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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Originali (inventate)
Titolo Fanfic: CONDEMNED
Genere: Horror, Soprannaturale
Rating: Per Tutte le età
Autore: gotika7 galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 09/04/2007 21:20:38 (ultimo inserimento: 08/05/08)

Immaginate che vi restino solo 6 mesi di vista e che qualcuno vi offrisse l'opportunità di salvare la vostra anima:accettereste?
 
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GOCCE D'ACQUA
- Capitolo 1° -

Riposto la mia fic perché si sono verificati alcuni problemi e non riuscivo a far visualizzare alcuni capitoli.
Nonostante li avessi già pubblicati, infatti, alcuni utenti mi hanno fatto notare che era impossibile leggerli…grazie ragazzi! ^_ -





Salve a tutti!^^ Questa è la mia prima fic in assoluto, quindi spero che non sia uscita troppo male! XD
Dunque, prima di iniziare sarà meglio precisare due cosine : i personaggi di questa storia sono tutti dei grandi sfigati, nel senso che non ce n’è uno a cui ho riservato una vita meravigliosamente bella e fortunata, per cui se siete indecisi se tagliarvi le vene o meno NON LEGGETE! XD Inoltre il protagonista, nonostante abbia già trent’anni, è un fifone di prima categoria…so che magari in certi pezzi potrà risultare un po’ esagerato, ma non volevo che fosse il solito uomo tutto d’un pezzo, anzi, volevo che fosse esattamente l’opposto XD
Questa fic è nata come uno sfogo, per cui non so come possa essere uscita…non so neanche se continuarla, per cui datemi qualche consiglio voi please…(non so nemmeno se ho azzeccato il genere… =_=” )
Ultimissima cosa…grazie a chiunque stia leggendo! ^__^



CAPITOLO 1

GOCCE D’ACQUA



22 Gennaio 2007

Ieri finalmente l’ho ritrovato, anche se lui non sembra avermi riconosciuto.
In effetti sono passati tanti anni, ma non così tanti da avergli fatto dimenticare ogni cosa.
Probabilmente è perché sono cambiato: siamo cresciuti entrambi da allora.
Questa volta sono sicuro che sia davvero lui.
La salvezza è finalmente arrivata, sono stato perdonato.
Ora finalmente posso ricongiungermi al mio amato fratellino.




23 Gennaio 2007

Oggi finalmente ho potuto parlargli dopo tutti questi anni.
Facendo finta di niente, mi sono avvicinato a lui e gli ho chiesto in che reparto fosse il detersivo. Lui non ha nemmeno alzato lo sguardo e mi ha indicato un punto fra gli scaffali.
Non ho capito perché non mi ha guardato…possibile che sia ancora arrabbiato per quell’incidente?
Non importa però, perché farò di tutto per poter stare di nuovo con lui.
Mamma e papà sono morti solamente due mesi fa e visto che siamo gli unici della famiglia ad essere ancora vivi, non possiamo permettere che piccoli rancori ci dividano: dobbiamo saper dimenticare, se vogliamo riuscire a d andare avanti.



28 Gennaio 2007

Ormai vado a trovarlo sul lavoro tutti i giorni ma lui non ha ancora dato segno di volermi parlare, anzi sembra che la mia presenta lo innervosisca parecchio.
Oggi addirittura ha urlato quando ho cercato di accarezzargli la testa come facevo sempre da piccolo, per tranquillizzarlo.
E’ successo esattamente l’opposto di quello che mi sarei aspettato: ha spalancato i suoi occhioni azzurri e ho vi ho visto all’interno l’orrore puro.
Ha urlato come il giorno dell’incidente e, dopo aver urtato lo scaffale, è uscito dal supermercato di corsa, senza neanche voltarsi indietro.
Ora sono certo che comincia a ricordare.




29 Gennaio 2007

Oggi la signora che gestisce il supermercato mi ha detto che lui non si è presentato al lavoro.
Ad essere sinceri, la cosa mi ha indispettito molto: è egoista esattamente come lo era da piccolo!
Ne ho abbastanza dei suoi capricci, la famiglia deve riunirsi.
E visto che lui non sembra voler collaborare, allora dovrò forzarlo, anche se spero di non dover arrivare al punto in cui sono arrivato con gli altri.
Stanotte ho sognato di nuovo l’ultimo e i suoi occhi che mi supplicavano di fermarmi.
Erano così spaesati, così colmi di terrore…
Basta, devo smetterla con questi pensieri: lui meritava quello che gli è successo, esattamente come lo meritavano quelli prima di lui. Erano solo degli impostori, persone che non volevano lasciarmi trovare il mio fratellino, persone che volevano ingannarmi!
Non è stata colpa mia esattamente come non lo è stata quel giorno!






“Ormai sono quasi nulle le speranze di ritrovare John Regminton, il giovane di 21 anni scomparso ormai da una settimana mentre rientrava a cosa dopo la sua solita passeggiata pomeridiana. Regminton è stato visto per l’ultima volta dalla fidanzata Kelly, che era solito chiamare ogni due giorni circa. Proprio la mancanza di telefonate ha fatto allarmare la ragazza che, spaventata, non ha esitato ad avvertire la polizia. Un gesto affrettato forse? Sembra di no, in quanto la polizia, accorsa sul posto, ha trovato la casa del ragazzo totalmente a soqquadro. Si esclude quindi l’ipotesi della fuga del giovane e si propende ora per quella del rapimento. Ma a che cosa poteva essere interessato l’aggressore? John non era che un semplice ragazzo, con un posto di lavoro instabile ed un sacco di debiti da pagare.
In ogni caso è già il quinto caso di sparizioni in due mesi e la polizia brancola nel buio.
<< Possiamo solo comunicare ciò che è emerso dai confronti fra i vari soggetti dispersi: si tratta solitamente di ragazzi sulla ventina, preferibilmente con gli occhi chiari >> avverte il capo della polizia, che tuttavia si dimostra incerto su quello che ha di fronte: si tratta di un serial killer? Di una banda di malavitosi o di trafficanti di organi? E la polizia come pensa di affrontare una situazione simile?”
- Ma che bel modo di iniziare il lunedì mattina! – sbruffò l’uomo, gettando di lato il giornale e rimescolando lentamente il suo caffè con un cucchiaino. Si stropicciò la faccia con una mano, mentre gettava l’ultima occhiata al titolone che occupava la prima pagina del quotidiano.
Speriamo che questo non porti grane…
Fissò il liquido scuro nella tazzina ed ricominciò a mescolare.
In realtà non aveva voglia di caffè.
Anzi non sapeva neppure perché se l’era preparato, il caffè: erano secoli che non lo beveva e ormai anche solo un sorso bastava a mettergli sottosopra lo stomaco.
Una volta lo beveva ogni mattina, mentre addentava la sua brioche con la marmellata nel piccolo bar che si trovava a circa 500 m dall’agenzia in cui lavorava.
L’agenzia…L’uomo chiuse gli occhi per qualche secondo.
Immaginò lavorare ancora per l’agenzia: oggi era lunedì mattina e lui stava uscendo dal solito bar, percorrendo poi il breve tratto di strada che lo portava sul posto di lavoro. Entrando salutava gli imbianchini, scherzando con loro sul pessimo colore che il loro capo aveva scelto per l’area relax. Passava davanti alla centralinista che poteva salutalo soltanto con dei cenni della testa e, oltrepassando le piante decorative sparse nel corridoio, arrivava alla sua scrivania. Appendeva il suo cappotto ed iniziava il suo lavoro, che a quel tempo lo riempiva di soddisfazioni. Poco dopo, puntuale come un orologio svizzero, una voce femminile e gioviale si sarebbe fatta sentire e una donna minuta ma molto graziosa avrebbe fatto il suo ingresso, pronta ad augurargli un’altra bellissima giornata.
Julienne…
L’uomo aprì di colpo gli occhi, prima che quei ricordi si facessero troppo vivi, prima che il cuore rischiasse di fermarsi per sempre.
Col cavolo! Ho ancora sei mesi davanti e voglio viverli tutti!
Fissò di nuovo il suo caffè, ormai freddo.
Era stata davvero una pessima idea ricordare il passato per trovare la forza per affrontare il presente.
Non si può tornare indietro…lei non può tornare
L’uomo si alzò e rovesciò il caffè nel lavandino.
Si avvicinò alla finestra e la spalancò, rabbrividendo quando una folata di vento gelido gli carezzò il viso.
Rimase a fissare la città che si stava pigramente svegliando sotto di lui: le saracinesche dei negozi venivano sollevate, lasciando che gli oggetti in vetrina cominciassero ad attirare i primi turisti, mentre i negozianti assonnati si rifugiavano dietro ai loro banconi. La tabaccaia cominciò a spazzare le foglie secche che il vento aveva fastidiosamente accumulato davanti all’entrata mentre un profumo di pane appena sfornato prometteva focacce e pizzette che sarebbero diventate la colazione di qualche studente affamato.
Un forte bussare alla porta riportò l’uomo alla realtà e con movimenti lenti si avviò verso la porta del suo appartamento.
- Kennedy! Questo è opera tua, vero?! – ruggì l’anziana signora, facendo un passo avanti e costringendolo a spalancare la porta per evitare che la donna gli finisse addosso.
Lui sospirò, assumendo un’espressione seccata:
- Signora Tolskin, cosa posso fare per lei? – chiese, senza minimamente preoccuparsi di sembrare gentile o sincero.
La vecchia socchiuse i suoi occhi di un azzurro sbiadito, guardandolo con puro disprezzo:
- Questo è opera tua, vero? – sbottò, lanciando addosso all’uomo qualcosa di appallottolato. Egli distese quell’ammasso di tessuto, assumendo poi un’espressione di disgusto quando si rese conto di quello aveva fra le mani.
- Ossantissimadreaddolorata ma questa è la sua camicia da notte! –
- Esattamente! E questo è…-
- E’ uno schifo! Ma dico è impazzita?!?! A parte il fatto che potrebbe benissimo appartenere al corredo funebre di qualche uomo preistorico, ma si rende conto che per colpa sua non riuscirò più a dormire per le prossime tre settimane??!?! – e così dicendo le rilanciò l’indumento.
- Sentimi bene Kennedy! Non me ne importa assolutamente niente se il proprietario di questo condominio è un tuo ex compagno di università e ti lascia fare quello che vuoi: se i miei vestiti si impregnano ancora dell’odore di fumo solo perché tu sei un impiastro in cucina ed ogni volta che ti avvicini ai fornelli riempi l’appartamento di odore di bruciato, ti sbatto davanti all’assemblea condominiale, hai capito? E a quel punto non ci sarà ex compagno che tenga!! –
- Sì, signora Tolskin… - annuì esasperato l’uomo, come un bambino costretto a scusarsi anche se non è minimamente pentito per ciò che ha combinato.
E senza nemmeno lasciare la possibilità alla vecchia signora di rispondere, le richiuse la porta in faccia.
Sospirò, appoggiandosi alla porta con la schiena.
Sei mesi sono troppo lunghi…
Con passò strascicato andò in bagno e fissò a lungo il suo riflesso.
Sembro un barbone…
In effetti non aveva tutti i torti. I capelli castani erano spettinati e anche decisamente più lunghi di quanto ricordasse: ormai erano già strisciati fino alla fine del collo e minacciavano di superarlo. Doveva ammettere che non era stata una cattiva idea accettare di farseli rasare tempo fa da suo fratello…almeno ora non erano pareggiati e se lo si guardava unicamente di fronte si aveva l’impressione che i capelli dietro non arrivassero oltre l’altezza del lobo dell’orecchio e non sembrava uno di quei cantanti rock dalla chioma incolta…
Si stropicciò gli occhi con una mano, sperando inconsciamente di scacciare quelle occhiaie che lo facevano sembrare molto più vecchio. Una volta a tutti piacevano i suoi occhi verde brillante: risaltavano con la carnagione abbronzata, anche se dopo la diagnosi si erano fatte sempre meno frequenti le volte in cui il pallore non aveva il sopravvento.
La barba…doveva radersi…quanti giorni era che non lo faceva? Era decisamente ora di darci una passata con il rasoio…
Ma per chi poi?
Ancora una volta fu il suono di qualcuno che bussava alla porta a risvegliarlo da quella stato di depressione in cui gli capitava sempre più spesso di cadere.
Sarà ancora la vecchia rombiballe! Ci mancava solo lei stamattina!
- Avanti! – urlò senza troppa gentilezza.
L’uomo sentì la porta aprirsi lentamente con un flebile scricchiolio. Ci fu un istante di silenzio, seguito poi dal rumore leggero di passi che avanzavano lentamente ed incerti risuonando sul parquet.
… di sicuro una simile leggiadria non può appartenere alla Tolskin…rifletté l’uomo, mentre un campanello d’allarme cominciava a suonare nel suo cervello.
Rimase immobile, aspettando che succedesse qualcosa.
I passi ripresero con lo stesso ritmo, ma il suono che producevano si fece più attutito, segno che chiunque fosse entrato era ormai giunto nel salotto, dove il pavimento era ricoperto di moquette.
I passi si fermarono di nuovo.
Kennedy tese l’orecchio e gli sembrò di udire quello che sembrava un lieve ma ininterrotto sgocciolio, come quando qualcuno si dimentica di chiudere correttamente il rubinetto di un lavandino.
Plik! Plik! Plik!
L’uomo si girò lentamente, non osando domandare l’identità del suo ospite, facendo attenzione a non emettere nessun altro suono oltre a quello accelerato del suo respiro.
Fissò la porta esattamente nello stesso momento in cui i passi ripresero e un’ombra cominciò ad intravedersi dietro la porta.
Kennedy trattenne il fiato, ormai certo di quello che aveva di fronte: si schiacciò più che poté contro il lavandino, come se questo servisse ad allontanarsi dalla cosa che si trovava davanti alla porta.
Il gocciolio continuava ininterrottamente e poco per volta l’uomo notò una pozza d’acqua cominciare ad allargarsi sotto la porta, espandendosi a vista d’occhio, quasi volesse raggiungerlo.
La figura sostava ancora fuori dal bagno, immobile.
Improvvisamente, il rubinetto dietro di lui cominciò a schizzare acqua.
Preso alla sprovvista, Kennedy lanciò un urlo strozzato, allontanandosi goffamente dal lavandino e guardandolo come se si aspettasse che questo potesse muoversi da un momento all’altro.
Un colpo sordo oltre la porta lo fece girare di scatto contro il cuore in gola, ma in quello stesso istante il rubinetto smise di sputare acqua e la porta si socchiuse.
L’uomo rimase immobile per qualche istante, guardando smarrito prima il lavandino e poi la porta.
Dopo qualche minuto trovò finalmente il coraggio di afferrare la maniglia e, lentamente, aprì completamente l’uscio: l’appartamento era deserto.
Istintivamente, guardò il pavimento: c’era una grossa chiazza scura davanti alla porta.
Kennedy si inginocchiò lentamente, constatando con un certo sollievo che si trattava di acqua.
Studiò ancora la moquette: non c’era traccia di una scia, cosa che avrebbe confermato il fatto che nell’appartamento fosse realmente entrato qualcuno. Tuttavia la porta d’ingresso era socchiusa, e lui ricordava bene di averla sbattuta in faccia poco tempo prima alla sua adorata vicina del piano di sopra…
Guardò verso il bagno, dove si accorse con un certo stupore che la pozza d’acqua che era filtrata sotto la porta poco prima era sparita.
Rabbrividì allontanandosi di qualche passo, imprecando mentalmente.
Alla fine i suoi nervi cedettero e, con uno scatto nervoso, afferrò il suo giubbotto scuro e si precipitò a rotta di collo giù per le scale del suo palazzo, senza nemmeno preoccuparsi di chiudere l’uscio, diretto verso le cantine del condominio.




Le cantine del palazzo in cui Kennedy viveva erano piuttosto pulite, ma questo non impediva ai topi di intrufolarvisi.
Si era sempre chiesto da dove spuntassero se si presupponeva che le cantine rimanessero sempre chiuse e se lo chiese anche quella volta quando ne vide due zampettare via al suo passaggio.
Kennedy aprì una porticina bianca e si ritrovò di fronte ad un corridoietto cementato, la cui unica fonte di luce naturale era costituita da una finestrella con le inferriate, collocata in alto sulla parete di fronte. Sulle pareti laterali si alternavano delle porte uguali a quella d’ingresso, contrassegnate ognuna dal numero dell’appartamento a cui corrispondevano.
L’uomo prese a camminare lungo il corridoio, facendo passare tutte le porte finché non giunse a quella che recava il numero del suo appartamento.
Esitò un momento prima di abbassare la maniglia e di accedere alla stanzetta. Non aveva senso chiuderla a chiave come facevano tutti gli altri in quanto non conteneva nulla.
Fece qualche passo incerto, lasciando la porta aperta, indeciso se accendere la luce oppure lasciare che la stanza venisse illuminata unicamente dalla luce flebile proveniente dal corridoio e lasciata filtrare attraverso la finestrella.
Lasciò la mano artigliata sulla maniglia, guardandosi attorno nervosamente, cercando qualunque cosa potesse assomigliare ad un segno.
Si rese conto di aver smesso di respirare e fu costretto a buttare fuori l’aria dai polmoni, cercando poi di inspirare quanto più ossigeno poteva, come se fosse sul punto di affogare.
- CIAO KLAUDIUS!!!! – urlò improvvisamente una voce al suo orecchio.
L’uomo fece un balzo, lanciando un urlo e voltandosi di scatto alle sue spalle, indietreggiando di qualche passo dall’ingresso.
- Ahahahahahahahah! Troppo divertente, oddio, tu qualche giorno ci resti secco!! – sghignazzò la voce, divertita.
Kennedy rimase zitto per qualche istante, cercando di rendere regolare il battito del suo cuore, fissando la figura nella penombra in cagnesco.
-…Joker…PEZZO D’IDIOTA, QUANTE VOLTE TI HO DETTO DI NON SPUNTARE FUORI ALL’IMPROVVISO?? – urlò rabbioso Klaudius, non appena si fu ripreso.
- Scusa Kla’ ma è troppo divertente! Ogni volta hai una crisi di panico! –
- Non è affatto divertente!! – ribatté offeso ed umiliato l’uomo.
- Mamma mia come sei oggi…non hai dormito nemmeno stanotte? –
Kennedy si sedette sul cemento freddo, la schiena appoggiata al muro.
- No, non ho dormito – rispose, mettendosi una mano sulla fronte in un gesto stanco.
- Si vede! Sembri un panda! –
- Sempre sincero tu, eh? –
- E’ la mia più grande virtù - sorrise, poggiandosi una mano sul mento e ammiccando – Allora, dimmi tutto! Ma prima aspetta, perché parliamo al buio? Accendiamo la luce! –
- Per l’Amor di Dio, NO!! Mi è bastato vederti in faccia una volta e non mi va di ripetere l’esperienza!- esclamò Kennedy, in tono supplichevole.
- Troppo affascinante, eh? Ad ogni modo da’ fastidio a me la cosa, per cui arrangiati! – e subito la luce si accese, mentre la porta si chiuse lentamente, garantendo alla conversazione dei due un po’ di privacy.
Klaudius, per una sorta di masochismo, si costrinse a guardare il volto del ventiseienne che aveva di fronte. Sebbene i capelli blu elettrico lo celassero almeno in parte, il sangue che usciva dal sopracciglio destro spaccato era ben visibile e gli colava lungo tutta la guancia, formando piccoli grumi rappresi sulle ciglia, che ornavano i suoi occhi turchesi. Il livido violaceo sul mento si espandeva anche in parte sulla guancia sinistra, esattamente come Kennedy se lo ricordava.
Le altre ferite sul corpo del ragazzo erano celate da un paio di jeans ed una maglietta rossa laceri e sporchi di terra, le cui macchie di sangue che vi spuntavano sopra però non lasciavano dubbi sulla loro esistenza.
Klaudius non sapeva molto del giovane che gli stava di fronte, se non le poche cose che lui stesso li aveva rivelato. Lo chiamava “Jocker” come lui gli aveva chiesto di fare e quando Klaudius gli aveva domandato il perché lui aveva risposto che era il suo nome d’arte.
In seguito aveva scoperto che quello che aveva di fronte era stato uno dei più abili falsari conosciuto nel mondo della malavita, anche se il ricordo che aveva lasciato dietro di lui non era esattamente quello che lui avrebbe desiderato.
“ Sono cose che succedono quando si lavora sempre sul filo del rasoio” aveva spiegato la prima volta che si erano incontrati “il lavoro ti va bene e ti senti così sicuro di te che decidi di concederti qualche cazzata…solo che nel mio caso quella cazzata mi è costata la pelle: ho rubato dei soldi ad una sorta di mezzo mafiosetto e i suoi tirapiedi mi hanno beccato. Suscettibili, eh? Mi hanno tenuto sotto sequestro per tre giorni, torturandomi per farmi sputare il luogo dove avevo nascosto l’incasso. Ne ho prese talmente tante che sono morto per emorragia interna circa tre giorni dopo il rapimento!” Jocker era rabbrividito al ricordo. Quando Kennedy, sempre seguendo il suo istinto masochista, gli aveva chiesto dove fosse finito il suo cadavere, lui aveva sfoggiato un sorrisone come se la domanda lo lusingasse. “Ma proprio qua sotto! Lo hanno nascosto sotto una colata di cemento!” aveva confessato, saltellando sul posto.
Il palazzo in cui viva, in effetti, era recentissimo…
Non gli aveva mai chiesto perché non avesse rivelato il nascondiglio dei soldi: in fondo quel tipo gli sembrava mazzo matto…
- Ma allora sei stupido! Se ti faccio impressione che mi guardi a fare? Sei masochista? – la voce di Jocker, troppo alta come al solito, lo ridestò dai suoi pensieri.
Ci mancava solo un morto sotterrato sotto la mia cantina!
- …a proposito, vedo che hai imparato bene ad usare i tuoi “poteri- da-morto” – commentò Klaudius, alludendo al fatto che il ragazzo aveva potuto accendere la luce e chiudere la porta senza nemmeno toccarle.
- Bè, ci dovrà pur essere un qualcosa che compensi il fatto che sono incorporeo…anche se dubito di riuscire a fare qualcosa di più…-
- Ah, capis…-
- Però però…! Sai che ieri sono riuscito a fermare un topo che stava zampettando qua intorno senza nemmeno toccarlo??- lo interruppe Jocker.
- Bene, mi fa piacere…-
- E ieri sono riuscito a far sbattere tutte le porte delle cantine contemporaneamente! –
- Ah, quindi eri tu che hai fatto tutto quel casino…lo sai che quelli del primo piano…-
- E poi sono riuscito ad incrinare il vetro della finestra del corridoio!! –
- E noi che pensavamo che fosse stato colpito da un sasso…-
- E poi…-
- JOCKER, PIANTALA!! A PARTE I FATTO CHE STAI LENTAMENTE DEMOLENDO IL PALAZZO, NON SONO QUI PER QUESTO!! –
L’altro assunse un’aria offesa:
- Oh certo, è sempre più importante quello che combini tu! Io mi annoio a starmene qui da solo!! Oltre a te non mi può vedere né sentire nessun altro!! –
- Grazie al Cielo… - commentò Klaudius.
- Ah, la metti così?! Allora arrangiati tu e i tuoi cosi paranormali!! – si stizzì il ragazzo, voltandogli le spalle.
- Jocker, capisco che tu ti annoi a stare qui da solo…ma si suppone che ti sia stato affidato il compito di aiutarmi!! E come puoi aiutarmi se invece di starmi a sentire mi racconti di come ti diverti a fare i dispetti ai ratti?!?!-
- … non mi sembra che queste siano scuse…-
- Non lo sono infatti –
- Guarda, ti ascolto solo perché sono curioso! –
Jocker ha un circuito mentale molto semplice…
Così Klaudius raccontò per filo e per segno quello che era successo poco prima nel suo appartamento.
- … -
- … -
- Scommetto che hai avuto un infarto assurdo quando è successo!! - ridacchiò Jocker.
- TUTTO QUI QUELLO CHE HAI DA DIRE?? – sbraitò Klaudius, arrossendo. Rimpianse amaramente il giorno in cui gli confidò che tutto ciò che aveva a che fare con il paranormale lo terrorizzava. Si era anche spinto a fidarsi di lui e a raccontargli di quell’episodio che gli era successo da bambino, nonché la causa di questa fobia che lo perseguitava da allora, sperando che l’altro usasse un po’ di tatto e si manifestasse avvertendolo prima, ma tutto quello che aveva ottenuto era stato esattamente il contrario: da allora Jocker non faceva altro che fargli prendere uno spavento dopo l’altro tutte le volte che i due dovevano incontrarsi, manifestandosi all’improvviso.
La colpa è mia che mi sono fidato di un deficiente!
Pensò mentre lo guardava sghignazzare.
- Allora, non hai niente da dirmi?! – lo esortò l’uomo.
Jocker assunse improvvisamente un’aria talmente pensierosa che Klaudius rimase di sasso per il cambiamento.
- Bè, non è che stavolta ti abbia detto tanto, il cliente… - disse, giocherellando con il piccolo orecchino che aveva attaccato al lobo sinistro.
Jocker chiamava “cliente” ogni presenza paranormale con cui lui e Klaudius avevano a che fare.
- Non è che hai detto a qualcuno della mia situazione ed ora qualcuno dei tuoi amici è venuto a farmi uno scherzo, vero? –
- Per chi mi hai preso?? – ribatté indignato l’altro - …se potessi comunicare con qualche altro morto mi sarei già vendicato per tutte le volte che mi tratti male!! -
Klaudius sorrise gongolante:
- Ah, non puoi? -
Jocker assunse un’aria colpevole:
- No, sono in punizione… non posso parlare con nessun altro oltre a te! –
- Mi sembra giusto…i bambini cattivi devono stare in castigo - commentò Kennedy alludendo alla vita da malavitoso dell’altro.
- Non mi sembra che tu sia in condizioni migliori… comunque, tornando a cosa è successo al tuo appartamento…per me si tratta di un bambino o di uno morto di recente –
- E come mai? –
- E’ ovvio che stesse cercando di dirti qualcosa, ma non ci è riuscito molto bene… questo significa che o ha poco potere oppure che non lo sa usare molto bene, ossia uno che è morto di recente –
- Quindi ora cosa devo fare? – domandò serio Klaudius.
- Bho? –
- Come sarebbe a dire “bho”?? –
- Che cosa vuoi fare avendo solo come indizio dell’acqua? Devi aspettare che si rifaccia vivo o che ti lasci altri indizi… a meno che tu non voglia indagare su tutti i casi esistenti di morte connessa all’acqua…cosa un tantino generale secondo il mio modesto parere –
- Morale della favola devo aspettare che si rifaccia vivo… -
- Direi proprio che ti conviene –
Klaudius si rialzò sospirando, spolverandosi i jeans scuri.
- …e così sia…dovrò cominciare a comprare delle pastiglie per i cardiopatici se andiamo avanti così! – aprì la porta e fece per andarsene, quando si sentì un paio di occhi piantati sulla nuca e si voltò a guardare Jocker.
- Cosa…cosa c’è ora? -
Il ragazzo lo fissava con due occhioni da cucciolo smarrito.
- Non andartene via… –
- Hai i tuoi ratti no? – disse Klaudius, sperando che l’altro se la prendesse e preferisse lasciarlo andare.
- Sì ma loro non mi parlano, non mi tengono compagnia… –
Ossantocielo, ora piange!- Senti…adesso devo proprio andare…ti prometto che stasera faccio un salto da te, va bene? –
- Promesso? –
- …sì, promesso…- e prima che di sentirsi troppo in colpa, Klaudius chiuse la porta alle sue spalle e si sbrigò a risalire verso il suo appartamento.



Tuttavia Klaudius non ritornò al suo appartamento: decise che i suoi nervi non avrebbero potuto sopportare altri avvenimenti paranormali in un così breve lasso di tempo, così decise di uscire per prendersi una boccata d’aria.
Questa se non altro era la scusa, visto che non appena era accaduto il fatto non desiderava altro che farsi un goccetto per dimenticare.
Così, ignorando il senso di colpa che ormai lo tormentava ogni volta che beveva o provava ad accendersi una sigaretta, si diresse verso il piccolo supermercato poco distante dal suo condominio.
Vi arrivò dopo circa dieci minuti, un po’ infreddolito. Ormai erano già le undici del mattino ma per fortuna il supermarket aveva orario continuato.
Entrò e subito l’aria riscaldata lo colpì in viso, scacciando l’intorpidimento.
Si diresse subito verso il reparto delle bibite, salutando con un cenno del capo la vecchia proprietaria ed il macellaio, che gli sorrisero.
Un uomo sulla quarantina, alto ed avvolto in un cappotto sgualcito si fermò vicino a lui, scrutando i prodotti esposti.
Klaudius lo osservò di sottecchi, incuriosito. Aveva i capelli scuri, un po’ diradati per via dell’età, e due occhi piccoli e grigi. Le occhiaie sotto agli occhi lo facevano sembrare ancora più vecchio e la barba incolta non lo aiutava di certo.
Eccomi fra dieci anni…a parte il fatto che io fra dieci anni non ci sarò più da un pezzo.
L’uomo accanto a lui si allentò un poco la cravatta, mostrando una voglia color caffè sul collo. Si grattò un momento il mento per poi prendere due bottigliette di succhi di frutta.
Klaudius lo osservò mentre se ne andava con passo stanco, fino a quando non sparì dietro l’angolo.
Dal canto suo, lui prese la sua birra e si diresse verso le casse, che però trovò vuote.
La proprietaria, il cui unico lavoro sembrava quello di aggirarsi per il piccolo supermercato distribuendo sorrisi ai suoi clienti, dovette notarlo perché disse:
- Le chiamo subito Nikolas – facendo segno al macellaio di andarlo a chiamare. Poi si rivolse allo stesso uomo che aveva affiancato Klaudius poco prima – Chieda pure a me se c’è qualcosa che non trova, signor Karter…-
L’uomo le sorrise:
- Mi chiami pure Charlie, signora…-
Un rumore poco lontano da lui distolse Kennedy dalla conversazione.
Da un angolo spuntò un ragazzo sui vent’anni, non molto alto e magro, con un viso dai lineamenti ancora piuttosto infantili. Si pulì le mani sul camice e si riavviò una ciocca di capelli arancio che gli era caduta sull’occhio sinistro.
Il giovane si sedette al posto riservato ai cassieri. A Klaudius non sfuggì l’occhiata nervosa che gettò alle sue spalle, in direzione della proprietaria e del cliente con cui quest’ultima stava parlando.
Kennedy ebbe la netta impressione che a preoccuparlo non fosse il suo capo bensì quell’apparente normalissimo cliente e gli venne istintivamente il desiderio di proteggere quel ragazzino che sembrava ancora così fragile.
- Quel tizio ti preoccupa? – domandò infatti.
Lui alzò lo sguardo, smarrito e sorpreso per quella domanda e Klaudius poté notare il bel colore blu oltremare dei suoi occhi.
-…è praticamente una settimana che viene qui tutti i giorni a comprare qualcosa… e tutte le volte che viene chiede sempre di me per sapere dove si trovano dei prodotti che troverebbe subito se si degnasse di guardarsi un po’ intorno! – si lamentò frustrato, lanciandogli un’occhiata furtiva. Dall’espressione che assunse, era evidente che la questione lo preoccupasse parecchio.
- Ne hai parlato con i tuoi genitori? – domandò Kennedy, lanciando anch’egli uno sguardo all’uomo che stava ancora chiacchierando con l’anziana proprietaria.
Come se la parola “genitori” avesse fatto scattare in lui qualche cosa, il giovane lo fulminò con lo sguardo e ribatté:
- Ma tu chi cazzo sei? Fatti gli affari tuoi! –
Cosa?! Ma cos’è ‘sto cambiamento improvviso?!
- Ehi, ma che modi di rispondere sono?! Sono un cliente!! –
Per tutta risposta l’altro afferrò seccato la bottiglia di birra e dopo aver battuto il prezzo, strappò lo scontrino, sbattendoglielo sul ripiano di plastica di fronte a lui.
Klaudius, ancora seccato, lesse il prezzo e poi gettò la mano in tasca alla ricerca delle monete.
Ma tu guarda come cavolo devo farmi trattare!! E io che mi sono anche lasciato intenerire da quel visetto angelico! Di viso sarà anche carino, ma ha il modo di fare di uno scaricatore di porto! E comunque i tuoi capelli fanno schifo sai? Che cavolo di colore è??? Arancio carota!! Ma nemmeno se mi pagassero me li tingerei così!!
Come se l’altro avesse intuito i pensieri dell’uomo che gli stava di fronte, alzò lo sguardo stizzito:
- Non erano così quando me li sono tinti! Erano rossi! Sono solo un po’ a corto di soldi e non ho potuto rifarmela, così intanto è sbiadita! –
Che cazzo, legge nel pensiero??
- Mica è colpa mia se sembri una carota con il camice, bimbo! – poi estrasse una banconota e la porse al ragazzo.
Quest’ultimo la osservò:
- Cos’è, uno scherzo? –
Klaudius guardò ciò che aveva passato al ragazzo e si accorse che in realtà non era una banconota, bensì un semplice foglietto di carta.
Cos…?!
Quando vide la grafia con cui era stato scritto, ebbe un tuffo al cuore: era sicuramente quella di un bambino e l’inchiostro era sbavato, come se il foglietto fosse caduto nell’acqua.
Con il cuore in gola, lesse cosa c’era scritto: era un indirizzo.
Il cassiere dovette intuire l’agitazione dell’altro perché domandò timidamente:
- Ehi, tutto bene? –
Senza nemmeno prenderlo in considerazione, Klaudius corse fuori dal supermercato con il cuore che gli martellava nel petto.





Non fu difficile trovare la via segnata sul misterioso fogliettino: circa un ora dopo era arrivato a destinazione.
La casa in questione si trovava in periferia ed era piuttosto isolata dalle altre case del vicinato, cosa che sicuramente avrebbe assicurato un po’ di riservatezza agli abitanti della villetta.
Klaudius aveva preferito andare a piedi, anche se quel luogo era piuttosto lontano dal centro: se fosse arrivato in auto sarebbe stato molto più difficile passare inosservato ed inoltre fare una bella passeggiata l’avrebbe aiutato a riflettere sul da farsi per evitare azioni precipitose come gli capitava di compiere di solito.
Ormai era circa mezzogiorno e faceva abbastanza freddo, per cui la gente era in casa a mangiare: per strada non si vedeva neppure un’anima.
Non fu sorpreso quando scoprì che la casa in questione era disabitata: molte ormai in quella zona venivano abbandonate e la maggior parte delle persone preferiva un appartamentino in centro ad una villettina in periferia, lontana da ogni servizio.
La casa non era molto grande: il tetto era spiovente, coperto da tegole scure, mentre i muri, alcuni dei quali semi coperti da edera, erano chiari, anche se ormai alcune macchie di muffa li avevano rovinati. L’intonaco era scrostato e le finestre erano chiuse da assi di legno, mentre i pochi vetri che si intravedevano erano opachi.
Sulla parte frontale dell’abitazione era stata ricreata una piccola veranda con sedie di legno ormai semi distrutte. Le foglie secche si erano accumulate dovunque mentre la recinzione che circondava la casa pendeva pericolosamente da un lato. Il giardino era incolto, con l’erba che arrivava circa al ginocchio.
Sperando che nessuno lo vedesse, Klaudius scavalcò la recinzione e si affrettò ad avvicinarsi alla porta d’ingresso. Lo sorprese scoprire che, a differenza di tutte le altre cose in evidente stato di abbandono, la porta era in uno stato migliore di quanto si trovassero ad esempio le finestre. Nonostante i graffi e il grande squarcio nel legno, che sembrava essere stato provocato da un calcio, la porta era molto resistente e, soprattutto, ben chiusa.
Questa fu un’altra cosa che stupì Kennedy: perché sostituire una porta per impedire alle persone di entrare quando si potrebbero schiodare le assi che bloccano le finestre per entrare?
Dopo inutili tentativi, Klaudius decise di provare sul retro, nel caso fosse riuscito a trovare un modo per entrare, anche se, vista la cura che qualcuno si era preso per la porta anteriore, lo dubitava.
Così fu: la piccola porticina scura sul retro era stata chiusa bene esattamente come quella d’entrata.
Ispezionò il retro della casa: oltre la recinzione vi era un fosso e al di là di esso un campo, finito il quale si intravedeva una strada e oltre ancora un gruppo di case.
Un posticino decisamente riservato…
La cosa che lo colpì maggiormente però, fu la bella piscina, ancora piena d’acqua.
Klaudius notò le chiazze di muffa sul fondo e l’acqua sporca e sentì l’agitazione montargli addosso.
Si guardò intorno, nervoso, e decise di provare nuovamente ad aprire la porta sul retro.
Fu ad una seconda occhiata che notò un altro particolare che lo inquietò: diversamente dalla veranda sulla parte anteriore della casa, quella posteriore non era ricoperta da nessuna foglia, come se qualcuno si fosse preoccupato di spazzarle via: Klaudius infatti le vide poco distanti, ammassate fra l’erba.
Con il cuore che gli martellava nel petto, cercò per l’ennesima volta di aprire la porta e, all’ennesimo fallimento, le tirò un calcio.
Qualcosa, al di là della porta, cadde con un tonfo attutito.
Klaudius rimase immobile, come se il rumore appena udito fosse quello di una bomba.
Il battito del suo cuore ora sovrastava qualsiasi altro suono intorno a lui, mentre si avvicinava ad una finestra e tentava di sbirciare attraverso i vetri sporchi.
Non riuscì a scorgere nulla, in quanto la luce non entrava se non dalle piccole fessure provenienti dalle altre finestre. Gli sembrò comunque che la casa, all’interno fosse ancora arredata, come se chi si fosse trasferito volesse ricominciare tutto d’accapo, volendo disfarsi perfino dei mobili.
Il pavimento sembrava ingombro di qualcosa, ma Klaudius non riuscì a capire cosa fosse, e nemmeno cosa avesse fatto cadere dando quel calcio alla porta.
Sentì l’irrefrenabile bisogno di fuggire e corse verso la recinzione sulla parte anteriore della casa: la scavalcò e fece per gettarsi nel labirinto di strade deserte che gli avrebbero permesso di ritornare a casa, lontano da quel luogo, quando un gocciolio alle sue spalle lo pietrificò appena al di là della recinzione.
Sì girò lentamente, intravedendo una figura alle sue spalle: con la coda dell’occhio vide una figura dietro di sé, che da quel poco che riusciva a vedere, sembrava bagnata fradicia. Non ebbe il coraggio di guardarla in viso: sapeva che aveva le sembianza di una persona e questo gli bastava. Vide solo che con il braccio gli indicava qualcosa affisso al cancellino d’entrata.
- …il…cancellino…- mormorò con voce strozzata Klaudius, come per dare ad intendere a chiunque fosse alle sue spalle di aver capito cosa doveva fare.
La figura alle sue spalle sembrò soddisfatta e quando Klaudius si voltò del tutto era scomparsa.
Ancora un po’ scosso, si avvicinò al cancellino e lesse il foglio che vie era stato appiccicato sopra, protetto da una busta di plastica trasparente:
Proprietà privata
Quindi non è abbandonata…vediamo un po’ di chi è questa bella casina…
Klaudius scavalcò nuovamente la recinzione e corse verso la porta d’ingresso: come si aspettava, vi trovò di fianco il campanello, i cui nomi erano ancora ben leggibili, visto che erano stati ricoperti da un pezzo di foglio di plastica adesiva.

Rankin – Karter

- Ohi, ohi…adesso si che ho veramente bisogno di un goccetto…-




Era quasi arrivato nella zona del suo quartiere quando una sensazione di affaticamento lo costrinse a rallentare il passo e a fermarsi per qualche istante.
Ansimando, sentì il cuore battergli all’impazzata e improvvisamente si sentì la gola secca.
Si diresse verso la fontanella del parchetto lì vicino e vi si appoggiò, bevendo qualche sorso.
Quando credette di riuscire a camminare, si staccò dalla fontanella e cercò di fare qualche passo.
Purtroppo per lui credette male e, poco dopo, svenne sull’erba curata del parco, sotto gli occhi curiosi dei bambini lì intorno.




- Non fare l’egoista e dammela! Quella macchinina mamma e papà l’hanno regalata a me! – un bambino di circa 12 anni, con i capelli scuri e gli occhi grigi lo guardava in cagnesco, la mano allungata verso di lui per reclamare il giocattolo.
Klaudius non sapeva chi fosse, ma non aveva nessuna intenzione di cedergli la piccola macchina rossa che teneva in mano. Come per sottolineare il fatto, la strinse al petto, cercando di assumere un’espressione intimidatoria nonostante sapesse che l’altro non si sarebbe fatto intimidire. In fondo, lui aveva solo 7 anni.
- Dammela! – gridò quest’ultimo, avanzando di un passo e facendolo sobbalzare.
Klaudius arretrò spaventato, fino ad arrivare al bordo della piscina. Si voltò un momento guardando l’acqua, intimidito.
Quando tornò a guardare il bambino, quest’ultimo approfittò per la sua momentanea distrazione e lo spinse verso la vasca.
Lui tentò di aggrapparsi alla maglietta del dodicenne, disposto ad ogni cosa pur di non cadere in acqua.
Il tessuto si strappò all’altezza del collo, rivelando una voglia color caffè.
L’acqua lo avvolse e lui gridò, mentre gli schizzi andarono a bagnare il bambino che lo aveva spinto, il quale rimase impassibile ad assistere alla scena.
Spaventato, Klaudius annaspò verso la scaletta, ingoiando un sorso d’acqua. Fortunatamente riuscì a risalire e tossì, cercando di riprendere fiato.
Il bambino con la voglia sul collo avanzò calmo e tranquillo verso di lui, approfittando del suo spavento, e gli sfilò dalle mani il giocattolo.
- Forza, chiama la mamma! – lo sentì dire – Piangi e chiamala come fai sempre! -
Klaudius alzò lo sguardo verso di lui, spaventato e con le lacrime che cominciavano a rigargli il viso.
- Ecco! Lo stai facendo di nuovo! Tu non puoi nemmeno sapere quanto mi fai ribrezzo! Ti odio!! Quando qualcosa non va come vuoi tu, sei solo capace di piangere e di chiamare la mamma! E lei ti da’ sempre ragione!! Per colpa tua lei non mi vuole più bene!! –
Klaudius vide gli occhi dell’altro farsi lucidi, mentre una strana luce gli si accendeva negli occhi - Se non ci fossi tu, mamma e papà mi amerebbero ancora!! –
Prima che Klaudius potesse reagire sentì l’altro spingergli la testa sott’acqua.
Preso alla sprovvista aprì la bocca per gridare, ma la voce si perse fra le bolle e l’acqua gli tappò la bocca. Disperatamente, tentò di allontanarsi ma il dodicenne lo teneva per i capelli impedendogli di fuggire.
L’ossigeno cominciò a mancargli e Klaudius tentò di allentare la presa del bambino afferrandogli il braccio e tentando di spostarlo, ma nonostante lo graffiasse, l’altro rimaneva impassibile, guardandolo con uno disprezzo.
Lentamente, le forze lo abbandonarono ed il petto smise di bruciargli.
Gli occhi si chiusero e il buio lo avvolse.




Nikolas smontò dal lavoro alle 18:00 in punto.
Salutò la padrona del supermercato e montò in sella alla sua vecchia bicicletta, diretto verso il suo appartamento poco distante da lì.
Percorse il tratto di strada con la musica del walkman nelle orecchie, pensando che anche per quel mese i soldi gli bastavano a malapena per arrivare alla fine del mese.
Sospirò, pensando che comunque la vita che si era scelto era sempre meglio di quella che avrebbe potuto vivere con i suoi genitori.
Pedalò più forte, riflettendo se fosse il caso o meno di continuare a prendere antidepressivi: ormai non solo erano ben poche le farmacie in cui non era ancora stato e a cui quindi avrebbe potuto mostrare la sua prescrizione medica ormai scaduta( anche se da poco) ma ormai si era accorto che quella roba non gli faceva più effetto da un pezzo e che quindi si stava rivelando un’inutile spreco di soldi.
Non si sentì per niente sollevato quando, svoltato in un vicolo, vide in lontananza il portone oltre il quale stava il cortile del suo condominio.
In effetti non era un gran posto: era vecchio, dimesso e sporco e sulle scale si poteva sentire ogni genere di odore disgustoso.
Gli appartamenti costano poco…gli appartamenti costano poco…gli appartamenti costano poco… si ripeté come ogni volta, prima di inserire la chiave nella toppa.
Fu quando varcò la soglia che avvertì una sensazione di disagio: si affrettò a spegnere la musica e accese la luce, osservando con attenzione la tromba delle scale.
Piantala di immaginarti le cose!! E’ per questo che hai litigato con mamma! Perché devi sempre vedere cose strane dappertutto? Eri anche convinto che qualcuno ti seguisse, 5 giorni fa, e invece non è successo nulla! Quindi non fare il coglione ed entra in casa, dove potrai consumare il tuo regale pasto a base di surgelati!
Nikolas chiuse il portone dietro di sé, cominciando a salire le scale che lo avrebbero portato all’ultimo piano.
Come al solito non incontrò nessuno, ma non si stupì.
Vi erano sei appartamenti in quella palazzina: al piano terra abitavano una coppia di anziani e un alcolizzato. Al secondo piano uno degli appartamenti era vuoto e l’altro era occupato da un tizio dimesso che, lavorando di notte, passava quasi tutto il suo tempo a dormire. Infine, all’ultimo piano, abitava lui, mentre l’appartamento di fianco era vuoto perché la donna che vi risiedeva si era concessa una piccola vacanza.
Quando arrivò davanti al suo appartamento, Nikolas cominciò a trafficare per cercare le chiavi, quando si accorse che dell’acqua stava fuoriuscendo da sotto la porta.
- Macheccazz…!! – esclamò, indietreggiando di un passo.
Trovò le chiavi e fece scattare la serratura, precipitandosi all’interno.
L’appartamento era completamente allagato.
Dal rubinetto della cucina, così come da quello del bagno, dal water, dalla doccia fuoriusciva acqua.
- Ma che cazzo è successo?! – imprecò mentre chiudeva il rubinetto della cucina.
Improvvisamente sentì la paura assalirlo, mentre il brutto presentimento avvertito all’ingresso tornò più forte che mai. Ogni sua cellula del suo corpo gridava di scappare e, spaventato, si lanciò fuori dall’appartamento.
Tuttavia prima che riuscisse ad imboccare le scale, sentì una stretta intrappolarlo e riportarlo verso quest’ultimo: tentò di voltarsi per vedere chi fosse il suo aggressore, ma egli gli premette un fazzoletto sul viso e, prima che potesse cercare di divincolarsi, Nikolas sentì le palpebre farsi pesanti e i sensi abbandonarlo.





Klaudius uscì dal supermercato con una bottiglia di birra in mano.
La stappò e ripensò a tutto quello che gli era capitato quel giorno, in particolare allo strano sogno che aveva fatto quando era svenuto nel parco. Era rimasto privo di sensi per ore, tanto che quando si era svegliato e si era alzato dalla panchina su cui era stato adagiato, la gente intorno si era offerta di portarlo all’ospedale.
Nonostante il trambusto, non gli era sfuggito il fatto che il bambino del sogno avesse la stessa voglia dell’uomo del supermercato che da 5 giorni tormentava quel commesso.
Stamattina qualcuno si presenta da me e quando faccio per pagare la birra mi ritrovo in tasca un biglietto con su un indirizzo, appena dopo aver saputo che un commesso viene perseguitato da un uomo da circa 5 giorni…
Mi reco all’indirizzo segnato sul biglietto, scritto con la grafia di un bambino, e scopro che quella è probabilmente la vecchia casa dell’uomo del supermercato. Il fatto strano è che le porte della casa sono accuratamente sigillate e molto più recenti nonostante tutto il resto sia abbandonato, la veranda sul retro è completamente pulita e la piscina, nonostante la muffa formatasi nel tempo, è stata riempita dopo tanto tempo…
Infine faccio un sogno in cui un bambino con la stessa voglia dell’uomo del supermercato mi affoga nella piscina di quella casa…
Mmm…potrei dire che è tutto frutto di un condizionamento…
Aspetta, aspetta, c’è qualcosa che mi sfugge…perché il fatto che quel ragazzo fosse perseguitato da quel tipo mi ha scosso tanto?
Vediamo…cos’è successo in questi giorni? Pensa a quello che hai letto sul giornale stamattina…
Klaudius si bloccò, il cuore che accelerava i battiti: le misteriose sparizioni!

<< Possiamo solo comunicare ciò che è emerso dai confronti fra i vari soggetti dispersi: si tratta solitamente di ragazzi sulla ventina, preferibilmente con gli occhi chiari>>

Il commesso era praticamente il bersaglio ideale!
Si voltò verso il supermercato e corse dentro a cercare la padrona.
La trovò poco dopo mentre parlava con il macellaio: non perse tempo e le chiese se il ragazzo fosse ancora in servizio.
- Sono spiacente ma il suo turno è finito circa un’ora fa! Ha bisogno di qualcosa? –

il giovane di 21 anni scomparso ormai da una settimana mentre rientrava a cosa dopo la sua solita passeggiata pomeridiana…

Lui li segue, sa dove abita!
- Signora mi scusi, potrebbe dirmi dove abita? Sua madre ha urgente bisogno di parlargli…è per via di suo padre… Io sono un amico di famiglia. - provò Klaudius, pregando perché le sue impressioni sul commesso fossero esatte.
- Oh Santo Cielo, gli è successo qualcosa? –
- Mi scusi ma devo fare in fretta…può dirmi dove abita? –
L’anziana donna non perse tempo e glielo rivelò e Klaudius corse via mentre le prometteva di farle sapere qualcosa quando tutto si sarebbe risolto.



Klaudius corse più veloce che poté, sperando con tutto il cuore di aver frainteso tutto.
Arrivò davanti alla palazzina dopo circa dieci minuti e senza perdere tempo si precipitò all’ultimo piano, dove trovò la porta spalancata e l’appartamento completamente allagato.
Corse all’interno del piccolo bi locale, ma del ragazzo non vi era nessuno traccia.
Preso dallo sconforto, Klaudius si accasciò contro lo stipite della porta, chiudendo gli occhi.
Dove cavolo siete tutti quanti quando sono nella merda? Avanti! Sapete solo terrorizzarmi o siete anche capaci di aiutarmi quando devo salvare una persona? Vi prego, ho bisogno d’aiuto, di qualsiasi aiuto!
Kennedy si alzò e si guardò intorno, speranzoso, sperando che qualcuno o qualcosa apparisse all’improvviso.
Ma nulla accadde.
- Tipico! – sbottò, sorridendo sconfitto.
Solo in quel momento si accorse di avere ancora in mano la bottiglia di birra.
Tanto vale…pensò, bevendone un sorso.
Tuttavia sputò subito il contenuto.
Acqua?
Fissò l’etichetta su cui era scritto a lettere cubitali la marca della birra. Così facendo notò una macchia scura sul fondo della bottiglietta di vetro.
La lasciò andare e quest’ultima si infranse sul pavimento, lasciando libera una chiave che tintinnò sul pavimento.
Klaudius non ebbe bisogno di chiedersi cosa aprisse: la prese con un sorriso stampato sulle labbra e se la mise in tasca.
- Ben fatto! –




Nikolas si svegliò parecchio rintronato e con un’emicrania fortissima.
Cercò di muoversi, ma qualcosa glielo impediva: allora cercò di parlare, ma la sua voce suonava solo come un patetico mugolio.
Sbatté le palpebre e cercò di guardarsi intorno: l’ambiente in cui si trovava era buio, freddo e puzzava in una maniera nauseante.
Il mio appartamento non puzza così tanto!
Improvvisamente si ricordò tutto: il brutto presentimento non appena arrivato a casa, l’appartamento allagato, la fuga verso le scale…
Qualcuno mi ha impedito di fuggire!
Spaventato, Nikolas tentò di liberarsi e si accorse di avere le mani legate e che un bavaglio gli impediva di parlare.
Disperato, si guardò intorno, sperando che i suoi occhi si abituassero spesso alla flebile luce per poter così capire dove si trovava.
Pian piano, mise a fuoco quello che doveva essere l’arredamento di una casa, anche se tutto sembrava abbandonato ed impolverato.
Sul pavimento vi erano delle sagome che però non riuscì ad identificare.
E’ da quelle che proviene la puzza…Si accorse di trovarsi al centro di quella che una volta doveva essere la cucina e decise di provare a voltarsi dalla parte opposta per vedere se qualcosa nell’arredamento potesse fargli ricordare qualcosa.
Faticosamente ed ignorando il dolore ai polsi, riuscì nel suo intento.
Due occhi spenti incrociarono il suo sguardo senza restituire nessuna emozione.
Nikolas fece per gridare, ma il suono non riuscì nemmeno a percorrergli la gola.
Era esattamente come quello che emetteva il volto pallido di fronte a lui: un grido silenzioso.
Il ragazzo scattò in piedi, il suono del suo cuore che gli martellava nelle orecchie.
Gli occhi, abituati ormai alla penombra, gli mostrarono la scena più orribile che avesse mai visto.
Quello che si era trovato davanti non era che uno dei cinque corpi che giacevano riversi sul pavimento.
Gli occhi spalancati, i visi pallidi e le labbra violacee e socchiuse in un urlo silenzioso esprimevano terrore. A giudicare dai vestiti rovinati e dalla corporatura che essi lasciavano trasparire, Nikolas constatò che erano tutti ragazzi.
Chi…?
Indietreggiò finché non sbatté il tallone contro qualcosa di morbido: si voltò di scatto e inorridito, notò il cadavere di un altro giovane in evidente stato di decomposizione.
- Sam, ti sei svegliato? –
Nikolas urlò e si voltò di scatto alla sua destra: nella penombra intravide la figura di un uomo.
- Non ho voluto accendere la luce per non rischiare di svegliarti…- spiegò dolcemente l’uomo. Improvvisamente la luce inondò la stanza. Nikolas chiuse gli occhi terrorizzato, tentando di scacciare le immagini dei cinque corpi riversi sul pavimento. Tuttavia li riaprì di scatto quando sentì l’uomo avvicinarsi.
Lo riconobbe subito, anche se ormai aveva già immaginato chi poteva essere.
L’uomo del supermercato avanzò verso di lui ma non con il fare minaccioso che si sarebbe aspettato. Questo non rassicurò di certo Nikolas che terrorizzato indietreggiò fino ad andare a sbattere contro il vecchio forno arrugginito.
Si voltò smarrito e l’uomo ne approfittò per avvicinarglisi e bloccarlo contro l’elettrodomestico, impedendogli ogni via di fuga.
Lo prese per le spalle e lo girò di schiena, sciogliendogli i nodi che gli tenevano legati i polsi.
Nikolas si voltò lentamente e lo guardò sorpreso: l’uomo non faceva altro che sorridergli dolcemente. Confuso, portò le mani dietro alla testa per slegarsi il bavaglio, ma l’uomo lo afferrò per i polsi e prima che se ne rendesse conto, il ragazzo si ritrovò ad essere abbracciato dall’uomo, che gli accarezzò i capelli.
Irrigidito ed impaurito, aspettò che l’uomo si staccasse, cosa che non avvenne prima di un paio di minuti.
- Sam, non ti ricordi di me? – domandò allora con le lacrime agli occhi, fissandolo dritto negli occhi.
Nikolas non seppe come reagire, così rimase immobile, ricambiando il suo sguardo.
- Mi dispiace, ma posso capire…me l’avevano detto che un grande shock può far perdere la memoria alla gente…per questo hai cambiato nome, vero? Perché eri solo e non sapevi nemmeno chi eri…io l’avevo detto a mamma e papà di aspettare che tu ti riprendessi, ma loro non hanno voluto ascoltarmi…ci siamo trasferiti senza nemmeno aspettare che ti svegliassi!-
Il ragazzo gli restituì uno sguardo confuso e impaurito.
- Non mi resta che raccontarti tutta la storia … è per questo che ti ho lasciato il bavaglio…perché so che ti sembrerà assurdo e non voglio che tu mi interrompa prima che io abbia terminato il racconto. – l’uomo lo guardò, sorridendo al suo smarrimento e stringendoselo di nuovo al petto – Io sono Charlie Karter. Abitavamo qui circa trent’anni fa insieme alla mia famiglia e al mio fratellino Samuel, che tutti chiamavamo Sam, cioè tu. Eravamo felici ma io ero geloso di te perché la mamma e il papà ti proteggevano sempre e ti davano sempre ragione. Ho sopportato questa situazione per tanti anni, ma poi un giorno ci fu un incidente… Papà mi aveva regalato una macchinina rossa che mi piaceva davvero molto: sfortunatamente sembrava che anche tu l’adorassi e così litigavamo sempre per averla. Un giorno, ci fu l’ennesimo litigio e quando tu ti rifiutasti di rendermela ti spinsi in piscina…sapevo benissimo che avevi il terrore dell’acqua e che non sapevi nuotare, ma in quel momento ho desiderato solo che tu sparissi…ti ho tenuto la testa sott’acqua fino a che non hai smesso di dimenarti. Quando ci ha visti, la mamma ha urlato chiamando il papà e ti hanno tirato fuori dall’acqua: hanno tentato di risvegliarti ma tu non volevi aprire gli occhi…Io ho continuato a ripetere che era solo questione di tempo, ma loro non mi hanno dato ascolto…ti hanno portato in chissà quale ospedale e poi ci siamo trasferiti in tutta fretta: la mamma non ha nemmeno voluto che prendessimo su la nostra roba…io sapevo che tu ti saresti risvegliato, ma lei non ha più voluto passare a prenderti! Ora che è morta, due mesi fa, ho deciso che non potevo più sottostare alle sue regole e sono venuto a cercarti: certo, questa gente ha tentato di fermarmi, probabilmente erano d’accordo con la mamma – disse alludendo hai cadaveri - …ma alla fine ti ho trovato finalmente! Ora finalmente potremo stare sempre insieme e recuperare tutto il tempo che abbiamo perso! –
Nikolas iniziò a tremare, mentre Karter non accennava a smettere con gli abbracci. Tuttavia si accorse che il ragazzo non lo ricambiava, così lo allontanò per guardarlo negli occhi.
- Sam…cosa c’è che non va? – domandò, togliendogli il bavaglio dalla bocca.
Nikolas lo guardò atterrito, indietreggiando lentamente senza togliere gli occhi dai cinque cadaveri:
- …li hai uccisi perché credevi che fossero tuo fratello e poi hai scoperto che non era così? - chiese, stupendosi del fatto di essere riuscito a trovare la voce per porre quella domanda.
L’altro sorrise:
- Hanno tentato di ingannarmi, di fingersi te… ma io ti voglio troppo bene per lasciarmi ingannare in questo modo…non ci ho messo molto a scoprire che mentivano… -
- …e…come…come li hai uccisi? – balbettò, senza smettere di indietreggiare.
Il sorriso dell’altro diventò malevolo:
- Fingevano di essere te…per cui li ho uccisi nello stesso modo in cui ti ho perso quel giorno –
Non capisco…si rende conto di avere ucciso il fratello allora? O con quel “ti ho perso” intendeva il gesto che avrebbe portato il fratello ad una immaginaria permanenza in ospedale?
- Non hai motivo di aver paura…non lo scoprirà nessuno! Questa casa è di nostra proprietà! Ho continuato apposta a pagare la luce per far si che non la staccassero in modo da poterci tornare se lo vuoi…ci disferemo in qualche modo dei cadaveri e riprenderemo da dove avevamo lasciato quel giorno - Charlie fece qualche passo verso il ragazzo che, tremando indietreggiò fino ad incontrare il muro.
L’uomo alzò la mano e Nikolas serrò gli occhi, impaurito.
- Sam, perché ti comporti così? –
Che faccio? Se scopre che non sono suo fratello mi ammazza come ha fatto con gli altri…devo fingere? No: ha detto che non ci ha messo molto a scoprire che gli altri gli mentivano…se scopre che anche io gli ho mentito farò la fine di tutti gli altri…non mi rimane che provarglielo a dire gentilmente, sperando che non dia di matto!
- S…senti… - incominciò, tremando – Io…io non sono Sam…io abitavo in un’altra città prima di trasferirmi qui…non posso essere tuo fratello, capisci? Devi esserti sbagliato…in fondo è comprensibile…sono passati molti anni dall’ultima volta che lo hai visto…è normale che tu possa aver commesso un errore… -
L’uomo rimase in silenzio, fissandolo come invitandolo a continuare.
Nikolas non sapeva più cosa dire, desiderava solo potersene andare.
- Io…io lo so che tu lo hai fatto perché vuoi disperatamente ritrovare Sam…per cui se mi lasci andare non dirò a nessuno di quello che ho visto…d’accordo? – provò a convincerlo, anche se la centrale di polizia sarebbe stato il primo luogo in cui si sarebbe diretto non appena sarebbe potuto fuggire.
Qualcosa negli occhi dell’uomo cambiò, anche se il ragazzo non seppe riconoscere subito di cosa si trattasse.
- Sam, perché dici questo? Sei ancora arrabbiato con me? – la sua voce ora era incrinata.
Nikolas capì che ormai era questione di tempo prima che Karter si svegliasse dal suo sogno ad occhi aperti e perdesse il controllo. Aveva capito ciò che era cambiato in lui: la convinzione stava vacillando per lasciare il posto al panico e alla disperazione di fronte ad un nuovo fallimento.
Disperazione che non avrebbe tardato a trasformarsi in collera.
Nikolas sentì lo stomaco stringersi e la nausea provocata dalla paura. Si schiacciò ancora di più contro il muro, mentre l’uomo gli si avvicinò di qualche passo. Quest’ultimo alzò il braccio di nuovo, come per volerlo tranquillizzare con una carezza.
Il ragazzo non resse più: non gli importava nulla di come sarebbe finita, tanto non sperava nemmeno più di uscirne vivo. Rassegnato sputò fuori tutto il disprezzo e la paura che provava in quel momento.
- Stai calm… -
- No, Cristo Santo, NO! NON TI AVVICINARE! IO NON SONO TUO FRATELLO E IN FONDO LO SAI ANCHE TU! ALTRIMENTI PERCHE’ PORTARMI QUI DI PESO INVECE CHE PROVARE A PARLARNE? PERCHE’ SAPEVI BENISSIMO CHE AVREI SMENTITO TUTTO, PERCHE’ TI RENDI CONTO CHE E’ IMPOSSIBILE! TUO FRATELLO E’ MORTO QUEL GIORNO E SEI STATO TU AD AFFOGARLO! - Nikolas si accasciò sul pavimento, le lacrime che cominciavano a rigargli le guance. Nonostante questo, la sua voce ora era calma - …e se proprio lo vuoi sapere, non credo nemmeno che tu voglia rivedere Sam perché gli vuoi bene… - tirò su col naso, cercando di fare un respiro profondo - …credo che tu lo stia cercando disperatamente perché vuoi sentirti a posto con la coscienza! In fondo se lo ritrovassi potresti provare a tutti che si sbagliavano e che tu in tutti questi anni sei stati solo una vittima di fronte a tutte le loro accuse…e poi non lo so, magari nel tuo cervello malato credi anche che tua madre ti perdoni e magari anche che torni in vita per te…il nocciolo della questione non cambia, rimane il fatto che tu sei completamente pazzo –
L’uomo continuava a fissarlo, serio in viso.
- Mia madre mi voleva bene, mi ha già perdonato per quello che è successo – sentenziò con voce profonda, ogni traccia di gentilezza o dolcezza sparita.
Nikolas alzò lo sguardo, guardandolo negli occhi per la prima volta.
Se non altro ora almeno sto parlando con la sua vera personalità…si disse, come se volesse consolarsi.
- Credevo che avessi ucciso Sam perché eri convinto che tua madre e tuo padre non ti amassero più…e ora mi vieni a dire che ti hanno sempre voluto bene? –
Karter non rispose.
- La verità era che tua madre ti ha sempre amato…è comunque difficile perdonare un figlio quando a causa sua ne hai perso un altro, ma l’amore materno è capace perfino di guardare oltre queste cose… -
- E ti come puoi dire queste cose? Tu non sai niente –
- E’ vero, ma ho anche io una madre e in questi anni le ho causato un sacco di problemi e continuo tuttora…nonostante questo lei non sta facendo altro che cercarmi… -
Calò il silenzio prima che l’uomo porgesse la domanda:
- Mi odi? –
- Mi fai ribrezzo –
L’altro rise, una risata sinceramente divertita.
- Ero solo un bambino…come dissero tutti allora –
- Non è questo il punto! Avrei potuto compatirti, e bada bene “compatirti” e non darti ragione, anche se avessi avuto vent’anni… -
- …ma? –
- …ma io non riesco a compatire qualcuno che non sia sinceramente pentito –
- Che intendi dire? –
- Che sono certo che in tutti questi anni non ti sei pentito nemmeno una volta per aver ucciso il tuo fratellino –
Un sorriso si allargò sul volto dell’uomo.
- Direi che abbiamo già parlato abbastanza: adesso è ora di calare il sipario. Mi sembri un tipo abbastanza intelligente, per cui non ci sarà bisogno di usare la forza, no? Tanto non servirà comunque a nulla. –
Nikolas gettò un’occhiata al cadavere che aveva di fianco, il cui braccio era piegato in modo innaturale.
Il senso di nausea di fece più forte e Nikolas abbassò lo sguardo, sconfitto.
L’uomo dovette percepirlo, perché si mosse verso di lui e gli afferrò il braccio.
Con uno strattone lo fece alzare da terra e lo trascinò senza troppi complimenti fuori dalla cucina, all’aperto.
Nikolas non tentò di opporre resistenza, ormai rassegnato.
Era un agnostico, per cui non sprecò il poco tempo che gli rimaneva per raccomandarsi a Dio.
Alzò invece lo sguardo verso il cielo, che ormai andava scurendosi, osservando le prime stelle che cominciavano ad intravedersi. Sentì un fruscio alla sua destra che attribuì ad un soffio di vento che in quel momento stava facendo danzare le foglie degli alberi attorno alla casa.
Respirò l’aria fresca ed una lacrima cominciò a serpeggiare verso la guancia.
Una soltanto, dedicata a tutto ciò che si lasciava alle spalle.
Arrivati sul bordo della piscina, l’uomo lo spinse verso l’acqua.
Nikolas sentì il liquido freddo avvolgerlo e rabbrividì.
Istintivamente trattenne il fiato, anche sentiva già il peso della mano sopra la sua testa.
Sorrise dentro di sé pensando a quanto si era arrabbiata sua madre per quella volta in cui era rimasto coinvolto nell’incendio della vecchia fabbrica.
Quando saprà di questo…
L’ossigeno ormai era quasi al termine ed il bruciore ai polmoni si fece sempre più forte.
Chiuse gli occhi ed attese il buio.
Tuttavia, inaspettatamente, il peso della mano sopra alla sua testa scomparve e Nikolas poté raggiungere la superficie.
Quando riuscì a far riemergere la testa inspirò disperatamente e l’ossigeno tornò a riempirgli i polmoni.
Gettò un’occhiata confusa all’uomo, che era riverso poco lontano dal bordo.
Prima ancora che potesse guardarsi intorno sentì due braccia muscolose afferrarlo sotto le ascelle e trascinarlo fuori dall’acqua.
- Muoviti, prima che si riprenda! –
Un uomo sui trent’anni, alto e robusto si guardava intorno, controllando che non ci fosse nessuno che potesse vederli. In mano teneva quella che sembrava una spranga di ferro.
Il ragazzo riconobbe subito l’uomo del supermercato che era uscito in tutta fratta dopo che aveva scoperto di avere in tasca quello strano foglietto di carta.
Nikolas si alzò a fatica, ancora ansimando, cercando di non cadere.
- Forza, ho l’auto parcheggiata in una stradina appena al di là di questa! – disse, gettando la spranga nella piscina.
- Ma che fai? Così potranno risalire a te! –
L’uomo lo guardò negli occhi, sorridendo.
- Tranquillo…Sam non lo permetterà –
- Cosa…! Si sta alzando! – gridò Nikolas, alludendo Karter che mugolando si era ormai rimesso in piedi.
Il ragazzo teneva gli occhi fissi sull’uomo che barcollava verso di loro, ma non gli sfuggì l’occhiata che quello che lo aveva salvato lanciò alle sue spalle, verso la vasca.
- Ehi, Charlie…ti va un tuffo in piscina? Samuel ti sta aspettando da un pezzo! –
Karter rimase spiazzato e Klaudius ne approfittò per spingerlo oltre il bordo.
Mentre l’uomo rovinava in acqua, Kennedy afferrò Nikolas per un braccio e lo trascinò verso la parte anteriore della casa, verso la strada deserta.
- Sta uscendo dall’acqua! – gli gridò il ragazzo, volandosi verso il retro della casa dove si intravedeva la piscina.
Il suo salvatore non si voltò nemmeno:
- Tranquillo, non credo che ci riuscirà – ribatté tranquillamente.
Arrivati alla recinzione, Kennedy prese nuovamente la parola:
- L’auto è proprio qua dietro – cominciò, spiegandogli il brevissimo percorso – Queste sono le chiavi e ti sarei veramente grato se non mi lasciassi a piedi, anche se ti sto sulle palle –
- Scusa e tu cosa fai, vai a dare il colpo finale a quel tipo? –
- …qualcosa del genere… - disse, voltandosi verso la casa e dirigendosi verso di essa.
- Ehi aspetta, ma sei fuori?! – tentò di richiamarlo il ragazzo, allarmato.
- Vai in macchina – lo liquidò l’altro, con un tono che non ammetteva obiezioni.
Quei due sono completamente matti!! Pensò, mentre correva verso l’auto, desideroso di mettersi al sicuro.
Trovò una Ford Fusion argento metallizzato piuttosto lercia parcheggiata a lato di una stradina sterrata, semi nascosta dagli alberi.
Velocemente l’aprì e vi ci infilò dentro, tirando un sospiro di sollievo, mentre il cuore faticava ancora a trovare il giusto ritmo.





Klaudius giunse sul retro della casa mentre l’uomo stava ancora cercando di uscire: sembrava che qualcosa lo stesse trattenendo.
Kennedy si fermò davanti a lui e lo squadrò dall’alto in basso.
- Cosa sei tornato a fare? – domandò sorpreso Karter, affaticato dallo sforzo.
- Devo sapere se sei pentito – rispose l’altro.
- Cosa? – Karter rise.
Klaudius rimase serio, attendendo una risposta.
- Cambierebbe qualcosa? – anche Charlie assunse un’espressione seriosa.
- Anche se sei matto, il pentimento rimane pentimento: se ti dispiace veramente per ciò che hai fatto tutto sarà cancellato –
- Ma chi sei tu, un prete? – gridò l’uomo, inferocito.
- Mio Dio, no: io sono solo un condannato, esattamente come te. – Klaudius guardò l’orologio – Ma non sono ritornato per parlare di me…io voglio sapere se hai riflettuto e sei pentito…hai avuto un bel po’ di anni per pensarci –
L’uomo rimase in silenzio per qualche istante.
- …sì…mi pento…mi pento per tutto quello che ho fatto – sentenziò abbassando lo sguardo.
Klaudius gettò un’occhiata dietro di lui, verso il fondo della piscina.
- Non credo proprio, altrimenti a quest’ora potresti uscire. – commentò tornando a guardare Karter.
- NO! NON MI SONO PENTITO VENTOTTO ANNI FA E NON MI PENTO ORA! – sbraitò l’uomo, sempre più furioso.
- Allora non c’è più niente che io possa fare…ti saluto, bello…-
- Perché, se mi fossi pentito avresti potuto salvare la mia anima? – lo prese in giro l’altro.
- Certo che no, idiota: per chi mi hai preso, per Gesù Cristo? Io ho solo il compito di fare da testimone. –
- Testimone? Testimone a cosa? –
- Testimone alla tua risposta – e prima che l’uomo potesse ribattere, una manina pallida si materializzò mentre teneva con forza il cappotto di Charlie Karter, sul fondo della vasca. Quest’ultimo si voltò urlando alla vista di ciò che gli impediva di uscire: un bambino di circa sette anni, esile e dall’aspetto fragile lo fissava in modo impassibile. I capelli scuri e bagnati erano appiccicati alla fronte, mentre due occhi grandi e grigi, dello stesso colore dell’uomo che avevano di fronte lo squadravano senza lasciar trasparire nessun sentimento.
Dietro di lui, cinque ragazzi di circa vent’anni lo fissavano con la stessa espressione, i vestiti laceri e fradici, i visi pallidi e le labbra violacee.
Charlie Karter si voltò terrorizzato verso Klaudius, che lo scrutava impassibile dall’alto.
- Non sei contento? Sam è finalmente tornato da te…e non è solo. –
- Aiutami! – lo supplicò l’uomo, disperato.
- Io non posso fare niente, te l’ho detto: devo solo essere fare da testimone alla tua risposta. –
- Non posso pentirmi, non ci riesco!! – urlò con le lacrime agli occhi.
- …e allora muori. – e Klaudius si voltò per ritornare da dove era venuto.
- NO, ASPETTA! – lo sentì gridare, mentre si incamminava verso la recinzione.
Klaudius non ebbe bisogno di voltarsi per capire cosa stava succedendo: gli schizzi d’acqua gli bastarono.
Senza contare che i dettagli non lo interessavano e comunque li avrebbe sempre potuti leggere la mattina dopo sul giornale…o al massimo due giorni dopo…





In effetti chissà quando ritroveranno il cadavere…rifletté Klaudius, salendo in auto.
- Le chiavi? – domandò al ragazzo che era seduto al posto del passeggero.
- Te le do’ solamente se tu mi spieghi cosa sei andato a fare la dietro e chi sei. – sentenziò Nikolas, serio in viso.
- Se non me le dai ti butto giù dall’auto – lo avvertì Kennedy, fissandolo negli occhi.
Il ragazzo sostenne il suo sguardo per qualche instante e poi gliele rese.
Altrimenti questo mi butta giù davvero…pensò, affrettandosi ad allacciarsi la cintura.
Prima di parlare, Klaudius attese che si fossero abbastanza allontanati da quella maledetta casa.
- Sei un idiota, lo sai questo, vero? – disse, spezzando il silenzio che si era formato nell’abitacolo.
- Cosa?! – l’altro si voltò stizzito.
- Perché cazzo non hai tentato di fuggire quando quel tipo ha tentato di trascinarti verso l’acqua?-
Nikolas rimase un momento in silenzio, rabbrividendo: era bagnato fradicio in una sera di fine gennaio.
Klaudius lo notò e mise al massimo il riscaldamento.
- Tanto non sarei riuscito a fuggire comunque, no? –
- Potevi almeno provarci. –
- E a che pro? Non c’è nessuno a cui importi davvero di me…e io sono sempre depresso per tutto! Vivo in un appartamento del cazzo che puzza perennemente di cipolle anche se lascio aperta la finestra tutto il giorno, fatico ad arrivare alla fine del mese e ho tagliato i ponti con l’unica persona a cui importasse realmente di me, cioè mia madre… -
Ci fu silenzio per qualche istante.
- Però hai pianto quando sapevi di stare per morire… -
Nikolas si voltò sorpreso, poi capì.
- Eri lì da un pezzo, vero? –
- Sì, ad un certo punto ho pestato della foglie secche e avevo paura che mi aveste scoperto, ma per fortuna è andato tutto per il meglio… –
- Quindi hai sentito anche la nostra conversazione… -
- Attutita, ma l’ho sentita. – Klaudius annuì, fermandosi ad un semaforo. - …quindi? – lo incalzò poi.
- “Quindi?” cosa? –
- Quindi cosa farai adesso? Hai ancora intenzione di tornare nel tuo buco di appartamento oppure tornerai dai tuoi? –
- Questi non sono affari tuoi! Te l’ho detto anche oggi al supermercato! –
- Visto che ho rischiato grosso e sono andato contro ad un pazzo con una doppia personalità, credo che ora sia mio dovere informarmi su cosa ha intenzione di fare della sua vita colui che ho salvato… -
- Non sai nemmeno perché io e i miei abbiamo litigato! –
- Spiegamelo… - tagliò corto Kennedy, sospirando ala vista di una coda di macchine davanti a lui.
Nikolas rimase un momento in silenzio, valutando se fosse il caso o meno di parlarne.
Alla fine si decise:
- L’hai voluto tu! – disse, mentre un sorriso scettico gli si dipingeva sul volto. – Fin da quando ero piccolo ho sempre avuto delle…delle…percezioni…avevo sempre dei brutti presentimenti che immancabilmente si dimostravano fondati…così mi sono sempre ritrovato in situazioni assurde o pericolose, come quando sono rimasto invischiato in quella storia all’incendio alla vecchia fabbrica…sono stato anche espulso da un paio di scuole per questo genere di cose…- aspettò qualche secondo prima di riprendere – Mia madre è una donna dalla mentalità un po’ chiusa e ha pensato fin da subito a qualche problema psicologico…così dopo l’ennesima anomalia ha deciso di consultare uno psicologo…- Nikolas sputò quell’ultima parola come se fosse veleno. – Io non sono pazzo! – finì, stringendo i pugni.
Klaudius aspettò che si calmasse e poi prese parola:
- Punto primo: chi va da uno psicologo non è necessariamente un malato di mente…punto secondo: tu non sei un pazzo, sei un sensitivo. –
Nikolas rimase a fissarlo senza dire nulla.
- Considerata la tua reazione non è la prima volta che qualcuno te lo dice… - osservò Klaudius.
- Non l’hanno detto a me…ho sentito che alcuni miei parenti chiamavano così la sorella di mio padre… - confessò il ragazzo, abbassando lo sguardo.
- Allora perché non ti trasferisci da questa zia? E’ lontano da qui? –
- …no, abita in città, poco lontano da dove abito io ora… -
- …ma? –
- …ma l’ho vista solo qualche volta… e poi mi fa soggezione…è una tipa piuttosto burbera ed è pure anziana… -
- Mamma mia, io ho una vicina che è così… - Klaudius ripensò alla signora Tolskin e alla sua camicia da notte ( Dio mio! =_=” ndKla) e rabbrividì. – Comunque sia siete due sensitivi, vi capirete al volo…e poi così non avrai più paura di essere preso per uno squilibrato…-
Passarono alcuni minuti ed il discorso sembrava morto lì.
- Non ti ho ancora ringraziato… - cominciò Nikolas.
- Non devi farlo: non l’ho fatto solo per te. –
- E per chi altri allora? –
- Per me stesso. –
Ancora silenzio.
- Eri un parente di uno dei ragazzi uccisi? –
- No –
- … e allora…? –
- Ho un cancro ai polmoni. –
Un silenzio pesante cadde nell’abitacolo. Nikolas rimase allibito e sconvolto. Dopo quella che gli sembrò un’eternità riuscì a domandare:
- …è…grave? –
- Mi rimangono sei mesi di vita. –
Il ragazzo disse l’unica cosa a cui riusciva a pensare, anche se gli sembrò banale:
- Mi dispiace… -
- …grazie… -
Nikolas rimase in silenzio, sperando che l’altro gli spiegasse cosa c’entrasse quella confidenza con la domanda che lui gli aveva rivolto prima.
Klaudius sembrò intuire perché iniziò a raccontare:
- Tre anni fa mi fidanzai con la ragazza dei miei sogni…si chiamava Julienne…lavoravamo insieme nella stessa agenzia. Siamo stati insieme per un anno, ma io ero uno stupido e ho rovinato tutto con il mio egoismo…Mi ha lasciato per mio fratello, che è il classico tipo che ogni donna spera di sposare: bello, gentile, responsabile…e soprattutto con il desiderio di poter creare una famiglia con la donna che ama…Diciamo che non ho digerito molto bene la cosa…ho tagliato i ponti sia con lei che con lui. Ho lasciato il lavoro, che rendeva bene e che mi dava molte soddisfazioni e mi sono trasferito in un'altra casa…ormai non mi importava più nulla senza di lei…che romanticone, eh? – Kennedy sorrise amaramente, fingendo interesse per la strada – Mi sono messo a bere e a fumare più di prima e ho iniziato per fino a farmi… -
Istintivamente, Nikolas gettò un’occhiata fugace agli avambracci dell’uomo, anche se questo erano coperti da una felpa nera. - …volevo solamente morire…-
- …e lo vuoi anche adesso? – domandò timidamente il ragazzo seduto di fianco a lui.
- No. Non da quando Julienne è morta. Quel giorno ho capito tante cose. –
- …morta? –
- Il rapporto fra Julienne e mio fratello andava a gonfie vele: si sposarono e dopo un anno decisero di avere un bambino. – Klaudius fece una pausa, mentre vecchi sensi di colpa tornavano a stringergli il cuore in una morsa. – Julienne morì durante il parto e nemmeno il bambino riuscì a salvarsi. Io ero là quando è successo…ho visto lei abbandonare la vita, ho visto la vita di suo figlio finire prima ancora di cominciare…e ho visto la disperazione di mio fratello che assisteva impotente alla scena… - interruppe nuovamente il racconto, voltandosi per nascondere il viso al suo passeggero, mentre sentiva gli occhi gonfiarsi di lacrime.
Dal canto suo Nikolas non sapeva cosa fare: si guardava le mani cercando di reprimere il pianto.
La voce di Klaudius tornò a raccontare, anche se stavolta era molto più bassa:
- E’ stato in quel momento in cui mi cono reso conto di quanto fossero stupidi i miei problemi in confronto a quello che stava passando mio fratello…la morte di Julienne mi riavvicinò alla mia famiglia e con il loro aiuto decisi di disintossicarmi…e ci sono riuscito- frenò per permettere ad una coppietta di attraversare la strada. Questi lo ringraziarono con un cenno e Klaudius ripartì.
- Per quanto riguarda il bere, non sono mai stato un alcolizzato, per cui non mi ha creato molti problemi…purtroppo fumo da quando avevo tredici anni, per cui sono rimasto fregato da quello…Qualche tempo fa ho fatto un controllo in ospedale e mi hanno detto tutto… -
Kennedy lanciò un’occhiata a Nikolas per la prima volta da quando aveva iniziato il racconto.
- Ma non è questo che tu volevi sapere…la verità è che da quando l’ho saputo vedo cose strane.-
Il ragazzo rimase spiazzato:
- Che genere di cose strane? –
- Mah, di tutto…per non parlare di quello che succede nel mio appartamento…ah, e ho anche saputo che esattamente sotto la mia cantina è stato sotterrato il cadavere di un falsario che aveva qualche problemino con una banda di malavitosi… -
- Co…cosa?! – Nikolas era sempre più incredulo.
Kennedy sorrise:
- Se hai paura che ti stia prendendo in giro smetto… -
Il ragazzo lo fissò per qualche istante mentre l’altro continuava a sorridergli.
- No…continua… -
Klaudius accelerò.
- Praticamente questo tipo…-
- Chi, il malavitoso? –
- No, no, il falsario morto… -
- Ah…-
- Bene, lui mi ha detto che anche lui nella sua vita non ha esattamente seguito le regole del Signore…qualcosa del tipo “non rubare” o “non dire falsa testimonianza”…comunque gli è stato riferito che non è spacciato e che ha una possibilità di salvarsi l’anima: deve aiutare me a salvare la mia. –
- La tua? Perché, la tua ha bisogno di essere salvata? –
- Quando bevevo, fumavo e mi drogavo speravo di morire…anche se non mi sono sparato un colpo in testa è comunque una cosa intenzionale, è tipo un tentato suicidio…e i suicidi non fanno esattamente una bella fine dopo la morte…almeno, questo se si è Credenti…-
- Quindi fra sei mesi finiresti all’Inferno? – domandò Nikolas, ancora senza capire perché stesse dando corda a quel tipo.
- Non so se dopo la morte di vada all’Inferno o in Paradiso, ma io credo nell’esistenza dell’anima e questa in qualche posto dovrà pure andare…quindi, onde evitare che vada in un brutto posto, sono disposto a redimermi…-
- Non basta il pentimento? –
- Il problema è: sono veramente pentito? –
- Non lo sei? –
Klaudius pensò ai suoi sensi di colpa.
-…non ne sono sicuro… -
- …e per esserne sicuro cosa fai? –
- Utilizzo questi ultimi mesi di vita per salvare quelli come te, cerco di garantire un’esistenza serena alle altre anime perdute, tento di redimere quelli come me…cose così… -
Nikolas rimase ad osservarlo mentre parcheggiava vicino al portone della sua palazzina.
- In pratica le anime ti cercano perché tu le possa aiutare a terminare ciò che hanno lasciato in sospeso prima di morire? –
- …più o meno… - concedette Klaudius.
- Ma io non sono un’anima –
- Infatti non sei stato tu a chiedermi aiuto –
Nikolas ci rifletté un istante.
- Samuel? – disse poi, titubante.
- Già…per essere un bambino, aveva un grande senso di giustizia…si è dato da fare…anzi, si sono dati da fare tutti per salvarti la pelle… - Kennedy guardò il ragazzo negli occhi.- Questo vuol dire che come minimo d’ora in poi dovrai difendere meglio la tua inutile vita con tutte le tue forze, esattamente come facciamo tutti su questo inutile pianeta.- concluse sorridendo.
Nikolas distolse lo sguardo e scese dalla vettura. Tuttavia prima di chiudere la portiera disse:
- Domani telefonerò a mia zia –
- Bene…verrò a prendermi un'altra birra, per cui mi farai sapere. –
- …e…Klaudius? – l’uomo lo guardò - …tagliati la barba e datti una spazzolata a quei capelli…avresti un aspetto molto più rassicurante se ti dessi una sistematina…- e senza lasciare il tempo all’altro di ribattere, Nikolas chiuse la portiera ed entrò nella sua palazzina.





Klaudius rincasò verso le ventuno circa.
Era stanchissimo e con una gran voglia di spaparanzarsi sul divano a guardare la tv, ma sapeva benissimo che non poteva.
Scendendo le scale che portavano alle cantine, cercava di ricordarsi il motivo per cui aveva fatto quella promessa a Jocker: non ci andava molto d’accordo e non lo conosceva nemmeno molto, in fin dei conti.
Tuttavia Klaudius si rendeva conto che era grazie a lui se era riuscito a raccapezzarsi in tutte le cose che gli erano capitate negli ultimi tempi.
Jocker era chiacchierone, immaturo e dispersivo, ma alla fine era molto generoso, paziente ed intelligente, doti che a lui erano quasi del tutto estranee.
Quando entrò nella sua cantina ed accese la luce, tuttavia, non vi trovò tracci a della sua presenza.
Si voltò per tornarsene di sopra, quando si ritrovò davanti il volto ammaccato del ventiseienne.
Klaudius lanciò un urlo e, tentando di allontanarsi, incespicò e cadde all’indietro.
- SEI VENUTO DAVVERO!!! – Jocker era sinceramente commosso.
- … -
- Credevo che ti fossi dimenticato! –
- …questa è l’ultima volta che scendo qua sotto! – disse Klaudius, tentando di riprendersi.
- Nooooooo! Scusa mi dispiaceeeeeeeeeeee! – osservò Klaudius andare a sedersi contro il muro, come faceva sempre quando si mettevano a parlare. – Allora, cosa hai fatto oggi? –
Klaudius gli espose brevemente i fatti della giornata.
- Non mi piace fare da testimone…- concluse poi, rabbuiandosi.
- In effetti non dev’essere bello…ma è un tuo compito, non ti devi sentire in colpa…- tentò di consolarlo Jocker.
- Sarà…ma faccio fatica ad abituarmi all’idea… -
- E adesso cosa fai, hai intenzione di salire e di farti una birra? –
- No, tanto tu mi fai lo stesso effetto… - confessò Klaudius, fissando il pavimento.
Jocker parve lusingato:
- Cioè ti faccio sentire meglio e ti faccio vedere ogni cosa dal lato migliore come quando bevi una birra? -
- No, è che quando parlo con te alla fine mi sento stordito come se avessi bevuto una birra… - spiegò Kennedy con noncuranza.
- Ah, è così?! Allora te ne puoi pure andare se ti stordisco, sai?! – Jocker si girò stizzito, come succedeva di solito quando Klaudius lo faceva arrabbiare.
Quest’ultimo, ridacchiando sotto ai baffi, gli si avvicinò:
- Dai Jockerino…lo so che muori dalla voglia di raccontarmi cosa hai combinato oggi con i tuoi ratti…-
- Piantala, non è divertente! – protestò senza nemmeno voltarsi.
Ah, perché quando tu mi spaventi a morte e io ti prego di non farlo è divertente invece?- Dai Jockerino…lo so che me lo vuoi dire…-
- … -
- … -
- E va bene, se proprio lo vuoi sapere te lo dico! -

















 
Continua nel capitolo:


 
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VOTO: (1 voto, 1 commento)
 
COMMENTI:
Trovato 1 commento
Rif.Capitolo: 9
hariyuki - Voto:
10/05/08 13:55
E anche questo capitolo 9 è fenomenale... ho tenuto per tutto il tempo il fiato sospeso! ^^ La storia si complica mentre i personaggi maturano... è una delle poche originali che leggerei e rileggerei! ^^ Ancora un volta, i miei complimenti! ...Ora però mi sorgono delle domande :
1- cosa troverà oltre quella porta Klaudius?
2- riusciranno a sconfiggere la o le fantasmi? (qual'è il plurare femminile???)

Insomma aspetterò impaziente il prossimo capitolo! ^^
Come sempre, un ottimo lavoro! ^^


-Hariyuki.San-
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