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Categoria: Manga e Anime
Dalla Serie: Fullmetal Alchemist
Titolo Fanfic: LE OMBRE DI ISHIBAL
Genere: Drammatico
Rating: Per Tutte le età
Autore: olivera galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 24/12/2006 11:24:41

Un'altra storia dello svitato Olivera. Un alchimista di stato viene catturato dai ribelli durante la rivolta di Ishibal e decide di cambiare bandiera
 
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IO, ALCHIMISTA DI STATO
- Capitolo 1° -

IO, ALCHIMISTA DI STATO


Arrivai al campo alle prime luci dell’alba a bordo di un camion, assieme ad altri sei alchimisti e ad una decina di soldati.
Ci fermammo nella piazza centrale e finalmente potemmo sgranchirci le gambe dopo più di sette ore di viaggio; uno dei soldati si accese una sigaretta, un altro se ne andò in compagnia di alcuni amici, altri si diressero verso la mensa nella speranza di rimediare un caffè caldo che riscaldasse un po’ le ossa. Faceva piuttosto freddo, forse una decina di gradi sopra lo zero; l’accampamento era avvolto da una nebbia sottile e spirava un leggero vento da ovest.
Avvertivo una strana sensazione dentro di me, uno strano mescolarsi di ansia e smarrimento. Ero stato informato solo due giorni prima della mia destinazione, e anche se ultimamente non si sentiva parlare d’altro non nascondo che il fatto di dovermi recare proprio laggiù non mi piaceva molto.
Ma d’altronde gli ordini erano ordini, e io non ero certo nella posizione di avanzare pretese, soprattutto vista l’atmosfera di tensione che da diversi mesi imperversava in tutta la zona orientale.
Avvertii una fitta alla gamba sinistra, come era naturale nei giorni freddi, quando l’umidità si insinuava sotto la divisa blu mare che indossava.
Mi ricomposi immediatamente quando due soldati semplici mi si fecero innanzi.
<<Il Capitano Glasnet?>> chiese uno
<<Sì, sono io>>.
Quelli allora si misero sull’attenti e mi salutarono con rispetto.
<<Il Generale la attende nella tenda di comando>>.
Il Generale. Un uomo che incuteva terrore semplicemente a stargli vicino. Lo avevo incontrato solo una volta, due anni prima, durante la consegna dei titoli. Quella pelle scura, quella testa completamente rasata, quei baffi così pronunciati, e soprattutto quegli occhi carichi di un non so che di perfido, di puramente malvagio. Ringraziai la sorte per essere stato assegnato a East City, il più lontano possibile da lui.
Il Fhurer era stato molto generoso con me e con i miei compagni, assegnandoci ai comandi più vicini alle nostre zone di origine. O forse era stato solo per l’influenza di mio padre, che certamente si trovava da qualche parte in quel campo, o forse in quello più a nord. Fatto sta che per tutti i due anni dalla mia nomina avevo sempre servito sotto di lui; dapprima mi aveva affidato dei semplici lavori di ufficio, ma col tempo avevo avuto la possibilità di mostrare le mie doti, di cui lui, inevitabilmente, si vantava con gli altri ufficiali.
Entrai nella tenda di comando al seguito dei due soldati che mi avevano avvicinato; era semibuia, illuminata solamente da una lanterna appesa al soffitto, sull’incrocio delle aste. Al centro si trovava un tavolo rettangolare con delle carte accatastate, attorno al quale erano radunati alcuni ufficiali. Appesa alla “parete” c’era una piantina della città, con le varie direttrici di sfondamento. A quanto pare Ishibal era stata completamente circondata. La zona a ovest e quella a nord erano bloccate dalla presenza degli accampamenti, a sud e ad ovest invece erano state scavate trincee e posizionate numerose unità corazzate. Ciò nonostante i suoi abitanti si ostinavano a combattere con una determinazione che non avevo mai visto in nessun altro campo di battaglia in cui mi ero trovato. Ormai quasi tutto il territorio dell’ovest era stato messo a ferro e fuoco, e i ribelli arrestati, ma questo non era sufficiente per sfiancare la resistenza degli Ishibaliani.
Non appena i due soldati mi annunciarono sette paia di occhi si focalizzarono sulla mia persona, e dovetti usare tutto il mio autocontrollo per non essere distrutto da quegli sguardi. Mi fissavano severamente, sicuramente mi stavano studiando da cima a fondo, sezionandomi come una cavia da laboratorio. C’era anche lui, il Generale; li sovrastava tutti di almeno tre dita, e questo non faceva altro che accrescere il mio timore nei suoi confronti. Il suo sguardo in particolare mi metteva addosso un terrore senza fine; se lo meritava proprio il soprannome di Alchimista di Ferro e Sangue.
Riuscii a riacquistare il contenimento solo dopo alcuni secondi porgendo a tutti il mio rispettoso saluto.
<<Capitano Thomas Glasnet a rapporto>>.
Quelli rimasero in silenzio, alcuni ridevano sotto i denti vedendo la tremarella che mi aveva preso. Fu proprio il Generale Gran a parlare per primo.
Mi si avvicinò e mi girò attorno un paio di volte, mentre io a stento riuscivo a mantenermi cosciente.
<<La tua fama di precede, giovane Glasnet. O dovrei chiamarti col tuo nome in codice. L’Alchimista del Fulmine>>.
L’Alchimista del Fulmine. Era questo il nome in codice che mi era stato affibbiato all’inizio del mio mandato, un nome che molti conoscevano visto che era stato di mio padre prima che lui lasciasse la carica di Alchimista di Stato.
<<Ho sentito molte cose sul tuo conto, Alchimista del Fulmine.>> proseguì il Generale Gran <<Sembra che tu sia particolarmente bravo.>>
<<Faccio quello che posso, Signore.>>
<<Avrai modo di dimostrarmi se la tua fama è giustificata>>.
Il Generale prese una cartella e cominciò a sfogliarla.
<<Adamath, Lezin, Ethan. Alcuni dei criminali più ricercati del paese sono stati arrestati da te. Il tuo stato di servizio è assai brillante>>.
Tutti quei complimenti mi mettevano a disagio, e poiché sapevo che il Generale Gran non era il tipo da simili discorsi già mi preparavo alla sua stoccata, che non si fece attendere.
<<Qui leggo testualmente, dimostra poca inclinazione all’uccisione del nemico. Sarebbe a dire che lasci in vita coloro i tuoi avversari?>>
<<Cerco di non essere costretto a fare il contrario.>>
<<E ad oggi quanti dei tuoi nemici sono morti?>>.
Avevo una paura matta. Sapevo benissimo che se avessi detto la verità quell’uomo mi avrebbe fatto a pezzi. Ma d’altra parte, sicuramente lo sapeva già, e attendeva solo l’occasione buona per mettermi in ridicolo davanti a tutti quegli ufficiali.
Pregavo un dio qualsiasi perché venisse a cavarmi da quell’impiccio, e non so per quale miracolo l’aiuto arrivò.
Dapprima si udì un sibilo, poi una violenta esplosione e subito dopo alcune raffiche di mitra.
<<Signore!>> disse un soldato irrompendo nella tenda <<Il nemico attacca l’accampamento!>>
<<E non siete in grado di respingere da soli un gruppo di miseri campagnoli?>>
<<Il fatto è che sono equipaggiati con alcune armi pesanti.>>
<<Armi pesanti?>> gridò il generale andando su tutte le furie <<E si può sapere chi diavolo gliele ha fornite?>>.
Altro che armi pesanti. Gli Ishibaliani avevano schierato un vero e proprio arsenale. Due venti millimetri mobili montate su dei vecchi carri di legno, due Moss 44 a canna lunga calibro 30 da mille colpi ognuna, tre lanciagranate F 51 a media gittata e una nutrita quantità di bombe incendiarie. Ognuno dei circa cento nemici aveva a sua disposizione un mitra calibro 12 e alcune bombe a mano.
Se fosse dipeso dagli armamenti, gli Ishibaliani con quello che avevano sarebbero stati in grado di spianare mezzo accampamento, ma il modo in cui erano schierati sul campo denotava una conoscenza molto approssimativa delle strategie belliche.
Le venti millimetri erano appostate sul fondo di una piccola buca, il che limitava la loro capacità di tiro ad altezza del terreno; i lanciagranate erano nascosti dietro ad una roccia, al sicuro dalle raffiche nemiche e protette da un buon fuoco di copertura, ma il tiro era impreciso e solo di rado andava a segno. Infine i tiratori armati dei mitra Moss 44 si erano acquattati dentro ad una trincea strappata al nemico ma le raffiche che sparavano erano così veloci che era difficile per dei contadini manovrarle decentemente.
Ciò nonostante il fuoco che ci stavano scagliando addosso era pesantissimo; i nostri uomini, appiattiti sotto le trincee che avevano scavato durante la notte, non riuscivano a sporgersi per rispondere al fuoco, mentre il tiro impreciso dei calibro 30 nemici impediva di avvicinare i lanciagranate quel tanto che bastava per permettere di sparare.
Il Generale e io, assieme a tutto lo stato maggiore, andammo in tutta fretta nella zona del conflitto, dove già si stavano ammucchiando i primi cadaveri e si portavano via i feriti. Gran sembrava sul punto di esplodere.
<<Che diavolo state aspettando?>> gridò imbufalito ai piloti dei mezzi cingolati <<Portate qui quei dannati carri e spianategli il culo!>>.
Se Gran avesse attuato quello che immaginavo avesse in mente, la battaglia si sarebbe trasformata in una carneficina paurosa. Dovevo fermarlo. Era mio dovere fare qualcosa per evitare che cento uomini valorosi venissero massacrati dalla furia omicida di quell’uomo.
Presi un bastone, vi attaccai un pezzo di stoffa bianco e mi incamminai verso l’uscita del campo delimitata dalla palizzata in legno.

 
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