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Categoria: Manga e Anime
Dalla Serie: Naruto
Titolo Fanfic: HAKU
Genere: Sentimentale, Romantico, Drammatico, Introspettivo
Rating: Per Tutte le età
Avviso: OOC
Autore: suzako galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 07/02/2007 18:49:59 (ultimo inserimento: 27/05/07)

'Anche se siamo diversi, la pioggia cade su di noi allo stesso modo, Neji'. [NejixHinata]
 
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RAIN
- Capitolo 1° -

La pioggia cadeva con un suono delicato e ritmico, quasi un canto armonioso, andandosi a confondere tra le fronde degli alberi, il grigio uniforme del cielo, e gli occhi bianchi che la osservavano da lontano, attraverso il vetro appannato della finestra.
Gli appartamenti della Casata Principale erano grandi e spaziosi, in legno liscio e pregiato: tutto esprimeva lo sfarzo e l’orgoglio di quello che da sempre veniva definito il clan più potente di tutta la Foglia, i detentori del letale byakkugan, e l’arte marziale del jaken, che ti uccide gentilmente, senza neanche toccarti, mentre i tuoi organi vanno in pezzi.
Eppure, quella non era la sua forza, non era quello il clan a cui apparteneva. Non poteva dire di appartenere a nessuno, perché nessuno poteva dire di desiderarla.

Hinata osservava con atona indifferenza il tetro paesaggio autunnale, dove il giardino semplice ed elegante appariva triste e monotono, spoglio e sottotono.
Nella piattezza e nell’immobilità che vedeva, un improvviso movimento colpì la sua attenzione. Il vetro era opaco e rigato dall’acqua, impediva la sua visuale, e si sarebbe sentita sciocca ad utilizzare il byakkugan, per soddisfare la sua inutile e ingiustificata curiosità. Si avvicinò alla superficie fredda, sforzando la vista come poteva. Le fronde si muovevano, alcuni rami vibravano sotto la forza dei colpi inferti ai tronchi degli alberi. A Hinata non servì molto tempo per comprendere: C’era chi, sotto la pioggia battente, si stava allenando proprio nella fitta boscaglia che circondava la proprietà degli Hyuuga.
Poteva trattarsi di Hanabi, forse. Loro padre la costringeva sempre più spesso a massacranti ed intensive sessioni dall’allenamento, e di certo non si sarebbero fermati davanti alla pioggia.
Si accorse in quel momento che non sapeva. Non sapeva cosa sua sorella facesse durante le lunghe giornate, dove fosse in quel momento, come si sentisse e cosa provasse.
Erano sorelle, eppure non rappresentavano nulla più che ombra l’una nella vita dell’altra.
Mi disprezzi anche tu, non è vero?In realtà non glielo aveva mai chiesto. Forse per paura della risposta. Forse perché, semplicemente, non gli importava.
Non gli importava venir considerata debole, non gli importava di sembrare sciocca e frivola, non c’era niente che la legasse davvero a quei luoghi: non una pietra, non un oggetto, non un volto le era caro. I legami di sangue, non bastavano. E non le interessava se l’avrebbero vista, e l’avessero considerata pazza. Perché Hinata spalancò la finestra, lasciando entrare la pioggia e l’aria umida, satura di odori. Il silenzio non tradiva la presenza di nessuno, ma lontano, da qualche parte, poteva ancora essere visto il muoversi dei rami, lo stormire delle fronde e degli uccelli che s’alzavano in volo, di tanto in tanto, scacciati dal proprio nido. Con un salto agile si portò sull’erba soffice del prato, fuori dal tepore opprimente di quelle mura. L’acqua era fredda, e il leggero kimono non le impediva di rabbrividire, mentre le gocce si andavano a insinuare fra i suoi capelli, sulle sue ciglie, negli interstizi del collo e del viso. Tuttavia, Hinata trovò che non era una sensazione spiacevole, perché, per la prima volta, si sentiva libera.


I suoi piedi producevano un rumore appena udibile, che quasi si confondeva con il cadere ritmico della pioggia. Camminava ad occhi chiusi, seguendo con l’udito la traccia che l’avrebbe portata a scoprire che si nascondeva fra quei rami. Uno, due, tre, cinque passi. L’attrito dell’aria sugli shuriken era perfettamente udibile, insieme al rumore della lama che andava a infrangersi contro la parete arborea. Era sulla giusta strada. Avanzò ancora. Dieci, undici, quindici passi. Adesso si era aggiunto l’ansare di un respiro, il suono di altri passi sulla terra bagnata, il tintinnare del metallo dei kunai nella borsa. Doveva essere lì… Solo un altro po’, solo qualche altro metro: venti passi, e ogni suono cessò. Solo quello stesso respiro, ma trattenuto e meno pesante. Niente più scarpe sulle pietre, chiunque fosse adesso era immobile. Le armi erano state lasciate a sé stessa, il tronco non rimbombava più dei colpi, e ogni movimento sembrava essere cessato all’improvviso.
Comprendendo con improvviso terrore, Hinata spalancò gli occhi, per ritrovarsi a di fronte a uno sguardo identico al suo. Senza accorgersene si era avvicinata un po’ troppo.
Neji Hyuuga la fissava con malcelata sorpresa, senza però rinunciare a quell’aria disprezzo, quel fastidio che le sue fattezze assumevano sempre quando la figura della primogenita della casata principale entrava nel suo campo visivo.
Non sapendo cosa dire o fare, entrambi rimasero immobili, a guardarsi senza sapere neanche il perché. Gli occhi di Hinata erano fissi sui suoi, lei non abbassava lo sguardo come aveva fatto in passato. Eppure, non c’era traccia di rancore o risentimento nel suo sguardo, ma solo quella placida, tranquilla rassegnazione di chi aveva accettato il suo destino, ed era stata capace di andare oltre l’ansia e la tristezza, la perdita e il dolore.
Bastò quello a rendere gli occhi bianchi di Neji ancora più affilati, il suo sguardo ancor più rancoroso. Se avesse potuto parlare, avrebbe sicuramente detto tre parole: E’ colpa tua.E la risposta, sarebbe potuta essere solo una.
Mi dispiace.
Il byakkugan di Neji era ancora attivato dall’allenamento, e adesso sembrava scrutare Hinata con inquisitoria superiorità, quasi a volerla spaventare e intimidire, farle pesare tutta la sua inadeguatezza, esattamente come in passato. E forse, questa volta, era troppo.
Non ne poteva più di sentirsi sempre e comunque disprezzata, rifiutata, derisa.
Per quanto si sforzasse, non c’era nulla che potesse cambiare quella situazione.
E adesso, quegli occhi…
Era troppo. A volte, le sembrava davvero troppo. Non era brava come Naruto, cercava di rialzarsi dopo ogni colpo, ma forse la sua era una forza fittizia… Un pretesa di coraggio che voleva servire a convincere prima di tutti, sé stessa.
Hinata abbassò lo sguardo, incapace di sostenere ancora quell’odio.
Perché poi?

La tua opinione non cambierà, non è così, Neji? Non conta quello che faccio, quello che dico, quello che sono: è il mio sangue, il mio destino a parlare per me. E racconta di odio. E racconta di morte, di infelicità.

La pioggia andava diradandosi, il cielo incominciava a schiarire.
I suoi passi adesso erano pesanti e rumorosi, il legno dei sandali si rigava e scheggiava sui ciottoli e sulla ghiaia mista al terreno. Il fango le schizzava il vestiti, e peggiorava il suo aspetto ulteriormente compromesso dall’acqua e dalla lunga ricerca.
Neji la guardò allontanarsi tenendo gli occhi su di lei, finché non la vide diventare nulla più che una macchia sfocata, confusa col verde degli alberi.
I kunai ripresero a conficcarsi sulla superficie legnosa, come se nulla fosse veramente successo.

La corsa scomposta di Hinata la portò alla stessa finestra da cui era uscita, sperando di potersi reintrodurre in casa senza essere vista, e risparmiarsi gli sguardi di disapprovazione della servitù e di si suo padre.
Ma la trovò chiusa. Alzò gli occhi, sapendo cos’avrebbe incontrato.
Hizashi, capo-famiglia del clan Hyuuga in primo luogo, e suo padre in secondo, la fissava con uno sguardo indifferente, freddo, privo di aspettativa o delusione. Sapeva di non aver tradito alcuna aspettativa, ed era quello che la feriva di più.
A passi lenti, misurati, si avviò all’ingresso principale. Era bagnata e sporca, e i capelli le cadevano pesantemente sul viso: così, anche se tutti le avrebbero gettato un occhiata di scherno, nessuno si sarebbe accorto dei pugni serrati, e delle lacrime di rabbia che le scendevano sul viso.




* * *


Capitolo 1 di 4.





 
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