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Categoria: Originali (inventate)
Titolo Fanfic: BREAKING DOWN
Genere: Sentimentale, Avventura, Drammatico
Rating: Per Tutte le età
Avviso: AU
Autore: otakuhitomi galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 21/01/2007 10:00:15 (ultimo inserimento: 27/01/07)

Si può ritrovare la speranza in un mondo devastato dalla guerra?Seguiamo Akira nel suo viaggio per scoprirlo!!
 
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CAPITOLO 1°
- Capitolo 1° -

Breaking Down



Sciau a tutti!! Spero che la mia storia vi piaccia almeno un po’, premetto che è la mia prima storia breve… insomma, spero di essere all’altezza delle vostre aspettative. ^^

Breaking Down è per lo più un racconto contro la guerra.

Il titolo vuole dire “disgregazione, separazione” e all’interno del racconto, si riferisce allo stato in cui versa il mondo, dopo la terza e ultima guerra mondiale.

Gli stati sono stremati dalla guerra, la popolazione è stata decimata, ovunque è distruzione, le macerie delle grandi città si estendono a perdita d’occhio.

Le armi nucleari delle superpotenze hanno svolto anche troppo bene il loro compito.

Demoni nati dalla cattiveria umana vagano ovunque.

La razza umana ha avuto quello che si meritava.

Ovunque si guardi, ormai non si avverte altro che un senso di profonda rassegnazione, una muta richiesta di aiuto.

Ma la speranza si può ancora trovare.

Quella stessa speranza che batte ancora nel cuore di una ragazza di sedici anni a cui stata rubata l’infanzia. Così Akira, unica superstite della sua famiglia è costretta a ingegnarsi per sopravvivere in questa crudele realtà in cui regnano la devastazione e la crudeltà.





-Capitolo 1°-



Il sorriso evanescente sul volto della luna era più spento e lontano che mai, avvolto nella sua nebulosa freddezza.

Era un ghigno, più che un sorriso.

Akira non riusciva a prendere sonno. Erano ore che continuava a rigirarsi, sempre più aggrovigliata nella coperta che aveva scovata sul fondo di un armadio.

Quella notte aveva scelto come rifugio una vecchia scuola abbandonata.

Uno di quei licei come ne aveva visti tanti nella sua città e che lei stessa aveva frequentato, tanto tempo prima. Le sembrava quasi di vedere andare e venire per il corridoio studentesse in divisa, con le borse dei libri dotto il braccio, ridendo e chiacchierando allegramente tra loro. Le voci estenuate degli insegnati nelle aule, il rumore fioco delle auto che sfrecciavano sulla tangenziale.

Quanto tempo era che non indossava una divisa alla marinaretta, o che non si preoccupava più per una interrogazione?

Ma era solo un attimo, poi quei familiari miraggi svanivano e tornavano il vento, il buio e la paura.

Ma probabilmente lì non c’erano demoni.

Attraverso le crepe del muro entrava uno spiraglio freddo che le mordeva le mani.

Si raggomitolò più che poté, sul pavimento duro.

Inutile.

Si sedette e solo allora, accanto ai suoi piedi notò un piccolo libricino sporco e spiegazzato.

Lo raccolse, come se si fosse trattato di una cosa preziosa, e lo aprì, quasi in soggezione. Era un quaderno, o un diario.

Sulla prima pagina c’era scritto il nome della ragazza che aveva posseduto quell’oggetto.

Hiromi Higarashy

Terza classe, sezione due



Si sentiva quasi una profanatrice a leggere quelle pagine: se il diario fosse stato suo non sarebbe stata molto soddisfatta nell’apprendere che una perfetta estranea lo aveva letto.

Eppure, le serviva quella distrazione. Le serviva qualcosa che la riportasse vicina al suo passato, una fioca fiammella che le ricordasse quello che era stato…

La prima pagina era intestata con la data del primo Ottobre.

Ebbene si, aveva deciso di leggere. Probabilmente Hiromi era morta da tempo, e ora non si preoccupava più del suo diario.



Cosa sono questi sguardi cupi??

La scuola è iniziata e abbiamo un mucchio di compiti, ma in fondo se non ci fosse la scuola non avrei conosciuto nemmeno voi, amici miei! Per cui, bando alla malinconia e cerchiamo di vivere al meglio ogni giorno, come se fosse l’ultimo!!



Che bello, che bello!! Il sempai Hirai che mi piace tanto oggi mi ha sorriso.

Forse perché gli ho timbrato il biglietto in autobus?? Ad ogni modo, è veramente bello, il mio sempai, cosa devo fare per farmi notare da lui?

Magari potrei provare a cambiare taglio di capelli? Oppure… chissà, magari abbiamo qualche amico in comune? Devo proprio informarmi…

Sono proprio cotta, che stupida…!

Uffa, il professore sta guardando da questa parte, credo sia meglio chiudere qui, anche se non ho fatto altro che parlare del sempai…



Akira chiuse il diario con mani tremanti. La vista era appannata dalle lacrime, e non riusciva a leggere una parola. Era troppo doloroso continuare, non certo per l’argomento, ma per il peso dei ricordi che le aveva attraversato il cuore.

Una volta, prima che le venisse rubata l’adolescenza, anche lei si preoccupava delle stesse “sciocchezze” di Hiromi.

Si sentiva una stupida, ma non voleva che il passato di Hiromi venisse cancellato come era accaduto al suo: era facile dire ti ricordi? Ti ricordi come eravamo quando frequentavamo il liceo? ma quel ricordo ormai apparteneva soltanto a lei, non poteva condividerlo con nessuno. Invece, quelle pagine strappate, riempite di quella calligrafia ingarbugliata e di cuoricini, erano molto più concrete.

Erano sopravvissute al bombardamento, e a chissà cos’altro. Quella Hiromi doveva essere una forte.

Trasse a sé la borsa, e lo infilò in una tasca.

Deboli raggi opachi si insinuavano dalle fessure, illuminando l’ambiente di una luce grigiastra.

Era sorta un’altra mattinata.

Akira si mise in spalla le sue poche cose e uscì barcollando dalla classe, strizzando gli occhi nella luce del mattino.

Era ora di rimettersi in marcia.

Si alzò, togliendosi la polvere dagli abiti.

Nemmeno lei sapeva dove stava andando o cosa stesse cercando, solo di una cos’a era sicura: stava andando via da quel luogo pieno di ricordi troppo dolorosi per lei, si allontanava da quella che era stata la sua vita, anche se una parte del suo cuore continuava a ribellarsi a quella decisione.

Non aveva idea nemmeno di che giorno fosse.

L’importante era andare avanti, sempre e comunque, perché se si fosse fermata allora la disperazione l’avrebbe assalita e sopraffatta.

Uscì dall’edificio in rovina e si guardò intorno, cercando di scegliere la direzione da prendere. Decise di seguire quello che restava della strada almeno per un po’ e di cercare di procurarsi qualcosa da mangiare.

Akira era una ragazza di sedici anni e conosceva la crudeltà umana e i demoni malvagi nati da essi.

Viaggiando da sola aveva imparato a difendersi da quelle creature perfide, a procurarsi da mangiare e a non lasciarsi prevaricare dal prossimo.

Era cresciuta notevolmente, ma non di corporatura.

Era sempre stata piuttosto esile. I vestiti le ballavano addosso ad ogni passo ma non ci faceva caso. La giacca da soldato era appartenuta a suo padre, così come la medaglietta metallica che portava al collo. Suo padre era stato nell’esercito, prima di...

Il suo abbigliamento si completava con una canottiera, un paio di vecchi bermuda militari e anfibi. E il suo adorato basco sulle ventitré, come quello del Che del poster.

Aveva gli occhi e i capelli scuri, lo sguardo diffidente come quello di un gatto randagio.

Non si fidava di nessuno, non poteva permetterselo.

Infilata nella cintura dei pantaloni c’era una pistola, e aveva imparato a usarla alla perfezione, ma preferiva non usarla.

Anche quella era stata di suo padre, il quale le aveva sempre ripetuto di non usarla alla leggera, di cavarsela con le sue sole forze.

Quell’arma aveva un certo peso.

Con quella si poteva decidere la vita o la morte di qualcuno.

Con quella si diventava giudici, o almeno si aveva questa illusione.

Come quelli che avevano avuto l’occasione di fermare la guerra, ma non l’avevano fatto. Erano stati attratti irresistibilmente dalle loro nuove super armi, e avevano finito con l’esserne vittima.

Solo che avevano trascinato nella tomba con loro migliaia di innocenti.

Ogni volta che pensava a cose del genere, Akira si sentiva assalire da una profonda rabbia, ma ormai non piangeva più, aveva finito le lacrime.



--Uff, certo che questo primo capitolo è abbastanza pesante… scusate, non volevo deprimere nessuno, ma mi sono lasciata prendere la mano. Scusate ancora...










 
Continua nel capitolo:


 
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