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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Manga e Anime
Dalla Serie: Naruto
Titolo Fanfic: LOVE&PAIN-SPECIAL S. UCHIHA
Genere: Sentimentale, Drammatico, Autobiografico, Introspettivo
Rating: Per Tutte le età
Avviso: One Shot, AU, Shounen Ai
Autore: rekishi galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 30/03/2007 15:22:04

Questa è una storia d’amore.O si può intendere così.Rettifico.Questa può essere considerata una storia d'amore.(Special sulla fic di Shirei-murai)
 
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GREY'S VARIATION
- Capitolo 1° -

Questa è una storia d’amore.
O, forse, voi la intenderete come tale.
Bene, allora rettifico, così che non vi possiate sbagliare.
È così facile farlo.
Questa può essere considerata una storia d’amore.
È affascinante il verbo «Potere», vero?
Tutti gli esseri umani ne sono attratti in modo inderogabile.
La possibilità è una tentazione troppo forte e sensuale.
Chi o cos’è un uomo, per resistere a cotanta amante?
Ve lo dico io: nessuno e nulla.
Siamo condannati alla possibilità.
Alla scelta.
In ogni avvenimento, in ogni situazione, scegliamo.
A volte, in modo nobile, a volte no.
Ma cos’è giusto? Cosa sbagliato?
Sapete discernere il bianco dal nero?
Io pensavo di sì.
Mi sbagliavo.
Il grigio…il grigio è l’unico colore.
Solo il grigio
Non c’è scelta, in questo.
Ogni azione, ogni decisione ha due poli che non si discernono.
Un movente positivo, uno negativo.
Per una persona, le proprie scelte sono sempre corrette nel momento in cui le compie.
Ma non siamo qui per discutere di etica e morale, potrei starci le ore e voi vi annoiereste.
Sono qui per raccontare una storia.
Se mi concedete ancora un attimo di pazienza, vorrei spiegarvi come mai ho deciso di scrivere questo breve racconto e la sua struttura.
È un brano breve, psicologico.
Un’introspezione nell’animo umano; un’analisi di una vicenda che, come molte storie, sfocia in tragedia.
È stato necessario, per me, partire dal principio, dall’infanzia, per spiegare i fattori che portano una persona a comportarsi in un modo, anziché in un altro.
A volte ho parlato per metafore, nel tentativo di rendere la lettura di più facile scorrimento e per adattarmi ad una trama già narrata.
Perché l’ho scritto?
È un regalo per una persona cara.
Un atto dovuto a chi è stato, per una volta, interamente bianco.
Piccolo omaggio, perché non mi costa nulla raccontare, come a voi non vi costa nulla leggere.
Non voglio giustificare nessuno, quest’opera non è un’apologia inutile.
Non vi chiedo di trattenervi dal giudicare, non ne potete fare a meno; siete umani, proprio come me.
Non provate pietà per questa comparsa; non l’accetterebbe.
Odia la pietà.
Vi chiedo solo di leggere, di provare a comprendere, perché capire sul serio è impossibile per chiunque, perfino per chi sta scrivendo.
Leggete e tenetevi dentro queste parole, tracciate dall’inchiostro sulla carta.
Leggete e badate al grigio.
A Kiba,
A Neji,
A tutti coloro che ci sono stati, ci sono tutt’ora e continueranno ad esserci,
A chi ha scoperto che il bianco e il nero non esistono,
A tutte le diverse variazioni di grigio,

Buona lettura.


Love & Pain

Special S. Uchiha

Grey’s variation


Sasuke Uchiha non era un tipo socievole.
Tendeva da evitare i coetanei o qualsivoglia tipo d’aggregazione.
Per questo, veniva considerato schivo, silenzioso, freddo, superbo e arrogante.
E tutto ciò, era vero.
Le chiacchiere dei compagni, lo annoiavano; i loro passatempi, lo irritavano; il loro continuo spettegolare lo rendeva insofferente alla compagnia.
Eppure, da piccolo non era stato così.
Era un bambino allegro, con un’infanzia simile a quella di mille altri suoi coetanei.
Serena, vissuta all’interno del nucleo familiare, composto dai genitori, dall’adorato fratello e da uno stuolo di zii e cugini.
Una parentela numerosa e pretenziosa, simile a quelle piccole corti feudali che si formavano attorno ad una personalità carismatica e autorevole.
Questa persona era suo padre.
Sasuke era ancora troppo piccolo per comprendere le motivazioni, ma sapeva che il suo papà era speciale.
Lui doveva essere all’altezza di cotanto genitore e portare con orgoglio il proprio cognome.
Ma le favole non hanno sempre lieto fine.
Il bambino vive nell’illusione che i genitori siano immortali.
Falso, ma è l’età della fanciullezza e, in quegli anni, si è immersi in un mondo di sogno dove tutto assume consistenza idilliaca e fiabesca.
La differenza tra bene e male è netta.
Bianco è l’abbraccio dei genitori; è il fratello maggiore che ti prende in braccio.
Nero è la maestra che ti sgrida; l’esercizio per casa; l’uomo cattivo alla televisione.
Sasuke viveva sereno, nel suo mondo bianco.
La vita è come un tao.
Nella parte nera c’è un pallino bianco, in quella bianca un pallino nero.
Staccate.
Contorni netti.
Quando suo fratello portò il nero nella sua vita, Sasuke cambiò.
Divenne scontroso, cupo, asociale e sprezzante.
Sfiduciato nei confronti degli esseri umani.
Sasuke aveva conosciuto il grigio.

Adesso non andava più fiero del suo cognome.
Evitava di presentarsi come Uchiha, a meno che non fosse strettamente necessario.
Tutti, quando lo conoscevano, lo squadravano sbigottiti.
L’unico sopravvissuto allo sterminio, il figlio di Fugaku Uchiha.
Molti gli si avvicinavano per arruffianarselo, molti preferivano sparlarne alle spalle.
Per Sasuke, questi erano meno fastidiosi.
Sentiva un peso sulle spalle; il suo cognome era un marchio che non poteva cancellare senza spezzare l’ultimo legame con la famiglia.
Doveva rendere fieri di lui i genitori, anche se questi non c’erano più.
Doveva diventare grande, proprio come era stato suo padre.
Ma la strada era dura, la fatica tanta e le soddisfazioni scolastiche sempre venate dalla sottile ironia che accompagnava il giudizio dei compagni e di molti professori.
Se prendeva un bel voto era scontato, perché era un Uchiha.
Era logico che andasse bene.
Se prendeva un brutto voto, era sconvolgente, perché era un Uchiha.
Non poteva andare male.
Sasuke tentava di evitare il più possibile la seconda opzione.
Meglio la scontatezza che la compassione.
Meglio sopportare le frecciate acide, che impietosire.
Il grigio, il grigio…
…a volte diventava troppo scuro.
Il bianco non c’era più e Sasuke se ne allontanava.
Nel bianco è troppo doloroso incontrare il nero.
Meglio il grigio.
L’abitudine.
Meglio.
Già.

Sasuke Uchiha scoprì di essere bisessuale a tredici anni.
Si rese conto dell’età solo molti anni dopo, quando ci rifletté consciamente e constatò che era proprio in quegli anni che aveva cominciato ad interessarsi al proprio sesso.
Si era quindi creato un mondo segreto, intimo e privato; un Sasuke diverso da quello che tutti conoscevano.
Un individuo distinto dall’Uchiha; una persona più fragile, più sensibile, che si affezionava a chiunque gli desse un po’ d’affetto.
Il bambino che era stato, tornava alla luce dopo anni di pianti invisibili.
Sasuke era la parte bianca, Uchiha la parte nera.
Logicamente, tutti conoscevano Uchiha, nessuno Sasuke.
Era troppo fragile per mostrarsi.
Veniva ferito dai commenti dei compagni, che Uchiha ignorava con altergia.
La notte, ogni tanto, piangeva.
Sasuke aveva bisogno degli altri.
Uchiha no.

Fu al liceo che Sasuke cominciò a mostrarsi un poco.
Non spesso, ma bastava.
Il nero non può celare il bianco a lungo, pur continuando a contenerlo.
Incontrò Neji.
Divenne suo compagno di stanza.
Riuscì a far parlare Sasuke.
C’era affinità, tra loro.
Erano simili.
Dall’amicizia, alla confidenza reciproca, al finire a letto, il passo fu breve.
E così naturale che non ebbero neanche il pensiero di porre limitazioni, né di chiedersi il perché.
Era successo.
Continuava a succedere.
Sarebbe successo anche in seguito.
Senza obblighi, né limitazioni.
Non era amore, però.
Sasuke aveva la certezza che mai si sarebbe innamorato di un altro ragazzo.
Ed era così.
Il pensiero di passare la vita affianco ad un maschio lo faceva star male.
Contraddittorio, visto il suo comportamento, ma il giovane Uchiha aveva compreso una cosa della propria persona: non gli piaceva il sesso con altri uomini.
Doveva provare un forte affetto per loro, per andarci a letto; altrimenti la sua attrazione si bloccava ai baci.
Questo “impedimento”, confermava il fatto che, per lui, il sesso era un modo per esprimere i sentimenti che provava verso le persone care.
Neji aveva cambiato la sua vita.
Aveva voluto Sasuke, non Uchiha.
Sopportava le sue sfuriate, le crisi d’infantilismo, lo esortava e lo consolava.
A volte, Sasuke lo trovava perfino oppressivo e soffocante, ma poi sorrideva intimamente.
La sua autostima (e sì che era alta, perché da sempre aveva coltivato un forte orgoglio e una dose non indifferente di superbia e megalomania), non crollava di fronte alle numerose offese rivoltegli dal compagno.
Sentiva che Neji era fragile quanto, se non più di lui.
Perché il nero e il bianco sono presenti in tutti.
Grigio, grigio, grigio…

Sasuke amava i luoghi piccoli e stretti.
Era claustrofobico, ma la sensazione di soffocamento lo agitava e lo tranquillizzava al tempo stesso.
Bianco e nero.
Come sempre.
Aveva passato giorni chiuso nell’armadio col cadavere della madre.
Stretto ad un corpo privo di vita.
L’odore del sangue e della decomposizione, il poco ossigeno, l’aria viziata del cubicolo avevano chetato la sua psiche in procinto di crollare.
Da allora, aveva preso l’abitudine di dormire acciambellato come un gatto; le coperte fin sopra la testa.
Poca aria.
Tanto caldo.
Rilassato, si addormentava.
Molte volte stretto ad un peluche.
Abitudine mai persa, quella di ricercare calore; Neji a volte se lo trovava avvinghiato addosso dopo il rapporto, come un animale in cerca di coccole.
Poi, un giorno, era arrivato Kiba.

Timido, schivo, silenzioso.
Era bianco, o perlomeno grigio chiaro.
Finiti tutti assieme in camera, Sasuke ebbe modo di conoscerlo tanto bene quanto bastava da affezionarsi.
Forse, troppo.
Ciò che era mancato a Sasuke, era qualcuno che avesse bisogno di lui.
Un forte senso di protezione, necessità di aiutare e supportare chi ne aveva bisogno…
Mania di protagonismo, presunzione, egoismo.
Molto più probabilmente, entrambe.
Bianco più nero uguale grigio.
Possessività non palesata, dimostrata solo attraverso piccoli gesti d’affetto quotidiani; con una sadicità psicologica sottile quando era di cattivo umore.
Uchiha e Sasuke continuavano ad alternarsi.
Era stranamente felice quanto riusciva ad aiutare l’amico, era insofferente quando lo vedeva dipendere in maniera maniacale dagli altri.
Voleva che lo ritenesse necessario, lo voleva indipendente.
Istinto egoistico, ragione altruistica.
Forse, semplicemente grigio.

Sasuke poteva ammettere, in un certo senso, di amare Neji e Kiba.
Non dell’amore cantato dai poeti, neanche di quello carnale.
Era qualcosa di più elevato, ma di più primordiale.
Un amore simile a quello che si può provare per due fratelli incestuosi, con quell’affetto maniacale e il peccato insito in sé.
Necessità.
Droga.
Dipendenza stretta e intima, che faticava ad esprimere appieno.
Ma se con Neji, a parole, vi riusciva, con Kiba non ce la faceva al di fuori del sesso.
Sasuke aveva sviluppato un particolare piacere nel rapporto col castano.
Lo trovava così dannatamente arrendevole, da non poter fare a meno di adoperarsi in ogni modo per vedere l’espressione lasciva che modellava il suo volto; sentire il suo corpo contrarsi quando lo accarezzava…
Era avido di quei gemiti sommessi e di quelle labbra socchiuse che invitavano ad essere catturate da un bacio.
Lo faceva stare bene.

Sasuke Uchiha era un essere umano complesso, come tutti i suoi simili.
Per quanto i suoi sentimenti e le sue intenzioni potessero essere o sembrare nobili, erano dettate da un egoismo di fondo di cui, purtroppo, era pienamente consapevole.
Dove Sasuke s’illudeva, Uchiha smentiva.
Ma il grigio…il grigio…
Le buone e le cattive intenzioni si mischiano, non si separano.
Altruismo ed egoismo.
Noia e desiderio.
Neji e…Kiba.
Amava il suo abbandono, odiava la sua indolenza.
Amava il suo bisogno d’affetto, odiava la sua dipendenza.
Lo voleva abbracciare, confortare, coccolare, per averlo sempre con sé.
Lo voleva picchiare, bistrattare, allontanare, per avere una qualsivoglia reazione.
Quanto è difficile praticare la coerenza.
Sasuke avrebbe voluto essere di un colore solo, o bianco o nero, invece di quel terribile, scialbo, insignificante grigio.

Sasuke Uchiha era molto possessivo negli affetti.
Si legava a poche persone che diventavano il centro del suo mondo.
In fondo, era un tipo disponibile con chi richiedesse il suo aiuto, ma solo a queste lo offriva spontaneamente e con genuina gioia.
Tentava di capire i loro problemi e aiutarli a risolverli.
Forse, anche perché i problemi altrui non lo facevano pensare ai propri.
Cinismo?
Probabile.
Disponibilità?
Probabile.
Sempre quel dannato grigio.
Restava il fatto, che Sasuke odiava non risolvere i problemi.
Aveva fatto proprio il detto aristotelico: «Se c’è un problema deve esserci per forza anche una soluzione.»
Quando non la trovava, Sasuke provava una fastidiosa sensazione di impotenza che lo scoraggiava e gli faceva dubitare di se stesso.
Fu per questo che, quando avvertì Kiba allontanarsi, non reagì come avrebbe dovuto.
L’amico gli era diventato incomprensibile e non riusciva a capirne il motivo.
Kiba era sempre stato trasparente, bianco.
Il suo improvviso ingrigirsi lo sconvolse.
Tendeva la mano, ma il ragazzo sembrava non volerla afferrare.
Forse, stava diventando autonomo.
Forse, aveva trovato il modo di rendersi indipendente da quei legami troppo forti e troppo ambigui.
Forse, era solo un’altra menzogna detta a se stesso.
Illudersi per non ammettere di non essere abbastanza.
Per non andare contro ad un orgoglio troppo forte che non voleva accettare l’idea di aver fallito nel compito di star vicino ad un amico.
Codardia, purtroppo.
Paura di ciò che non comprendeva.
Per questo, lasciò che Kiba lo ingannasse con la storia delle sculture di legno.
Non gli era piaciuta la sua mania di giocare col coltello.
Percepiva il pericolo, il dramma incipiente.
Quando glielo sequestrò, era esasperato.
Non poteva accettare che il bianco ingrigisse.
Non voleva.
Per questo, sbagliò.
Kiba gli mentì.
Sasuke si lasciò ingannare.
Kiba non poteva nascondergli qualcosa.
Non dopo che con lui era stato sempre Sasuke.
Forse, quella volta, sarebbe stato meglio avesse agito Uchiha.

L’aria era intrisa di quel clima teso, che preannuncia la fine dello spettacolo.
Come nelle migliori tragedie greche, la scena di sangue avviene dietro le quinte, lontano dagli spettatori.
Gli attori erano tutti riuniti sul palco; fredda sala d’attesa di un ospedale.
Le comparse singhiozzano, i protagonisti tacciono in un falso e dignitoso silenzio.
La tragedia si era quasi conclusa.
Le speranze di un lieto fine, poche.
Neji era lì, stringeva tra le mani una lettera.
Bianca, come mai erano state le parole di Kiba.
La sedia di plastica accoglieva il corpo spossato di Sasuke.
Il peso della colpa.
Della consapevolezza di non essere stato utile a chi voleva bene.
Non aveva saputo prendersi cura di lui.
A poco servivano le parole di Neji.
La mano del ragazzo si posò sulla sua spalla.
Sasuke non la strinse, ma neanche la tolse.
«Non si può aiutare chi non vuole, Sasuke.»
«Non abbiamo voluto realmente aiutarlo, Neji.»
Altrimenti ce l’avrebbero fatta.
Bianco.
Nero.
Bianco.
Nero.
Grigio, grigio, grigio…



Fine della storia, per ora.
Questa, purtroppo, è una storia infinita che non troverà mai termine, se non quando i suoi protagonisti arriveranno alla fine o si separeranno.
La storia è vita, signori e signore.
Voi siete stati al contempo attori e spettatori, mentre leggevate queste parole.
Adesso, il sipario è calato, ma è pronto a riaprirsi alla successiva rappresentazione fino a quando il teatro non crollerà e non rimarranno che macerie.
Ora, divertitevi a capire se l’introduzione e questo prologo sono opera di chi scrive, o del protagonista.

Arrivederci, e grazie per essere intervenuti.

L’attore.

 
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