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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Libri e Film (da libri)
Dalla Serie: Harry Potter
Titolo Fanfic: COSA ACCADDE QUELLA NOTTE?
Genere: Sentimentale
Rating: Per Tutte le età
Avviso: Spoiler, One Shot
Autore: hiei-chan galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 08/11/2006 20:27:30

...ossia: cosa accadde sulla torre negli ultimi capitoli di hp6? severus piton è davvero colpevole? spoiler
 
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COSA ACCADDE QUELLA NOTTE?
- Capitolo 1° -

Salve a tutti gente! Come state? Spero bene! Dunque… questa fanfiction è stata scritta nel mese di giugno 2006 per un concorso al “Sotterraneo di Piton”(di Forla), al fine di “difendere” Severus dalle accuse di omicidio volontario ai danni di Silente (per maggiori chiarimenti visitate il sito a questa pagina: http://www.forla.net/severus).
La fanfiction si è classificata terza con 6,69% dei punti, ed ora voglio pubblicarla anche qui al mio amato manga.it! Spero che vi piaccia.

N.B: Questa fanfiction contiene SPOILER SUL SESTO LIBRO, e non tiene conto delle ultimissime informazioni date da J. K. Rowling.
NB2: Sul sito di Forla l'ho pubblicata con un altro nome... errore mio ^///^ Se qualcuno avesse delle riserve, può aprire la fanfic e cliccando sul nome dell'autrice può accedere alla casella di posta.

Detto questo:

BUONA LETTURA!

* * * * * * * * *


La nebbia unta e pesante che da giorni avvolgeva Londra e i suoi dintorni premeva contro le finestrelle sprangate e rotte delle casacce che si affacciavano sulle piccole e anguste viuzze, mentre l’aria appiccicosa trasportava l’odore di sporco e marcio che si sollevava da un tortuoso rigagnolo d’acqua che serpeggiava scuro e maleodorante nel groviglio intricato di strade.
Quella zona della città era abbandonata. Gli operai avevano lasciato le proprie miserevoli case a causa del fallimento e dell’abbandono della grande fabbrica, la cui alta e oscura ciminiera incombeva minacciosa sulle stradine, come un grandioso segno ammonitore che volesse redarguire chiunque avesse solo osato avvicinarsi a quel posto di nessuno.
Solo ogni tanto, specialmente d’estate, le finestrelle di una di quelle case erano illuminate da una luce giallognola molto debole, malsana, irreale. Quella casa era l’ultima di una schiera di baracche che formavano i contorni di una stradina laterale, piccola e sporca, chiamata Spinner’s End.
Ogni tanto, qualche barbone disgraziato si azzardava ad avvicinarsi al fiumiciattolo cercando se possibile qualche cosa di commestibile, come un animale. Quella notte una figura scura calò sul fiume, silenziosa come un felino in caccia, e si appostò sulla riva, affondando le mani nell’acqua e raccogliendone un po’ per bagnarsi il viso dopo che la vista del cadavere di una volpe gli fece perdere completamente l’appetito.
L’uomo si accarezzò la barba ispida e le guance scavate con le mani bagnate e si alzò in piedi, deciso ad andarsene, quando dei passi sull’acciottolato gli fecero prestare attenzione.
Lui non conosceva affatto bene quella zona, quindi non poteva sapere che l’uomo che dopo pochi istanti vide comparire da una delle stradine era il solo abitante stabile della zona, e che sua era l’ultima abitazione in Spinner’s End. Nascosto dietro le sterpaglie della riva non riuscì a vedere distintamente l’uomo che, dopo essersi allontanato dall’imboccatura della strada si fermò inspiegabilmente nel bel mezzo di un piccolo spiano e cominciò a guardarsi attorno.
Lo guardò con attenzione: era vestito di nero, o di blu scuro, e aveva i capelli lunghi, che gli ricadevano in due bande ai lati del viso, non riuscì a distinguere i tratti somatici a causa del buio, ma poté dire che l’uomo era senza dubbio di razza bianca. Il nuovo venuto continuava a guardarsi attorno con fare circospetto, fino a che fu convinto di essere solo, al che il barbone lo vide distintamente prendere qualcosa dal mantello, o dal cappotto, non lo distingueva, e portarlo vicino al viso. L’uomo apparso dalla stradina non disse nulla, agitò l’oggetto che teneva in mano, e scomparve.
Il barbone scattò in piedi, stupito, e corse dove prima aveva visto l’altro uomo. Si guardò intorno, stupefatto, chiedendosi se per caso non lo avesse sognato. Scrutò alla propria destra, e alla propria sinistra, respirando affannosamente, mentre un’inspiegabile angoscia si impadronì di lui.
Si passò una mano stanca sulla fronte, ed afferrò la bottiglia di liquore che teneva sotto una vecchia giacca, e fece andare la testa da parte a parte, compatendo sé stesso.
“Devo finirla di bere questa robaccia”
Il barbone si infilò le mani nelle profondità remote delle sue tasche e con passo strascicato e traballante si allontanò, ripetendo a sé stesso che quell’uomo non esisteva, non era mai esistito, e che lui doveva decidersi a smetterla di bere. Fischiettando un allegro motivetto se ne andò.
L’uomo che aveva visto esisteva, invece. E non era affatto scomparso nel nulla.
A molti chilometri di distanza, accompagnato da un sonoro ‘pop’, l’uomo vestito di nero ricomparve in una stradina semi deserta, ma del tutto diversa dalle precedenti. Era un posto pulito, fine, sia sul lato destro che sul sinistro, comparivano le insegne dei negozi, e dei locali, ma l’uomo non sembrava interessato.
Cominciò a camminare velocemente nel bel mezzo della strada deserta, sul viso pallido dagli occhi neri era dipinta un’espressione sconcertata, che lasciava trasparire una certa fretta.
Non si curava delle donne che mettevano fuori i gatti, o che chiudevano le finestre, e neppure di quelli che gli rivolgevano un cenno di conoscenza, lui camminava rapido, attraverso le case, con una destinazione precisa.
Superò un angolo, due, tre, al quarto imboccò una stradina laterale silenziosa, ancor più delle altre, e si avvicinò ad una porta in legno semi aperta su cui pendeva un’insegna con la scritta in corsivo ‘Testa di Porco’. L’uomo respirò a fondo ed aprì la porta.
L’ambiente all’interno era stantio, il buio colmato solamente da qualche candela posta agli angoli della sala, solo quattro o cinque clienti erano ancora seduti ai loro tavoli sorseggiando le loro bevande. L’uomo li ignorò, si diresse al bancone e dopo aver parlato brevemente con l’oste, fu scortato nel separè, dove c’era già qualcuno ad aspettarlo.
– Professor Silente! – disse, con una nota di sorpresa nella voce, – È già qui?
L’alto uomo seduto al tavolino alzò gli occhi dall’Idromele che stava bevendo e sorrise vedendolo, ancora in piedi, osservarlo accigliato.
– Ero già fuori questa sera, Severus. Ma su, siediti.
L’altro uomo obbedì, e Silente ringraziò l’oste per aver concesso loro quell’incontro, nonostante l’ora tarda..
– Non c’è di che Albus. Professor Piton, le porto qualcosa?
Piton non sollevò gli occhi sul barista, e rispose sottovoce, quasi stesse riflettendo.
– Vino Elfico, grazie.
L’uomo tornò pochi minuti dopo, con una bottiglia impolverata e un bicchiere, li depose sul tavolino circolare, e li lasciò ai loro discorsi.
Quando la porta fu richiusa Albus Silente bevve un breve sorso dal suo bicchiere, e osservò Piton con occhio critico, ma sottilmente divertito.
– Dunque Severus, mi hai fatto venir qui per contemplare insieme a te la tua mano destra, o avevi bisogno di qualcosa?
Piton, che per un lungo istante aveva osservato intensamente la mano, la lasciò cadere sulla sua gamba e si versò del vino nel bicchiere, che bevve tutto d’un fiato.
– Ho ricevuto la visita di Narcissa e Bellatrix Black.
Disse, appoggiando il bicchiere sul tavolo, per poi sollevare lo sguardo in quello pacato del Preside che rispose semplicemente:
– Prevedibile.
Piton si versò dell’altro vino.
– Come lo sapeva?
Silente parve non comprendere il senso della domanda.
– Come sapevo che cosa, Severus? Della visita delle sorelle Black, o della richiesta di Narcissa?
Piton bevve dal suo bicchiere, ricordando quando il preside gli aveva fatto presente che presto tutta la schiera dei Mangiamorte lo avrebbe braccato, e si sarebbero dati battaglia per cercare di fargli sputare fuori la verità. Ma lui, in un certo senso, ora si sentiva più sollevato: l’aver dovuto affrontare Bellatrix, che considerava l’osso più duro, tra i Mangiamorte, e l’averla ridotta al silenzio, gli dava un maggiore senso di sicurezza. Inspiegabile, a dir la verità, considerando che perfino l’Oscuro Signore gli aveva creduto.
– Entrambe le cose, signore.
Il preside lo osservò da sopra i suoi occhiali a mezzaluna e sorrise.
– Quando mi hai riferito il piano di Lord Voldemort, – Piton tremò impercettibilmente al pronunciare di quel nome – ho ritenuto che fosse l’azione più logica, per una madre, cercare di salvare il proprio figlio. Ritengo che Narcissa, come tu mi confermerai, ti ha visto come la sola via per la salvezza di Draco.
Piton si limitò ad annuire e a bere un altro sorso di vino.
– Comunque, – continuò il preside – mi sorprende che Bellatrix Lestrange abbia seguito la sorella per chiederti aiuto. Non mi avevi forse detto che non nutre fiducia in te?
Le labbra di Piton si curvarono in una smorfia incomprensibile.
– Non era lì per dar manforte alla sorella, anzi. Mi ha aggredito da ogni angolazione possibile…
– Ma immagino che tu sia riuscito a convincerla.
– No, credo che continuerà a nutrire dei dubbi, ma l’ho ridotta al silenzio, per il momento credo che non mi infastidirà più… almeno fino a che non troverà altro con cui attaccarmi, ma prima d’allora io sarò già pronto.
Disse, nascondendo il sorriso beffardo che gli aveva arricciato le labbra bevendo un altro sorso del suo vino.
– Cosa ti ha chiesto di preciso, Severus?
Piton appoggiò il bicchiere sul tavolo, e molto ampliamente, riportò al preside il suo dibattito con Bellatrix Lestrange, riferendo le sue domande, le risposte da lui fornite, la rabbia sul viso della donna, e la sua incredulità. Silente annuì: da quanto Piton gli aveva detto, l’incontro non doveva esser stato particolarmente difficile per lui. Aveva dovuto ripeterle tutto quello che già aveva detto di fronte a Lord Voldemort, quindi non riusciva a spiegarsi il perché della sua espressione pensierosa, e perché no, anche un po’ spaventata.
– Severus, se si è svolto tutto secondo i piani, potresti spiegarmi perché hai quello sguardo così assorto? C’è qualcosa che ti preoccupa?
Piton alzò la testa e la scosse leggermente, in un gesto superficiale.
– Nulla, un dubbio.
– Quale dubbio?
Chiese il preside, affabile.
– Codaliscia.
– Perché mai ti preoccupa?
Piton scosse ancora la testa, noncurante.
– Il Signore Oscuro l’ha messo lì per assistermi, ma spesso e volentieri me lo trovo ad origliare alle porte… non riesco a capire le sue intenzioni.
Silente alzò la testa, con aria grave.
– Cosa?
Piton lo guardò sconcertato.
– Nulla di che, semplicemente …
– Guardati da lui, Severus: non mi fido di quell’uomo. Ha tradito i suoi amici una volta, non è un idiota… Severus! – lo richiamò, perché l’espressione di Piton si era fatta beffarda – Potrebbe giocarti qualche brutto tiro, potrebbe scoprire la verità. Non voglio affatto che tu ti comporti da persona superba o avventata Severus! Non ho bisogno…
– Di un altro Harry Potter.
Concluse Piton per il Preside.
Silente lo fissò con un’espressione di rimprovero e lui capì di aver superato il limite. Piton riempì nuovamente il suo bicchiere e se lo portò alle labbra.
– Codaliscia sa che sei qui, ora?
– No, – rispose lui a bassa voce, allontanando leggermente il bicchiere dalle labbra sottili. – stava già dormendo quando sono uscito.
– Bene… se mai dovesse chiedertelo, inventa una scusa.
– Come al solito.
Borbottò, bevendo un lungo sorso di vino.
Il Preside sorrise e decise che era ora di affrontare l’argomento che pareva star così a cuore al professor Piton.
– Cosa mi dici, invece, di Narcissa Black?
La mano di Piton si fermò a mezz’aria, mentre un’espressione contrariata gli si dipingeva in viso.
– Ho fatto tutto ciò che lei mi aveva detto, Preside.
Silente sorrise, accarezzandosi la barba argentea.
– Dalla tua espressione, deduco che hai dovuto stringere con lei il Voto Infrangibile.
Piton rimase in silenzio, gli occhi bassi, la fronte corrugata.
– Severus?
Lo esortò Silente.
– Come lo sapeva? Come sapeva che Narcissa si sarebbe spinta fino a tanto?
– Era un’ipotesi che non mi sono sentito di scartare: è una madre disperata, sola, con i marito ad Azkaban, e un figlio condannato a dover compiere un gesto terribilmente difficile, per la sua tenera età… se inoltre le parole della sorella l’avessero indotta a pensare che non meritavi tutta la sua fiducia, non trovi che la soluzione del Voto Infrangibile non risulti più così assurda, Severus?
Piton, ancora una volta, si limitò ad annuire alle parole del Preside.
– Molto bene, Severus, se è tutto qui, posso andare a compiere i miei affari.
– Tutto qui? – sbottò Piton, sconcertato, – ho accettato di portare a termine la missione di Draco Malfoy, ho accettato di… cosa devo fare?
Aggiunse, poi, in tono più calmo. Silente sorrise.
– Semplicemente quello che hai giurato.
Disse lui, tranquillamente, alzandosi dalla sua sedia. Però, notando che Piton non aveva intenzione di muoversi, si risedette lentamente.
– Abbiamo giusto i tempo per elaborare un piano. Harry sarà ammesso al tuo corso di Pozioni, quest’anno?
– No. – rispose semplicemente Piton, lievemente rincuorato da questa notizia. – Non ha raggiunto il voto richiesto.
– Molto bene, si molto bene. Severus, che tu ricordi Horace accettava studenti che avessero preso una ‘O’ nel loro G.U.F.O.?
Piton, rimasto per un istante interdetto dal commento iniziale del preside, non afferrò fino in fondo il senso della domanda se non pochi secondi dopo.
– Horace… lei intende il professor Lumacorno? Si, credo di si… ma che cosa centra ora il professor Lumacorno, non stavamo parlando di Potter?
Silente annuì soddisfatto, ignorando l’ultima domanda che gli era stata posta.
– Ne ero convinto… vedi ho intenzione di chiedere a Horace di tornare a insegnare a scuola.
A Piton quasi andò di traverso la saliva.
– Cosa? Perché mai il professor Lumacorno dovrebbe prendere la cattedra di Pozioni… la MIA cattedra?
Silente lo guardò da sopra gli occhiali a mezzaluna, incrociando le mani ed appoggiandovi sopra il mento.
– Stando a quel che ricordo, e che tu ora mi confermerai, mi pare di aver visto la tua consueta lettera di richiesta per il trasferimento alla cattedra di Difesa Contro le Arti Oscure… o mi sbaglio?
Piton non riuscì a sillabare nemmeno una parola.
Restò lì, come un idiota, con la bocca aperta per lo stupore.
Silente gli stava dando la cattedra di Difesa Contro le Arti Oscure. Dopo quindici anni di richieste gli stava permettendo di insegnare Difesa… perfino per lui era una notizia troppo bella per essere vera.
– Perché?
Si ritrovò a chiedere. Silente non parve né stupito né offeso, anzi sembrò accogliere la domanda come se fosse stata prestabilita su un copione.
– Perché, stando a quello che è accaduto questa sera, al termine di quest’anno dovrai lasciare Hogwarts, e mi dispiacerebbe moltissimo dover sostituire non uno ma ben due professori, l’anno prossimo, o per meglio dire, mi dispiacerebbe farlo fare a Minerva.
– Sostituire, due insegnanti? Che significa?
– Oh, nulla, – disse il preside con aria noncurante – semplicemente il posto che sto per offrirti è maledetto, diciamo. Come penso tu avrai notato non riusciamo a tenere un insegnante per più di un anno. Non potevo rischiare di perderti, e la scusa della ‘ricaduta’ nelle vecchie abitudini mi è sembrata molto… adatta, si, adatta… ma ora hai il diritto di sapere perché ti ho fatto penare per tutti questi anni, Severus.
Piton sembrò pensarci su per un lungo istante, prima di formulare la prossima domanda.
– Dunque è per questo che lei, fino ad ora, si è sempre rifiutato di lasciarmi la cattedra… vero?
– Esattamente, ma ora ho bisogno che tu giochi un ruolo attivo tra i Mangiamorte. Harry ne avrà bisogno, per la battaglia finale. – quando Silente pronunciò il nome di Potter, le labbra di Piton si curvarono in un ghigno infastidito. – E avrà bisogno di tutto l’aiuto possibile.
Piton annuì, anche se di malavoglia: non gli piaceva per niente l’idea di dover essere costretto a rischiare in prima persona per quello spocchioso ragazzino, ma lo sguardo di Silente non ammetteva repliche.
– Come vuole lei, signore.
Disse, anche se il tono che aveva usato indicava l’esatto contrario. Silente parve gradire la risposta, e si versò ancora un sorso di Idromele: evidentemente aveva abbandonato l’idea di andarsene.
– Molto bene, Severus, appurato questo, desidero che tu mi faccia avere il tuo libro ‘Pozioni Avanzate’ che utilizzavi a scuola.
Lo sguardo di Piton ora era sconcertato.
– Perché?
– Perché devo consegnarlo a Harry, o farlo finire in mano sua…
– Cosa? – Piton sembrava fuori di sé dalla rabbia – e perché mai dovrei consegnargli il mio libro, signore?
Silente sorrise affabile, come se non si fosse accorto dello scatto d’ira dell’altro uomo.
– Perché desidero che abbia fiducia in te, che cominci a nutrire un po’ di stima nei tuoi confronti, Severus… forse non lo sai, ma io ho letto quel libro, e un ragazzo come Harry, così interessato, così curioso…
– Così impiccione!
Silente lo ammonì con un’occhiata.
– Dicevo, un ragazzo così, non potrà non rimanere affascinato da tanta intelligenza, Severus.
– Si, ha ragione lei, e poi, siccome è un ragazzino tanto curioso, tanto interessato, comincerà anche la sperimentazione! Ci sono incantesimi pericolosi su quel libro: dovrebbe saperlo visto che l’ha letto!
Silente distese lo sguardo.
– Ho fiducia in Harry.
– Sono felice per lei, io no.
Silente, in quel momento, non poté non pensare a quanto quella conversazione fosse così simile a molte altre che aveva avuto con Harry, circa la fiducia che lui nutriva nell’uomo seduto proprio davanti a lui. Sorrise.
Piton si versò dell’altro vino, e il Preside si alzò in piedi.
– Mi scuserai, Severus, ma ho appuntamento proprio con il signor Potter alle undici, e sono giusto in tempo per andarlo a prendere.
Piton annuì distrattamente, e alzò la testa. Rimase per un istante intontito, a fissare il preside.
– Posso farle un’ultima domanda, signore?
Silente sorrise.
– Naturalmente.
– Riguarda la ferita del suo braccio, quella che mi ha detto dovevo riferire fosse stata causata dallo scontro con l’Oscuro Signore il mese scorso.
– Cosa desideri sapere?
– Come se l’è procurata, davvero.
Silente sorrise, e sollevò il suo braccio destro, che appariva alla vista bruciato e raggrinzito e mostrò a Piton un anello di cattivo gusto che faceva bella mostra di sé sulla sua mano.
– Questo anello apparteneva a Orvoloson Gaunt, il nonno di Lord Voldemort.
– Non capisco cosa centri l’anello con la ferita sul suo braccio.
Disse, quasi borbottando, bevendo un lungo sorso di vino.
– È un Horcrux di Lord Voldemort.
Piton per poco non sputò il vino che aveva in bocca.
– Co…?
– Hai capito bene, Severus, ma non desidero ampliare l’argomento, non qui… – si allontanò, risoluto verso la porta, e la aprì – Ma non preoccuparti, presto saprai tutto quello che serve.
E uscì. Soltanto un istante dopo però, la sua testa fece di nuovo capolino nella saletta.
– Arrivederci, Severus, e non preoccuparti, pagherò io la tua consumazione. E un’ultima cosa: se codaliscia te lo chiede, ti ho convocato per concederti la cattedra di Difesa Contro le Arti Oscure, credo che come scusa sia sufficiente.
Dopodichè sorrise e chiuse la porta alle proprie spalle, lasciando Severus Piton solo, nella saletta, con una bottiglia di vino Elfico, e i suoi pensieri.


Parla Piton.

Lo scambio di battute con il preside al ‘Testa di Porco’ mi lasciò sconcertato.
Uscì dal pub dieci minuti dopo, e mi diressi verso casa, senza fretta, camminando lentamente. Camminai per un lungo tratto di strada, prima di Smaterializzarmi nuovamente: dovevo riflettere.
Sostenere l’incontro con Silente era stato peggio di affrontare le ire e i sospetti di Bellatrix. Molto peggio.
Come ha potuto, quel dannato vecchio, chiedermi una cosa simile?
Come ha potuto costringermi?
Eppure lo ha fatto, e con una tale tranquillità, come se stesse parlando del tempo. Ed io ho avuto anche la faccia tosta di accettare.
Sospirai.
Buffo come, talvolta, un uomo deve mostrare la sua lealtà.
No, non buffo, assolutamente ridicolo.
Arrivai a casa e andai direttamente nella mia stanza, lasciandomi cadere, ancora vestito, sul letto.
Chiusi gli occhi e, senza che io l’avessi chiamata, mi apparve vivida l’immagine del Preside, due anni fa, quando mi chiese di unirmi nuovamente ai Mangiamorte allo scopo di spiare le loro mosse e quelle del Signore Oscuro, per aiutarlo, per aiutare tutti quanti nella difficilissima impresa della sconfitta dell’Oscuro.
“È arrivato il momento di scegliere, Severus. Di scegliere tra ciò che è giusto e ciò che è facile.”
Mi aveva guardato dritto negli occhi, come se da quella frase fosse dipeso il futuro dell’umanità.
Forse era così.
“Sceglierai ciò che è giusto, Severus?”
Mi chiese.
“Si.”
Risposi senza esitazione.
“Sai cosa devo chiederti di fare. Se sei pronto, se sei in grado…”
“Lo sono”
“Allora buona fortuna…”
Riuscii nella mia impresa, le mie doti di Occlumante erano ampliamente migliorate e riuscì a trarre l’Oscuro Signore in inganno, che decise di darmi nuovo rilievo tra le fila dei Mangiamorte. Ma quella volta si trattava di riuscire o morire provandoci.
Ciò che mi aveva chiesto Silente era troppo diverso.
Non si trattava più di usare il massimo livello di Occlumanzia, di subire delle Maledizioni Cruciatus, di difendermi dalle accuse di tradimenti dagli altri Mangiamorte.
Non si trattava più di me.
Si trattava di lui.
Ciò nonostante, e seppur controvoglia, consegnai al preside la mia copia di ‘Pozioni Avanzate’, e mi preparai a ricoprire il nuovo ruolo di insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure.
L’anno non fu per niente facile: Potter, oltre ad essere, come sempre, uno studente indisciplinato, si è anche dato alla sperimentazione dei miei incantesimi, come avevo previsto tra l’altro, e ho perfino dovuto salvare Draco Malfoy da un Sectumsempra… e il Preside non si è nemmeno dato il disturbo di far sequestrare il libro a Potter.
L’altro mio problema, era, ovviamente, Draco Malfoy. Io conoscevo il piano e le aspettative dell’Oscuro Signore, ma non era sufficiente: io dovevo conoscere anche il piano del ragazzo, per arrivare prima di lui, per impedirgli di farlo, per farlo io stesso. Ma non ce la feci.
Zia Bella gli ha insegnato l’Occlumanzia, e lui si teneva lontano da me per paura che io volessi prendere il suo posto, prendere la sua gloria.
Ridicolo.
Se fosse dipeso da me io non avrei mai accettato, mai.
Lo dissi al preside, più di una volta, e lui di tutta risposta mi ha accusato di essere un vigliacco.
Assurdo: questa non è vigliaccheria, questa è… è… questo è avere un minimo di senno! Un minimo di… di lealtà, di stima, e si, porca miseria, anche di affetto!
Poteva realmente pensare che io l’avrei fatto?
Mi sono rifiutato fino all’ultimo, ma quel dannato vecchio mi ha messo le spalle al muro. Mi ha impedito di tirarmi indietro, e lo ha fatto nel modo più infame: dimostrandomi il suo, di affetto, dimostrandomi ancora una volta di essere l’unico essere umano che, all’interno delle mura di Hogwarts, aveva davvero fiducia in me.
Quindi giurai che avrei obbedito agli ordini, che avrei fatto quello che avevo giurato a Narcissa e promesso a lui.
Gli giurai che l’avrei ucciso.

* * * * * * * * *

Era una notte fredda, nonostante si fosse ormai nella stagione estiva. Severus Piton, dopo un’estenuante serata passata a correggere degli orrendi compiti delle classi del quarto anno sulle Maledizioni Senza Perdono, si era concesso un lungo bicchiere di vino ed era andato a dormire con il preciso intento di informare quegli asini dei suoi studenti che, se volevano passare gli esami di fine anno, e accedere all’anno successivo, avrebbero dovuto studiare molto di più invece che perdere tempo a pensare alle vacanze estive.
Era nel suo letto, disteso supino, con il volto girato a sinistra, i lunghi capelli neri incollati alle sue guance e la bacchetta appoggiata sul comodino accanto al letto, a portata di mano.
Il sonno di Piton era leggero, durante gli ultimi anni da Mangiamorte, aveva imparato a tenere sveglia metà del proprio cervello, così che gli sarebbe stato facile svegliarsi in caso di necessità. E la necessità, quella notte, arrivò alle sue orecchie come una vocina stridula che gridava parole senza un senso.
Severus Piton aprì gli occhi di scatto e si mise a sedere sul letto, tendendo l’orecchio a ogni più piccolo e insignificante rumore: ma tutto quello che sentì fu soltanto la voce acuta di un uomo avvicinarsi alla sua stanza e bussare energicamente alla porta.
Piton balzò in piedi e in pochi attimi era già vestito. Aprì la porta sfiorandola con la bacchetta. Non riuscì neppure a parlare, che un ometto basso e urlante si catapultò all’interno e urlò con gli occhietti spiritati.
– I Mangiamorte! Ci sono i Mangiamorte a scuola! C’è bisogno di aiuto! I Mangiamorte!
Il professor Filius Vitious camminava avanti e indietro per la stanza, gridando continuamente: i Mangiamorte!, i Mangiamorte sono qui!, aiuto!
Lo sguardo di Piton era immobile, gli occhi spalancati e il labbro inferiore tremava leggermente.
“I Mangiamorte… nella scuola? Questo significa che… Draco Malfoy…” – Merda!
Sbottò, all’improvviso, facendo tacere Vitious i cui occhini ora lo fissavano smarriti.
– Severus, do…dobbiamo andare, c’è… c’è bisogno di aiuto… La professoressa McGranitt ha bisogno… la scuola… oh, Dio Severus dobbiamo sbrigarci!
Ricominciò a muoversi su e giù per la stanza come un animale in gabbia, e camminando avanti e indietro aveva voltato le spalle al suo collega che, senza fare rumore aveva preso la bacchetta e, senza parlare, lanciò il suo incantesimo. Il professor Vitious non ebbe neppure il tempo di accorgersi che uno Stupeficium Non Verbale gli aveva colpito la schiena, facendolo cadere faccia a terra.
– Scusa. – disse Piton, concitato, a bassa voce – Ma in questo stato rischi di farti più male che altro.
E, senza curarsi di chiudere la porta, abbandonò la sua stanza.
Corse rapidamente diretto alle scale che dai sotterranei portavano ai piani superiori, ma dopo soli pochi metri fu costretto a fermarsi, inorridito da ciò che aveva visto.
– Granger, Lovegood! Che cosa state facendo qui?
Hermione Granger, intimidita, fu la prima a parlare.
– Nu… nulla signore… pro… proprio nulla.
Stava mentendo: era evidente che erano state messe lì di guardia.
Ma chi era così stupido da chiedere a due ragazzine di appostarsi fuori dalla sua stanza quando per la scuola giravano i Mangiamorte?
La risposta arrivò immediatamente, come uno sparo nella sua testa: Potter!
Quella sera, quel dannato ragazzo, era uscito a caccia di Horcrux con il preside e, ovviamente, visto che non si fidava delle misure di sicurezza, aveva convinto i suoi amici a fare la guardia al posto suo.
Che razza di sciagurato!
Piton si riscosse e, abbandonando l’idea di sgridare le due ragazze, si rivolse a loro con un tono quasi gentile, dettato dall’urgenza:
– Il professor Vitious è svenuto nella mia stanza, sarà meglio che vi occupiate di lui. Non muovetevi di lì, io vado ad occuparmi dei Mangiamorte. Di corsa.
Le ragazze si precipitarono nella sua stanza e lui non si mosse fino a che non le vide sparire dietro la porta.
Almeno sarebbero state al sicuro, pensò, prima di correre di sopra.
Quando arrivò al pian terreno si accorse che qualcosa non andava: tutto attorno a lui non c’erano macerie, o segni di lotta, come se i Mangiamorte non avessero arrecato danni alla scuola, ma era impossibile. Dovevano esserci assolutamente, Vitious era l’ultima persona che si sarebbe prestata ad uno scherzo tanto stupido.
Quindi la risposta era ovvia: non erano entrati dall’ingresso.
Piton deglutì.
“Come diavolo hai fatto, Malfoy?”
Pensò. Ma quello non era il momento di perdere tempo a fare congetture, se i servi dell’Oscuro Signore erano nella scuola lui sarebbe dovuto andare là sopra a combatterli, copertura o no.
Superò senza incontrare nessuno il primo e il secondo piano, al terzo un quadro spaventato gli chiese informazioni, ma lui non lo degnò neppure di uno sguardo. Corse, ancora, arrivò al quarto, al quinto. Arrivato al sesto vide un gruppetto di Mangiamorte feriti, uno alto e scuro si voltò a guardarlo.
– Piton!
Questi si avvicinò, convinto di poter ottenere informazioni.
– Che diavolo succede?
– Il ragazzo Malfoy… ci ha fatto entrare! Ma evidentemente la scuola era pronta a difendersi.
– Dov’è Draco? Dov’è?
Il Mangiamorte ghignò beffardo.
– Siamo entrati dalla Stanza delle Necessità, al piano di sopra… il ragazzo ha trovato il modo….
– Non me ne importa un accidenti! – sbottò Piton, furente – Ti ho chiesto dove è il ragazzo!
L’uomo prese aria e rispose senza esitazioni.
– Sulla Torre di Astronomia, Gibbon ha acceso il Marchio Nero, il ragazzo sta aspettando Silente.
Il cuore di Piton mancò un battito.
Silente? Malfoy aspettava Silente sulla Torre di Astronomia? Voleva dire che…
– Grazie!
Urlò Piton, prima di dirigersi alle scale, diretto alla Torre di Astronomia.
Lo spettacolo che gli si presentò agli occhi lo lasciò senza fiato: oltre agli insegnanti un nutrito gruppetto di studenti stava evitando le Maledizioni dei Mangiamorte. Potter avrebbe dovuto pagare anche per questo.
Si gettò nella mischia, dove vide la McGranitt, in difficoltà.
– Minerva!
Urlò, facendola voltare. Lei gli sorrise e tornò a concentrarsi sul suo avversario. Piton non indugiò oltre e si diresse verso l’entrata della Torre. Mentre correva vide Bill Weasley steso a terra, Ninfadora Tonks, e altri Auror impegnati nella battaglia, vide Lupin, Ronald e Ginny Weasley, Neville Paciok ferito contro una parete, i suoi colleghi e schiere di Mangiamorte.
Diede una rapida occhiata intorno e vide l’ingresso alla Torre. Piton non dovette rallentare né difendersi: nessuno, di entrambe le fazioni era deciso a fermarlo. Arrivò alla base delle scale, dove gli fu subito evidente che era stata alzata una barriera. Quella fu una delle pochissime volte che ringraziò di avere ancora il Marchio sul braccio. Oltrepassò la barriera, salì le scale e tenendo saldamente la bacchetta in pugno, aprì la porta.
L’aria fresca della notte gli sfiorò il viso in una languida carezza, quasi volesse levargli il sudore dalla fronte e il peso che aveva sul cuore.
Si guardò intorno: c’erano Amycus e la sorella Alecto, Greyback, un Mangiamorte dalla faccia volgare di cui non conosceva il nome, Draco Malfoy, e accasciato al muro del bastione, con il viso pallido e smunto, il respiro stanco e irregolare, si trovava Albus Silente. Ma Piton sapeva che, nascosto sotto un certo Mantello che rendeva invisibili, a poca distanza dal preside, c’era lui, Harry Potter.
Stava per formulare un pensiero cattivo sulla stupidità e l’avventatezza del ragazzo, quando la voce di Amycus, che non distoglieva né lo sguardo né la sua bacchetta da Silente, lo interruppe:
– Abbiamo un problema Piton: il ragazzo non sembra in grado…
Piton non gli diede retta, la sua concentrazione era stata catturata da una voce più debole, più dolce, che lo chiamava.
– Severus…
Il sangue di Piton parve raggelarsi nelle sue vene. Era giunto il momento quindi, era giunto il momento di stabilire da che parte stare.
L’uomo avanzò, nella notte, afferrò Draco Malfoy per una spalla e, poco gentilmente, lo spostò da una parte. Quel ragazzino presuntuoso gli aveva già causato troppi problemi. Si parò davanti a Silente, la bacchetta in pugno, e si fermò. Non poteva farlo, quel vecchio non poteva essere così egoista dal chiedergli di fare una cosa simile! Piton sapeva che non poteva tirarsi indietro… però…
– Severus… ti prego…
Piton prese la sua decisione. Guardò il preside negli occhi, e puntò contro di lui la sua bacchetta.
– Avada Kedavra!
Ora non gli restava che sperare.
Uno zampillo di luce verde scaturì dalla punta della sua bacchetta, e colpì in pieno il petto di Silente. Il Preside venne scagliato in aria e, dopo un istante che parve eterno, il vecchio uomo cadde, lentamente, oltre le merlature, oltre la torre.
E scomparve.


Parla Piton.

Ora sono qui, in questo patetico rifugio ad aspettare, insieme a Draco Malfoy e agli altri Mangiamorte che l’Oscuro Signore ci dia ordine di rientrare.
Mi guardo attorno, guardingo, ma nessuno di loro sembra minimamente sospettoso, o freddo nei miei confronti. La mia messa in scena, dunque, li ha convinti.
Io per un lungo attimo ho avuto paura, paura che qualcuno di loro potesse riconoscere che gli effetti dell’Anatema che Uccide erano completamente diversi, ma nessuno sembra farci caso, e del resto io non temo affatto che Potter ci sia arrivato: non è così bravo a recitare, le accuse che mi ha rivolto erano sincere.
Tsk.
E il preside parlava di stima… quel piccolo infame si è messo ad usare contro di me i miei stessi incantesimi. Mi fa ribollire di rabbia.
Ciò nonostante è meglio così, se il ragazzo avesse capito ora mi troverei in un bel guaio.
Osservo ancora stancamente tutti questi uomini che si aggirano per il rifugio, convinti che per loro sia tutto finito, convinti di aver svolto appieno il volere del loro Signore. Che razza di idioti, credo che soltanto una persona, ora, sappia che cosa è realmente accaduto su quella Torre, per il solo fatto che gli ho dato accesso ai miei pensieri, che gli ho permesso di leggerli, di impedirmelo.
Albus Silente.
Mi passo una mano sulla faccia, chiedendomi perché non mi abbia fermato: forse perché in questo modo avremo preso due piccioni con una fava.
Io passo per quello che è sempre stato dalla parte dell’Oscuro Signore e come prova di ciò ho ucciso l’uomo che gli ha sempre fatto paura, e lui può girovagare liberamente inseguendo le tracce degli Horcrux.
Non mi importa. Può pensare quello che vuole.
Per quello che mi riguarda io l’ho fatto perché non sono riuscito a fare altrimenti: non potevo ucciderlo, no. È stato egoistico, lo so, ma quel vecchio è l’unico che riesca a non farmi sentire il peso del mio passato: la sua fiducia, il rispetto che ha di me, la disponibilità che ha avuto nell’aiutarmi valgono più di qualsiasi cosa, per me. Sono un egoista, ma ne ho bisogno.
All’improvviso e senza preavvisi sento il braccio sinistro pulsare dal dolore. Alzò gli occhi e vedo che tutti gli altri hanno la mia stessa reazione.
L’Oscuro Signore ci sta richiamando a sé.
Un paio di Mangiamorte di Smaterializzano rapidamente, seguiti a ruota da molti altri. Piano piano la stanza si svuota, fino a che non rimaniamo solamente io e Draco Malfoy.
Lui mi fissa, gli occhi lucidi, le guance arrossate.
– Grazie… professore… per…
– Non sono più il tuo professore.
Ribatto, secco, ignorando deliberatamente i suoi ringraziamenti: ho fatto quello che dovevo, ho seguito il mio istinto, non l’ho fatto certo per lui. Poi, non so come torno a fissarlo: le sue labbra sottili e pallide tremano, gli occhi sono gonfi, il respiro affannato e irregolare. Credo stia per mettersi a piangere.
Mi avvicino, ricordando le parole del Preside:
“Draco Malfoy è un innocente, Severus, sai quanto è difficile uccidere per un innocente.”
Gli afferro la nuca e me lo stringo al petto in un gesto rude: non sono un esperto in questo genere di cose, non mi è mai davvero capitato di dover far coraggio a qualcun altro, come, ovviamente, nessuno a mai fatto coraggio a me. Ma di certo Draco non ha colpa di questo.
– Non pensarci ragazzo, ho fatto quello che dovevo.
Gli scompiglio i capelli biondi e lo guardo negli occhi.
– Andiamo ragazzo, si staranno chiedendo che fine abbiamo fatto.
Gli afferro un braccio, pronto a Smaterializzarmi, ma lui mi ferma nuovamente.
– Mi dispiace… – sussurra – mi dispiace di essermi comportato male… con lei… quest’anno… io…
Gli rivolgo uno sguardo di comprensione.
– Non preoccuparti, ti capisco benissimo.
Lui mi sorride e io gli scompiglio nuovamente i capelli.
Muovo la bacchetta, nel buio, costringo Malfoy a stringersi a me, pronto per Smaterializzarmi.
Sarò solo, là. Solo ad occuparmi di questo ragazzino spaurito. Non avrò più solide mura di roccia a frapporsi fra me e Lui. Dovrò dare il meglio di me, dovrò farlo per Silente, per Potter, per Draco e Narcissa. Dovrò farlo per l’Ordine della Fenice, per James e Lily Potter, dovrò farlo per tutto il Mondo della Magia.
Ma principalmente dovrò farlo per me, per liberare il mio cuore da questo macigno, per liberare il mio braccio da questo Marchio.
Deglutisco, scomparendo dal rifugio, e ricomparendo a Casa Riddle.
Sono nella tana del Serpente, ora. Nessuno dell’Ordine accetterà di proteggermi se Lui scoprisse la verità: è la mia più grande prova.
Ma io, incamminandomi con il ragazzo al mio fianco, aprendo la porta dietro la quale di trova il Signore Oscuro, non sceglierò ciò che è facile.
Mai.

* * * * * * * * *










Spero che vi sia piaciuta. Aspetto i vostri commenti.

Un bacio,

=^.^= “miao” Hiei-chan

 
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