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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Manga e Anime
Dalla Serie: Slam Dunk
Titolo Fanfic: BABY
Genere: Sentimentale
Rating: Per Tutte le età
Autore: kgchan galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 06/01/2003 21:12:06 (ultimo inserimento: 23/06/03)

una vecchia fiamma di kaede, nonché grande amica di ayako, torna in città con una novità. una grande novità.
 
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VECCHI RITORNI E NUOVI ARRIVI
- Capitolo 1° -

Disclaimers: i personaggi appartengono a Takehiko Inoue eccetto Yuriko, Keiko e la sua famiglia.
Note: tra le virgolette singole ‘…’ ci sono i pensieri; tra le virgolette doppie “…” ci sono i discorsi.

P.S.: I ragazzi sono in seconda; il nuovo capitano del club di basket dello Shohoku è Miyagi; Akagi e Kogure sono all’università, mentre Mitsui è ancora al liceo perché è stato bocciato.

Baby

- 1° capitolo -

‘Anche oggi Miyagi ci ha fatto sudare sette camicie agli allenamenti. Pensavamo che come capitano Akagi alle volte fosse duro, ma accidenti… Miyagi è molto peggio. Non che la cosa mi spiaccia troppo. Io adoro il basket. È tutta la mia vita. O almeno, quello che ne rimane.’
Rukawa stava tornando a casa con questi pensieri in testa.
L’ultimo pensiero gli riportò alla memoria ricordi lontani. Capelli castano scuro lunghi fino a metà schiena; pelle olivastra; una risata argentina che ancora, alle volte, gli riecheggiava nelle orecchie; grandi occhi marroni, tanto scuri da rasentare il nero; quegli occhi capaci di esprimere da soli un universo d’emozioni. Li ricordava perfettamente. Quando ridevano, quando erano seri, quando erano felici, colmi di desiderio, sempre sinceri. E quell’ultima immagine, più chiara di tutte. L’ultima che aveva visto. Occhi pieni di lacrime mentre lo lasciavano.
In quel momento il ragazzo era appena entrato in casa. A quel ricordo non poté fare a meno di appoggiarsi ansimante con la schiena alla porta. Non era per la stanchezza che aveva bisogno di un appoggio. Era il dolore. Il dolore per quei ricordi così vivi in lui, nonostante fosse passato un anno.
Silenziosamente si diresse al piano superiore della villa, in camera sua. Dopo essersi chiuso la porta alle spalle mise la cartella sulla scrivania e si sedette sul letto con la schiena contro il muro. Immobile. Cercando di riprendere il controllo su se stesso e soprattutto sulle emozioni che lo stavano avvolgendo. Lo sguardo basso.
Per alcuni secondi la vista gli si appannò. Chiuse gli occhi cercando di schiarirla e sentì qualcosa cadergli sulle mani intrecciate in vita. Aprì gli occhi e le vide. Due gocce. Calde. Salate. Amare. Come amari erano i suoi pensieri. Se le asciugò sui pantaloni e con la manica della divisa si asciugò gli occhi e le guance.
Stava piangendo. Da quanto non lo faceva? Non ci mise molto a calcolarlo. Era da un anno. Dal giorno in cui era stato lasciato.
Già. L’idolo delle ragazze, il campione di basket, colui a cui le ragazze della sua scuola avevano dedicato un fan club, colui che ogni giorno era attorniato da una miriade di ragazze pronte a tutto pur di riuscire a mettersi con lui era stato mollato. Senza una spiegazione razionale.
Ed ora eccolo lì. Ad un anno di distanza, a piangersi ancora addosso.
Chissà le risate che si sarebbe fatto quell’idiota dalla cresta rossa. Probabilmente si sarebbe messo a fare i salti mortali dalla gioia di vedere l’iceberg per eccellenza ridotto ad uno straccio. E tutto per una ragazza.
Un rumore al piano di sotto lo fece tornare in sé. Sua madre era tornata. Finì di asciugarsi le lacrime, si cambiò, e andò a lavarsi il viso prima di scendere.
“Ciao Kaede. Com’è andata la scuola oggi?”
“Come al solito.”
Yuriko Rukawa era ormai abituata al comportamento del figlio, ma quel giorno le sembrava particolarmente freddo. Per un secondo incrociò lo sguardo con Kaede, che si affrettò a girarsi. Ma la madre ormai aveva già visto e capito. Quegli occhi rossi erano più che eloquenti.
‘E’ passato già un anno, e tu tesoro non hai ancora dimenticato, vero?’ la donna pensò soltanto questa frase. Non riusciva a dirla. Non avrebbe sopportato di vedere ancora il figlio fare finta di niente e dire che tutto andava bene nonostante lui dentro si sentisse affogare nella disperazione.
Perciò, come ormai ogni volta, fece finta di niente e iniziò a parlare al figlio di come le era andata la giornata al lavoro.
Kaede seduto sul divano, come ogni volta, ringraziò mentalmente la madre per non avergli fatto domande.

Il giorno seguente al liceo Shohoku.
Ayako stava percorrendo il cortile per andare in palestra.
Qualcosa, o meglio qualcuno, attirò la sua attenzione.
Una ragazza. Capelli castano scuri lunghi fino a metà schiena. Pelle olivastra. Occhi quasi neri. Possibile?
Le si avvicinò e a poco a poco il dubbio divenne certezza.
“Keiko?!” c’era stupore nella voce.
La ragazza, sentendosi chiamare, si voltò. “Ayako?!” anche lei sembrava alquanto stupita.
“Che ci fai tu qui?”
“Frequento questa scuola. Anche tu vedo.”
“Già.”
Si continuavano a guardare negli occhi ancora incredule. Poi sorrisero e si abbracciarono con calore.
“Come sono felice di vederti Keiko.”
“Anch’io sono felice di vedere te dopo tutto questo tempo.”
“E’ passato un anno.”
“Già.”
“Perché non ti sei più fatta sentire?”
“In verità, pensavo che ce l’avessi con me.”
“Perché?”
“Lo sai il perché. Per quello che è successo con…” lasciò la frase in sospeso.
“Non ce l’ho mai avuta con te. Certo, forse un po’ all’inizio sì. Ma riflettendoci, ho capito che se ti eri comportata in quel modo un motivo ci doveva essere. Io meglio di chiunque altro so quali erano i tuoi sentimenti per lui. E non potevano essere spariti di punto in bianco come tu hai voluto farci credere.”
“…”
“Tranquilla. Non pretendo che tu mia dia una spiegazione. Al momento sono soltanto felice di vederti. Se poi vorrai darmela io ti ascolterò.” Le disse sorridendo.
“Grazie Ayako. Sono felice di averti ritrovata.”
“Lo sono anch’io.”
Dopo alcuni attimi di silenzio in cui le due amiche si guardarono osservando i cambiamenti avvenuti nell’altra in quell’anno di lontananza, Ayako parlò.
“Mi sembri diversa.”
“Davvero?”
“Sì.”
“E in cosa?”
“Non saprei dirlo con esattezza. Fisicamente non sei cambiata molto. Ma c’è qualcosa… Sembri quasi più adulta.”
Keiko non sapeva che dire.
Cercando una risposta appropriata spostò lo sguardo sulla sua destra.
Fu allora che lo vide. Un ragazzo. Alto, molto alto. Capelli corvini con riflessi blu. Pelle diafana. E gli occhi… due pozze di mare blu. Occhi che in quell’ultimo anno avevano popolato i suoi sogni. Facendole rivivere mille e mille volte la loro storia e soprattutto il momento del loro addio. O meglio del suo addio. Aveva visto quegli occhi, che la guardavano sempre con calore, farsi di ghiaccio mentre lei gli diceva che non lo amava più. Mentre glielo diceva sapeva di stargli facendo del male, ma non poteva fare altrimenti. Sarebbe stato peggio se gli avesse detto il vero motivo per cui lo lasciava.
Mentre prendeva coscienza di chi aveva di fronte, gli occhi di Keiko presero a spalancarsi.
Ayako, notandolo, si volse nella stessa direzione dell’amica. E anche lei lo vide.
Rukawa stava passando davanti a loro per andare in palestra agli allenamenti mattutini.
Il ragazzo sentendosi osservato si girò verso di loro. Vide Ayako. Stava per salutarla quando notò la ragazza con lei.
Non voleva crederci. Possibile che dopo tutto quel tempo lei fosse davanti a lui? Dopo tutto quello che aveva passato? Dopo che lo aveva fatto soffrire così tanto da renderlo impermeabile ad ogni tipo di sentimento per paura di soffrire ancora?
Eppure i suoi occhi non mentivano. Era proprio Keiko.
Ayako continuava a spostare lo sguardo dall’uno all’altra senza sapere che fare.
“Kaede…” mormorò Keiko.
Ma Kaede non le diede il tempo di dire altro. Tutto il dolore di quell’ultimo anno tornò ad assalirlo togliendogli il fiato. Si voltò e continuò il suo percorso verso la palestra. Dapprima camminando lentamente, poi sempre più veloce. Finché, voltato un angolo, iniziò a correre.
Soltanto quando fu negli spogliatoi lasciò i suoi pensieri liberi di vagare.
‘Che ci fa qui? Che cosa è tornata a fare? Perché non vuole lasciarmi in pace? Perché devo soffrire così? Perché, nonostante tutto, l’amo ancora così disperatamente?’
“…wa? Ehi, Rukawa?”
Il ragazzo si riscosse dai suoi pensieri. Sakuragi lo stava chiamando.
“Che cavolo vuoi?” nonostante le parole non molto gentili, il tono che usò preoccupò Sakuragi. Non era il solito tono freddo e scostante, alle volte arrabbiato. Sembrava più che altro triste e sconsolato.
“Tutto bene?”
Rukawa rimase stupito dal comportamento di Sakuragi.
“Perché?” riuscì solo a domandare.
“Mi sembri strano. Non sei il solito ghiacciolo. Sembri preoccupato. È successo qualcosa?”
‘Sì. L’unica ragazza che abbia mai amato è tornata. Dopo un anno di silenzio. Dopo avermi lasciato dicendo che non mi amava più. Dicendo che non mi amava ma nemmeno mi odiava. Semplicemente le ero diventato indifferente. E questo poco più di una settimana dopo che avevamo fatto l’amore.’ Pensò. Ma disse solo: “ Non è successo niente.” Ritrovando il suo tono apatico, anche se in fondo si sentiva ancora una nota triste.
Subito dopo finì di cambiarsi e si diresse in palestra.
Sakuragi non aveva creduto alle sue parole. Avrebbe voluto fargli altre domande ma il suo tono gli aveva lasciato intendere che non intendeva parlarne. Quindi era rimasto zitto.
Durante gli allenamenti, tutti notarono che c’era qualcosa di diverso in Rukawa. Lui che era sempre così concentrato, così preciso, stava commettendo gli errori più banali. Si era anche lasciato fregare un paio di volte da una matricola e aveva mancato più volte il canestro.
“Rukawa. Ma che ti prende oggi? Anche mia nonna riuscirebbe a bloccarti.” Miyagi sperava di farlo reagire.
Ayako di fianco a lui, gli poggiò una mano sul braccio e gli fece cenno di smetterla.
Miyagi obbedì e decretò la fine degli allenamenti. Con quell’atmosfera in campo erano inutili.
Nello spogliatoio nessuno osò domandare a Rukawa cosa avesse. Ma lui sentiva su di sé quella muta domanda.
Facendo finta di niente si cambiò in fretta ed uscì.
In quello stesso momento vide Ayako uscire dallo spogliatoio femminile. Anche lei lo vide.
Rimasero a fissarsi alcuni secondi.
“Devo parlarti. Vieni con me.”
Ayako annuì e lo seguì in terrazza.
“Da quanto sapevi che era tornata?” disse senza preamboli.
“L’ho scoperto questa mattina quando l’ho vista in cortile.”
“Non sapevi che sarebbe tornata?” chiese stupito. Sapeva perfettamente che le due ragazze erano grandi amiche. O almeno lo erano fino ad un anno prima.
Ayako intuì i suoi pensieri.
“Da quel giorno… da quando vi siete… cioè ti ha…” non sapeva se dirlo o meno.
Rukawa le facilitò il compito.
“Da quando mi ha lasciata.”
“Sì, infatti. Quel giorno, subito dopo che… successe, ci incontrammo al parco. Lei mi raccontò cosa era successo. Non potevo credere che non ti amasse più.”
“Figurati io… Che successe dopo?”
“Avemmo una discussione e litigammo. Ce ne andammo ognuna a casa propria. Il giorno seguente, come ben sai, partì. Non ci chiarimmo mai. Circa un mese dopo ricevetti una sua lettera. Mi chiedeva scusa e mi diceva che, nonostante tutto, lei mi considerava ancora la sua migliore amica. Non c’era alcun recapito per poterle rispondere. Dopo quella lettera non ebbi più sue notizie. Fino ad oggi.”
Rukawa non sapeva che dire.
“Come stai?” gli chiese la ragazza.
“Male, grazie.” Disse duramente. Poi accorgendosene cercò di porvi rimedio. “Scusa. Tu sei proprio l’ultima persona con cui dovrei prendermela. Mi sei stata molto vicino quando se n’è andata. Mi dispiace.”
“Non scusarti. So bene cosa hai passato. E posso solo immaginare ciò che stai passando ora.”
“Ci crederesti? Proprio ieri sera mi sono messo a pensare a lei e stanotte l’ho sognata. Stamattina quando me la sono vista davanti, credevo di stare ancora dormendo.” Disse con un sorriso triste, mentre appoggiato alla balaustra osservava l’orizzonte.
Ayako gli si mise affianco e rimasero così, in silenzio. Chi cercando conforto, chi cercando di consolare.
Quando sentirono la campanella che annunciava la fine delle lezioni si decisero ad andare in classe.
Durante la pausa pranzo, come al solito Rukawa si diresse in terrazza per il suo pisolino quotidiano. Era sicuro, però, che quel giorno non sarebbe riuscito a chiudere occhio.
Quando arrivò a destinazione, inspirò a pieni polmoni l’aria. Si guardò in giro e la vide.
Keiko era in piedi di fronte a lui che lo guardava.
La ragazza, sentendo aprire la porta, si era voltata. Quando vide che il nuovo arrivato era Rukawa, il fiato le si bloccò.
Rimasero a fissarsi a lungo. In silenzio.
“Ciao.” Disse infine Keiko.
“Ciao.”
“Come va?” disse la ragazza. ‘Che domanda cretina.’ Pensò.
“Perché?”
Keiko intuì perfettamente che la domanda di Rukawa non si riferiva a ciò che gli aveva chiesto.
“Perché, cosa?”
‘Perché te ne sei andata? Perché hai smesso di amarmi, così di punto in bianco? Perché non ti sei più fatta sentire? Perché ad Ayako hai scritto una lettera, mentre a me no? Perché hai detto di amarmi se poi non era vero?’ pensò. Ma disse solo: “Perché sei tornata?”
“Mio padre è stato trasferito qui.”
“Perché te ne sei andata?”
Quanto gli costava fare quella domanda.
“Perché non potevo restare.”
“Che scusa del cavolo.”
“Non è una scusa.”
“Allora dimmi qual è stato il vero motivo.”
“…”
Rukawa fece un sorriso amaro.
“Ma bene. È passato un anno e tu ancora non hai il coraggio di rispondere a questa domanda.”
Lei senza dire niente lo fissò alcuni secondi. Poi si diresse verso le scale per tornare in classe.
Mentre gli passava di fianco Rukawa la bloccò per il braccio.
“Vai già via?”
“A che pro restare? Ormai di dialogo tra noi due non c’è n’è più. Forse non ce n’è mai stato.” Il suo tono era duro.
Lui la guardò con occhi furenti. Lei sostenne il suo sguardo.
Il ragazzo le mollò il braccio. Keiko se ne andò.
‘Un anno. E l’unica cosa che continuo a fare è ferirlo.’
Mentre scendeva le scale si asciugò una lacrima che era scappata al suo controllo.

Durante gli allenamenti pomeridiani qualcosa era cambiato in Rukawa.
Se la mattina era deconcentrato e apatico, quel pomeriggio era energico e quasi furioso mentre giocava. Non sbagliava un canestro, nessuno riusciva a bloccarlo. Ma tutti avevano comunque capito che ciò che lo preoccupava quella mattina, lo turbava ancora.
Finiti gli allenamenti e dopo essersi cambiata velocemente Ayako lo aspettò.
Lui la vide. Lei gli sorrise amichevolmente e gli si affiancò mentre si dirigevano all’uscita.
Stavano camminando da alcuni minuti quando Rukawa parlò.
“Durante la pausa pranzo ci siamo incontrati per caso in terrazza.”
Lei rimase zitta aspettando che lui continuasse.
“Sembravamo due estranei. Due persone che parlano due lingue diverse… Le ho chiesto perché se n’è andata.”
“Cosa ti ha risposto?”
“Che non poteva restare.”
“Perché?”
“Non lo so. Non me l’ha voluto dire.”
Il silenzio tornò ad avvolgerli.
Mentre passavano per una via, Ayako si sentì chiamare.
“Ayako! Sei proprio tu?”
La ragazza si volse verso la donna che aveva parlato. La voce le era familiare.
“Signora Watanari!”
Ayako e Kaede si guardarono. Quella donna era la madre di Keiko.
“Non mi sbagliavo allora. Come stai? È da così tanto che non ti vedo.”
I due ragazzi si avvicinarono al cancello oltre il quale la donna parlava.
“Già. È passato un anno.”
La signora Watanari si volse verso il ragazzo. Aveva un aria familiare.
“E questo bel giovanotto chi è? Il tuo ragazzo?”
Ayako e Kaede si sentivano leggermente in imbarazzo.
“No. È un mio amico.”
“Piacere. Mi chiamo Kaede Rukawa.”
“Piacere mio. Sai, hai un non so che di familiare.”
‘Forse perché ero il ragazzo di Keiko.’ Pensò. Ma disse: “Forse perché ero un amico di sua figlia Keiko.”
“Davvero? Forse sarà per quello allora.”
Ayako si ricordò in quel momento che in pochi sapevano che Keiko e Rukawa avevano avuto una storia. E tra questi non c’erano i loro genitori.
Certo, loro avevano intuito che i loro figli stavano con qualcuno, ma loro due non avevano mai presentato questa persona ai genitori come fidanzata o fidanzato. Per loro erano solo amici.
“Perché non entrate un attimo? Mia figlia tornerà a momenti. Sarà felice di vedervi.”
“Veramente noi…” cercò di dire Ayako.
La signora Watanari però non la lasciò finire e quasi li trascinò dentro.
Offrì loro del tè mentre aspettavano Keiko.
Rukawa si sentiva come se fosse seduto sui carboni ardenti. Ayako non era certo più calma di lui.
Non dovettero aspettare molto comunque. Dopo un paio di minuti Keiko arrivò.
“Sono tornata.” Annunciò mentre si cambiava le scarpe. Notò che c’erano due paia di scarpe in più. Il che significava che avevano ospiti.
Dopo alcuni secondi si diresse in salotto.
“Abbiamo ospiti?”
“Sì, ci sono due persone per te.”
“Per me? E chi sono?” domandò entrando.
Quando vide chi erano gli ospiti sgranò gli occhi. Strinse di più a sé il fagotto tra le sue braccia, come per proteggerlo da un’imminente pericolo.
Ayako e Kaede la fissavano. E fissavano il bimbo che teneva tra le braccia. Non sapevano avesse un fratellino. Certo il bimbo era molto piccolo. Doveva avere pochi mesi. Tenendo conto che non avevano sue notizie da un anno era normale che non lo sapessero.
‘Ma allora perché ho questa strana sensazione?’ si domandò Kaede.
La madre di Keiko le si avvicinò e mentre stava per prendere il bimbo in braccio disse: “Su Kacchan. Vieni dalla nonna.”
Keiko chiuse gli occhi.
A Kaede sembrò che il terreno sotto i suoi piedi cedesse.
Ayako sembrava incredula.
Fu Rukawa a parlare, alzandosi in piedi e dando voce anche ai pensieri di Ayako.
“Che significa?” chiese con voce tremante.
Keiko continuò a tenere tra le sue braccia il bimbo. Sua madre li guardò.
Keiko non sapeva che dire e preferì rimanere in silenzio.
“Tua madre è la nonna del bimbo?”
“Sì.” Mormorò.
“Si chiama Kacchan?”
“Sì.”
“Dimmi che ricordo male. Dimmi che tu hai una sorella o un fratello e che non sei figlia unica.”
“…”
“Keiko!”
Dagli occhi della ragazza presero a sgorgare lacrime silenziose.
“E’… è…” Rukawa non sapeva che dire. Si appoggiò al bracciolo del divano poiché non era certo che le sue gambe riuscissero a reggerlo.
Guardava a terra. Cercando di dare ordine ai propri pensieri. Quando rialzò lo sguardo, guardò negli occhi Keiko.
“Come si chiama?”
“Kacchan.”
“Il nome completo.”
“Ka…” mandò giù un groppo che le si era formato in gola. “Kaeru Watanari.”
“Kaeru…” ripeté.
Guardò il bambino. Aveva una pelle molto chiara, diafana. I capelli erano neri con dei riflessi blu.
“Qu… quanto tempo ha?”
“Tre mesi.”
Fece un rapido calcolo. Non vedeva Keiko da un anno. Il bimbo aveva tre mesi. Tre mesi sommati ai nove di gestazione facevano un anno esatto. Loro avevano fatto l’amore una settimana prima che lei partisse.
Aveva un’ultima domanda da fare. La più importante. La cui risposta avrebbe cambiato per sempre la sua vita.
“E’… E’ mio figlio?”
Keiko non riuscì a trattenere un singhiozzo.
“Keiko?” chiese la madre, che fino a quel momento era rimasta in disparte. Sua figlia non aveva mai voluto dirle il nome del padre del bambino.
Lui si alzò dal bracciolo e le si avvicinò di un passo.
“Keiko rispondimi. È mio figlio?”
“Sì.” Disse con voce flebile. Si schiarì la gola e rispose di nuovo. “Sì. È tuo figlio.”
Kaede non sapeva se essere felice, arrabbiato, triste o terrorizzato.
Le si avvicinò ancora.
Accarezzò dolcemente la testolina corvina che emise un vagito.
“Posso… posso prenderlo in braccio?”
Lei lo guardò un attimo. Poi glielo mise tra le braccia.
Rukawa provò una sensazione indescrivibile nel momento in cui sentì il lieve peso di quel batuffolo tra le sue braccia.
“Ciao… Ciao Kaeru. Sono il tuo papà.”
Il bimbo lo guardò un istante poi alzò le braccia verso il suo viso e sorridendo emise un vagito.
Dagli occhi di Kaede presero a scorrere lacrime. Non di dolore come la sera precedente.
Osservò il bambino tra le sue braccia. Era bellissimo. La cosa più bella che avesse mai visto. In pochi secondi si era già innamorato di lui.
Ayako e la madre di Keiko osservavano la scena commosse.
Rimasero alcuni minuti così, poi la signora Watanari fece cenno ad Ayako di seguirla.
Keiko e Kaede avevano bisogno di parlare.

- Fine 1° capitolo. –

Che ne dite?
Aspetto commenti al fp o al mio indirizzo e-mail katiagiovanatti@virgilio.it
Konnichi-wa! ^_^

 
Continua nel capitolo:


 
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