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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Manga e Anime
Dalla Serie: One Piece
Titolo Fanfic: HIDE AND SEEK
Genere: Sentimentale, Romantico
Rating: Per Tutte le età
Avviso: One Shot
Autore: bitter-sweet galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 28/12/2006 18:32:16

Una festa, una notte che non finisce mai, un'isola deserte e due persone che si rincorrono, si nascondono e si comprendono.
 
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HIDE AND SEEK
- Capitolo 1° -

Ok, lo so. Sono in ritardo per augurare Buon Natale ma si sa come vanno le cose durante le feste: saluti e visita ai vari parenti, cene a non finire, tombolate e tutti i vari giochi. In due parole mi hanno fregata anche quest’anno. Comunque non importa. Auguro a tutti un Buon Natale (in ritardo) e, visto che ci sono, un Buon Capodanno colmo di spumante e panettone (più tutto il resto).

Passiamo alla storia (Era ora). L’idea mi è venuta leggendo per l’ennesima volta la storia LoveBelt. Centra molto poco con quella a dire il vero, ma diciamo che è stato preso spunto da una frase in particolare della storia.
Un piccolo regalo per queste feste. Spero che piaccia almeno un pochino.
P.s. Vi consiglio di leggerla con sottofondo l’ultimo CD dei Subsonica, il disco 2. Per me l’effetto è ancora meglio (ma io adoro i Sub).

Buona lettura


Hide and Seek

“Buon Natale!”

Urla, schiamazzi, brindisi e risate. Elettricità nell’aria. Odore di festa, di alcool, di felicità, di cibo e l’isola deserta, calda e silenziosa. Un’isola d’estate ma dalla sabbia finissima e bianca da poter sembrare quasi neve, anche se d’invernale non aveva nulla.

“Sanji ho fame.” Voce allegra e spensierata quella di Rufy il capitano, un po’ bambino -raramente- uomo adulto e serio. Sempre col sorriso sulle labbra, l’espressione felice, ma pronto a diventare serio e a combattere per i suoi amici e poi…stomaco gommoso, difficile -se non impossibile- da riempire.

“Pozzo senza fondo.” Un calcio che si abbatte sul capo del capitano. Sanji gli ringhia contro. “Devo sempre cucinare per un esercito con te.” Si accende una sigaretta, posa gli ultimi vassoi sulla spiaggia improvvisata a tavolo.

“Dai Sanji, è Natale…” Usop posa le ultime bottiglie, tutto è pronto, si può iniziare la festa.

“A Natale si è più buoni.” Robin scherza, un sorriso stiracchiato sul viso ma dolcezza e amore nello sguardo freddo e duro. Quello è il primo Natale da anni -molti, troppi forse- che passa con persone che può considerare come una famiglia.

Il cuoco svolazza in una scia di cuori e fumo verso di lei. “Hai ragione mia dolce Robin…” Si ferma dinanzi a lei, le prende una mano tra le proprie e s’inginocchia. “Ti regalo tutto me stesso mia regina.” Il fumo della sigaretta compone ghirigori d’amore nell’aria, i cuori assumono una vaga forma natalizia.

“Depravato.”

“Stupido bifolco. Taci che non sai nulla dell’amore che lega me e la dolce Robin.” Un ringhio iniziale rivolto allo spadaccino, che lento si andava ad accomodare attorno al banchetto, poi voce dolce rivolta alla ragazza.

“E mi tradisci così?” Nami, voce divertita, un occhiolino rivolto alla sorellona, si avvia a sedersi anche lei dinanzi al banchetto.

Sanji si scosta da Nico Robin e lacrime agli occhi si precipita dalla rossa navigatrice in cerca di perdono. “Nami-san, scusami.” Occhi a forma di cuore, mani congiunte. “Non volevo renderti gelosa.” Si getta sulla ragazza gridando il suo amore.

Un pugno lo ferma.

“Ripeto.” Zoro trangugia un bicchiere di vino, assiste allo scontro e ghigna dando voce ai suoi pensieri. “Depravato.”

“Come mi hai chiamato stupido spadaccino?” La sigaretta -finita- cade a terra. Le maniche della camicia tirate fin sopra i gomiti, lo sguardo arrabbiato. Nuovo scontro?

“Eddai ragazzi, non vorrete far lavorare Chopper anche oggi.” Robin riporta la calma. Chopper le sorride prendendo tra le zampine uno dei tanti manicaretti posti lì attorno.

“Dai che è Natale…” Rufy, bocca piena, mani occupate a racimolare cibo, parla senza prestare reale attenzione a ciò che gli capita attorno.

“Se dobbiamo essere precisi..” Usop si ferma un attimo. Forchetta a mezz’aria. “Natale è domani. O almeno dopo la mezzanotte.” Finisce il discorso e si porta il boccone alle labbra ricominciando a mangiare.

“Non importa.” Rufy non presta attenzione. Ingoia rumorosamente. “Buon Natale!”

Urla, gli altri sorridono di fronte alla sua innocenza e spensieratezza e non lo contraddicono.





* * *






“Ragazzi, ormai è ora.”

La voce di Nami ridesta tutti. Getta ancora uno sguardo all’orologio.

“10, 9, 8…”

I ragazzi si apprestano a prendere le bottiglie.

“…7, 6, 5…”

Le bottiglie vengono scartate, i bicchieri presi in mano pronti ad esser riempiti.

“…4, 3, 2…”

Si guardano negli occhi.

“…1.”

“Buon Natale!”

I tappi partono, gli auguri volano a tutti e a nessuno in particolare. Lo spumante cola nei bicchieri riempiendoli.

“Ecco, l’avevo detto io che è Natale.” Rufy sostiene la sua causa, nessuno dice nulla in contrario.

“Hai ragione capitano.” Nami batte una mano sul bordo del cappello facendolo scendere, a coprire gli occhi scuri del ragazzo. “Buon Natale.” Gli sorride dolcemente e gli porge un bicchiere colmo di vino.

Rufy lo accetta, si passa una mano sul cappello riportandolo al suo posto. Le sorride. “Buon Natale Nami.”





* * *





Il crepitio del fuoco ormai giunto al limite, una bottiglia -vuota- rotola sulla spiaggia, sospinta dal leggero vento, trovando appoggio ad un braccio del biondo cuoco. Moltitudini di mozziconi schiacciati tra la sabbia. Un tovagliolo di carta vola e il fuoco si spegne lentamente, colorando -ancora per poco- la sabbia bianca, giocando con le ombre ed i riflessi.

Il silenzio è calato, la notte è scesa inesorabile, accompagnando la lunga festa ora giunta alla fine, ed ora culla il sonno in cui sono caduti i giovani ragazzi, colmi di cibo, alcool e felicità. O almeno quelli che hanno ceduto al dolce abbraccio di Morfeo.

Un mugugno.

Rufy -nel sonno- si gratta la pancia tonda per poi tornare nella posa di prima.

Nami non può fare a meno di sorridere. Fissa ancora per un attimo le fiamme poi si alza e scalza s’incammina lungo la spiaggia bianca. La sabbia le solletica i piedi, i capelli svolazzano delicatamente ai lati del viso. Chiude gli occhi ed immerge i piedi nell’acqua del mare. Rabbrividisce appena, l’acqua è tiepida, il vento che sferza dolcemente sul suo corpo è fresco.

Un piacevole contrasto.

Cammina ad occhi chiusi, lasciandosi cullare dalla calma e dal silenzio dell’isola. Il vento le sussurra frasi, solo a lei comprensibili, nelle orecchie. L’odore di salsedine le entra nel corpo e lei non può fare a meno di respirarlo a pieni polmoni, una boccata d’aria fresca, un’aria conosciuta che l’ha sempre accompagnata fin dall’infanzia.

E la mente vola. Vola verso un ricordo gelosamente custodito nel suo cuore.

Bellmer.

Donna affettuosa, testarda, dolce e aspra, debole e forte al contempo. Forte nella sua debolezza. La persona più vicina alla figura di madre. L’aveva trovata e l’aveva accolta, lei e Nojiko. L’aveva amata, anche senza aver legami di sangue a legarle tra loro ed ora poteva affermare che non servivano legami effettivi per avere una famiglia. Aveva trovato una famiglia anni prima, poi l’aveva persa perdendo insieme ad essa la libertà a causa di un assassino. Un assassino che le aveva ucciso quella donna a lei tanto cara. C’era stato il dolore, la sofferenza e le lacrime. Poi, per caso, un gruppo di ragazzi capitanati da un ragazzino col cappello di paglia sul capo ed il sorriso sulle labbra l’aveva aiutata, donandole la propria terra -ora di nuovo libera-, restituendole la libertà ed offrendole una nuova famiglia. Un po’ strana forse, ma lei voleva bene a tutti senza distinzioni.

Volse lo sguardo al cielo. Sorrise alle stelle.

Sorrise per la sua fortuna. Aveva degli amici che le volevano bene almeno quanto lei ne voleva loro, anche se mai erano uscite quelle tre semplici parole -ti voglio bene- dalle sue labbra, ma l’aveva dimostrato. Quei ragazzi le facevano da famiglia, da fratelli, a volte padri gelosi, a volte confidenti o compagni di burle e giochi.

Ma…era felice?

Sì, no…forse.

A volte, il passato -quello più duro e spaventoso- tornava a galla, come in quel momento. Solo durante la notte, quando era sola, riaffiorava. Strinse le braccia attorno al corpo -un abbraccio gelido- ed una lacrima cadde lungo la guancia, solitaria.

“Le brave mocciose a quest’ora dormono.”

Una voce la raggiunse alle spalle.

Si asciugò velocemente il viso, si voltò. “Come mai un ghiro come te è sveglio?”

Lo vide scrollare le spalle. “Ci vuole qualcuno che stia attento.” Un ghigno divertito. “E poi non avevo molto sonno.”

“Strano, tu dormi ad ogni ora del giorno.” Lo canzonò voltandosi, proseguendo la sua camminata. Lo sentì seguirla.

Zoro camminava a qualche passo dietro di lei, le onde s’infrangevano sui suoi pantaloni arrotolati bagnandoli, lo sguardo perso in un punto indefinito del mare, le mani in tasca. Un lungo attimo di silenzio, le loro impronte che scomparivano con l’ennesima onda, poi una domanda o forse una presa in giro. “Non dirmi mocciosa che hai paura del buio..” L’aveva guardata di sottecchi, sicuro di vederla voltarsi verso di lui ed urlargli contro di tutto e di più, invece…l’aveva vista fermarsi ed irrigidirsi. Avrebbe giurato che stesse tremando. “Oppure..” Tentò di metterla a suo agio, non voleva vederla star male o, peggio, piangere -non lo avrebbe sopportato-. “Hai mangiato così tanto che speri che camminando tu riesca a smaltire tutto.”

Nami si voltò verso di lui, sguardo arrabbiato, una vena sulla tempia pulsava minacciosa. “Mi stai dicendo che sono grassa?” Un basso ringhio, velenoso.

“Stai facendo tutto da sola.” Zoro voltò di nuovo il capo verso il mare, la superò e sorrise. Un'altra delle loro liti in arrivo? Forse.

“Brutto energumeno insensibile.” Lo raggiunse con una piccola corsa. Un pugno che si abbatte sulla sua spalla sinistra. Un pugno scherzoso, dato dolcemente. Un ringraziamento, forse.

“Arpia.”

“Scemo.”

“Strozzina.”

“Scimmione.”

“Taccagna.”

La sentì tacere. Sorrise, forse quella era la prima volta che vinceva.

“Tre spade.”

Si voltò a fissarla, un sopracciglio levato verso l’alto, sguardo dubbioso. “A dire il vero era quattro spade.”

Risero divertiti. Che razza di discorsi che si mettevano a fare.

“Credo che la compagnia di Rufy ci stia mandando in pappa il cervello.”

“Il mio no di sicuro.” Nami lo guardò, sorriso biricchino sulle labbra. “Il tuo forse…” Assunse un’aria pensierosa, prossima mossa la sua. “…sempre se ce l’hai, s’intende.”

“Ma sentila.” La spinse appena, spalla contro spalla.

Lei gli restituì la spinta, gli fece una linguaccia. Poi tornarono a camminare immersi nel silenzio. Le onde che s’infrangono sulla battigia come unico sottofondo.

Camminarono a lungo, le impronte che venivano cancellate dietro di loro, il campo improvvisato che non si scorgeva più ormai, la luna che donava riflessi argentei al mare. La notte ancora regnava sovrana. Sembrava quasi non volersene più andare -eterna notte-. Camminavano fianco a fianco, immersi nei loro pensieri, immersi nel nulla se non nel silenzio e nel buio.

Un sospiro, una frase buttata lì a voler interrompere quell’oscurità donando un po’ do luce. “Che pace.” Nessuna risposta. Riprovò ancora ad interromper quel silenzio ora fastidioso, ricco di brutti pensieri. “È proprio una bella isola.” Si guardò attorno con non curanza, le sue vere intenzioni che rimanevano segregate nella sua testa.

“Già.” Lo spadaccino guardò la compagna. Aveva capito che voleva interrompere il paesaggio circostante, il perché però gli era ignoto. “Un paradiso.” La accontentò. Come sempre, lei ordinava e lui eseguiva come un soldatino. Si lagnava, la contestava, a volte si accapigliava con lei per la sua mania di dettar legge, ma alla fin fine eseguiva sempre i suoi ordini -viveva per obbedirle-.

“Ci sono poche isole come questa, siamo stati fortunati a trovarla.”

L’ordine era interrompere questo silenzio assordante, perché? “A parte il casino che abbiamo fatto ieri sera.” Avrebbe voluto chiederglielo. Lasciò perdere l’idea.

“Bhè…ieri era un’occasione speciale.” Gli sorrise.

Zoro ci pensò un attimo, poi annuì. “Vero.”

“Ho sempre ragione, io.” Sottolineò quell’io.

Altro giro, altra corsa. “Sì, sì…certo.” Era una lite quella che lei cercava? Gliel’avrebbe data. Era un uomo d’onore, non si sarebbe mai tirato indietro.

“Che vorresti dire?” Trappola scattata, lite in arrivo.

“Io?” Si puntò con l’indice fingendo stupore. “Nulla.” Portò le mani avanti sottolineando così quel nulla.

Lo guardò male. Rispondere o no? Scelse la seconda opzione. Non voleva litigare con lui in quel momento, stava bene così. Camminando fianco a fianco, parlando senza scannarsi -amici veri-, complici almeno in quell’occasione. Spostò lo sguardo tornando a guardare dinanzi a lei, le mani che si andavano ad intrecciare dietro la schiena.

Niente lite -peccato-, ma in fin dei conti andava bene anche così. Tornò a guardare il mare. Posò il braccio destro sulle spade -fide amiche-, scrutò l’orizzonte. Una striscia di luce chiara. L’alba si avvicinava.

“Zoro.” La voce della rossa lo scosse dallo stato pensieroso in cui era caduto, si voltò verso di lei aspettando che parlasse. “Buon Natale.” Un sorriso dolce, a tratti triste. O era solo una sua impressione?

“Buon Natale anche a te…” Aveva sperato che lei gli dicesse altro. Cosa però? Una spiegazione alla reazione di prima o forse -inconsciamente ci aveva sperato- che gli dicesse altro? “…strega.”

Nami mise il broncio. “Il solito buzzurro.”

“Hei.” Stizzito l’altro la riprese.

“Bhè, è vero. Potevi risparmiartelo quel strega.”

“È la verità.” Un ghigno perfido. “Le streghe hanno i capelli rossi, quindi..” Non finì la frase, sospesa in un limbo senza fine.

“Stronzo.” Una boccaccia, una linguaccia.

Litigare -il loro mondo ruotava attorno a quello-.


Un passo titubante. Lo scenario che cambia leggermente. Grandi scogli, dalla forma e grandezza diversa, sono accatastati l’uno accanto all’altro a ricoprire la fine sabbia per poi immergersi nel mare, creando una passerella naturale in mezzo ad esso. Il cielo, che lento cambia, tingendosi di rosa e arancione. L’alba sempre più vicina. Il buio che lascia spazio alla luce.

Scalarono gli scogli, attenti. Infine, raggiunta la sommità ripresero a camminare su di essi, eseguendo un percorso immaginario.

Un piede messo male. Il baricentro che si sposta e poi la caduta.

“Ahi.”

Zoro ride, le porge una mano che non viene afferrata. Nami si rialza lentamente, scocca un’occhiata di fuoco al compagno mentre si massaggia la parte contusa.

Un passo, un altro. L’ennesima caduta. Imprecazioni escono dalle labbra, verso lo scoglio, verso il compagno che ancora se la rideva, anzi, se possibile rideva più forte di prima.

“Certo che sei proprio una frana.” La guarda rialzarsi, la mano ancora tesa verso di lei -un aiuto non accettato-.

“Va all’inferno.” Risposta velenosa.

“Non ti preoccupare.” Zoro ritira la mano. “Ci andrò di sicuro.” Abbozza un sorrisetto sarcastico e prosegue il suo cammino, superandola. Si ferma all’improvviso, si volta e sempre col sorrisetto sulle labbra esclama. “Non prima di te però.”

Nami lo raggiunge e con nonchalance lo spintona, l’intento di farlo cadere, poi prosegue senza degnarlo di una risposta.

Gli orecchini di Zoro tintinnarono tra di loro, ma lui non cade. La segue in silenzio. Fissa la sua schiena, la chioma rossa che ora, con l’alba che avanza, assume sfumature mai viste prima. La osserva muovere passi incerti sulle rocce. Gli tornò in mente la strana reazione che aveva avuto solo un’ora prima. Non sapeva spiegarsi il motivo, ma ora voleva sapere il perché. Voleva aiutarla, sentiva il bisogno di aiutarla. Per una volta voleva essere -solo- lui ad aiutarla, qualunque cosa la tormentasse.

Egoista. Sì, si sentiva egoista in quel momento ma non gli importava.

Aprì la bocca per parlare, la richiuse serrando le labbra. Non per rimorso di coscienza, quello sarebbe arrivato solo dopo, quando avrebbe guardato i loro amici negli occhi, cosciente di esser stato egoista verso tutti. Il problema ora era come attaccare il discorso. Non era tipo da giri di parole. Lui diceva le cose come stavano, andando dritto al sodo. Ma in quella situazione non gli sembrava proprio il caso, conoscendola, alla sua domanda si sarebbe racchiusa in se stessa, inventandosi scuse, inveendogli contro e magari anche pestandolo a sangue. Poteva usare la forza, costringerla. La guardò. No, voleva che fosse lei a parlargli. Non voleva che si sentisse costretta a confidarsi con lui, doveva essere lei ad iniziare il discorso -aprirsi a lui-.

“Certo che abbiamo passato un Natale alquanto insolito.” Attaccò discorso, guardandola appena. Sorrise, aveva attirato la sua attenzione.

“Perché?” Non si voltò, troppo presa a cercare di mantenere l’equilibrio.

“Sì, dai…” Si prese una pausa. Ponderò le parole. “Di solito c’è la neve ed il freddo. Qui invece c’è il sole e il caldo.” Parlò con noncuranza, il tono quasi annoiato.

“È un’isola d’estate questa.” Barcollò. Mantenne l’equilibrio per pura fortuna. “Lo sai anche tu che tutto è possibile nel Grand Blue.” Si voltò verso il compagno. “Abbiamo trovato un’isola d’inverno prima di Alabasta.”

“Vero.” Annuì fermandosi a sua volta. Un passo e avrebbe potuto toccarla. “E un’isola preistorica con dei giganti.”

“E l’isola del cielo.” Nami gli voltò le spalle. Non si mosse. “E poi qui si sta bene.” Lo sguardo perso verso l’orizzonte. “A te non piace stare qui?”

“Non è quello.” Si sentiva in imbarazzo. L’ultima frase, detta in tono dolce, l’aveva spiazzato. “Dico solo che è insolito.” Non lo diede a vedere. Brutta bestia l’orgoglio.

“L’importante è essere assieme alle persone care…” Una pausa. “…la propria famiglia.” Voltò il capo, sbirciando da sopra la spalla lo spadaccino. “Giusto?” lo vide annuire appena col capo, gli sorrise, poi tornò a camminare senza più prestargli attenzione.

Zoro la seguì come un’ombra, le sue parole gli ronzavano in testa mischiandosi ad altri pensieri, confondendolo ancora di più di quanto già non fosse. Ora era sicuro che ci fosse qualcosa che non andava. La reazione inusuale, le parole dette, il sorriso -strano- che gli aveva rivolto. Qualcosa la turbava ed ora lui voleva sapere a tutti i costi cosa. Voleva vederla felice -avrebbe dato la vita per lei-, non voleva vedere nemmeno l’ombra della tristezza sul suo viso, -anelava i suoi sorrisi felici-. Ma come fare?

La vide barcollare ancora, la vide cadere verso il basso. Protese le braccia verso di lei -istintivamente- e l’afferrò prima che potesse toccare il suolo. “L’ho detto io che sei una frana.” L’aiutò a recuperare l’equilibrio e ridacchiò all’occhiata di fuoco che lei gli scoccò.

“Non è colpa mia se si scivola.” Non lo ringraziò. “Vorrei proprio sapere come fai tu a non scivolare.”

Zoro fece spallucce. “Devo avere più equilibrio di te.” La superò, mani in tasca. Ghigno sulle labbra. “O forse tu sei ubriaca ma non vuoi ammetterlo.”

“Non sono ubriaca.” Lo seguì maledicendolo mentalmente. “Lo sai che reggo l’alcool forse anche meglio di te.”

“Sì, certo.” La canzonò pronto all’ennesima lite.

“Ti ricordo che a Whisky Peak sei crollato prima di me.”

Amo lanciato. Il pesce ha abboccato. “Ti ripeto che quella volta non ho fatto sul serio.”

“Tutte scuse.”

Si fermarono. Erano giunti alla fine di quella passerella di scogli. Nami sul bordo a scrutare il mare al di sotto, Zoro un paio di passi più indietro, lo sguardo perso nel vuoto. “Pensala come vuoi.” Spostò lo sguardo al cielo. Alcune stelle ancora brillavano, l’alba sempre più vicina.

“Tra poco sorgerà il sole.”

Fissarono l’orizzonte in silenzio. Uno spettacolo che mai li avrebbe annoiati anche se di albe ne avevano viste a centinaia e ne avrebbero viste altrettante tante.

Un pensiero passò veloce nella testa dello spadaccino. Presto il resto della ciurma si sarebbe svegliata e lui non sarebbe più riuscito a sapere cosa assillava la mocciosa. Doveva agire ora, il tempo passava troppo velocemente. Il come ancora non lo sapeva. L’osservò ed un’idea -bizzarra e forse stupida- gli venne in mente. Il più silenziosamente possibile posò le spade a terra, sfilò la maglietta bianca gettandola sopra di esse e le si avvicinò. Lei voleva farcela da sola, più che giusto. Lui per primo si trovava d’accordo con quel concetto, ma a volte -poggiarsi a qualcuno- si ha bisogno di qualcuno accanto, che ci aiuti o anche solo che ci rimanga accanto silenziosamente e lui voleva farle capire che c’era.

La spinse e rimase a guardarla cadere tra le acque. Il primo passo era stato fatto. Sospirò, ora toccava alla parte più difficile. Si tuffò a sua volta.

Riemerse tenendo tra le braccia la sua amica che ora strepitava contro di lui.

“Ma che diavolo ti salta in mente?” Tossì più volte. “Volevi uccidermi?” Sbraitò indemoniata, un pugno andò a segno sul capo del ragazzo.

“Avrei potuto farlo.”

“Cosa?”

“Ma non l’ho fatto.” Scosse il capo teatralmente. “Deve essermi andato in pappa il cervello per non averti lasciato affogare.”

“Ti ricordo che mi hai buttato tu in acqua, quindi come minimo mi devi salvare.” Un altro pugnò, più leggero ma ugualmente doloroso, lo colpì ancora sul capo.

“Come se non l’avessi mai fatto.” Allentò un po’ la presa alla vita della ragazza, continuando però a tenerla accanto a se. “Ogni volta che tu ti cacci nei casini sono io che ti salvo il sedere.”

“Non vorrai dirmi che una fanciulla indifesa come me deve arrangiarsi.” Il tono incredulo, lo sguardo fisso in quello del ragazzo.

Fanciulla indifesa?” Zoro la fissò sarcastico. “Tu?”

“Qualcosa da ridire?” Gli tirò un orecchino facendolo imprecare.

“No, niente di niente.” La guardò truce mentre scioglieva la morse che l’imprigionava per potersi massaggiare l’orecchio.

“Ora vuoi dirmi perché l’hai fatto?” Zoro non le rispose. Rincarò la dose. “Allora?”

Ponderò le parole, cercando di trovare quelle più adatte. Non le trovò. “Per farti capire.”

“Cosa?” La navigatrice lo rimbeccò acida.

“Che non puoi fare tutto da sola.”

“Di che diamine stai parlando?” Lo guardò dubbiosa. Non riusciva a seguirlo.

“Del fatto che cerchi di fare tutto da sola senza l’aiuto di nessuno.” Quasi si metteva a gridarle addosso. Possibile che non capisse?

“Ripeto, non capisco di cosa tu stia parlando.” Lo schizzò con un po’ d’acqua.

Zoro la fissò. Non capiva a parole, allora glielo avrebbe fatto capire con i gesti. Mollò completamente la presa attorno alla sua vita.

“Razza d’imbecille.” Si aggrappò alle sue spalle, circondandogli il collo con le braccia.

“Vedi?” La strinse di nuovo a se. “Non puoi fare tutto da sola.” Addolcì il tono della voce. “Ogni tanto devi anche tu aggrapparti a qualcuno.” Cominciò a nuotare verso gli scogli. L’aveva sentita tremare, non sapeva se per il freddo o se per le sue parole, ma era meglio uscire dall’acqua. E poi ormai il sole era quasi sorto del tutto. Era ora di tornare dagli altri, e anche se non sapeva cosa la tormentava, almeno era riuscito a farle capire che lui -per lei- c’era. Sempre.

S’issò aiutandola a fare altrettanto. Non aveva ancora aperto bocca, la sua frase doveva averla completamente spiazzata.

Raggiunse le sue cose e dopo essersi appeso le spade al fianco destro, le lanciò la sua maglia. “Tieni, mettila pure.” La guardò infilarsi il capo. “Torniamo dagli altri, ormai si staranno svegliando.”

S’incamminarono ripercorrendo a ritroso la strada fatta solo poco prima. Lui davanti, lei dietro di lui in silenzio, il capo chino verso il basso. Le sue parole che ancora le ronzavano in testa. Lo vide tenderle una mano per aiutarla a scendere dagli scogli. Allungò titubante una delle sue, indecisa e riluttante. Alla fine la poggiò su quella del ragazzo che la strinse dolcemente in una morsa ferrea e l’aiutò a scendere.

Posarono i piedi sulla sabbia bianca e soffice, le mani si sciolsero. “Grazie.” Zoro le sorrise poi senza dire altro proseguì e lei lo seguì. Le onde lambivano loro le caviglie, il silenzio regnava sovrano interrotto ogni tanto dal cinguettio di qualche uccello.

Camminava immersa nei suoi pensieri. Si strinse le braccia attorno al corpo, la maglia di Zoro le donava calore anche se ora era bagnata in più punti. Alzò lo sguardo fino a posarlo sulla figura che, solo due passi davanti a lei, camminava con le mani sprofondate nelle tasche. Scontroso e scorbutico, uomo d’onore e pieno di risorse. L’aveva stupita più di una volta ed anche quel giorno l’aveva stupita e le aveva mostrato un altro lato del suo carattere nascosto. E in più le aveva fatto capire che lui c’era sempre per lei, qualunque cosa accadesse.

Fece una pazzia, sicura che lui l’avrebbe capita ancora una volta.

Lo raggiunse e l’afferrò per il braccio sinistro, costringendolo ad estrarre la mano dalla tasca. Si fermarono, uno affianco all’altro. Zoro guardò la rossa in cerca di una spiegazione per quel gesto. La vide a capo chino, la mano ancora ancorata al suo braccio. Sbuffò, fingendosi scocciato e riprese a camminare, ma fece in modo di prendere tra la sua mano -grande e dal palmo ruvido- quella -piccola e morbida- di lei, intrecciandone le dita.

Nami lo seguì, il capo chinato verso il basso, il sorriso sulle labbra. L’aveva capita ancora una volta. Voltò il capo verso il sole ormai sorto. Sentì la presa attorno alla sua mano rafforzarsi per un attimo, senza farle male. Guardò stupita Zoro che però mantenne lo sguardo fisso dinanzi a se. Stette a quel gioco insolito. Strinse la presa attorno alla mano, poi guardò anche lei davanti a se.

“Non credevo che tu avessi paura del buio.” Zoro la canzonò facendo riferimento ad una delle prime battute che avevano avuto. Intenzionato a capirne di più.

“Io non ho paura del buio.”

“Bhè, pensavo che, visto che sei una mocciosa, tu avessi paura anche del buio.” Continuò a canzonarla sperando in una sua reazione.

“Scemo.” Strinse la presa attorno alla sua mano, intenzionata a fargli male. “Ti ripeto che non ho paura del buio.”

“E allora spiegami.”

“Cosa?” Lo guardò.

“Perché prima, quando te l’ho chiesto, ti sei irrigidita e tremavi.”

Nami si fermò costringendo Zoro, ancora allacciato a lei, a fare altrettanto. “Non è vero.” Cercò di mantenere la voce ferma.

Zoro inarcò un sopracciglio scettico e la fissò negli occhi. “Come no, magari mi vieni a dire che avevi freddo.”

“Poteva essere.” Cercò di sciogliere la presa delle mani. “E poi non sono affari tuoi.”

“Perché?” Domandò con rabbia, stringendo la presa, non lasciandola andare.

“Perché non capiresti.”

La strattonò, la rabbia cresceva. “Come fai a dire che non riuscirei a capire se non mi dici cosa hai?”

“Perché so che è così.” Riprovò a liberarsi. “Lasciami.”

“No.”

“Lasciami Zoro.” Lo fissò con rabbia. “Ho detto lasciami.”

Ma Zoro scosse il capo. “No.” Addolcì ancora una volta il tono della voce. “Non ti lascio sola.”

Una lacrima scivolò sul volto di Nami. “Perché?” Non provò più a sciogliere la presa.

“Perché voglio che tu ti sfoghi.” Si avvicinò a lei. “Voglio che tu divida il peso che porti sulle spalle con me.” Le asciugò la lacrima.

“Non posso.” Abbassò lo sguardo ma non si scostò.

“Guarda che io sono forte.” Scherzò. “Non sarà un peso in più a piegarmi.”

“Stupido.”

Zoro sospirò. Le afferrò dolcemente il mento con due dita e alzò il viso di lei verso il suo per poterla guardare negli occhi. “Non sto scherzando Nami.”

“Io…” Tentennò, insicura, indecisa.

Zoro le lasciò il mento per poi posarle una carezza -rude ed impacciata- sul viso. “Non importa.” Si allontanò di un passo da lei. “Non voglio costringerti a fare nulla che tu non voglia. Andiamo ora.” Le voltò le spalle, sciogliendo la presa delle loro mani ancora intrecciate.

“Zoro.” Lo trattenne riallacciando le loro mani. Non voleva lasciarlo. Aveva bisogno di lui. Solo ora l’aveva capito. I loro sguardi s’incontrarono ancora. Si scrutarono, chi in cerca di risposte, chi cercando il coraggio per ammettere il proprio bisogno di aiuto, di avere qualcuno accanto -qualcuno che la sostenesse- nei momenti bui. “Ci sono…” La voce le tremava, la gola secca. “Ci sono cose che ogni tanto tornano a galla.” Abbassò lo sguardo stringendo più forte la mano, alla ricerca di sostegno, alla ricerca della forza per continuare a parlare.

“Il passato non si può cancellare.”

Nami lo guardò ancora, intimamente stupita. “Lo so.” L’aveva capita ancora una volta.

“Farà sempre parte di noi, Nami.” Parlava con convinzione, dolcezza e decisione nel tono della voce. “Non possiamo cancellarlo e non doviamo.” Prese una pausa, sospirò. “Anche se è stato duro e cattivo è grazie a quello che oggi siamo così.”

“Non sto rinnegando il passato, anche se certe volte vorrei aver avuto un infanzia normale…una madre accanto.” Una lacrima rotolò, lenta e salata. “L’ho superato ormai, o almeno, credevo di averlo fatto. Ma…” Un'altra lacrima seguì la prima.

Zoro le si avvicinò e l’abbracciò teneramente, facendole posare il capo sul proprio petto.

“La notte, quando sono sola, torna a galla. Spaventoso e crudele ed io…” Singhiozzò. L’abbracciò ricambiando la stretta, sprofondò di più il capo nel suo petto, sfogando le lacrime, bagnandogli la pelle, cercando calore e protezione.

Lo spadaccino la cullò, passandole ripetute carezze tra i capelli rossi, sussurrandole parole di conforto -perché odiava vederla così-. Rimasero così, mentre i singhiozzi si placavano e le lacrime si asciugavano grazie a mani e parole che la consolavano. Infine Nami alzò lo sguardo richiamando così l’attenzione di Zoro.

“Avevi ragione.”

“Su cosa?”

“Sulla questione del buio.” Appoggiò il capo sulla sua spalla, chiudendo gli occhi, assaporando il suo calore, il suo odore e le carezza tra i capelli che lui ancora le faceva. “Ho paura del buio.” Lo ammise con leggerezza, l’orgoglio svanito come neve al sole.

“Io ho sempre ragione mocciosa.” La prese in giro ricevendo in cambio un sorriso e un leggero schiaffo sul braccio. “Comunque…” Riprese un tono serio, aumentando la stretta attorno al corpo di lei. “In qualunque momento. A qualunque ora del giorno e della notte, vieni da me.” Ridacchiò piano. “Non sono chissà chi, lo so bene. Sono scorbutico e dormiglione, irascibile e scontroso la maggior parte delle volte.” La sentì ridacchiare piano, sorrise. “Ma se hai bisogno, vieni da me. Non ti lascierò, mai.”

“Ne terrò conto.” Si accoccolò meglio sulla sua spalla. “Zoro.”

“Mhm?”

“È bello.” Lo guardò. “Potersi appoggiare a qualcuno.” Vide Zoro sorriderle. Ricambiò.

“Andiamo.” Le passò un ultima carezza sul capo. Poi sciolse la presa cominciando ad incamminarsi.

Nami lo seguì, intrecciando di nuovo le loro dita, sorridendo felice. Guardò il cielo coprendosi gli occhi con una mano. Il sole era alto ormai. Le onde che ancora bagnavano loro le caviglie. “Sì, quest’isola è proprio strana.” Esordì alla fin fine.

“Perché?”

“Io che mi confido, tu che fai il dolce.” Spiegò sorridendogli.

“Non ti ci abituare.”

“Cosa?” Lo guardò stupita non capendolo.

Lui sciolse la presa, un ghigno perfido sulle labbra. La schizzò calciando l’acqua, bagnandola.

“Zoro.” Cercò di ripararsi inutilmente. “Ora ti uccido.”

Lo rincorse lanciandogli maledizioni. Nulla era cambiato nel loro rapporto. Ridevano, scherzavano, battibeccavano come sempre. Tutto come prima, però ora avevano la consapevolezza di essere più vicini. Il resto sarebbe venuto da se, più in avanti, forse.



 
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