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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Manga e Anime
Dalla Serie: Beyblade (Bakuten Shoot Beyblade)
Titolo Fanfic: LA STORIA DI KEI
Genere: Sentimentale
Rating: Per Tutte le età
Autore: katzehiwatari galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 18/11/2006 01:55:56

( keixrei ) ....a prescindere dall`agire in modo giusto o sbagliato...dobbiamo sempre tener conto che ci saranno delle conseguenze....
 
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DISCESA DAL MONTE ZEN
- Capitolo 1° -

Salve…finalmente torno con una nuova storia. A dire il vero…è molto vecchia. L’avevo scritta non ricordo nemmeno quando. E poi…l’ho riadattata circa un anno e mezza, o due, fa. Spero veramente che sia di vostro gradimento. I personaggi utilizzati, così come il periodo e il contesto della storia, sono tutti inventati da me…eccetto, appunto, per quanto riguarda i principali. Ovvero Kei, Rei, Takao, e Max. Per ora, in questo primo capitolo, ne sono comparsi solamente due. Ma nei seguenti…appariranno anche altri. Ovviamente…sempre se deciderò di pubblicare il resto! Ora non mi dilungo oltre…ma vi auguro una buona lettura. Baci a tutti…il vostro Katze.



Ricordo. Il mio cuore battere…il mio respiro lieve. Non regolare. Quella fievole luce lunare…che penetrava le palpebre dei miei occhi chiusi…facendoli tremare lievemente. Ricordo. La fresca brezza di quella sera. Che andava incontro ad una notte tiepida. Ricordo. Me stesso. Incurante del male. E ancora ricordo…il tintinnare delle catene ai miei polsi. Quel lieve fruscio che risuonava come un canto melodioso nella notte. Perdendosi tra le fredde pianure…spoglie di tutto…prive di ogni cosa. Ma più di tutto…ricordo quel cielo…così incredibilmente meraviglioso. Avrei passato l’eternità a fissarlo. Ogni notte era diverso…ogni notte si tingeva di colori nuovi. Conoscevo ogni singolo colore. Conoscevo tutto. Stelle, galassie, costellazioni…ma, nonostante questo…nonostante cinquecento anni passati a guadarli…avrei continuato a farlo per altri cinquecento…o più. Purché tutto ciò non sarebbe cambiato…coma purtroppo stava facendo. Le stelle…ogni notte si affievolivano. Ogni notte alcune sparivano. E il mio cuore piangeva, nel vedere tutto ciò. Ma, ancora più triste, era il non poter fare niente. L’essere costretti a rimanere impotenti di fronte a tutto questo. Ma, d’altronde, questa…era la mia condanna…per essere nato su questo mondo come eretico. Un essere nato da un Dio…e da un Demone. La peggiore creatura che potesse essere generata. La mia condanna…l’essere costretto a rimanere, fino al termine della mia vita, incatenato all’interno di questa piccolissima grotta…senza poter fare nulla per contrastare ciò che avveniva all’esterno. Eppure…non ho mai compreso. Perché ero nato su questo mondo…se dovevo essere dimenticato? Non capivo. E anche ora…non lo capisco.

Ricordo la luce. E i caldi raggi del sole che battevano a pochi centimetri del mio viso…con il loro calore che mi conduceva alla realtà. Era mattina. Ricordo. Dei passi. Qualcuno era li…fuori dalla grotta…e mi stava fissando. Ricordo…che mi domandai chi mai potesse essere il folle che sarebbe mai arrivato lassù? Finché non ne udii la voce. “Io, Iblîs, nel pieno possesso del potere conferitomi da sua maestà Tokugawa, Re dei Demoni, ti libero dai sacri sigilli di Shih-Kai, demone protettore della Terra Demoniaca e custode di Shōwa…la sacra spada bagnata con il sangue maledetto di mille demoni….”. In quell’attimo…i sigilli che mi costringevano all’esilio bruciarono come se fossero stati accesi dai raggi di un sole troppo caldo, fino a sparire…e lo stesso accadde alle pesanti catene che tenevano legati i miei polsi. Mi lasciai cadere a terra. Troppo tempo ero stato costretto a rimanere in quel posto. Troppo tempo era passato, dopo la mia disastrosa battaglia contro Shih-Kai. La battaglia che venne chiamata…Sacrilege…in onore della mia spada. Che venne distrutta dallo stesso Shih-Kai. Io, Kei, essendo figlio di Tokugawa, Re dell’Impero Demoniaco…ebbi risparmiata la vita. Ma…a quale prezzo. Privandomi di ogni libertà…venni sigillato li. Sulla cima del monte Zen. Per venirne liberato dopo 500 anni. Tokugawa diede l’ordine di liberarmi e ricondurmi a Se-ami…città principale dell’impero demoniaco in cui ha sede il Tōdaiji…il palazzo in cui risiede il sovrano. Mio padre…. Il motivo della mia liberazione…era soltanto uno. Il mondo demoniaco, dopo le ultime tensioni, era preoccupato di un possibile attacco da parte dell’esercito del mondo divino…e, dopo la prematura scomparsa di Shih-Kai, e la relativa perdita di Shōwa…avvenuta in circostanze misteriose…io ero rimasto l’unico che, in caso di guerra tra il mondo divino e quello demoniaco, avrebbe potuto far rinascere Sacrilege…la mia spada. Il compito della mia liberazione fu affidato a lui…Iblîs…sacerdote del tempio di Ch’in…dove vi è custodito Shu Ching. Dove, da quella mia liberazione, sarebbe stato sicuramente aggiunto qualcosa. Ricordo che rimasi a terra. Con il volto nascosto nella dura terra rovente. Dovevo sembrare, agli occhi di Iblîs, morto…e forse sarebbe stato meglio per tutti così. Mossi debolmente la scarna mano destra nella terra…cercavo un appiglio…un aiuto. Toccai qualcosa…e subito mi fermai. Era il lembo di una lunga, e candida, tonaca bianca. Apparteneva a Iblîs. Quest’ultimo rimase visibilmente sorpreso per la forza incredibile con cui strinsi, tra la mano, quel lembo di tonaca. Afferrò anche lui, con la sua mano destra, la bianca veste e, con un forte strappo all’indietro, la liberò dalla mia stretta. Il mio braccio cadde a terra con un sordo rumore provocandomi un acuto dolore, e dei forti colpi di tosse. Ma lui…Iblîs continuava a fissarmi. Senza mutare minimamente la sua espressione. Però…nel fissarmi, tutto quello che riuscii a leggere nei suoi occhi, era solo pena e tristezza. Anche se non poteva dimenticare che ero un eretico. Un essere, cioè, portatore di male e sventura. Un essere maledetto da tutti e rifiutato dal mondo…o forse erano solo i suoi abitanti a farmi credere così? Senza tanti complimenti, e gentilezze, sentii Iblîs legarmi attorno al collo una pesante catena…attorno alla quale misi le mie mani per cercare di strapparla…ma fu tutto inutile. Non avevo neppure un filo di energia. Sentii due braccia forti che mi sollevarono da terra e, per la prima volta, incrociai da vicino gli occhi di Iblîs. Scarlatti…come fresche stille di sangue. Il suo volto, a parte gli occhi, era coperto completamente da un velo bianco…segno che apparteneva alla più alta casta di sacerdoti. A loro era proibito mostrare il proprio volto alla gente…all’infuori della persona a cui avrebbero consacrato la propria vita. Ma Iblîs non aveva intenzione di farlo. Era un demone solitario…che pensava soltanto a se stesso…incurante di gioie e dolori altrui. O almeno…questo era ciò che inizialmente cedetti. Senza ribellarmi minimamente…mi lasciai portare via da Iblîs. Non sapevo dove…ma non mi importava. Ormai nulla mi importava più. Persino la mia stessa vita aveva perso, per me, valore. Ma, in fondo, quando non riesci a trovare nessun motivo per andare avanti…che senso ha vivere? Che senso ha…andare avanti, giorno dopo giorno…senza sapere che significato ha la stessa vita…e, per quelli come me, aspettare solo di morire? Perché ero nato su questa terra?

Probabilmente, svenni…non ho memoria di ciò cha accadde appena lasciai il monte Zen. Ricordo solo che, quando mi svegliai, mi ritrovai su di un morbido giaciglio di paglia. Ma, davanti a me, poco distante…c’erano delle sbarre. Niente era cambiato. Ero di nuovo prigioniero. Anche se, questa volta, nessuna catena teneva legati i miei polsi, fino a farli sanguinare, come in passato. Anche se…sinceramente…avrei di gran lunga preferito restare nella situazione di prima perché, da li, potevo vedere le stelle…il cielo…e provare quella profonda sensazione di pace e di libertà dell’anima. In questa nuova prigionia invece…era orribile. Tutta la cella era formata da pietre grigie. Era di forma rettangolare…senza finestre. Davanti era completamente aperta…ma delle sbarre impedivano il mio passaggio. Vicino a me notai una brocca piena d’acqua. Ma la lasciai li. Non riuscivo neppure a bere. Oltre le sbarre si stendeva un lungo corridoio…e, finito questo, c’era una porta. Doveva essere l’uscita. In quel momento tutto ciò che riuscii a pensare era…perché non mi avevano lasciato sul monte Zen?! Aspettai qualche secondo continuando a fissare il portone…giusto pochi, brevissimi, istanti. Dopodiché, sconsolato, tornai nuovamente sul morbido giaciglio di paglia…e mi addormentai.

Ricordo un rumore di passi…qualcuno si stava avvicinando alla prigione? Appena si fermarono sentii una voce…era quella di un ragazzo. “Ciao…il mio nome e Takao…sono il figlio del Re Tokugawa e della Regina Kyaga…tu chi sei?”, disse il ragazzo in tono tranquillo. Rimasi stupito da quello che mi aveva detto. Anche se solo per metà…era dunque mio fratello? Il vero figlio dei due imperatori dei Demoni. Tokugawa e Kyaga. Mentre io…io ero solo figlio di Tokugawa…e di una sua amante. Che, tra l’altro, era un Dio. Alzai la schiena da terra, mettendomi seduto, all’improvviso. Takao si spaventò e indietreggiò di qualche passo. “Tu…”, balbettò con un filo di voce, poi continuò “…sei…un eretico?”. Già…a chiunque sarebbe bastato uno sguardo per capire che cos’ero. Un essere eretico. Un essere portatore di male e sfortuna…un essere dotato di una forza incredibile…e l’unico capace di brandire Sacrilege. E con quella…capace di devastare l’intero mondo. I miei occhi argentati. E simboli che avevo impressi sulle guance…erano segni inequivocabili di cos’ero. Il frutto della proibizione. Un germoglio del male. “Non aver paura…non intendo farti del male.”, cercai di tranquillizzare Takao. Anche se, sinceramente, non mi sembrava per niente spaventato. Più che altro mi sembrò sorpreso. Infatti…ricordo che mi sorrise e, lentamente, si avvicinò di nuovo alle sbarre della mia prigione. Era molto carino…con un singolare colore di capelli, tendente al blu. Legati dietro alla schiena in una coda, da un bel nastro bianco. I suoi occhi erano neri…profondi. E i lineamenti del suo viso erano dolci. Molto dolci. Tranne per i suoi capelli non assomigliava per niente a Tokugawa. Ma per me…era meglio così. “Non preoccuparti…non mi hai spaventato. E’ che ti sei alzato all’improvviso e…sai…è la prima volta che vedo un eretico. Ne ho sentito parlare solo nelle leggende…credevo non esistessero!”, disse Takao sempre sorridendomi, poi mi chiese “Come ti chiami?”. “Kei.”, gli risposi in tono dolce e amichevole. Sapere che quello era mio fratello…mi faceva sentire davvero bene. Mi faceva sentire, in qualche modo, vivo. “Sembri poco più grande di me. Io ho 16 anni…e tu?”, domandò di nuovo Takao. “Io ho 519 anni.”, risposi tranquillamente. “Cosa?!”, mi domandò Takao perplesso. Già. Mi resi conto che forse era meglio se gli avessi dato una spiegazione. “Vedi…500 anni fa io venni sigillato sulla cima del monte Zen. Quando questo accadde…io avevo 19 anni…e il mo aspetto rimase immutato a quell’età. E credo ci rimarrà in eterno.”, risposi a Takao, che mi fissava incredulo. “Beh…se non altro non invecchierai mai.”, mi rispose lui sorridendo. Già…non sarei mai invecchiato. Ma…a differenza di un qualunque Demone…o di un Dio…ad attendermi c’era la morte. Al contrario di un Demone o di un Dio che, a meno che non vengano uccisi da qualcuno, sono immortali…la punizione per un essere eretico infatti, come se non bastassero già tutte quelle che gli venivano inflitte da coloro che lo circondavano, era la morte. Un essere eretico viveva, in media, intorno ai 500 anni. Ed io li avevo già di gran lunga superati. Ma forse, il sigillo sacro di Shih-Kai, mi aveva allungato la vita…chi poteva dirlo? L’unica cosa di cui ero certo allora…era che ero ancora vivo. “Già…non invecchierò mai.”, risposi a Takao, con una voce piena di amarezza. Probabilmente non era a conoscenza del fatto che un eretico ha, come condanna, la morte. Ma non n’importava. Non sarei stato certo io a dirglielo e, così, rattristarlo. Ma poi…perché si sarebbe dovuto rattristare? Mi sentivo davvero uno stupido. Neppure mi conosceva. Lui non poteva certo sapere che eravamo fratelli. “Senti…”, chiesi a Takao “…che tipo di leggende esistono sugli eretici?”. Ero molto curioso di sentire cosa raccontavano in giro di quelli come me. Chissà quali cose dicevano. “Ecco…ci sono tante leggende su di voi. Dicono che siete esseri malvagi…portatori di immaginabili disgrazie…”, disse Takao, poi aggiunse “…ma fino ad oggi siete sempre stati sconfitti grazie a Shih-Kai…e a Shōwa…la sua spada.”. Sorrisi. Quello che il mio fratellino aveva detto non era tutto vero. Non capivo perché eravamo considerati malvagi. Cosa avevamo fatto di male noi eretici, oltre a nascere, per essere giudicati così? Comunque…anche io avevo combattuto contro Shih-Kai. Chissà se c’era una leggenda anche su di me? “Perché sorridi?”, mi chiese Takao. “Anche io ho combattuto contro Shih-Kai.”, gli risposi serio. Lui mi guardò con gli occhi spalancati. “Stai dicendo sul serio?”, mi chiese. Sorrisi ancora. “Certo!”, gli risposi, poi aggiunsi “Fu proprio Shih-Kai a sigillarmi sul monte Zen…e a distruggere Sacrilege…la mia spada.”. “Allora Sacrilege esiste!”, urlò, pieno di entusiasmo, Takao. Perché si meravigliava tanto? Era logico che se esisteva Shōwa, la spada della luce, doveva per forza esistere Sacrilege, la spada del buio. “Già…peccato che Shih-Kai la distrusse.”, dissi amareggiato. “Senti…ti ho portato questo.”, disse Takao, porgendomi qualcosa sulla sua mano destra. Era una mela. “Ho pensato che dovevi essere affamato. Colui che si occupa dei prigionieri, il generale Yo Chen, credo non ti darà nulla da mangiare…e sapendolo ti ho portato questa. Non mi è stato possibile rubare altro alle cucine. Ora però devo andare.”, concluse il mio fratellino, attendendo che prendessi la mela dalla sua mano. Era la prima volta che qualcuno si comportava così con me. “Io…”, non sapevo cosa dire “…ti ringrazio. Questo è quello che si chiama…pietà. Vero?”, gli chiesi. Presi la mela…le nostre mani si sfiorarono lievemente. Aveva le mani calde…mentre le mie erano gelide. I nostri occhi si fissarono per alcuni brevi istanti. Takao si alzò in piedi e disse “No. La mia non è pietà…è bontà.”. Si girò e cominciò a camminare per il corridoio diretto verso l’uscita…ma, prima di sparire dietro al portone, mi lanciò un ultimo sguardo e mi disse “Comunque tu non sei cattivo…ne sono certo.”, dopodiché si richiuse la porta dietro alle spalle. Rimasi a fissare l’enorme portone non so per quanto. In fondo al cuore qualcosa, per la prima volta in tutta la mia vita, non amava restarsene in solitudine…ma voleva che Takao tornasse a fargli compagnia. Chissà se lo avrei più rivisto? Guardai un attimo la mela che stringevo nella mano destra. Era quindi un gesto di bontà? Cioè…di gentilezza? Era la prima volta che qualcuno era gentile con me. Mangiai la mela. Dopodiché tornai sul mio giaciglio di paglia…ma, stavolta, non a dormire. A riflettere…a pensare.
Non ricordo con chiarezza quanto tempo i miei pensieri si persero nei labirinti della mia mente…non ho chiaro neppure su cosa ragionavo in quel momento. Ricordo solo che, molto tempo dopo, qualcuno aprì nuovamente la porta. Mi misi subito in piedi per vedere se si trattasse di Takao…ma l’uomo che vidi avanzare verso di me non era Takao…e aveva tutt’altro che l’aria dolce e gentile come la sua. Mi domandai chi fosse. Mi fissò per alcuni minuti senza dire niente. Ed io contraccambiai. Non mi era mai piaciuto parlare con gente che non mi andava a genio. Quel tipo poi…era così strano. Era alto…con un bel fisico. E indossava un vestito bianco…lungo fino ai piedi, stretto in vita da una cinghia…bianca anche quella. Aveva gli occhi blu. Un blu intenso. E i capelli neri lunghi fino alle orecchie…tirati indietro. I lineamenti del suo viso erano dolci…ma i suoi occhi non facevano trapelare il minimo sentimento…erano totalmente inespressivi. Le sue labbra fine…che rimanevano immobili. Il suo aspetto era cupo e maligno. “Tu sei Kei…”, disse l’uomo in tono serio, non mutando minimamente la sua espressione, poi aggiunse “…il primo figlio di Tokugawa…l’eretico!”. Lui sapeva chi ero. Ma ciò non mi interessava…non avrei parlato con lui. “Tra breve verrai portato via da qui…Tokugawa vuole vederti…e parlarti. E’ una questione importante…a quanto sembra.”, disse l’uomo guardandomi, poi aggiunse “Il mio nome comunque è Yo Chen, uno dei generali dell’esercito demoniaco.”. Allora era lui…il generale Yo Chen. “Ora io devo andare…il mio dovere mi attende. A presto, spero, figlio di Tokugawa.”, appena il generale Yo Chen ebbe detto questo, si voltò e cominciò ad avanzare, a gran passi, verso la porta. La oltrepassò…e sparì, chiudendosela alle spalle. Ero rimasto nuovamente solo…ma preferivo così piuttosto che stare di nuovo in compagnia del generale Yo Chen. Non ne comprendevo il motivo. Ma mi metteva soggezione. Non riuscivo a prendere sonno. Bevvi l’ultimo goccio d’acqua che si trovava nella brocca, dopodiché mi rintanai in un angolo della cella…lontano dalle sbarre. In attesa. Strinsi le mie ginocchia al petto…appoggiai la fronte su di essi. Così…in quella posizione, come fossi in cerca di protezione, mi addormentai. Esattamente come la morte…anche questo fu solo un sogno senza sogni. Ma, a differenza della morte, non durò in eterno…ma quel breve arco di tempo in cui sentii la voce di qualcuno svegliarmi. Era lui…il generale Yo Chen. Sentii distintamente il rumore delle sbarre della mia cella che si aprivano…e il rumore di due persone che entravano nella cella. Aprii, lentamente, gli occhi. Davanti a me c’erano due uomini che mi presero ognuno per un braccio, mettendomi in piedi…chissà chi erano? Forse soldati. Sentii che due manette strettissime mi si chiusero ai polsi e altre due alle caviglie. Facevano un male tremendo…ma sopportai in silenzio. Ormai avevo imparato a tenere il dolore dentro di me. Uno dei due uomini mi diede una spinta…a stento mi tenni in piedi. “Dato che hai le gambe vedi di camminare!”, mi urlò contro uno dei due uomini. Iniziai a camminare. Mentre uscivo dalla mia prigione intravidi qualcuno a me familiare…che con i suoi occhi scarlatti come sangue mi fissava. I suoi occhi tristi. Era Iblîs. “Cosa ci fai tu qui?”, disse Yo Chen, in tono aggressivo e tutt’altro che amichevole, a Iblîs. Evidentemente i due non erano molto amici. Iblîs rimase fermo…senza battere ciglio, poi rispose “Sono venuto qui per assicurarmi che tu non faccia del male al ragazzo…e bada al modo in cui ti rivolgi ad un tuo superiore Yo Chen.”. Il volto di Yo Chen assunse un’espressione piena di rabbia. Senza dire altro si affrettò verso l’uscita della prigione e se ne andò. Iblîs guardò i due uomini che mi stavano intorno e fece loro segno di togliermi le catene e di andarsene. I due obbedirono, dopodiché, se ne andarono lasciando soli me e Iblîs. Per un breve istante incontrai di nuovo, come quel giorno al monte Zen, i suoi occhi. Venne verso di me e, dopo avermi osservato attentamente dalla testa ai piedi, mi disse “Andiamo…Tokugawa vuole vederti.”. Tokugawa…cosa poteva volere lui da me? E…perché Iblîs aveva fatto andare via i soldati? Mi fermai a metà corridoio di botto. “Perché hai mandato via i soldati…e il generale Yo Chen?”, gli chiesi. Lui senza degnarmi di uno sguardo mi rispose “Yo Chen se n’è andato volutamente…e i due soldati erano perfettamente inutili dato che sei capace di camminare. Quindi…perché sprecare uomini in un posto inutile mentre nello stesso momento, in un altro posto, potrebbe esserci bisogno del loro aiuto?”. Il ragionamento filava…e lui riprese a camminare. Lo feci anche io. Uscimmo dal portone…dalla mia prigione. Finalmente ero fuori. Era mattina. Mi domandai per quanto ero rimasto chiuso in quell’orrendo posto. Fuori dalla prigione si stendeva una grande piazza circolare la cui pavimentazione era fatta interamente a mosaico…al centro della quale c’era una grande fontana di marmo rosa che rappresentava dei demoni. In cima alla fontana…c’era l’immagine di un giovane, e bellissimo, demone…dal viso dolce e i capelli lunghi, lasciati sciolti dietro alla schiena. La sua mano destra era alzata verso il cielo…e vi impugnava una spada splendida…con delle decorazioni sopraffine, opera dei migliori artigiani che siano mai esistiti…e nella mano sinistra teneva un harisen aperto molto grande. Come se la spada sulla mano destra fosse un segno di forza, coraggio e vittoria…mentre l’harisen nella sua mano sinistra era come un’ala protettiva sotto la quale, i demoni ai suoi piedi, si riparavano da chissà quale male. Indossava un’armatura, anche quella sapientemente decorata. E degli stivali altrettanto curati. Quell’immagine mi era molto familiare. Così…spinto da grande curiosità mi avvicinai maggiormente alla statua…finché, focalizzando perfettamente l’immagine del ragazzo, lo riconobbi. Era proprio lui. Shih-Kai. Il leggendario demone protettore della terra demoniaca. E quella che reggeva sulla sua mano destra era proprio lei. Shōwa…la sacra spada della luce. I ricordi invasero la mia mente. La battaglia contro di lui. Quella tremenda battaglia. Mi misi una mano sulla spalla destra. Ricordo che ancora sentii la ferita che mi procurò 500 anni fa…e il l’acuto dolore che provai quando Shōwa trafisse la mia carne divenne più vivo che mai nei miei sensi. La ferita, a causa della quale, Sacrilege cadde dalle mie mani…venendo poi raccolta, e distrutta, da Shih-Kai. La sola ed unica sconfitta che avessi mai subito…accade per mano di quest’uomo. Shih-Kai. Avrei distrutto molto volentieri la statua…ma provavo rispetto verso di lui. Verso un avversario forte e leale…e ora spirato. “Kei…vieni via.”, sentii la voce di Iblîs rimproverami. Mi girai verso di lui…e solo allora mi accorsi di tutta la gente che mi stava osservando spaventata. Già. Per loro doveva essere la prima volta che vedevano un eretico. Che cosa orrenda…essere considerato come un’attrazione per il pubblico. Come un fenomeno da baraccone. Chiusi gli occhi e, a testa bassa, camminai verso Iblîs…non volevo che i miei occhi incontrassero quelli di un demone qualunque…lo avrei solamente spaventato. E non volevo farlo. Arrivato vicino Iblîs riaprii gli occhi…incontrando immediatamente i suoi. Seri, come sempre. “Lo hai riconosciuto…non è vero?”, mi chiese Iblîs. “Si.”, gli risposi io…ma, d’altronde, come avrei potuto dimenticare l’unico essere vivente che riuscì ad infliggermi una sconfitta? Iblîs iniziò a camminare a sinistra, rispetto alla direzione che avevo preso prima io…che era centrale. Solo allora mi accorsi che la piazza era circondate da bellissimi alberi di ciliegio in fiore…e, nella direzione in cui ci stavamo dirigendo…si ergevano della scali di granito bianco. Lunghissime. Bellissime. Arrivammo all’inizio della scali…e iniziammo a salirle. Ai lati c’erano della colonne…e dopo ogni colonna una statua…che rappresentava gli antichi Re. Sulla cima delle scali c’era un enorme palazzo…che io fui capace di riconoscere alla prima occhiata. Era il Tōdaiji…il palazzo dell’imperatore…il palazzo di Tokugawa. Appena fummo arrivati a metà scala…ecco arrivare, conto di noi, una decina di soldati armati. Ci puntarono contro le loro lance…finché Iblîs non parlò. “Come osate puntare contro di me le vostre lance?”, disse Iblîs, sempre mantenendo la sua solita calma. I soldati continuavano a tenere la punta delle loro lance verso di noi…finché una voce non si intromise. “Ritiratevi…state decisamente irritando l’impassibile sacerdote!”, disse qualcuno. I soldati abbassarono le loro lance e tornarono al loro posto, accanto alle colonne. Io e Iblîs sollevammo il nostro sguardo…che si posò subito su di uno splendido demone biondo che indossava un’armatura lucente…bianca con delle magnifiche rifiniture fatte in oro. Alto. snello. Aveva gli occhi di un nero cupo e penetrante…stupendi e seducenti…e i suoi capelli sembravano sottili fili di grano esposti al sole. Il suo viso era dolce e sembrava di porcellana. Quel giovane rasentava la perfezione. Dall’alto al basso ci disse “La prego di scusarmi per lo spiacevole contrattempo…sommo sacerdote Iblîs. Ma…saprà di certo che ultimamente non ci si deve fidare di nessuno…nemmeno di coloro appartenenti alle caste più alte…come lei.”, disse il giovane demone. “Nemmeno dell’imperatore, dunque!”, aggiunsi io, non riuscendo a frenare una mia battuta sarcastica e canzonante. Il giovane reagì nel modo opposto di quello che mi sarei aspettato. Non si infuriò. “Di lui non c’era da fidarsi nemmeno prima. Tu sei Kei…l’eretico, giusto? Sei davvero molto bello come si diceva in giro. Anzi…sei troppo bello secondo me.”, disse il demone osservandomi attentamente. “Tu invece…cosa sei? Un generale…oppure solo una bella bambola ornamentale che è stata messa qua fuori a comando di quegli uomini solo per la sua bella presenza?”, risposi alla sua provocazione. Lo sguardo che mi lanciò fu tagliente…e avanzò verso di me. Sguainò la sua spada. Era di un metallo molto prezioso e resistente…molto più del ferro. Anche questa aveva il manico bianco, rifinito in oro…mentre sulla lama c’era il nome di Myu, inciso sempre in oro. Sentii la lama avvicinarsi alla mia gola. Così tagliente…che al mio solo respirare si aprì un piccolo varco sulla carne del mio collo. Ne uscì un po’ di sangue. “Ringrazia il fatto che io non voglia macchiare la lama della mia spada con il sangue impuro di un eretico altrimenti ora…dubito che riusciresti ancora a guardarti attorno.”, disse il giovane demone, poi aggiunse “Tieni bene in mente il mio nome…un giorno potremmo rivederci io e te…io sono Myu. Guardiano della porta del sacro palazzo Tōdaiji.”. “Veramente…l’hai già sporcata.”, dissi, cercando di fare attenzione che la lama non trafiggesse oltre la mia gola…bruciava terribilmente. Myu ritrasse la sua spada e, dopo avergli dato una breve occhiata disse “Oh, guarda…hai proprio ragione. L’ho macchiata col tuo sangue. Povera spada…”, disse, dopodiché rimise la spada nel suo fodero sull’armatura e, sorridendomi aggiunse “…comunque ho fatto bene a non ucciderti…hai un po’ d’umorismo. Cosa che, purtroppo, in questo mondo tutti hanno perso. Sarebbe stato un vero peccato privare il mondo della tua presenza.”. Detto questo estrasse da sotto uno dei suoi bei guanti un delicato fazzoletto di seta bianca ricamato d’oro e me lo legò attorno al collo, dicendomi “Non era mia intenzione ferirti…”, poi si volse verso Iblîs e, sorridendo e facendoli l’occhiolino, gli disse “…perdonami bel sacerdote se ti ho fatto perdere tempo…ora…se volete seguirmi vi condurrò all’entrata del palazzo.”. Myu iniziò a camminare verso l’entrata del palazzo…io e Iblîs lo seguimmo. “Sai di cosa hanno parlato, ieri, durante il consiglio dei sette generali supremi?”, chiese Iblîs a Myu. Quest’ultimo fece un profondo sospiro e rispose “Ecco…per il momento nessun movimento ai confini dell’impero demoniaco è degno di considerazione. Direi che…è tutto calmo. Troppo calmo…non mi piace.”. “Quali movimenti dovrebbero esserci ai confini dell’impero demoniaco?”, chiesi io. “Vedi…la situazione è piuttosto complicata da spiegare…ti basti solo sapere che tra il mondo divino e il mondo demoniaco ci sono sempre stati disguidi.”, mi rispose Myu. “E con ciò?”, risposi io, porgendo una nuova domanda. Myu si fermò di fronte a me e, guardandomi negli occhi, mi rispose “In breve…nonostante dopo la battaglia di Uruvelā fu scritto il trattato di pace di Huangti…tra le due razze c’è sempre stato un muro. Per un demone è vietato entrare in territori divini e viceversa. Per non parlare poi di eventuali unioni tra demoni e dei…che danno origine ad esseri eretici proprio come te. Credo che questi tabù rimarranno in eterno. Comunque…il fatto è che da circa due anni stanno succedendo cose molto strane…nel regno divino.”, Myu sembrava preoccupato, abbassò lo sguardo, poi aggiunse “Tokuyama ha pazientato due anni…ma dato che le inspiegabili sparizioni che avvengono nel suo regno, i saccheggi, le morti non cessano…anzi, da un anno sono addirittura aumentati…ha messo in guardia Re Tokugawa dicendogli che se tutto ciò non sarebbe cessato…avrebbe dichiarato guerra al mondo demoniaco.”. “Siete stati davvero voi a fare tutto ciò nel suo regno?”, chiesi ancora a Myu. Lui alzò lo sguardo da terra e, fissandomi nuovamente negli occhi, mi rispose “Credi che a noi piaccia andare incontro ad una morte certa? No. Almeno non per i demoni che conosco io! Tokugawa ha paralato personalmente, durante il consiglio degli enti supremi, con Tokuyama. Ma lui non gli ha creduto. Sono passati quattro mesi da allora…e nessuna notizia per quanto riguarda la posizione che ha deciso di prendere Tokuyama verso di noi ci è giunta.”. “Capisco la vostra preoccupazione…ma non è possibile cercare di capire da chi provengano veramente questi attacchi? Non bramate scoprire di chi si tratta?”. “Io bramo a rimanere vivo. Per quanto riguarda il resto…non mi interessa. Ma se dovesse scoppiare sul serio una guerra…tutti ci andremmo di mezzo. E a quel punto sarà l’inizio della fine delle due razze.”, rispose Myu, voltandosi e iniziando di nuovo a camminare. Myu. Questo ragazzo mi assomigliava molto. Neanche a me interessava ciò che mi accadeva intorno…purché non avesse ripercussioni su me stesso. Arrivammo davanti alla porta del palazzo…li Myu si fermò. “I nostri cammini, per ora, si dividono…ma forse presto saranno di nuovo uniti…chi può sapere quello che accadrà?”, disse Myu sorridendoci, dopodiché iniziò a scendere le scali per portarsi nella postazione in cui si trovava anche prima. Myu…che personaggio singolare. Mi chiesi se ci saremmo rivisti davvero…. Così…mentre Myu tornava al suo posto…noi avanzammo nella direzione opposta. Fino ad entrare nel palazzo. Ricordo che Iblîs fece cenno alle due guardie che si trovavano davanti alla porta di aprirci. E che queste obbedirono immediatamente. Oltrepassammo la porta. Quello si presentò ai miei occhi era incredibile. E ancora…rimane indelebilmente impresso nella mia memoria. Un’immensa sala si stagliò davanti ai miei occhi. Fatta interamente di granito…marmo bianco…e marmo rosa. Mentre tutte le decorazioni fatte alle colonne. Agli oggetti. Ogni cosa, nello stesso palazzo, era completamente rifinita in oro. Le pareti. Il tetto. Erano interamente affrescate. Rappresentavano battaglie contro nemici…e anche contro il mondo divino. Lo stesso Shih-Kai era raffigurato negli dipinti. Tutto aveva un aspetto splendente. A destra e a sinistra della sala c’erano due bellissime scalinate che si congiungevano insieme al centro della sala. E, sopra di esse, una grande porta, anche quella magistralmente rifinita in oro. E anche sotto vi si trovava un passaggio…ma senza porte. Completamente aperto. Che lasciava intravedere, nell’altra stanza, un bellissimo tappeto rosso che, stendendosi per tutta la lunghezza della stanza, si fermava ai piedi di un grande trono. Io e Iblîs attraversammo la prima sala fino a giungere nella seconda…e iniziammo a camminare sopra lo splendido tappeto. Ma, per me, le umiliazioni non erano finite. Subito un uomo dall’aspetto severo venne verso di noi. “Questo essere…deve camminare fuori dal tappeto.” disse l’uomo dall’aspetto severo. Ma, comunque, io non avevo alcuna intenzione di uscire dal tappeto. Stavo per rispondergli…ma Iblîs mi precedette. Però…ciò che disse mi fece rimanere completamente a bocca aperta. “Anche se non tollero ciò che avete appena detto, consigliere Hoto, voglio comunque dimostrarvi un po’ di rispetto. Sia io che il ragazzo cammineremo fuori dal tappeto.”, questo fu quanto disse Iblîs. Dopodiché uscì immediatamente dal tappeto e io, divertito dalla sua risposta, lo seguii. L’uomo, che da come avevo capito si chiamava Hoto, era un demone dall’aspetto piuttosto gracile. Era alto. Decisamente magro…e aveva un viso spento. I capelli neri, legati in cima alla testa, da un nastro bianco che lasciava, poi, scendere lungo la schiena. Indossava una tunica bianca molto larga. I suoi occhi erano vuoti…di colore nero. Guardò scocciato Iblîs. Mentre usciva dal tappeto rosso. Trascinando anche me fuori, per un braccio. “Il mio ordine valeva solamente per l’eretico…sommo sacerdote.”, disse Hoto, alquanto seccato. Iblîs lo fissò con il suo solito sguardo impassibile e gli rispose “Non vi trovate nella condizione più adatta per potervi permettere di darmi ordini…o per potervi permettere di criticare quello che devo o non devo fare. Ritiratevi Hoto.”. Appena ebbe finito di pronunciare queste parole, Hoto, si fece da parte. Mentre io e Iblîs proseguimmo la nostra strada…fuori dal tappeto. Iblîs…che persona eccezionale. La sua, nonostante abbia camminato anch’egli fuori dal tappeto, era stata solamente una vittoria schiacciante contro Hoto…e tutti quelli che odiavano me. Eretico. Intorno a noi, ai lati della sala, c’erano molti demoni. Mi ricordo che tutti ci fissarono, dopo aver assistito alla scena. In silenzio. Iblîs…in questo momento era un’immagine quasi surreale. Portava una lunga tonaca nera e, come sempre, un grande velo. Stavolta anche questo nero. Che gli nascondeva il viso alla vista di tutto e tutti. Soltanto i suoi occhi rossi potevano essere visti. I suoi stupendi occhi rossi. Ma questa volta…oltre a quelli…si intravedeva una ciocca dei suoi capelli. Erano bianchi. Come le soffici piume di una colomba. Quei capelli così lunghi che, addirittura, uscivano da dietro il velo. Ricadendo, sciolti, lungo tutta la sua schiena…arrivando fino alla fine di questa. Chissà com’era il suo aspetto? Arrivati a pochi metri dal trono…ecco…il mio sguardo che si incrociava con il suo. L’uomo che avevo tanto odiato per tutti quei lunghi 500 anni. Tokugawa. Il Re. Mio padre. Iblîs si inginocchiò dinnanzi a lui…e, rimanendo in ginocchio, mi invitò a fare lo stesso. Io non lo ascoltai. Feci un sorrisino sarcastico e dissi “E’ da tanto che non ci vediamo…Tokaguwa!”. Lui si alzò dal suo maestoso trono, e fece alcuni passi verso di me. Il suo aspetto…non era mutato molto dall’ultima volta che lo avevo visto. Più o meno era come 500 anni fa. Alto. Maschile. Con i lineamenti del viso estremamente belli. Gli occhi pungenti…che sembravano capaci di leggere dentro alla gente. Quegli occhi capaci di far sentire chiunque a disagio. I capelli, lungi fino a metà schiena, di quel singolare colore tendente al blu…proprio come Takao. E anche i suoi occhi…così splendidi da sembrare due laghi profondi. Era incredibile pensare che costui, data la sua grande bellezza, fosse un uomo così crudele. Aveva una stupenda veste di preziosa seta argentea…ricamata d’oro e ornata con pietre preziose provenienti dalle terre Hana. Terre lontanissime dalla città di Se-ami. Ricordo che rimase a fissarmi, in silenzio. Serio in volto. Il mio gesto…il fatto di non inginocchiarmi…doveva rappresentare un oltraggio per lui. Infatti, dietro di me, sentii cominciare un bisbigliare di voci. Voci…che si zittirono tutte ad un solo gesto del loro Re. Tokugawa alzò la mano destra. Silenzio. In tutta la sala. In tutto il Tōdaiji. In tutta Se-ami. In tutto il mondo demoniaco. Il tempo sembrava essersi fermato. Abbassò la sua mano e, fissandomi negli occhi, cominciò a parlare. “Non è necessario che tu ti inginocchi al mio cospetto…so che non lo faresti mai. Quello che è necessario, ora, è che tu ascolti molto attentamente ciò che ho da dirti. Se ti dicessi un nome. Uno solo. Credi che saresti in grado di ricordartelo…e dirmi di cosa si tratta?”, disse Tokugawa. “Forse potrei farlo. Ma la cosa è alquanto improbabile se lei non si decide a dirmelo.”, gli risposi sarcasticamente. Tokugawa continuava a fissarmi dritto negli occhi. “Il nome è Sacrilege. Cosa ti ricorda?”, mi chiese Tokugawa. Sacrilege. Si. Questo nome. La battaglia. La mia Sacrilege. La spada del buio. Certo che sapevo cos’era. Ma mi chiesi se fosse stato prudent dirgli la verità. Ma in fondo…non avevo nulla da perdere. “Certo che si. Sacrilege era la mia spada…prima che andasse distrutta per mano di Shih-Kai.”, risposi amareggiato. Tokugawa, a quella risposta, sorrise. Chiuse una volta, velocemente, le palpebre degli occhi…dopodiché riprese nuovamente a parlare. “E’ incredibile che tu, dopo 500 anni, ne abbia ancora memoria. Comunque ciò che ti sto chiedendo di fare riguarda proprio Sacrilege.”, spiegò Tokugawa, poi aggiunse “Questi ultimi due anni sono stati per noi demoni tempi di sole angosce a paure. Soprattutto gli ultimi quattro mesi. Quando….”. Non gli lasciai il tempo di finire la frase…non avevo voglia di sentire la storia un’altra volta, così lo interruppi. “Quando cominciarono a capitare cose strane nel regno divino…d’accordo. Quello che accadde lo so. Ma quello che mi sfugge ora è…perché dopo 500 anni hai tolto i sigilli che mi costringevano sul monte Zen. E cosa c’entra Sacrilege in tutto questo?”, gli chiesi bruscamente. Tokugawa smise di fissarmi e fissò alcuni brevi istanti Iblîs che era dietro di me…per poi riportare, immediatamente il suo sguardo su di me. “Kei…tu sei l’unico essere vivente capace di far rinascere la spada Sacrilege. La spada del buio. Ed essendone il legittimo proprietario…sei anche l’unico che possa sfruttare appieno la sua immensa forza.”, rispose Tokugawa. Dopodiché fece alcuni passi nella mia direzione…scendendo di due gradini e mi chiese “Vuoi far rinascere Sacrilege?”. “Per poi farne cosa?”, gli reclamai. C’era qualcosa che non mi convinceva in tutto questo. Mio padre voleva che io facessi rinascere Sacrilege…e poi? Se addirittura 500 anni prima, per paura di tutto il suo immenso potere…fece sigillare me sul monte Zen…e distruggere Sacrilege. Ora perché voleva farmela prendere di nuovo in mano? Mille pensieri assalirono la mia mente. Ma poi...mi soffermai su di un pensiero altamente sensato. Probabilmente voleva solo che io facessi rinascere Sacrilege…dopodiché mi avrebbe ucciso se ne sarebbe impossessato lui. “Naturalmente per sconfiggere l’esercito divino se dovesse scatenarsi una guerra tra le due razze. Solo tu puoi farlo, Kei. Dunque…accetti?”, mi rispose Tokugawa, porgendomi anche la fatidica domanda della scelta. “Non mi fido di te.”, dissi, in tutta risposta, io. “C’è poco tempo. E se non accetti…pagherai con la tua vita.”, disse Tokugawa con una voce alquanto scocciata, poi aggiunse “Allora…la tua risposta è si…oppure è no?”. Lo sapevo. Dopo la sua domanda…la verità mi fu estremamente chiara. Mi avrebbe ucciso per prendere Sacrilege. “Se dico di no, o si, è indifferente…perché so già che tu mi ucciderai comunque.”, risposi, poi mi fermai un istante per osservare Tokugawa che mi guardava con un’espressione tagliente, infine aggiunsi “Cosa dovrei fare per farla rinascere?”. Tokugawa chiuse gli occhi e sorrise…tutto stava procedendo come lui aveva, evidentemente, previsto. Ma non aveva tenuto conto di una cosa…io gli avevo soltanto chiesto come dovevo far rinascere Sacrilege…e non che avrei accettato. “Devi compiere un viaggio…”, iniziò Tokugawa, poi aprì gli occhi e guardandomi continuò “…un viaggio che richiederà diversi giorni. Per questo prima ti ho spiegato che non c’è tempo per indugiare. Partendo da Se-ami devi prendere la strada verso Nord…attraversando quella che un tempo era la pianura di Hunda.”. “Ora che cos’è?”, Gli domandai, interrompendolo. “Ora, dal paradiso cui prima assomigliava…è diventata l’esempio più sincero dell’inferno in terra. Un inferno di oscurità…e di sole e nude rocce. Taglienti come la lama di una spada. Gelide. Così gelide che sono capaci di bruciare irreparabilmente il corpo di un qualunque essere vivente. E dopo la pianura…ci saranno delle montagne dal terreno duro e, anch’esso, tagliente. Che dovrai oltrepassare…per poter arrivare ai piedi del Chiyo Sei. Il monte di ghiaccio. Il monte più alto del regno demoniaco. E, nella cima sua cima, troverai una grotta…dove fu forgiata dalle tenebre Sacrilege. In quella grotta riposano i suoi resti.”, disse Tokugawa. “Vuoi dire che Sacrilege non è andata persa completamente?”, gli chiesi. “No…Sacrile non potrà mai essere completamente distrutta. E’ la spada immortale. Insieme a Shōwa. Che fu invece forgiata in una grotta nella cima del monte di fuoco Tenjyu Sei. Nel regno divino.”, mi rispose Tokugawa. “Capisco.”, dissi…poi Tokugawa continuò a parlare. “Arrivato dinnanzi Sacrilege…dovrai dare la prova di essere il suo vero padrone. E con il tuo sangue dovrai far rinascere la spada del buio.”, detto questo Tokugawa fece nuovamente qualche passo verso di me, fino a scendere del tutto dai gradini in cui si trovava il trono e, appena mi fu davanti, mi disse “Allora al sorgere del sole partirai?”. Io sorrisi. “Prima ti ho chiesto cosa avrei dovuto fare per far rinascere Sacrilege…ma non ti ho mai detto che ci sarei andato…”, gli risposi, poi aggiunsi “…e in ogni caso no…non andrò!”. Il suo sguardo divenne, improvvisamente, pieno di odio. E, con un movimento così rapido da essere quasi invisibile. Degno del Re dei Demoni. Tokugawa estrasse la sua spada dal fodero. Una spada Bianca. Con la lama di un materiale indefinibile…di cui non ne conoscevo il nome. Ma solo l’incredibile resistenza. Sulla lama vi erano incise scritte d’oro…era il nome dell’imperatore e, il suo manico, era completamente rifinito d’oro con pietre rarissime incastonate su di esso. Sentii la forza della spada muovere l’aria e all’improvviso, il colpo decisivo di Tokugawa. Chiusi gli occhi. Non cercai di sottrarmi alla morte che, dopo 500 anni di sofferenza, era diventata soltanto una speranza di pace eterna. Ma…un rumore del tutto inaspettato mi fece riaprire gli occhi. Il rumore di due spade che si scontravano. Iblîs. Tokugawa. Le loro due spade. L’una contro l’altra. Chissà perché lo aveva fatto? “Iblîs?”, disse Tokugawa in un flebile sussurro che si perse nell’eco della grande sala. Iblîs, per conto suo, con una rapida mossa spinse la spada di Tokugawa a terra che, rompendo il pavimento di granito, si conficcò a terra. Solo allora, Iblîs, ritrasse la sua spada, riponendola nel fodero alla su sinistra. Una spada molto singolare. Completamente nera…con una gemma rossa incastonata sul manico, completamente rifinito in oro. E sulla lama una scritta. Sempre in oro. Che rappresentava il nome di Iblîs. Tokugawa era rimasto in silenzio…tenendo la sua spada in mano. Ma senza neppure tentare di tirarla fuori dal terreno…tanto lo aveva sorpreso il gesto di Iblîs. I presenti della sala fissavano la scena in silenzio. Sbalorditi. Probabilmente pensavano che Iblîs fosse impazzito. “Non appena la vostra mente tornerà di nuovo libera dalle nubi di follia, provocata dalla rabbia, che vi si sono radunate al suo interno…spero possiate capire il mio gesto mio signore…”, disse Iblîs, poi aggiunse “…sappiate che, nel momento in cui questo ragazzo venisse a mancare…per l’impero demoniaco sarebbe la fine. E non ci sarebbe più nemmeno la minima speranza di vittoria.”. Tokugawa sembrò tornare alla realtà. I suoi occhi, prima, colmi d’ira…erano ora più calmi. Ma non ancora smorzati dell’odio di prima. Estrasse, sforzandosi, la sua spada da terra…e, tenendola nella mano destra tremante per la collera, disse “Iblîs…quello che dici è vero. Ma….”. Tokugawa non fece in tempo a finire la frase…perché una voce si intromise. “Io sono pienamente d’accordo con ciò che ha appena detto Iblîs…ed è proprio per questo, mio signore, che la prego di concedere al ragazzo la notte per pensare.”, disse Myu, che aveva assistito al discorso con Tokugawa dalla metà dell’altra sala. Fece qualche passo avanti dopodiché disse ancora “Se lei concede questo favore…le prometto che domattina, al sorgere del sole, avrà la sua risposta. In fondo la notte porta consiglio, no? Kei potrebbe anche cambiare idea. Sarebbe una cosa impulsiva, quanto priva di senso, agire ora in un qualunque modo…non trova?”. Myu era arrivato vicino a me. In un agile gesto, mi afferrò la testa nella parte dietro le orecchie e, spingendomi verso il basso, mi costrinse ad inginocchiarmi assieme a lui al cospetto di Tokugawa. Quest’ultimo, ancora, lo fissava senza dire niente. All’improvviso ci diede le spalle e, porgendo la sua spada nel fodero legato attorno alla sua vita, tornò a sedersi sul suo trono. Non disse niente. Teneva gli occhi chiusi. Stava pensando. Un’altra voce…qualcuno che non avevo mia sentito prima s’intromise. “Mi schiero dalla parte di Myu…mio signore.”, esclamò quest’altro demone. Era alto e snello…e aveva i lineamenti del viso molto belli e aggraziati. I capelli lunghi fino alla fine della schiena, biondi. Legati, in fondo, da un fiocco blu. I suoi occhi erano celesti…quasi bianchi. Sembravano di cristallo. Profondi. Indossava un’armatura lucente e splendida di colore blu, come il fiocco, rifinita in argento. Alla vita teneva legato un fodero con una spada. Non riuscii a vederla bene, ma il manico sembrava essere di colore blu con rifiniture in argento. “Rune.”, sussurrò dolcemente Myu. Il giovane demone dagli occhi di cristallo si portò vicino a Iblîs…e li si inginocchiò davanti a Tokugawa. “Mio signore…”, iniziò a parlare Myu, poi fece una breve pausa e, dopo un sospiro, aggiunse “…se durante la notte Kei dovesse fuggire o dovesse capitargli qualcosa…me ne assumerò la piena responsabilità, e pagherò con la mia vita.”. Mentre tutta la gente nella sala era estremamente stupita e farfugliava qualcosa, alle mie orecchie, di incomprensibile…l’espressione di Tokugawa rimase completamente immutata. Glaciale. Mi sembrò davvero incredibile. Per la prima volta qualcuno mi salvava la vita…rischiando addirittura la sua. Myu. Questo demone. Così bello. Così giovane. Che conoscevo appena. “Accetto le tue condizioni Myu…”, ripose all’improvviso Tokugawa, poi aggiungendo “…ma sei davvero sicuro di voler rischiare la tua vita?”. “Sa, mio signore…a volte è buffo giocare a stuzzicare la morte. Altrimenti che gusto c’è a vivere in eterno?”, rispose sorridendo, sarcasticamente, Myu. “Non so cosa tu possa trovare buffo nel giocare con la morte, Myu…ma a me non importa. Mi basta solo che tu svolga al meglio il tuo lavoro…e che ti prenda le tue responsabilità.”, disse Tokugawa. “Non ho mai commesso errori…e fino a quel giorno ne voi ne altri avrete da ridire su di me.”, rispose Myu. “Spero per te che anche questa volta non commetterai errori…ti sarebbe fatale…”, disse Tokugawa, poi si alzò in piedi e fissando Myu con uno sguardo impassibile, aggiunse “…conducilo nelle prigioni e domattina, al sorgere del sole, va tu stesso a prenderlo e portalo qui.”. Finito di dire questo, Tokugawa, uscì dalla sala passando per una porta d’oro che si trovava sul muro dietro al suo trono. Più precisamente…alla sinistra del muro. Myu si alzò in piedi e rimase a fissare, per qualche secondo, il pavimento. Iblîs lo fissava senza battere ciglio, com’era suo solito fare. L’altro giovane demone, Rune, teneva gli occhi chiusi. Il suo bel volto era triste. All’improvviso sentii la mano di qualcuno stringermi una spalla. Era Myu. “Andiamo…ti porto a cuccia.”, disse Myu, in tono strafottente. Cuccia? Mi domandai se mi avesse scambiato per un cane. Così…tirandomi per il braccio destro mi portò con se fuori dal Tōdaiji. Naturalmente camminando sul tappeto. Hoto era rimasto ancora sconvolto dal discorso che avevamo appena tenuto con Tokugawa per arrabbiarsi…per fortuna. Arrivammo sulla scalinata. Li, Myu, si fermò. “Beh? Non dovevi condurmi a…cuccia?”, gli chiesi, alterato. Lui mi guardò leggermente inclinando la testa verso la sua destra. “Si…sei davvero molto carino.”, disse. Le mie guance divennero purpuree. Che cosa c’entrava ora il fatto che ero molto carino con la domanda che gli avevo appena fatto? “Ma…che c’entra scusa?”, gli chiesi, alterato più di prima. “Oh, nulla…”, mi rispose Myu poi aggiungendo “…pensavo ad alta voce.”. Istintivamente gli afferrai il braccio destro, all’improvviso. “Perché lo hai fatto?”, gli chiesi. Lui mi guardò perplesso poi, sorridendo, rispose “Te l’ho detto. Ci sono così poche persone che, al giorno d’oggi, posseggono ancora il senso dell’umorismo…che sarebbe stato un peccato perdere anche te.”. Stava cercando di non farmi pesare il fatto che tutta la confusione a Se-ami si era creata solo per colpa mia. Per colpa del mio arrivo. E stava anche cercando di non farmi pesare il fatto che la sua vita, ora, dipendeva dalle mie azioni…lo avevo capito troppo bene. Cercò di togliere il suo braccio dalla stretta della mia mano…ma io non lo lasciai andare. Anzi…strinsi maggiormente. Lo fissai…e lui contraccambiò. Il suo volto era serio. “Dimmi la verità…perché hai voluto correre questo rischio? Io potrei anche fuggire ora. Non ti sembra di avere fatto una cosa stupida?”, gli dissi. L’espressione di Myu divenne dura…piena di rimprovero. “Tutti quanti facciamo cose stupide ma…ormai, di questi tempi…a prescindere dall’agire in modo giusto o sbagliato dobbiamo sempre tenere conto che ci saranno delle conseguenze…in tutto quello che facciamo. Se poi queste saranno positive o negative…lo sapremo solo quando potremo raccogliere con mani concrete ciò che abbiamo seminato noi stessi.”, rispose Myu, riuscendo con un forte strattone a liberare il suo braccio dalla mia presa. Quante parole piene di saggezza uscivano dalle dolci labbra di quel giovane demone. Ce l’avevo con me stesso…per averlo coinvolto in una cosa in cui non c’entrava niente. Ce l’avevo con il mondo intero. Senza dire altro, Myu, iniziò a scendere la scalinata. Io lo seguii. Per la durata di tutto il tragitto in cui scendemmo la scalinata…ne io ne lui dicemmo nulla. Si era creata una strana atmosfera attorno ad entrambi. Mentre scendevamo scrutai attentamente il suo viso. Era sereno. Molto sereno. Troppo. Troppo sereno per essere il viso di qualcuno che stava rischiando la vita. C’era qualcosa nel suo volto. Qualcosa che mi faceva capire che si fidava di me…nonostante non mi conoscesse. Comunque…la sua fiducia era stata premiata…io non avevo nessun motivo per fuggire. Anzi…ne avevo due, ora, per rimanere li…a Se-ami. Uno era la vita di Myu che dipendeva dalla mia. L’altro motivo…era attendere, e sperare, in una nuova visita di Takao. Prima di morire volevo rivedere mio fratello. Ero deciso…nemmeno domattina avrei accettato la proposta di Tokugawa. Non l’avrei mai accettata. Arrivammo in fondo alla scalinata. Li Myu si fermò…e io feci altrettanto…dato che dovevo aspettarlo. “Perché non vuoi accettare la proposta di Tokugawa?”, mi chiese all’improvviso Myu. “Come sai che pensavo proprio a questo?”, gli risposi. “Diciamo che…sono piuttosto perspicace…”, mi rispose Myu sorridendo, poi aggiunse “…ti consiglio di ripensarci.”. Lo fissai per un breve istante. Il profilo del suo bellissimo volto. Con i lunghi capelli biondi, leggermente mossi dal vento. Erano resi dal sole, che vi faceva dei meravigliosi giochi di luce, di una bellezza impressionante…surreale. Con indosso quella splendida armatura bianca, rifinita d’oro, che stava sul suo corpo come un guanto di seta stava su una mano. Questo giovane demone non aveva niente da invidiare nemmeno al più bello e maestoso tra gli Dei. “Perché non fuggi?”, mi chiese, abbassando il suo sguardo verso terra. Spalancai gli occhi…non mi aspettavo una simile domanda. “Questa mi sembra un’ottima occasione per fuggire…ed evitare così la morte domani mattina.”, aggiunse Myu. Lo fissai, incredulo. Perché mi diceva questo? Se io fossi fuggito…lui sarebbe stato ucciso al mio posto. “Perché?”, gli chiesi. “Perché?”, disse lui, poi sorrise. E fattosi di nuovo serio in volto aggiunse “Perché a volte si sente dire che sia possibile morire di noia ma…la cosa brutta…è che qui non esiste neppure la morte.”. La sua risposta mi lasciò senza parole…non gli importava di morire? Fu in quell’attimo…che capii che, in fondo, Myu era simile a me. Improvvisamente sussurrò un appena percettibile “Andiamo.”, dopodiché iniziò nuovamente a camminare. Anche io cominciai a camminare…seguendolo. Ripercorremmo la piazza. Li, molti demoni, si fermarono a guardarci…evidentemente la notizia di ciò che aveva fatto Myu si era già propagata. Anche se…per bocca di chi? Probabilmente per bocca di qualcuna della guardie che, dall’altra sala, avevano ascoltato tutto e dopo erano usciti e avevano detto a qualcun altro ciò che era accaduto…e da li era iniziata la catena. Myu si era rovinato la reputazione a causa mia…ma non sembrava molto dispiaciuto. Anzi…. Mi lanciò una fugace occhiata, dopodiché abbassò nuovamente lo sguardo e sorridendo divertito, disse “Ma guarda un po’…sei qui solamente da un giorno e sei già così popolare.”. Effettivamente intorno a noi si erano radunati molti demoni a guardarci…ma notai una cosa. Non erano li solo per me. Infatti, alle mie orecchie, giunsero molti commenti sul modo in cui Myu si era comportato con Tokugawa. “Non per essere sempre polemico ma…credo che la maggior parte di questi demoni sia qui, non per vedere me, ma per vedere te.”, gli risposi. Lui mi fissò negli occhi, incredulo. “Allora significa che qualcuno ha già fatto propaganda di ciò che prima è avvenuto nel Tōdaiji.”, rispose Myu, diventando pensieroso. “Myu!”, gridò qualcuno. La voce…era vicina a noi. Ma, dati tutti i demoni che ci stavano intorno, era quasi impossibile capire da dove provenisse. All’improvviso in mezzo alla folla si fece largo un giovane demone, molto bello, dai capelli castani, corti fino alle orecchie. Alto, magro. Dai lineamenti decisamente dolci. Ma il suo occhio sinistro…aveva qualcosa di strano. Una cicatrice. Una cicatrice che doveva essere stata causata dalla lama di una spada. Il colore dei suoi occhi era nero. Come la notte. Ma non era penetrante come gli occhi di Myu. Indossava una bellissima armatura verde, rifinita in argento…e anche il manico della spada che aveva riposto nel fodero era verde con rifiniture in argento. Prima non ci avevo fatto caso…ma ora, osservandolo bene, constatai che Myu era l’unico demone, tra quelli che indossavano un’armatura, ad avere delle rifiniture in oro. Quelle degli altri erano in argento. Chissà perché? Comunque sia, il giovane demone con l’armatura verde, si fermò appena arrivò davanti a Myu. I due si guardarono qualche breve istante negli occhi. “Mi sfugge ancora cosa ti sia saltato in mente.”, disse il demone dall’armatura verde, poi aggiunse “Abbiamo già troppi problemi…che bisogno c’era di crearne un altro?”. Myu, fattosi serio in volto, distolse lo sguardo dagli occhi di quel demone. “Ānanda…al mio posto anche tu avresti fatto lo stesso…”, disse Myu, poi continuò “…c’era il rischio che Tokugawa, data l’ira del momento, non solo non ascoltasse Iblîs…ma che, addirittura, lo ferisse. Quando l’ho visto brandire ls sua spada…ho agito d’impulso.”. Dunque il demone dall’armatura verde si chiamava Ānanda…che nome singolare. Ricordo che iniziò a fissarmi. Aveva uno sguardo estremamente dolce. Ma i suoi occhi…sembravano pieni di tristezza. “Quindi tu sei Kei, giusto?”, mi chiese all’improvviso Ānanda. Lo fissai anche io. “Esatto…tu invece fai parte delle importanti guardie del palazzo?”, gli risposi. Lui smise di fissarmi e sorrise. Abbassò lo sguardo a terra. “Importante? No. Io non sono nessuno…”, disse, poi rivolto a Myu aggiunse “…Myu…tu si che sei importante. Ricordati che se venissi a mancare tu l’intero equilibrio di Se-ami vacillerebbe. Non dimenticarlo.”. Appena ebbe finito di dire questo, Ānanda, fece un inchino col capo in segno di saluto e rispetto, verso Myu e me, dopodiché se ne andò facendosi largo in mezzo alla folla esattamente come era arrivato. Sparì. Myu rimase, per un breve istante, a fissare la direzione in cui Ānanda se ne era andato…come se qualcosa lo turbasse. La sua espressione era triste. “Entriamo.”, mi disse. Aprii la porta della prigione e mi fece entrare per primo. Dopodiché lui entrò dietro di me. Appena tutti e due fummo dentro la prigione, Myu, richiuse la porta. Iniziammo a percorrere il lungo corridoio di pietra che conduceva alla mia cella. Il volto di Myu era triste. C’era qualcosa che lo turbava. “C’entra Ānanda?”, mi venne spontaneo chiedergli. Myu si fermò e, guardandomi stupito, disse “Che stai dicendo?”. Detto questo mi fissò dritto negli occhi, aspettandosi la mia risposta, che non tardò ad arrivare. “Intendevo dire se Ānanda c’entra qualcosa con il tuo improvviso malumore…prima di vederlo eri tranquillo. Quindi la cosa mi ha incuriosito molto.”, risposi. Myu abbassò lo sguardo, poi iniziò di nuovo a camminare. “Domani, a quest’ora, probabilmente non sarò più qui…”, gli dissi, poi chiusi gli occhi ed aggiunsi “…quindi credo che potresti anche dirmi il motivo di questo malumore alla vista di Ānanda. Oppure ti chiedo troppo?”. Myu si fermò di nuovo, senza voltarsi. “Vedi…in una battaglia che ebbe luogo poco oltre la città di Se-ami, circa 100 anni fa…c’era un giovane e bellissimo generale. Il primo dei sette generali supremi del mondo demoniaco. Questo generale era considerato imbattibile. Il migliore che l’esercito demoniaco avesse mai avuto.”, disse Myu. “Questo cosa c’entra con la mia richiesta?”, gli chiesi impaziente. Lui non si scompose. Rimase a fissare il pavimento davanti a se, senza degnarmi di uno sguardo. “Questo generale era innamorato di un giovane demone…e poco prima di partile per la battaglia…i due si incontrarono. E li, il generale, giurò al demone che sarebbe tornato e, se gli invasori fossero riusciti a penetrare a Se-ami, lui sarebbe accorso per proteggerlo. Dopodiché il generale partì assieme all’esercito.”. Myu si fermo un istante, poi continuò. “Purtroppo i nemici avevano preparato una trappola. Infatti, mentre una parte del loro esercito combatteva contro l’esercito demoniaco, un’altra parte attaccò la città di Se-ami. Venuto a conoscenza, nel mezzo della battaglia, del piano dei nemici…il giovane generale, con alcuni soldati, fece ritorno a Se-ami. Fortunatamente i nemici erano appena riusciti ad entrare, quindi le distruzioni e le uccisioni erano state minime. Il generale e i demoni al suo seguito iniziarono a combattere contro gli invasori finché…accadde l’imprevisto. Il generale fu sopraffatto dal capo dell’esercito nemico…e stava per venire ucciso. Ma qualcuno si portò in sua difesa. Era il giovane demone. Colui che il generale amava al di sopra della sua stessa vita. Il capo dell’esercitò nemico, dopo aver esitato un istante di fronte al bel demone, brandì la sua spada scagliandola contro di lui. Il generale, velocemente, si portò a sua volta come scudo del giovane e fermò la spada del nemico, afferrandola per la lama con entrambe le mani. Quest’ultimo, con la mano libera, estrasse dal fodero legato attorno alla vita un pugnale…con cui ferì gravemente il generale al volto che, dal dolore, allentò la presa alla spada. Così il capo dei nemici fece pressione sulla sua spada e li trafisse entrambi…sia il generale che il suo amato.”, disse Myu, dopodiché tacque. Anche io rimasi in silenzio…ciò che mi aveva appena raccontato era molto triste. Solo che ancora non riuscivo a capire cose c’entrasse con la mia domanda. “Ma…cosa c’entra con la domanda che ti ho posto poco fa?”, gli sussurrai. Lui esitò un istante, infine disse “Non morirono entrambi. Il generale fu ferito gravemente…ma non morì. Ma per il giovane demone non ci fu nessuna speranza…”, disse debolmente Myu, poi aggiunse “…il giovane generale ha tutt’oggi una cicatrice sul suo addome dovuto alla spada…e un’altra al suo volto. Precisamente sull’occhio sinistro, dove perse anche la vista.”. Spalancai gli occhi e rimasi a bocca aperta. Non volevo crederci. Quel generale era Ānanda. Avrei voluto chiedere conferma a Myu…ma, per alcuni istanti, la mia voce era come paralizzata. “Ānanda?”, sussurrai flebilmente, con gli occhi spalancati rivolti al pavimento. “Da quel giorno il generale decise di lasciare per sempre l’esercito e non farvi mai più parte…e il posto che ora io ricopro dovrebbe essere suo. Non è giusto che io sia qui.”, disse Myu debolmente. “Allora…se decise di lasciare l’esercito. Non può essere Ānanda….”, dissi debolmente, sperando nel mio cuore che Myu me ne desse la conferma. “Si. Era Ānanda…e non so cosa lo abbia spinto a tornare.”, mi rispose Myu. Non so neppure io perché ci rimasi così tanto male. In fondo non conoscevo Ānanda…se non per averci scambiato qualche parola. Eppure…la cordialità che aveva dimostrato nei nostri confronti…. Si era inchinato persino di fronte a me…un eretico. Quegli occhi che mi avevano fissato per qualche istante in modo così dolce. Quegli occhi in cui avevo letto chiaramente solo tristezza. Era come se…quei pochi attimi mi fossero stati sufficienti per leggergli l’anima. Un’anima colma di tristezza. L’anima di qualcuno che ha perso ogni motivazione di vita. Ānanda…come avrei voluto aiutarlo. “Vieni!”, disse Myu, riprendendo a camminare. Contro il desiderio del mio cuore, seguii Myu, fino a trovarmi nuovamente nella cella in cui ero stato precedentemente richiuso. Senza dire nulla, senza guardare Myu, mi stesi immediatamente sopra il solito giaciglio di paglia…iniziando a fissare il soffitto. Avevo la sensazione di essere fissato da qualcuno…probabilmente Myu era ancora li…e ne ebbi la conferma quando lo sentii parlare. “Ti consiglio di pensare bene alla tua decisone…non avrai una seconda possibilità. E, vorrei farti presente, che tu sei l’unica speranza di salvezza per demoni e dei.”, disse Myu, dopodiché sentii i suoi passi allontanarsi dalla cella…fino ad arrivare alla porta della prigione ed uscire. La porta si chiuse alle spalle di Myu con un tonfo sordo. Io rimasi immobile. Lo sguardo fisso al soffitto. Pensavo. Riflettevo. Cercavo di ricordare, dettagliatamente, tutto quella che era accaduto in così poco tempo. Mi avevano portato via dal monte Zen. Ero venuto a conoscenza di avere un fratello di nome Takao. Avevo visto, dopo 500 anni, di nuovo mio padre. Avevo conosciuto Iblîs, il sacerdote misterioso. Yo Chen, il generale che controllava anche le prigioni. Myu, il bellissimo primo generale dell’esercito demoniaco. Rune, che penso fosse anch’egli uno dei generali data l’armatura che indossava. Ānanda, il triste generale. Avevo saputo che la mia spada Sacrilege non era andata distrutta. Avevo visto la statua di Shih-Kai. Quante cose erano accadute in così poco tempo. Così…Con impressi nella mente tutti questi pensieri che si sovrapponevano l’uno all’altro. Mi addormentai…ma con una sola consapevolezza. Domani. Domani…tutto questo sarebbe finito…per sempre.




Il primo capitolo è qui concluso. Spero vi sia piaciuto. In ogni caso…mi aspetto qualsiasi tipo di commenti. Il secondo, dal titolo LA NOTTE DEI DIAVOLI, non è ancora sicuro che lo pubblichi. Diciamo che, a seconda di tempo e voglia…questa storia approderà su Manga.it. Ma comunque…spero solo un’unica cosa. Che l’abbiate letta con estremo piacere. Fatemi sapere. Baci grandi a tutti...il vostro Katze!
 
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