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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Libri e Film (da libri)
Dalla Serie: BARTIMEUS
Titolo Fanfic: IL RITO
Genere: Sentimentale, Fantasy
Rating: Per Tutte le età
Avviso: What if? (E se...)
Autore: anle galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 12/02/2007 23:14:45

Sono passati cinque anni. Kitty non si è arresa e vuole scoprire la verità. Quindi, a chi chiederà aiuto? Già. Proprio a Lui.
 
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"IL GIORNO DELLA MEMORIA"
- Capitolo 1° -

Nota

E’ la stessa identica che ho scritto nella one-shot “ Memorie di un Jinn ”.
Ovvero, la fanFic presenta fatti inerenti al terzo libro della trilogia di Bartimeus.
Quindi, per chi fosse intenzionato a leggerla, consiglio di non proseguire nella lettura.
Premetto che sarà una long-fic. Difatti, questo è solo il prologo.
I fatti si svolgono cinque anni dopo la conclusione del libro. La protagonista principale è Kitty Jones.
Forse ci sarà l’inserimento di qualche personaggio, ma è ancora tutto da vedere.
Buona lettura^^.







-Prologo-



La ragazza mescolava svogliatamente il suo caffè, mentre gettava uno sguardo al giornale mattutino.
“Giorno della memoria nazionale”. Diceva così il titolo in prima pagina, stampato a lettere cubitali.
Sospirò. Quanto tempo era passato. Ma, poi, neanche così tanto. Non sufficiente per dimenticare, almeno.
Scosse la testa. Lei non avrebbe mai dimenticato, comunque. Fossero passati semplici minuti o secoli.
Cacciò giù la malinconia e quelle lacrime mai più versate.
Si sforzò di non continuare a leggere. A che sarebbe servito? Proprio a niente. Solo ad alimentare la rabbia e il rimpianto, ecco cosa.
Già, quel dolce e maligno rimpianto di non averglielo neanche solo sussurrato.
Che sciocca.
Sarebbero bastate due semplici parole. Solo due…
L’imperterrito “don”, scoccò traditore. L’orologio della cattedrale segnava le dodici.
Doveva affrettarsi. Aveva promesso a Jacob che avrebbe pranzato con lui quel giorno.
Prese la tazza e, mentre la portava alle labbra, vide il suo riflesso nel liquido scuro. Accidenti com’era cambiata. Gli occhi erano sempre gli stessi. Forse non proprio come quelli di un tempo.
Una volta, in questi risiedevano le pene e le sofferenze patite. Sul fondo di questi, però, giaceva la speranza. La Sua speranza. E ora?
Sbatté stizzita la bevanda sul piano e questa fuoriuscì risentita, macchiando la tovaglia bianca.
Lasciò alcuni spiccioli sul tavolo, e si incamminò con fare spedito verso le districate vie della città.
Il vociare della gente, che camminava, le riempì le orecchie. I lunghi capelli neri, dondolavano al ritmo del suo passo.
Un solitario color plumbeo scalfiva il cielo. Odiava quel giorno.
La fontana zampillava nella grande piazza. Accanto, una statua rimaneva immobile. Lei le passò vicino, cercando di rimanere impassibile.
Era tutto inutile.
Sapeva che, di lì a poco, si sarebbe voltata e avvicinata ad essa, rimanendo a scrutarla per minuti.
E così, infatti, fece.
La figura di un uomo si stagliava nitida agli occhi della gente. Imperiosa e austera.
Percorse con gli occhi la statua, quasi teneramente. Si soffermò sul suo sguardo. Era freddo e inanimato.
Sospirò, di nuovo.
La targhetta, ai piedi del monumento, parlava ai passanti, inespressiva: “John Mandrake. Morto in difesa della nazione”. Poco sotto, veniva narrata brevemente la sua vita e le sue azioni.
Un sorriso amaro le si dipinse sul volto. Sapeva a memoria quelle parole. Le aveva lette così tante di quelle volte. Erano diventate quasi un’ossessione per lei.
Perché continuava a torturarsi così?
Doveva convincersi ormai. La realtà le è stata difficile da accettare. Ha sempre creduto che tutto potesse cambiare, trovare un rimedio. Ma la morte non ha un rimedio.
Strappa ciò che fino a un momento prima pensavi ti appartenesse. E tu non puoi farci nulla.
I primi anni era fuggita in America, sperando di poter dimenticare.
Ma come si può annullare dalla propria mente quello sguardo, quel volto, quella determinazione, che tanto l’avevano fatta palpitare?
Poco dopo, era ritornata a Londra. Non ce la faceva più. Quel luogo faceva parte di lei, in un modo o nell’altro.
E, ora, ogni volta che si trovava davanti a questa statua, ricordava nitidamente tutto.
Con rimpianto, con rabbia, con sofferenza, eppure, continuava a ricordare.
Era lei a volerlo.
Strinse i pugni. Gli occhi le si inumidirono.
“Stupido.”, disse sommessamente, rivolta al volto di granito. Questo, però, gli rispose con la sua stessa espressione di sempre, indifferente.
Si allontanò, poi, voltandogli frettolosamente le spalle. Ma che, puntualmente, restituiva, in cambio, anche solo, di un suo freddo sguardo.
Morto. Morto da tempo.





***

“Eccoti, finalmente.”, disse, accogliendo la ragazza con un ampio sorriso, mentre guardava l’orologio contrariato.
“Le strade erano gremite di gente.”, spiegò lei, cercando di risultare convincente. Si sedette accanto al giovane, mentre, svogliata, prendeva il menù, che le porgeva il cameriere.
“Già, già..”, disse lui con falso interesse, studiando, invece, le pietanze con gola.
“Oggi è il giorno della memoria, Jacob. Ricordi?”, insisté lei, osservandolo con una punta di risentimento.
“Eh?”, fece lui distogliendo lo sguardo dai piatti. Notando, poi, l’espressione della ragazza, disse: “Oh, sì, Kitty..”. Le sorrise maldestramente, mentre lei divenne d’improvviso cupa.
“Dai retta a me, dovresti lasciarti questa storia alle spalle.”, affermò, poco dopo, poggiandole una mano sulla spalla. Lei sussultò a quel contatto e il suo sguardo s’indurì.
Lui distolse la mano, rassegnato.
Kitty scosse la testa. “Non posso..”.
“Insomma, sono passati cinque anni!”, esclamò esasperato lui, come infastidito.
“E con questo?”, fece gelida.
“Bé, nella vita si va avanti, no?”, rispose lui, ora, un po’ a disagio.
Non poteva capirla. Lui era sempre stato insofferente al solo parlar di maghi. Non sapeva quanto soffrisse. Quanto aveva provato ad andare avanti. Quanto…
Calò un silenzio prominente.
“Senti, io…”, cercò di scusarsi lui
Sorrise tirata. “Parliamo d’altro?”, fece lei, ritirando il seme della discordia. Jacob annuì leggermente, guardandola confuso. Fissò, poi, il menù con un concentrazione insistente.
Lei seguì il suo esempio, senza troppa attrattiva.
Dopo poco, il ragazzo sembrò aver riacquistato la sua giovialità. Parlò quasi per tutto il tempo.
Lei annuiva distratta. Pensieri persistenti le facevano visita, dispettosi.
-Mi dispiace Jacob, oggi è così. Non posso e non voglio dimenticare.-


***

“Signorina Jones?”. Una voce femminile la distolse dal suo lavoro.
La figura anziana di una donna fece capolino dalla porta del suo ufficio.
“Si, Molly?”, rispose, stancamente.
“Non pensavo di trovarla qui.”, disse lei gentile.
Kitty alzò le spalle. “Preferisco così, per oggi.”, spiegò, senz’enfasi.
“Capisco.”, disse cordiale, senza aggiungere altro.
“Una tazza di tè?”, domandò, poi, l’anziana signora prima d’uscire.
“No, la ringrazio.”, rispose la ragazza, ritornando alle sue scartoffie.
La segretaria uscì, guardandola teneramente.
La giovane sbuffò.
Il Ministero era davvero difficile da gestire. Corrugò la fronte, mentre leggeva le varie presentazioni da approvare.
D’altronde, era stata lei stessa ad acconsentire alla proposta che, cinque anni prima, le era stata offerta.
Nonostante, all’inizio, avesse rifiutato. Pochi mesi dopo, aveva fatto dietro front sulla sua scelta.
Inutile dire il perché. Buttarsi a capo fitto nel lavoro, pensava, sarebbe servito a qualcosa.
Ma lì, proprio in quell’edificio, aleggiava la presenza di Nathaniel.
Si era data l’ennesima zappa sui piedi.
Guardò l’orologio da polso. Non era passata neanche un’ora.
Decise che sarebbe rimasta lì ancora per un po’, almeno il tempo che finisse il discorso del Presidente del Governo.
Esattamente tra dieci minuti. Le avevano chiesto più volte di partecipare, ma non c’era stato verso.
Scimmiottare davanti al popolo il patriottismo nazionale, non le interessava affatto.
Era pura ipocrisia.
A nessuno interessava, davvero, se qualcuno fosse morto per proteggere le persone a loro care.
Bè, almeno, l’importante era che non lo facesse qualcuno di veramente rilevante.
Di certo, Lui non era uno tra quelli…
Driin.
Il suono del telefono trillò nell’aria muta dell’ufficio.
Due, tre squilli. “Molly, risponde lei, per piacere?”.
Niente. Il rumore si fece insistente, quasi assordante.
Si decise. Alzò la cornetta.
“Pronto, parla Kitty Jones”, disse atona.
“Oh, signorina, cercavo proprio lei. Sono Albert Derwe.”, rispose una voce maschile, titubante.
Probabilmente, era sorpreso di sentire rispondere direttamente lei.
Ah, già. L’editore. Aspettava quella telefonata da mesi. “Mi dica, ha novità?”, chiese impulsiva.
“Si, si. Ho finito di stampare l’aggiornamento sulle creature demoniache..”, iniziò con lo spiegare l’uomo.
“Si chiamano Jinn.”, la corresse lei, educata, senza mascherare una nota di risentimento nella voce.
Quando avrebbero imparato a rispettarli?
La normativa in difesa dei loro diritti era andata miseramente in fumo.
Aveva cercato di dissuadere i maghi dal ricorrere al servizio degli spiriti, ma senza successo. Era riuscita ad ottenere, comunque, solo una minima parte di quello che avrebbe voluto.
Un jinn poteva essere chiamato una sola volta all’anno e potevano essergli affidati fino a tre compiti.
Sempre meglio di niente. Fece una smorfia.
“Eh? Si , bè, insomma, proprio quelli e, come promesso, le ho messo da parte una copia. Se mi dice dove, posso spedirgliela personalmente.”, continuò lui, come se non fosse stato interrotto.
“No, verrò io personalmente. La ringrazio, a presto.”. Così dicendo, mise giù, senza lasciargli il tempo di dire altro.
Un sorriso le si dipinse sulle labbra stanche. Era ora di scoprire la verità.


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Note dell’autrice:

Lo so, è molto breve. Ma questo è solo il prologo.
Quindi pazienza. Avrete presto mie notizie.


Anle

 
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