiglio” fece Erayn con un rapido e secco inchino.

“Emìn meta ishai, Erayn Eis Tibereina” risposero quelli, con un lieve cenno del capo.

“Cosa… cosa vi siete detti?” sussurrò Amy, interdetta, al ragazzo “Ho capito soltanto il tuo nome. Che tra parentesi è parecchio strano, ma che razza di nomi avete qui?”

“Fa silenzio” la apostrofò piano lui guardandola con freddezza.

“Ma come ti permetti?” esclamò lei, attirando su di sé gli sguardi dei membri del Consiglio “Chi sei tu per dirmi cosa devo fare? Se voglio parlare, parlerò!”

E come per dimostrazione, si voltò verso il tavolo, al quale stavano sedute quattordici persone, che la fissavano chi con aria incuriosita, chi indignata, chi confusa. Amy cercò di non distogliere lo sguardo: sarebbe stata una prova di debolezza; eppure non poteva fare a meno di sentirsi estremamente a disagio. Alcuni erano uomini, con lineamenti marcati e decisi, altre donne dagli occhi freddi e inquisitori; tutti però avevano l’incarnato pallido come quello di Erayn, e la sua stessa bellezza algida ed evanescente. Indossavano vesti ampie, dai colori tenui, con maniche larghe rifinite con elaborati disegni, che però donavano loro un’aria elegante e raffinata, anche quando stavano come in quel momento seduti su delle sedie con estrema compostezza.

E lei li stava per fronteggiare avvolta in un asciugamano.

Ah, no, aveva anche le sue morbide pantofoline rosa. Con un pompon sopra. E come se la situazione non fosse di per sé abbastanza grottesca, erano anche zuppe. Un pavimento di ghiaccio poteva anche essere bello, ma aveva i suoi inconvenienti.

“Sentite!” esordì, cercando di non pensare a questi particolari “Membri del Consiglio, o quello che è... Prima di tutto, non sembra anche a voi che parlare in una lingua che uno dei presenti non conosce sia estremamente maleducato? Insomma... non credo che sarebbe di troppo disturbo tradurre, no?”

Un'esclamazione di sdegno e di sorpresa percorse come una saetta l'intero tavolo, dal quale si levo un concitato mormorio. Lo sguardo di Amy cadde su una donna, che con espressione attonita sussurrava qualcosa – che la ragazza fu contenta di non aver sentito – alla sua vicina.

Aveva capelli di un biondo chiarissimo, tenue, acconciati in modo semplice sulla nuca, che ricadevano lisci e fluenti sulle spalle, coperte da un leggero mantellino grigio; sotto di esso la tunica era di un celeste pallido e indefinito. Gli occhi della donna indugiarono per un po' su di lei, e in quel grigio perlaceo Amy lesse disprezzo, freddezza, quasi disgusto; poi lentamente andarono ad Erayn, fissandolo con aria interrogativa.

“Chi è mai questa ragazza che si permette di rivolgersi a noi in modo ignobile?” chiese continuando a lanciarle occhiate quasi schifate “È per udire questo che siamo stati convocati, Erayn Eis Tibereina?”

Il ragazzo aprì la bocca per rispondere, ma una Amy decisamente scocciata gli si parò davanti, i pugni stretti sui fianchi, in atteggiamento da battaglia, pronta a rispondere per le rime. Un attimo prima di parlare, però, si ricordò che la sua non era esattamente la posizione ideale per reagire male... e che quindi, forse, era il caso di essere più accomodanti. Cosa che purtroppo non era troppo abituata a fare.

Fece un respiro profondo, lasciò cadere le mani lungo i fianchi. Quand'era l'ultima volta che era stata costretta a dominare i suoi istinti? Troppo tempo prima, decisamente, pensò mentre si sforzava di reprimere le parole non proprio carine che le venivano alle labbra, piegate in un sorriso forzato.

Si schiarì la voce e disse: “Scusa ma... ehm... io sono qui. Se vuoi sapere chi sono... chiedilo a me, no?” Tutta quella gentilezza le sembrava quasi estranea, le faceva sentire come uno strano sapore in bocca.

La donna dai biondi capelli emise un impercettibile sospiro e senza degnarla di uno sguardo, quasi che le sue parole fossero state lo scocciante ronzio di una mosca, chiese nuovamente: “Sto attendendo una risposta, Erayn Eis Tibereina... o davvero dovrò abbassarmi a parlare con una popolana dall'abbigliamento sconveniente?”

La donna socchiuse i bellissimi occhi grigi e fissò Erayn con un lieve sorriso d'incoraggiamento e d'intesa.

“Onorevole Chamira, è proprio per questo che...” cominciò lui, con la voce cauta ed attenta – ed anche leggermente imbarazzata – di un diplomatico che deve destreggiarsi tra due parti opposte senza offendere nessuna delle due; ancora una volta però Amy lo interruppe. Ma se prima era scocciata, stavolta era davvero furiosa: fece qualche passo in avanti, lentamente, piantando gli occhi fiammeggianti in quelli perlacei della donna, con un cipiglio che avrebbe fatto impallidire perfino le Erinni, le implacabili dee della vendetta.

Ora basta.

Lei ci aveva provato, aveva dominato l'impulso di ricoprire di insulti quella strana gente che non la considerava, aveva usato pazienza e gentilezza. Fin troppa, si rimproverò. Probabilmente avevano pensato che era una tipa debole, che si faceva mettere i piedi in testa senza proferire parola... non sapevano quanto si sbagliavano. Oh, no. Ma presto avrebbero cambiato idea.

“Senti un po', bella...” fece, mentre la donna aggrottava la pallida fronte a quell'appellativo e piegava le labbra sottili in una smorfia incredula. I membri del Consiglio assistevano alla scena troppo sbalorditi per parlare, posando lo sguardo ora sull'onorevole Chamira, ora sulla ragazza sconosciuta.

“Non so chi tu sia, ma una cosa è certa” continuò decisa “onorevole o no, io non permetto a nessuno di trattarmi in questo modo, chiaro? Nes-su-no. Popolana dall'abbigliamento sconveniente, hai detto?!? Vorrei vedere te, se il tuo specchio ti assorbisse appena uscita dalla vasca da bagno, come saresti “sconveniente”, o se piuttosto quei tuoi capelli sbiaditi non sarebbero una selva...”

Amy continuò a parlare, elencando con foga come non avrebbe fatto in tempo a mettere quel fondotinta chiarissimo o una tunica scolorita come quella che portava in quel momento, senza accorgersi però che nessuno la stava più ascoltando, ma che anzi il suo pubblico era rimasto colpito da un dettaglio che lei aveva buttato lì a caso, come un particolare insignificante, senza sapere quale enorme significato nascondesse.

Non si rese conto nemmeno della reazione suscitata da questo tra i membri del Consiglio; un uomo calvo, con una barba candida e dei folti baffi, si tirò di scatto indietro sulla sedia, con un'espressione attonita sul viso. “Non può essere...” mormorò sconvolto “Questa ragazzina...”

L'uomo che sedeva vicino a questo, un anziano dalla una lunga chioma grigio-argento, a cui l'età avanzata conferiva molta dignità, corrugò la fronte ampia e pallida. “Vorresti dire che... che è... Lei?”

A quelle parole, che concretizzavano i pensieri di tutti, nella sala calò un silenzio mortale, come se lo stesso ghiaccio che formava tavolo, sedie, che sotto forma di serpenti si arrampicava attorno al trono vuoto, lo stesso ghiaccio avesse ricoperto le quattordici persone che sedevano; come se per uno strano incantesimo un orologio avesse smesso di scandire il tempo, e per un attimo ogni suono, ogni movimento, fosse cessato.

“Tsk, sciocchezze”fece secca Chamira, scansando con un fluido movimento della mano la lunga chioma bionda dietro le spalle.

Un'altra donna, con dei lineamenti severi e i capelli argentei rigidamente raccolti dietro la nuca, annuì vigorosamente. “Sono d'accordo. Onorevole Aleard, non diciamo assurdità: questa ragazza... è quasi blasfemo pensare che possa trattarsi di...”

L'anziano dalla lunga chioma argentea, Aleard, chinò gravemente la testa. “Capisco i tuoi dubbi, Onorevole Edéna... tuttavia permettimi di farti notare che le parole della ragazza parlano chiaro.” Aveva una voce profonda, la voce di chi ha visto molto, ha vissuto molto, e molto ha anche sofferto.

La donna dai lineamenti severi stava per rispondere quando fu interrotta da un tossicchiare risoluto, proprio di chi certamente non è in cerca di una mentina per la gola.

“Vogliamo piantarla?!?” esclamò Amy, guardando ad una ad una le quattordici persone con aria di sdegno e di rimprovero, mista anche ad una certa dose di incredulità. Essere ignorata, per lei che dall'infanzia era stata al centro della vita di molte persone, era una cosa da far mancare il terreno sotto i piedi, una cosa inconcepibile. “Siete di una maleducazione esacerbante, davvero: io... io non riesco a credere che qualcuno abbia il coraggio di trattare me, dico, la figlia di Patrick Donovan in questo modo... assurdo!” concluse, non trovando una parola soddisfacente ad esprimere tutta la sua sorpresa e la sua indignazione “Parlare tra di voi, neanche tanto discretamente, mentre io sto facendo un discorso... è... è spudorato, ecco! Non è vero, Erayn?” chiese voltandosi verso il ragazzo, col tono e l'atteggiamento di una madre che chiede al papà appoggio per rimproverare un figlio impertinente.

Il ragazzo, che aveva assistito alla scena, non riusciva a proferire parola: mai a memoria d'uomo qualcuno aveva osato rivolgersi al Consiglio in questi termini; era un gesto talmente inaudito e impensato che probabilmente neanche esisteva una pena: chi infatti avrebbe avuto l'insensatezza di compiere un'azione del genere? Eppure quella ragazza, che secondo le sue previsioni non avrebbe dovuto avere nemmeno il coraggio di muoversi, atterrita e tremante di paura, la ragazza che avrebbe dovuto essere così scioccata da seguire alla lettera le sue istruzioni, quella stessa ragazza l'aveva fatto, senza neanche pensarci due volte.

Probabilmente avrebbe dovuto giustiziarla lì sul posto, pensò. Era un fatto sconvolgente, inconcepibile... eppure, pensando ad Amy che descriveva accuratamente l'aspetto selvaggio che l'onorevole Chamira avrebbe avuto nella sua situazione, doveva sforzarsi di non ridere. L'immagine contrastava in modo così stridente con l'eleganza altera della donna da risultare comica.

“Erayn?” ripeté Amy, lanciandogli un'occhiata significativa.

A quella nuova chiamata, il ragazzo tornò rapidamente alla realtà: ricordò la sua posizione, il compito che aveva, e anzi si rimproverò per essersi lasciato distrarre dalla natura bizzarra di quella tipa. Per quanto divertente fosse, lui non poteva dimenticare le sue responsabilità: era il comandante delle Shulday, le legioni speciali al servizio della regina, diamine.

Beh, non sarebbe più successo, e l'esperienza gli sarebbe servita per la prossima volta che si fosse trovato in una situazione del genere.

Con pochi, silenziosi passi si portò davanti ad Amy, e dandole le spalle fece un inchino rigido e formale. “Mi scuso personalmente per l'insolenza di questa ragazza... posso solo dire che non era mia intenzione che accadesse questo”

“Già, mi sembra il minimo” rispose secca Chamira, spostando gli occhi del colore e delle durezza della perla oltre le spalle del ragazzo, su Amy, che ricambiò l'occhiataccia.

“Certo, l'insolente sono io...” sibilò guardandola in cagnesco “E tu, Erayn! Io ti ho chiesto appoggio contro di loro, non contro di me” La ragazza lo guardò con aria di rimprovero e di accusa. “Non va bene, non va affatto bene. Bel tradimento, si si!”

Erayn la ignorò. “Onorevole Chamira, capisco il suo risentimento, ma deve comprendere che...”

“Ah, certo!” sbottò Amy alle sue spalle “Il suo di risentimento lo capisci... ma se ci fossi io seduta su quella sedia, se fossi io un'Onorevole o quello che è scommetto che le cose non andrebbero così”.

“Comandante Erayn, chiedo che questa ragazza venga allontanata dal nostro cospetto”. A parlare era stata la donna dai lineamenti severi e i capelli raccolti.

Aleard sospirò, con l'aria calma, grave e un po' sofferente che lo contraddistingueva. “Edéna, calmati. Se davvero questa ragazza fosse...”

“Non lo è.” sancì questa con foga “Non è possibile che lo sia! È... è una bambina, insomma! Una bambina viziata, impertinente, senza nessun senso del rispetto!”

“Ma come ti permetti?!” esclamò Amy indignata “Ho quindici anni, io... e comunque meglio una bambina che una vecchia rinsecchita come te!”

Edéna si alzò di scatto in piedi, battendo i pugni sul freddo ghiaccio del tavolo. “Io pretendo che questa ragazza venga allontanata immediatamente! Giustiziatela, rinchiudetela in una cella, mandatela nelle miniere del Sarish... quello che volete, basta che non l'abbia davanti.”

Aleard emise un piccolo colpo di tosse. “Capisco come ti senti, ma...”

“No!” esclamò la donna, sempre in piedi “So cosa stai per dire, ma ovviamente non è Lei. Andiamo, Aleard, sai anche tu che esistono... esistono perfino animali più degni!”

Chamira si concesse un sorriso, osservando la reazione della ragazza.

Stavolta Amy accusò il colpo. Rimase interdetta, e fissò la donna, Edéna, con la bocca leggermente socchiusa e lo sguardo fisso. Animale. Aveva appena detto che era più indegna di un animale. Questa... questa non era una semplice offesa. Era qualcosa... qualcosa che ti feriva. Si, ti feriva dentro, pensò mentre sentiva uno strano pizzicore agli angoli degli occhi. Li strizzò, cercando di resistere all'impulso di piangere, chinando la testa affinché nessuno se ne accorgesse.

“Si, un animale” confermò Edéna, dopo aver visto la reazione di Amy “Anche il più infimo, il più rivoltante, il più indegno degli animali.”

Tacque, con un luccichio di soddisfazione negli occhi, mentre lo sguardo di tutti andò alla ragazza con il capo chino, in attesa di una reazione.

E lentamente, lentissimamente Amy alzò il viso.



Un'esclamazione di sorpresa e sgomento percorse tutta la sala: Edéna, Chamira, Aleard... perfino Erayn si sentì invadere dalla più assoluta meraviglia.

Perché nello sguardo della ragazza non erano le lacrime che ognuno si aspettava a brillare: i suoi occhi erano ardenti, come se le pagliuzze d'oro che li puntellavano si fossero accese e bruciassero fiammeggianti.

E soprattutto perché solo in quel momento, quando cominciò a brillare con la forza e il calore di un piccolo sole, i membri del Consiglio si accorsero del medaglione che Amy portava al collo.

Sembrò che il tempo si fosse fermato. Non un solo rumore interrompeva il silenzio irreale e fantastico che si era venuto a creare; un silenzio che si mescolava allo sgomento, al senso di consapevolezza, alla sorpresa che avvolgeva l'animo di ognuno dei presenti.

Chamira era impallidita, e sul suo volto perfetto era dipinto il disorientamento più totale.

Aleard invece non si mosse di un solo centimetro. Non si scompose minimamente. Niente in lui faceva percepire un qualsiasi interesse o turbamento per quello che stava accadendo. Nei profondi occhi blu, però, era passato un lampo; impossibile tuttavia spiegarne il significato, se fosse di angoscia, di furbizia o di semplice stupore.

Ma non erano loro, non erano gli altri membri del consiglio l'obbiettivo di Amy.

L'onorevole Edéna vide la ragazza dagli occhi fiammeggianti voltarsi verso di lei. E per la prima volta ne ebbe paura.



Quando il suo sguardo incontrò quello di Amy, Edéna non fu più in grado di muoversi, di parlare, di pensare. Nel silenzio irreale l'unico rumore percepibile era il suo respiro sempre più agitato, ed il ticchettio delle sue mani che tremavano senza controllo contro il tavolo di ghiaccio.

Il tempo di uno sbattere di palpebre, di un respiro che si blocca, di un battito di cuore.

Poi la bolla di sapone, l'atmosfera da sogno che sembrava aver avvolto ogni cosa si infranse: Amy si slanciò con tutte le sue forze contro la donna, ed i suoi passi sul pavimento risuonarono come esplosioni.

“Ferma!”

La voce cristallina di Erayn risuonò imperiosa nella sala, mentre con la sua velocità sovrumana si materializzava di fronte a lei. Senza avere il tempo di reagire, Amy si scontrò con il corpo duro del ragazzo, che la bloccò immediatamente per i polsi.

“Lasciami” intimò la ragazza con un sibilo roco, piantando gli occhi ardenti in quelli glaciali di lui. E, sotto quello sguardo infuocato, Erayn fu quasi portato ad obbedire.

“No” rispose semplicemente, stringendo al contrario la presa sui suoi polsi bollenti.

Il combattimento di sguardi si prolungò per qualche secondo: poi su quelli di Amy calarono improvvisamente le palpebre, e come se d'un tratto le fosse stata presa tutta l'energia, si afflosciò al suolo priva di sensi.



Dopo un attimo di smarrimento, le voci cominciarono a sovrapporsi in un vociferare

che, se paragonato al mortale silenzio di poco prima, sembrava un rumore intollerabile.

“Avete visto?”

“È Lei, lo sapevo! L'ho sempre saputo!”

“Non è possibile, quella ragazzina...”

“Io non ci credo, non posso crederci.”

“Come puoi negarlo? Lo abbiamo visto tutti...”

“Chiamate le guardie, presto!”

L'ultima voce era quella fredda e tagliente di Chamira, che dopo essere balzata in piedi cercava di placare il caos che si era venuto a creare.

“Chiamate le guardie, ho detto” ripeté, con voce leggermente stridula per il nervosismo “E tu, Edéna, come stai?” aggiunse più dolcemente rivolta alla donna.

Contemporaneamente infatti allo svenimento di Amy, anche Edéna si era afflosciata sulla sua sedia, il viso talmente pallido, anche rispetto alla loro carnagione da sembrare quasi morta, il respiro ansante.

“Su, cara...” Chamira si chinò su di lei “Ora ti aiuto a rialzarti...”

Ma l'onorevole Edéna non era la sola ad essere scioccata.

In piedi davanti al corpo immobile di Amy, Erayn era senza fiato. Non solo per la forza inaspettata che aveva rivelato la ragazza, non solo perché l'impatto era stato decisamente più duro di quello che si era aspettato.

Mentre infatti due guardie, venute in quel momento, alzavano Amy e la caricavano sulle spalle, il ragazzo si osservò le mani.

Non era possibile. Non ci poteva credere. Non ci voleva credere. Eppure non poteva negarlo: sulle sue mani pallide e affusolate era rimasto il segno dei polsi di Amy. E, nonostante andasse contro ogni razionalità, erano delle bruciature.
 
Continua nel capitolo:


 
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