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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Manga e Anime
Dalla Serie: Il poema del Vento e degli Alberi (Kaze to Ki no Uta)
Titolo Fanfic: PETIT BOHÉMIEN
Genere: Sentimentale, Drammatico
Rating: Per Tutte le età
Avviso: Shounen Ai
Autore: sanzina galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 04/03/2007 19:52:47

faccio la mossa azzardata di avanzare nella parte più irta del mio personale sentiero, e spero soltanto che osare sia ,nel mio caso, una giusta scelta
 
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PRIMO
- Capitolo 1° -

Lacombrade. Il grande ingresso con il pavimento a scacchi. Mi piaceva muovermi come se fossi una pedina. Talvolta ero cavaliere, altre un alfiere. Ma oggi ci cammino sopra come se fosse un sentiero misterioso. Continuo a sentire le voci dei collegiali, che mormorano incessantemente, andando avanti e indietro per il corridoio.
La mia immagine è riflessa per tre volte su di una mattonella nera, e vedo la mia trinità divisa in passato, presente e, forse,futuro.
Mentre il mio gioco continua, muovendomi sulla scacchiera contro un altro giocatore che so esserci- ma si diverte a celarsi dietro le colonne e le vetrate- faccio la mossa azzardata di avanzare nella parte più irta del mio personale sentiero, e spero soltanto che osare sia ,nel mio caso, una giusta scelta.

E’ l’ultimo giorno di quell’estate. E’ una mattina pulita e luminosa. Non piove ormai da un mese e il raccolto è appena iniziato. Serge, il Serge che ero una volta, si sveglia presto, nella sua camera da letto, a Lacombrade. Lo osservo a occhi chiusi. Ora ho lasciato la scacchiera e sono seduto alla scrivania. Quel Serge -proiezione passata che ora invade la mia mente- sente che gli occupanti del suo dormitorio s’aggirano già per il corridoio, alcuni diretti nella biblioteca, altri alle lezioni di recupero, manca poco agli esami finali. Sono le sei in punto. Mi guardo mentre vado alla finestra e sposto piano le tende. Il paesaggio che vedo mi è famigliare: il chiostro, gli olmi, il bosco e l’erba verde del piccolo campo santo. Tra pochi giorni partirò per Parigi. E’ tutto deciso. Sto per cominciare una nuova vita e questa consapevolezza mi rende il panorama ancora più amato. Il profumo di quello che ho intorno è intenso e forte. Adesso che so che tra poco scapperò via, posso amare questo posto senza riserve. Osservo le valli che ho di fronte e già mi assale una certa nostalgia. Spalanco la finestra e respiro a pieni polmoni l’aria della campagna francese. E’ come respirare una ventata di speranza. Ho una vita nuova che m’attende, in cui tutto è possibile. Ho diciassette anni e sono innamorato. Innamorato e senza il minimo sentore di quello che sta per accadere. Il mio istinto zingaresco non mi ha detto che questo sarà uno degli ultimi giorni prima del baratro. Mia nonna sostiene che ho ereditato il dono di mia madre, ma io sono sempre stato convinto che questo famigerato dono si sia dimenticato di me.
Sono da solo e non avrò nessun aiuto, nemmeno dal soprannaturale.

Devo convenire che questo Serge è una persona in cui mi riconosco poco, adesso. Chi era lui e chi sono diventato io? Ero ipnotizzato dal suono di un’arpa dalle corde terribilmente tese, solo ora me ne rendo conto. Ero diventato San Paolo sulla via di Damasco, ossessionato com’ero. E al contempo ero in pieno fervore narrativo e sentivo la necessità di realizzare qualcosa di mio. Dovevo solo capire come fare, se avessi realizzato bene quel lavoro, la mia vita sarebbe cambiata completamente. Avevo in mente un solo riferimento. O meglio, due. I miei miti, mio padre e Chopin. Seduto nella semioscurità poggiavo le dita sul pianoforte e la mia anima ingenua si esprimeva in piena libertà.
Non avevo mai considerato talento il mio, almeno fino a quando Louis Réne me lo aveva fatto notare ed era arrivato a credere che sarei potuto diventare qualcuno. Propositi però che avrei dovuto accantonare data la decisione presa. Non capisco come potevo essere così infantile nel credere che il mondo avrebbe saputo accoglierci e amarci invece di giudicare e allontanarci.
Probabilmente se Serge fosse stato più grande e con l’indole meno zingara, il mio principe capriccioso non mi avrebbe lasciato.
Ma questa è un’altra storia. Ora c’è un giorno in particolare che devo ricordare.
Devo essere metodico. Leggerò tra le righe con i miei nuovi occhi pazienti e forse riuscirò a vedere me stesso più chiaramente. Ho un foglio di carta bianco in mano e sono di nuovo indietro nel tempo, è una cosa che va fatta.
Certuni lo chiamano punto di non ritorno. Ma sono determinato, anche se la mia insicurezza riaffiora: ce la farò? Quando tutto sarà finito forse potrò..
No.
Siediti accanto a me Gilbert, adesso inizia un libro che ho il terrore di leggere.

Petit Bohémien ***

Pascal sosteneva che la letteratura classica era un freno all’era moderna. Non mi ero mai trovato d’accordo con lui, eppure quel giorno Platone mi era ostico, e dovevo tornare a rileggere una sola pagina più volte. Accanto a me, mia madre sorrideva dal meraviglioso ritratto concessomi dal professor Watts. Il legame che c’era stato tra lui e i miei genitori ancora non mi era chiaro.
Ad ogni modo, se mia madre fosse stata ancora viva, avrebbe compiuto quello stesso giorno trantatre anni. Ricordavo il suo ultimo compleanno, quando con i miei primi risparmi ero riuscito a regalarle un rosario di giada al quale lei aveva inseguito attaccato un medaglione d’argento che la nonna aveva sempre definito: volgare ed eccessivo. Le piaceva dire che mia madre era la Sherazade di papà, tanto brava ad incantarlo che lui come un citrullo diventava una bambola nelle sue mani.
Disprezzavo nonna Batour quando metteva in dubbio l’amore della mamma. E non di meno, sapevo che fin da piccolo ero entrato nelle sue antipatie a causa del mio aspetto così diverso da quello di papà.
Sospiro, tornando a spremermi le meningi sugli argomenti di studio in un silenzio che sarebbe durato ancora poco.
La porta infatti si apre e si chiude in un lampo, e Gilbert si accosta alla mia scrivania tenendo un libro aperto fra le mani.
Ogni suo movimento è plateale, studiato nei minimi particolari per far sì che l’attenzione su di lui non venga mai deviata.
Le sue labbra si piegano in un sorriso laconico e si siede sopra la scrivania fingendo d’essere assorto in quell’enorme libro, del quale dubito abbia letto più di due pagine.
Noi due abbiamo raggiunto un accordo: io la smetto di essere geloso di chiunque sembri richiamare il suo interesse e lui in cambio mi darà motivo di non sospettare.
Una parte di Serge, gli vuole credere, ma l’altra metà ha paura e fatica decisamente a fidarsi. Mi sentivo come una specie di Dottor Jeckyll e Mr Heide e sapevo bene che quella parte oscura era nata a causa di Gilbert.
Stamattina ha stampata in faccia quell’espressione che odio e che mi fa soffrire allo stesso tempo. Sembra che abbia un fardello sulle spalle, un segreto sessuale che lo tormenti. I suoi intensi occhi verdi brillano di quella luce che ho imparato da tempo a temere.
-Lo hai letto?- esordisce così, poggiando il libro ancora aperto alle labbra.
Io studio la copertina scura del volume. Notre Dame de Paris di Victor Hugo.
-sì, era anche nel programma di studio- e Gilbert sbarra gli occhi fingendosi sorpreso.
-Davvero? Bè, fa nulla- torna a fissarmi aspettando che io mi interessi a quello che sembra scalpitare dal volermi dire.
-e tu Gilbert, lo hai letto?-
-gli ho dato un’occhiata…vedi qui..- e mi porge il libro indicando un punto con l’indice –c’è una zingara!- e sbuffa –per la verità questo libro è pieno di zingari! O gitani… c’è una qualche differenza?-
D’improvviso mi sento a disagio e so che è quello che Gilbert vuole.
-Lo sai, la zingara che c’è in questo libro mi è veramente odiosa- e lascia penzolare i piedi battendo i talloni sul legno della scrivania
-Se gli hai dato solo un’occhiata come puoi giudicare il personaggio?-
-Ma Serge è ovvio- sbatte velocemente le palpebre e alza le spalle – è una zingara. C’è qualcosa da aggiungere? Le poche righe che ho letto su di lei mi hanno fatto venire una gran voglia di farle del male. Oh sì, avrei voluto essere Frollo, ma a modo mio. Capisci, no?- la malizia crudele di questo demonio lascia sempre il segno nel mio animo. Se il mio corpo dovesse mostrare i segni di ogni ferita che mi infligge, bè, allora sarei ricoperto di lividi ovunque.
- Anche tu sei uno zingaro, vero Serge?- non ha intenzione di cedere, Gilbert. Ha tracciato la linea e seguita a seguirla imperterrito. –Gli altri ragazzi ne parlavano in biblioteca. Dicono tante cose quando tu non ci sei. Persino Carl, il caro dolce Carl. Nessuno dubiterebbe mai di una personcina a modo e composta come lui. Lo sai che prima di te era il mio compagno di stanza?- e ride. Ride di quella risata malata che lo coglie senza motivo da quando…
Chiudo il libro di Platone, tentando di non pensare che è passata una sola settimana da quando ha tentato di ammazzarsi, tentando di non pensare a quanto il più delle volte mi sento inutile e di come spesso la mia sofferenza sia la sua unica gioia.
-perché?- in realtà non volevo porre quella domanda, è sfuggita dalla mia bocca senza che io me ne accorgessi. Dopotutto gira tutto intorno a questa domanda: “perché?”. Ne valuto ora l’enorme peso che ha sulla mia vita. Ancora prima di venire qui, ancora prima di conoscere Gilbert, prima di sapere di Auguste e di mio padre…. Molto prima.
- perché fai questo?-
Gilbert, viso d’angelo dagli occhi privi di luce – questo? Questo cosa?-
Crudele come un bambino. Tagliente come una lama. Eppure so che basterebbe un nulla per farlo andare in mille pezzi. Frantumarsi come un calice di cristallo. Ma tagliarmi con le sue schegge, macchiarmi le mani del mio stesso sangue per far in modo che le piccole crepe sulla superficie di questo cristallo non cedano, è il prezzo che devo pagare per questo mio amore.
Mi allontano per indossare la vestaglia. D’improvviso pare che un’aria gelida abbia invaso questa stanza. Ma non faccio un passo che sono prigioniero delle sue braccia. Il tonfo del libro di Hugo che cade rovinosamente sul pavimento e un gemito spezzato dalle mie labbra per quella stretta dolorosa.
- Non ho detto bugie. Tu sei uno zingaro. Sei lo zingaro della filastrocca di Maillé. La sento sulla punta della lingua ogni volta che ti guardo-
Io voglio proteggere questo cristallo, ma chi proteggerà me da questa distruzione?
- e allora smettila di guardarmi- lo dico pacatamente, la mia voce è calma, ferma.
-è impossibile- sussurra Gilbert – io adoro guardarti-
E la sua stretta è ora più delicata, il suo corpo più premuto al mio.
-ti ho solo mostrato come sono ipocrite le persone di cui ti fidi. Ognuno di loro, ognuno di loro ci giudica. Ma se con me lo fanno apertamente, con te sono ancora più crudeli perché lo nascondono dietro falsa stima e sorrisi raggianti-
Forse a volte preferisco la falsità alle stilettate che escono dalla sua bocca. Tuttavia è il modo di Gilbert per proteggermi. Le mie labbra si curvano in un sorriso che canzona me stesso.
È il modo di Gilbert per avermi suo e suo soltanto.
In questo è stato chiaro. Non posso essere di nessun altro.
La sola cosa che lo differenzia dagli altri ipocriti è la sua bellezza. Lui è un bellissimo ipocrita. E questo sembra dargli un diritto sacrosanto.
-non sei un po’ contraddittorio, Gilbert? Se anch’io sono uno zingaro come quelli che hai disprezzato in quel libro, allora nemmeno tu sei diverso da Carl e gli altri-
- non mi pare di aver mai usato la parola “disprezzo”. Però, ammetto che vorrei legarti ad un palo in mezzo alla pubblica piazza. E se andremo a Parigi farò in modo che sia proprio quella di Notre Dame. Sì, ti legherò e poi ti darò fuoco. Ma non ci sarà bisogno di paglie e torce. Io sarò il fuoco. E ti divorerò Serge. Ti divorerò nelle mie fiamme-
- se il rettore ti sentisse parlare non avremmo bisogno dell’aiuto di Rosemarine per fuggire da qui. Credo ci penserebbe lui stesso ad occuparsi della nostra scomparsa-
-Della tua forse- di nuovo quel sorriso malizioso. –io gli piaccio troppo-
E un moto di rabbia mi attanaglia mentre lo afferro per baciarlo. Lacombrade. È questo posto che dovrebbe bruciare. Bruciare con tutte le sue bugie e con tutte le sue perversioni.
Questo luogo che amo e odio con tutto me stesso.
D’improvviso Gilbert si libera del mio abbraccio e si spinge a sedermi sul letto. Si accomoda sulle mie ginocchia, il viso premuto contro l’incavo del mio collo e la sua mano che stringe la mia, allo stesso modo in cui me l’aveva stretta la prima notte che ho accettato di dormire con lui.
-Parlamene- mormora contro la mia pelle
-di cosa?-
- di quello che si nasconde dietro quel ritratto- e lenta la sua mano ora indica mia madre –e di quello che si nasconde dietro i tuoi occhi scuri- ora la stessa mano si poggia sul mio viso in una velata carezza.
-E di te, Gilbert? Quando potrò sapere cosa si nasconde dentro i tuoi di occhi?-
Ci fissiamo ora, e lui scosta una ciocca bionda dalla fronte irrigidendosi come un soldatino –mi vedi Serge?-
La domanda mi sorprende –certo. Certo che ti vedo-
-E allora non c’è niente altro che io debba aggiungere. Tu sai già abbastanza-
-Gilb..-
Ma le sue labbra chiudono la mia protesta –parlamene. Mi interessa, Serge. Davvero-

Ancora non so quale sia il vero motivo per cui mi abbia chiesto di mia madre. O forse, sì. Anche se l’ipotesi è difficile da accreditare a Gilbert. Sostanzialmente credo lo abbia fatto perché io mi accettassi. Non potevo accettare lui se prima non accettavo me stesso.
Il mio sangue misto era sempre stato causa di dicerie maligne. Non solo nella cerchia dei parenti, ma anche fuori. Sapevo bene che anche a Lacombrade ero visto con una certa insofferenza. Ero il barone Batour, ma ero anche il figlio di una prostituta Rom. Cibo per le miriadi di avvoltoi che volavano intorno a me.
Non parlai a Gilbert del dono. Era una cosa in cui non credevo, e raccontargliela non avrebbe avuto senso.
L’educazione francese alla quale ero stato sottoposto in quegli anni, aveva via via sbiadito l’immagine di mia madre e quindi di una parte delle mie origini.
Rievocandola tuttavia, un’improvvisa sensazione di pace mi aveva invaso.
Lei sosteneva che io avevo il dono, tanto che perfino mio padre aveva finito per crederci.
Il dono era un regalo degli antenati gitani. Diceva sempre la stessa cosa: Ci sono persone che ereditano una casa o una gobba. Altre che ricevono un titolo o una malattia, come i principi russi. A me è toccato il dono-

Il maledetto dono.

Scrivere qualcosa su questo manga era nei miei propositi già da parecchio tempo. In realtà so che, dato che qui in Italia non è uscito, è poco conosciuto a differenza dell’anime. Sessanta minuti che non rendono assolutamente giustizia all’opera della Takemiya. .
Nel manga non c’è l’io narrante di Serge, e per la verità lui non fa nessun ritorno a Lacombrade dopo la morte di Gilbert. Solo in questo mi sono basata sull’anime. Avevo bisogno che Serge fosse sul luogo del loro primo incontro per poter raccontare poi quanto seguirà nei prossimi capitoli.
-E magari avrei dovuto aspettare ad imbarcamenarmi in questo progetto visto le fic che dovrei terminare, ma temevo di perdere l’ispirazione- . Nei miei propositi c’è quello d’inserire molte parti del manga –che sono riuscita a procurarmi in lingua tedesca- così da rendere nota a chi legge e a chi è interessato qual è la vera storia di Serge e Gilbert. Quest’ultimo poi è stato a mio avviso molto mal caratterizzato nell’anime. Bene, dopo tutte queste chiacchiere mi congedo. Spero che mi lasciarete qualche commentino, giusto per sapere se sto facendo una cosa decente oppure no.
In questo periodo tra le tante cose c’è anche quella di essere poco obbiettiva.

Au revoir

 
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