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Categoria: Originali (inventate)
Titolo Fanfic: CONCORSO CLUBCONCORSI - 2° EDIZIONE
Genere: Sentimentale
Rating: Per Tutte le età
Avviso: Shounen Ai
Autore: clubconcorsi galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 02/03/2007 16:45:37 (ultimo inserimento: 18/05/07)

Qui potrete leggere le fanfic che si sono aggiudicate le prime tre posizioni. Ispirate al mondo dello Yaoi/Shonen Ai
 
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PRIMO CALSSIFICATO - TIME DI MEWSANA
- Capitolo 1° -

T i m e



- Arising Times -

First Act



















Il timing era stato a dir poco perfetto.

Entrambi avevano avuto la fortuna di trovarsi nello stesso momento sulla stessa strada.

Il resto, poi, era venuto da sé.



La lastra di ghiaccio lungo la via principale di Shinjuku aveva avuto – onore al merito – un ruolo particolarmente importante nello sviluppo attivo della vicenda: in ordine cronologico, ci erano caduti sopra prima il rosso, e poi il moro.

Entrambi si erano accasciati al suolo, ed il secondo era letteralmente planato sul corpo del primo.



- Maaaa sei scemo?! – il rosso, la cui indole è felicemente espressa dal colore della pettinatura, strepita cercando di rialzarsi, mentre poggia invano le mani sul ghiaccio per far leva su di esse, con l’unico penoso risultato di scivolare ancora, e di battere il mento sulla lastra gelida.

Di nuovo, il moro che stava miracolosamente riuscendo a ergersi dal suolo, viene travolto da un braccio dell’altro che gli spazza le caviglie facendolo cadere per la seconda volta.



- Stai fermo! – invoca il secondo, come un canto di preghiera. Il tono di supplica convince il rosso, che smette immediatamente di divincolarsi e si rassegna al contatto con il materiale gelato, sperando solo in una rapida emersione da parte del soggetto sovrastante.



Tutt’intorno si sentono scatti di macchine fotografiche: quando i due finalmente riemergono da quella struttura post-impressionista, si accorgono della piccola folla che sono riusciti ad attirare. Tutto merito dei vani e continui – e ridicoli – tentativi di ritrovare la posizione eretta.



- Beeeeeh!, cheeee cavolo aveeete da guardaaaare, si può sapeeeere? – altro scoppio di risate, mentre gli spettatori attivano anche l’audio del video. – Proprio non vi caaaapisco, voi. –



Il rosso continua nel suo vaneggiamento fonetico, mentre il moro, un poco più presente, lo trascina a lato della strada, lontano dagli obbiettivi. – Ehi, non è che hai battuto la testa? –

L’altro lo fissa, poco convinto. – Maaaa no, peeeeerchèèè? –



- Parli un poco strano. Niente di grave, ecco. Ma trascini le vocali. –



Rosso lo fissa, poi annuisce convinto. – L’haaai notaaato, eeeeeh? –

- Difficile non farlo, credimi. –



- E’ un modo peeeer distingueeereeee laaa miaaa ideeentitààà. Eeee così alleeeno l’oreeeecchio. – profondamente convinto del suo sproloquio, continua a dondolare la gamba sinistra facendola sbattere contro il muro di cemento alle loro spalle, che – lentamente – comincia a sgretolarsi.



- Suoni? – il moro, che ha poggiato la testa sul muro dietro di lui, incurante di tutta la sporcizia che sa rinverrà poi nei suoi capelli, volta il viso, fissandolo attentamente.



L’altro, colto da un improvviso sussulto di timidezza, cala finalmente gli occhi in terra. – Maaa no. Così, quaaando vorrà faaareee un discorso seeerio, seeentirò subito laaa diffeeereeenzaaa rispeeetto aaal solito. –



- Niente male. Io quando voglio fare un discorso serio, non cambio affatto. Dev’essere perché faccio sempre discorsi seri. Così non sento la necessità di farne altri di diverso tipo. No, la verità è che sono una persona sempre uguale. Va bene così, in fondo. È solo che a volte vorrei essere capace di fare qualcosa di diverso. Eppure sono troppo serio. Troppo serio, capisci? Io NON posso fare altro. È il mio nome, il mio destino. –



Continuano a fissarsi alternativamente, così, mentre ha chinato lo sguardo e socchiuso gli occhi, cieco di fronte alla realtà che lo circonda, il rosso è tornato a fissarlo, curioso. – Dì laaa veeeritààà: seeei tu cheee haaai baaattuto laaa teeesta. –



Trasecola, Destino Predefinito. – Oh, sarebbe impossibile. Battere la testa sarebbe un’azione troppo sconsiderata per il sottoscritto. Non potrei averla compiuta. –



- Aaah, seeei straaaano tu. – mentre la fiera della stranezza ha deciso di prendere sede stabile di fianco a quel muro, la folla di curiosi si è dissipata nella giungla urbana, così che della platea attenta e scherzosa ormai non è rimasta che l’eco ovattata dei ricordi. Il cielo rimane sospeso su un colore monocromatico, un grigio perla che accenna alla possibilità di una bufera di neve. Entrambi rabbrividiscono quando una folata di vento li scuote; rimangono fermi un poco, silenziosi, convinti dell’assurdità dell’altro e della propria normalità, fino a che il moro, ormai stufo, non si riscuote. – Credo me ne andrò. D’altronde, sarebbe avventato rimanere qui a prendere freddo e questa –



- Saaareeebbeee un’aaazioneee troppo aaavveeentaaataaa peeer uno comeee teee. Aaaveeevo caaapito, si. –



- Mi chiamo Haku. –



Il rosso lascia che un sorriso leggero gli pieghi le labbra: osserva quello strano ragazzo di fronte a lui, che non riesce a non essere serio, e che contemporaneamente lo è troppo per esserlo davvero. Incredibilmente, qualcosa in comune l’hanno. – Eee’ un beeel nomeee. Io mi chiaaamo Yuki. –



- Abbiamo nomi simili. – Haku pensa a quanto poco sia professionale il destino, che si diverte ad osservare gli avvenimenti che lui stesso ha predisposto secondo fatti e coincidenze talmente ridicoli da sembrare falsi.



- Teeemo siaaa l’unicaaa cosaaa cheee aaabbiaaamo in comuneee. Io sono neeeveee, tu seeei biaaanco. –



- Già. Beh, è stato un piacere conoscerti. – si stringono la mano e se ne vanno, ognuno per la propria strada.



Il vento gelido continua ad imperversare, tenace e costante. Chiunque abbia predisposto questo strano intreccio di luoghi e tempi, ancora non sa che gli sfuggirà di mano, presto. Troppo presto.

È tempo perché i tempi sorgano, controtempo e controcorrente.



Quando Haku e Yuki si rincontrano, non sanno ancora che bianche mani stanno muovendo i loro passi.



In realtà, Haku lo pensa, ma non lo dice.



E forse, nemmeno ci crede.































T i m e



- Growing Times -

Second Act





















Il primo problema di Haku, quella mattina, si presenta sotto forma di donna – con gli occhi scuri di una cerbiatta smarrita, ma con un carattere talmente aggressivo e sfrontato da farla sembrare più un drago che altro.

È bella come mai nessuna donna giapponese potrebbe essere, e si chiama Sem.



- Sem da Semiramide. Quella regina assira che se ne andava a letto col figlio, insomma. – si affretta a puntualizzare lei con un lieve sorriso sarcastico, mentre le unghie della sua mano sinistra, colpite dal riflesso del sole, brillano di riflessi multicolori.



Haku capisce un sacco di cose, da quella spiegazione.



L’occhiata che lei gli ha riservato, quando lui li ha raggiunti al bar all’angolo con il quartiere di Shinjuku, non promette nulla di buono, ma anzi: il povero ragazzo ha lanciato un’occhiata smarrita all’altro, che si è limitato a sfoderare il suo miglior sorriso ebete, incurante dei vari – ma per fortuna inutili – tentativi della ragazza di assassinare l’amico.



Sem è la fidanzata di Yuki da quando avevano 13 anni.



- Io sono Haku. – aspetta nel silenzio dei due, ed è come se mancasse qualcosa. – Insomma, Haku da Haku, bianco. – le espressioni dei due si tingono di una certa delicata ironia, mentre le labbra si distendono in un sorriso. Il moro rimane lì, sentendosi un po’ imbecille – anche se è una cosa troppo poco seria – e chiedendosi per la quarta volta in dieci minuti cosa l’ha spinto a muoversi, quella mattina.



Gli rispondono gli occhi verdi di Yuki, lucidi e fissi in un muto saluto che sfugge alla ragazza e colpisce solo l’altro, che improvvisamente sente l’aria vicino farsi rovente.



- Yuki, non lo inviti a sedersi? – le serpe muove sinuosa i suoi tentacoli, e con la scusa di far spazio ad Haku, si schiaccia ancora di più verso il ragazzo. Dopodichè, lo sguardo le cade casualmente sul viso dell’ospite: lo deride in silenzio, senza alcuna fretta. Sa benissimo che non c’è assolutamente nulla di preoccuparsi, e che può continuare a manovrare i fili del proprio destino senza interferenza alcuna.



Sorride, Sem. Sorride perché sa di poterlo fare.



- Haku, non prendi niente da mangiare? –



- No Sem-san, non ho più fame. – di nuovo lei gli regala un sorriso, che appena sa essere al sicuro dalla vista di Yuki, subito si tramuta in smorfia, e quindi ghigno.



Sotto i ciliegi in fiore, quella primavera, si sono riunite tutte le famiglie di Tokyo. L’atmosfera è così delicata che tutti ne sono attratti.

Haku per primo.



Per un istante, gli pare che il tempo sia fermo.



- Non seembraaa straaanaaa, queeest’ aaatmosfeeeraaa? –



I due si voltano verso il rosso, praticamente sdraiato sul tavolino in ferro battuto. Ha gli occhi socchiusi mentre coglie ogni tiepido raggio di sole che va a colpirgli il viso. Le mani, abbandonate sulle ginocchia, si muovono in una lenta e ritmica danza, che contorce la stoffa leggera dei pantaloni senza alcun rumore.



- E’ semplicemente primavera, Yuki-chan. Cosa c’è di strano? –



- Hai ragione. Non dovrebbe essere tutto così allegro, intendo, è troppo allegro. Le vie di mezzo non sono mai state il forte della natura, comunque. Suppongo sia il nostro destino subire queste ondate ormonali come piace a chi predispone il tutto, così che quando saremo vecchi e stanchi, un tale paesaggio ci ucciderà per l’emozione. Ma questo vorrebbe dire che dovremmo sempre stare chiusi in casa, con le tapparelle abbassate, perché anche un cielo eccessivamente azzurro potrebbe esserci fatale. Non è triste, tutto ciò? –



I bambini continuano a rincorrersi tra i prati verdi. L’inevitabile accadrà, prima o poi, ma non lo sanno, così come non sanno che probabilmente sarà un cielo del genere ad ucciderli, oppure un colore troppo forte, o, perché no?, persino quello stesso paesaggio su cui al momento sono dipinti.



Haku osserva tutto ciò con la consapevolezza che lo spinge ad uscire di casa ogni giorno. Prima o poi, finirà tutto.



- Neeel fraaatteeempo, dunqueee, godiaaamoci queeesto paaaeeesaaaggio. – alza un bicchiere di vino bianco che ha debitamente provveduto a versarsi, e invita gli altri a fare lo stesso. – Aaa queeestaaa visioneee: continueeerò aaa osseeervaaarlaaa aaancheee seee mi uccideeerààà. –



- Anche se ci ucciderà, è troppo bella per perderla così. – annuisce, Haku, perso nei ricordi della sua infanzia che hanno deciso di assalirlo all’improvviso.



Sem storce il naso, esclusa dal momento.



È incredibile quanto il tempo scorra velocemente quel pomeriggio.



Il tempo. Il tempo è il problema, e tutti lo sanno. Yuki vorrebbe avere più tempo per scrivere quel famoso discorso serio. Semiramide vorrebbe avere più tempo per conoscere il suo fidanzato, perché, nonostante tutto, ancora le appare come un estraneo. Haku… Haku vorrebbe avere più tempo, eppure non osa pensare a quell’eventualità.



Cosa vuol dire, avere più tempo? Vuol dire andare contro al destino, al volere degli astri, contro tutto ciò che regola il mondo.



È troppo, e Haku non sa resistere di fronte a tanta immensità.



Quando si separano, le poche parole di commiato sono forzate e scarsamente significative. – A domani. – dice Sem.

- A domani? – Haku alza gli occhi sul volto sorridente di Yuki.



- A domani. – acconsente, seppur con una certa ritrosia.



- Allora… - il rosso tentenna sulle parola da scegliere, mentre Semiramide si allontana con passo frettoloso, come se non avesse più tempo.



I tacchi si accavallano l’uno sull’altro, in una buffa danza in cui le caviglie traballano per rimanere ritte. Sofferenza.



Haku si sofferma qualche istante sulla figura dal passo incerto che mostra loro la schiena, chiedendosi perché provi tutto quel piacere nel fare del male a delle persone.



- Sì, a domani. –



Entrambi cercano conforto in quel saluto che già prevede l’esistenza di un labile futuro, eppure non sanno trovarlo. Rimangono in piedi uno di fronte all’altro senza sapere cosa dire o cosa fare. – Haaaku? –



- Dimmi, Yuki. –



- Peensaavo aaa queeel paaaesaaaggio. Aaa oggi pomeeeriggio. –



- Già. Comprendere la realtà e il mondo che ci circonda. Pensieri profondi, eppure suonano così banali mentre li pronunci… non ti sembra di aver perso gran parte della tua vita, a volte? Come se non ci fosse mai stato qualcosa per cui vivere sul serio, e ciondoli andando contro il vento, contro tutto e tutti, solo per trovare qualcosa che sappia farti sentire vivo. –



Il sole tramonta piano. Haku sospira e lo invidia, perché il sole ha quel tempo che lui desidera. Lo brama, perché vuole capire che cos’è, e qual è il suo scopo.



Qualcosa che faccia sentire vivi…



- Io l’ho giààà trovaaataaa. –



- Mh? –



- Unaaa cosaaa cheee mi faaacciaaa seeentireee vivo. – gli occhi di Yuki sono verdi in controluce e lo fissano con quel solito alone che ne appanna il colore. Ma al di là di questo c’è qualcosa in più, c’è vita e voglia di vivere, e c’è una muta domanda.



- Yu- Yuki… -



Yuki si avvicina e la domanda è sempre lì, dietro ai suoi occhi. Presumibilmente vuole una risposta, una risposta che sia convincente, e Haku non è pronto a dargliela. Il perno della sua esistenza si crea in quel momento, quando ancora non sa cosa voglia dire fare una scelta, perché si è sempre lasciato trascinare da chi gli stava di fianco.



- Haaaku, tu lo saaai, cosaaa voglio. – la piega delle labbra è seria e non dovrebbe esserlo. Le mani sono poggiate nervosamente sui fianchi, mentre solitamente sono pigramente abbandonate a loro stesse, tese in un pugno molle.

Haku risale lungo la figura dell’amico e incontra il suo sguardo.



È in quel momento che capisce che è perduto, che opporre resistenza non serve. Il suo respiro si arresta. I suoi occhi si chiudono.



Tanto era destino, pensa.



- Lo so, cosa vuoi. Vuoi che io ti dia una risposta sincera, che sappia comunque soddisfarti. –



- Giààà. –



La nota della sua “a” accentata è come il rintocco di una campana, che lo scuote nel profondo. È destino. Manca tempo. Qualcosa che dia la felicità.



Anche solo per un istante.



Il bacio è poco più che un contatto, perché Haku non ha mai baciato nessuno e Yuki non si muove: vuole godersi il contatto con le labbra dell’altro, il suo fiato leggero sul naso. Sono buffi e impacciati.



- Questa va bene, come risposta? –



Il rosso guarda il moro e banalmente sorride, perché proprio non se ne può fare a meno. Il moro è alto un metro e ottanta, eppure, con quegli occhi lucidi e le guance arrossate, pare un adolescente infatuato. È l’immagine più bella che abbia mai visto. Pensa che un giorno quella visione lo ucciderà, e sarà la morte più bella di questo mondo.



- Direeei di sì. –



- Fare una cosa del genere in mezzo alla strada, mio Dio, non lo trovo possibile per uno come… -



Stavolta Yuki decide di farlo stare zitto a suo modo, e approfittando del discorso lasciato a metà, lascia scivolare la propria lingua nella bocca del l’altro.



È un’esplosione di sensi.



Haku non capisce nulla di quello che gli succede intorno, è stordito e privo di ogni senso dell’orientamento.



Eccolo, quell’istante senza tempo che ha cercato per una vita. Non sente più i rumori della strada, non percepisce il freddo della notte che lentamente si sostituisce al caldo del sole e gli spintoni della gente che passa loro a fianco sono semplici tocchi celestiali.



Si baciano come se il tempo non fosse esistito mai, o come se esigesse un tributo immediato non appena finito quel contatto. È tremendo eppure bellissimo.



Si separano dopo un’ora, due, forse tre, nessuno lo sa o desidera saperlo.



- A domani? –



- Aaa domaaani. –



Haku cammina per strada e d’improvviso si accorge di una cosa.



Adesso, la parola domani ha un senso che trascende il banale alzarsi dal letto.



È una sensazione stupenda.



E proprio per questo, comincia a temere che non possa durare per sempre.



Pazienza, si dice. Aspetterà il domani.

















T i m e



- Standing, fading Times -

Third Act

















Il telefono squilla alle otto di mattina. La sveglia si attiva in sottofondo. Haku ciondola fino al comodino di fronte al letto, trascinando con sé parte delle lenzuola.



- Sì? –



- Haaaku? –



- Sono io. – quella voce. Potrebbe riconoscerne la cadenza anche fra milioni, miliardi di persone. Immediatamente il suo corpo si rilassa, mentre lascia che gli occhi si socchiudano pigramente.



Espone la gola, dominando il piacere estatico che gli pervade ogni cellula del corpo.



Haku si sente al sicuro.



- E’èèè Yuki cheee paaarlaaa. –



- Sì. Sì. – ride l’altro. – L’avevo capito, Yuki. –



- Aaah. Nieeenteee maaaleee. –



- Volevi qualcosa? –



Mentre parla si è seduto sul comodino. Ruota il collo cercando di non scoppiare a ridere come un pazzo. Non c’è niente da fare: qualunque cosa Yuki decida di combinare, non può far a meno di sconvolgere ogni concezione del moro. E’ così che Haku si sente, quando sta con Yuki. Totalmente in balia delle proprie sensazioni, senza alcuna possibilità di movimento, mentre un tappeto rosso si srotola davanti a lui, indicandogli un sentiero che non dovrebbe percorrere.



Eppure gli sembra così invitante e misterioso da non sapergli resistere.



- Si traaattaaa di Seem. –



D’improvviso, la voce al di là del telefono risuona vagamente grottesca, priva di alcuna inflessione giocosa.

Haku scatta sull’attenti.



- Cosa? –



- Si èèè suicidaaataaa. –



Il tempo.



Non si sfugge al tempo.





***





Il funerale si svolge due giorni dopo, in un campo santo appena al di fuori della città. Semiramide ha il viso corrucciato in un espressione di eterna ripicca verso quel mondo che ha deciso di abbandonare.



La fossetta sul mento è accentuata dal pallore mortale della pelle del viso, mentre la piega delle labbra, ghiacciante, segue quel disprezzo che la ragazza aveva sempre ostentato come arma.



Un’arma a doppio taglio che non aveva atteso nemmeno un istante per rivoltarlesi contro.



Sembra quasi viva, mentre cade dentro la fosse scavata nella terra, e Haku si proibisce di urlare di tirarla su, perché una stronza del genere non avrebbe mai potuto fare una cosa del genere. Non aveva mai pensato a quest’eventualità.



Semiramide si è confermata una fottutissima bastarda anche appena prima di morire, perché il biglietto accanto a lei recitava “Credete forse che in un momento del genere io pensi a qualcosa da dire a voi?”, e il “voi” era sottolineato da una sottile linea rossa.



Mentre la bara scompare sotto il suolo, seppellita dalle badilate di terra, Haku sposta gli occhi su Yuki.



Ha iniziato a piovere.



Piove come se il cielo avesse atteso unicamente quell’istante e nient’altro.



Il moro apre il proprio ombrello – nero come la notte – e si affianca al suo ragazzo, coprendolo come può, poiché Yuki rimane fermo ed immobile come una statua di sale senza vita.



- Non doveeevaaa finireee così. Non doveeevaaa. –



Haku fa per posargli una mano sulla spalla ma si trattiene, l’amico trema violentemente e senza controllo, gli occhi chiusi da cui non esce nemmeno una lacrima. Eppure, pare stia piangendo.



- No, hai ragione. –



- Aaavreeei potuto faaareee quaaalcosaaa. –



L’altro china la testa, pensieroso. Ci sono idee che gli tormentano la mente sin da quando ha saputo della morte della ragazza. Che significato assume l’atto del suicidio in questo contesto?



Sem aveva capito che Yuki si stava allontanando da lei?



O forse aveva intuito che la loro storia non avrebbe mai potuto avere un seguito?



Haku questo non lo sa, eppure non riesce a comprendere se questo suicidio sia contro o verso il destino. Com’è possibile interferire col destino, decidendo di morire prima di quanto sia stato deciso? E com’è possibile che ad un certo punto si senta l’esigenza di andare contro al proprio volere, tranciandosi le vene di netto?



No.



Il ragazzo rabbrividisce di fronte a questa possibilità.



Perché tutto quello in cui crede prima o poi si dissolve come neve al sole? Non ha senso pensare che non esista il destino…



… perché tutto perderebbe significato.



Lui non riesce a concepire un mondo di caos, sebbene si affermi che tutto tenda inesorabilmente al disordine. Ha bisogno di sapere che qualcosa c’è, sopra la sua testa, che ne regoli ogni singolo respiro. Anche Yuki… Yuki è un dono prezioso, eppure ha sconvolto così tanto la sua vita, che a volte pensa che sia solo un imprevisto.



Scuote la testa, preoccupato. Adesso Yuki ha bisogno di lui.



- Non ti preoccupare Yuki. Non è colpa… -



Si accorge in ritardo d’esser rimasto il solo sotto l’ombrello.



Alza lo sguardo fino a scontrarsi con la semplice lapide bianca in marmo, sui cui è stata fissata una fotografia della ragazza.



Semiramide era una stronza, ma era una stronza che giocava con una tale invidiabile maestria da suscitare in Haku un violento sentimento d’invidia.



Vorrebbe poter eludere il destino anche solo per un po’, per qualche giorno, come sapeva fare lei e solo lei.



La fotografia sorride, ma Haku sa che non è un sorriso sincero.



Semiramide è morta, certo, perché al destino, ammesso che questo esista, decisamente non si sfugge.



Eppure, giocare per un po’…



… anche solo per un po’…



Saluta la ragazza che giocava col destino con un sincero affetto.



- Hai giocato un po’ troppo, Sem. –



Lei sorride, sorride sorride sorride…



Eppure, giocare anche solo per un po’…





***





Per circa tre mesi Yuki sparisce dalla città senza lasciare alcun recapito telefonico. Haku, terrorizzato dall’idea di perderlo, finisce persino per contattare la famiglia di lui, temendo che abbia compiuto qualche sciocchezza insensata, preso dalla depressione.



L’eventualità di perdere Yuki lo terrorizza, lasciandolo in uno stato catatonico da cui non riesce a riprendersi se non con l’aiuto dei libri, in cui si seppellisce.



Pian piano la sua mente scivola nell’incoscienza, dimenticandosi di qualsiasi cosa lo circondi. Rimangono solo i libri ed alcune foto in cui Yuki sorride all’obbiettivo, senza pensieri o timori.



Dolore.



Profondo, tremendo dolore.



Il cuore di Haku sanguina senza che il moro possa fare alcunché per tamponare l’emorragia. Rimane a dissanguarsi sulla sua poltrona, lasciando che il sangue coli sui libri, che pazienti l’assorbono tingendosi di rosso.



Poi, arriva una svolta.



Tra le carte che gli vengono recapitate quotidianamente trova una lettera tutta spiegazzata, consegnata con qualche giorno di ritardo. Il mittente è Yuki.



Mentre distrugge la busta bianca, la sua mente ragiona frenetica, senza capire nulla di quello che lo circonda.



“Raggiungimi a casa mia. Yuki”



Sono poche parole, ma bastano per mandarlo nel panico più totale.



Quarantacinque minuti dopo, osserva il palazzo dimesso che ospita, al terzo piano, l’appartamento del ragazzo. La finestra che si affaccia sulla strada è appena socchiusa, la tapparella abbassata per metà.



Se Haku non sapesse che là dentro c’è Yuki, il suo Yuki, probabilmente la crederebbe abbandonata.



Musica. L’intera casa risuona di musica. Musica struggente, che avvolge il moro dentro una barriera fatta di emozioni false, soffici e senza preoccupazioni.



È un invito ad entrare dentro l’universo di Yuki, un invito che trilla nell’aria come una sinfonia di dolore. Mentre sale le scale la sinfonia s’interrompe, facendo cadere su tutta la costruzione un silenzio innaturale, tanto che per un istante Haku è tentato dal tornare indietro, nel riparo della propria casa, protetto ed accudito dai libri di cui si è tanto affettuosamente circondato.



Infine stringe la maniglia d’ottone, e con un movimento gentile spalanca la porta.



- Yuki? –



- Sei arrivato, finalmente. –



Sì. Ecco il seguito naturale di quella sinfonia che aveva sentito fuori dalla casa. Le vocali di Yuki sono strette e precise, senza alcun strafalcione fonetico a distorcerne il suono.



- Il discorso. Quel famoso discorsi di cui tanto parlavi. Ne è passato di tempo. –



- Ci sono riuscito, alla fine. –



Haku lo osserva attentamente: i capelli sono più lunghi del solito. Si lasciano cadere sulle spalle nivee del rosso, leggermente ricurve. Yuki lo osserva con quegli occhi verdi che l’hanno sempre ridotto all’impotenza.



- Già. –



- Io ti amo, Haku. –



Suona, la sinfonia, e le parole diventano note, dolci rintocchi. Suoni celestiali, bocche rosate appena schiuse come fiori.



Haku sorride brevemente. L’altro ha detto che non si è qui per parlare di destino, eppure la sua mente torna inevitabilmente a questo.



Questa dichiarazione spazza via la sorte, oppure la conferma.



- Lo so. –



- Ma ho bisogno di una conferma, qualcosa che mi dia sicurezza. –



- La morte di Semiramide ti ha sconvolto. –



Yuki ribalta la testa all’indietro, aprendo le labbra in un piccolo sorriso derisorio. – Forse sì, forse no. –



- In fondo lei non è mai stata la mia ragazza, non ha mai rappresentato un punto saldo per me. –



- Sei crudele a dire questo. – Haku è terrorizzato dalle parole dell’altro, che sputa veleno ad ogni sillaba, come se improvvisamente si fosse trasformato.



- Però, le volevo bene. –



- Ovviamente, Yuki. –



- Haku… -



- Sì? –



Il moro scorge qualcosa nella mano destra del rosso, ma sposta lo sguardo immediatamente sul volto dell’altro, per paura di perdere qualche segnale che gli ricordi chi è il vero Yuki.



- Tu credi… - la voce all’improvviso si incrina, e lacrime scendono lungo il collo dell’altro. Yuki piange disperatamente, con la stessa intensità di un neonato. - … tu credi che la morte sia un punto saldo? –



È una pistola. Yuki ha in mano una pistola, nera come la pece. Una pistola che in un istante può cancellare una vita. – Yuki… Yuki mettila via. Buttala, buttala via! –



Panico.



Che scorre sordo nelle vene, che si nutre di paura. D’improvviso Haku capisce che non c’è tempo.



Lui di tempo non ne ha mai avuto. Lo intuisce ora, mentre si confronta con la disperazione più profonda. Yuki continua a piangere, piangere come un disperato che non sa trovare tregua.



- Io ti amo, Haku! –



- Ti amo anche –



No.



No, Haku non ama Yuki, lo sa e lo ha sempre saputo. Solo che la consapevolezza di quel pensiero prende vera forma solo adesso, quando ha capito che cercava un punto saldo a cui aggrapparsi, in cui credere.



Haku si è solo illuso.



- Haku… -



- Scusami Yuki, ma forse hai ragione tu. La morte è l’unico punto saldo. –



Il tempo non scorre davvero, perché è irrilevante rispetto ai secoli già passati.



- Non siamo niente, Yuki. –



È la sentenza che sancisce l’effettiva inutilità della vita per il moro, che preferisce rimanere fermo anch’esso, veloce quanto il tempo, immobile. Immobile sepolto tra i libri.



- Uscirai di qui, adesso? –



- Credo di sì. Yuki, Yuki, l’unico modo per stare al passo del tempo è star fermi. –



Questo Semiramide lo aveva capito. Aveva giocato troppo ed aveva capito tutte le regole del gioco.



Stronza fino alla fine. Fottutissima donna, adesso Haku capisce cos’era quel broncio. Semplicemente un ghigno di vittoria, derisione e disprezzo per chi si affanna nella vita e poi muore senza un perché.





Il colpo arriva all’improvviso mentre Haku sta scendendo le scale, e per un attimo gli pare che tutto si fermi, anche il tempo.



Sciocchezze, pensa.



Sono solo sciocchezze.



















Semiramide Hughes – morta a 20 anni, il 20 aprile. Perché aveva giocato troppo, e aveva capito le regole del gioco.



Yuki Kemuri – morto a 23 anni, il 24 agosto. Perché qualcuno l’aveva buttato nel gioco senza spiegargli come giocare.



Haku Nagashima – morto a 46 anni, il 2 marzo. Scrisse che aveva raggiunto il tempo perché aveva smesso di correre.



















Fine.
 
Continua nel capitolo:


 
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