- Capitolo 1° -
Una cosa senza senso, scritta in un attimo di delirio.
Non l’ho riletta né ricontrollata, perché voglio lasciarla intatta, come è uscita dalla mia mente.
Come fratello e sorella
Ti guardo da lontano, Regina della Notte, schiavo dei tuoi occhi di zaffiro, che non hanno mai riflesso la luce del sole.
Ti osservo con calma studiata, con apparente indifferenza, con l’aria di chi se ne frega, mentre dentro la Morte mi congela.
Ti ammiro e ti penso, e non posso evitare di tremare al suono della tua voce, limpida come l’acqua della più segreta fonte, un’acqua di cui non mi è concesso abbeverarmi.
Sei il mio miraggio nel deserto, la luna nelle mie notti oscure, sei sole ed aria, amore e follia, miseria e lussuria.
Sei il fiore peccaminoso dell’Eden, ed io, schiavo del tuo nettare, per quanto ti odi non posso fare a meno di cercarti, perché solo da te posso trarre ciò che ancora mi fa andare avanti.
Tu, con la tua lascivia innata, con quello sguardo di cacciatore fattosi preda, con il tuo corpo d’avorio ed ebano, mi trascini in un baratro senza nome e senza fondo, dal quale non potrò uscire mai più.
Mi hai strappato le ali, creatura innocente e volitiva, languida come la tempesta, maliziosa e casta, ed ora non posso che precipitare tra le fiamme nere che accolgono i peccatori.
La mia colpa è troppo grave per poter essere espiata, troppo voluta per potermene pentire, troppo desiderata per poterla rinnegare.
Amarti è croce e delizia della mia esistenza, è ossigeno che corrode le vene, una lama che guarisce mille ferite.
Amarti e odiarti è tutto ciò per cui sono venuto al mondo, è il mio Scopo e il mio Nirvana.
Pace interiore che posso trovare solo struggendomi per te, sognandoti e venerandoti, macchiandomi d’infamia, gettandomi da solo tra le braccia del demonio.
Un demonio come sei tu, tu che innocente angelo bianco di neve e diamante mi chiami a te, mi incateni al muro della tua vanità, mi illudi senza rispetto, e mi compiangi senza pietà.
Tu, creatura infernale il cui solo nome evoca in me un disprezzo senza fine ed una devozione priva di confini.
Tu, essere celeste, che mi hai elevato tra tutti gli uomini.
Tu sei colei per cui ucciderei.
Tu sei la sola che ucciderei.
Sfregiando la tua semplicità quasi blasfema e innalzando un santuario alla tua malizia, non smetterò mai di cercarti e di fuggirti, di odiarti e di amarti, di volerti e di rifiutarti.
Fino alla fine non potrò far altro che seguirti, ovunque andrai, fedele accolito e feroce inquisitore.
Perché con i tuoi gesti, con la tua essenza, con quel tuo profumo di gigli e crisantemi mi hai imprigionato in un limbo di pazzia dal quale non voglio più uscire.
Dal quale non potrò uscire.
Perché quello che ci lega è più forte di un sentimento.
È sangue caldo che sgorga da una ferita.
È un’origine comune che non ci è dato ignorare, ignara tiranna della mia voluttà.
È un nome al quale non possiamo sfuggire, una maledizione.
Un marchio che ci rincorrerà per sempre, e che per sempre ci mostrerà alla gente per quello che siamo in realtà.
Un simbolo di ignominia che ci additerà al mondo come i nuovi eretici.
Come i nuovi Adamo ed Eva.
O forse, più semplicemente….
…Semplicemente come fratello e sorella.
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