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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Originali (inventate)
Titolo Fanfic: SOUFFLER DES TAILLES
Genere: Drammatico, Introspettivo
Rating: Per Tutte le età
Avviso: Shounen Ai
Autore: sanzy-hika galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 08/09/2006 06:20:23 (ultimo inserimento: 21/01/07)

Chateau Lafayette è un microcosmo claustrofobico e Ange, medico, ne è un orgoglioso cittadino. Heath invece è lì perché il mondo vuole dimenticarlo...
 
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PROLOGO
- Capitolo 1° -

Quando lo avevano messo lì aveva gridato, gridato e gridato.

Aveva gridato di farlo uscire, forte, mentre sentiva i polmoni bruciare, come raschiati dalle mani invisibili e violente della voce. E piangeva anche.

Mentre urlava piangeva, e fino ad allora non aveva mai capito perché gli scrittori parlassero di 'lacrime calde': queste, invece, gli erano sembrate bollenti. Non si sarebbe sorpreso se, guardandosi allo specchio, avesse visto la pelle solcata da strisce rosse, dove la carne era stata privata del suo rivestimenti di epidermide da quelle gocce d'acqua salata.

Sapeva di avere gli occhi gonfi, e li sentiva intorpiditi come un arto che non viene mosso a lungo. Le labbra si erano arrossate all'inverosimile ed erano bollenti, bagnate di saliva; d'altra parte, però, la gola aveva iniziato a seccarsi.

Era stato un sollievo quando, dopo poche ore, la domestica gli aveva portato il vassoio con la cena - facendo molta attenzione che non scappasse dalla porta - e lui aveva finalmente potuto bere e mangiare, ridando sollievo al suo corpo esausto. Subito dopo, senza pensarci troppo, si era gettato sul letto, vestito, e si era addormentato.


Il mattino seguente, a svegliarlo fu la luce del sole.

Dovevano essere le nove, forse addirittura le dieci, perché riempiva l'ambiente con una prepotenza notevole, nonostante il reticolato che si trovata oltre il vetro.

Lui lo stava notando solo ora; la sera precedente non vi aveva minimamente badato.

Era - più che un vero e proprio reticolato - una superficie su cui erano stati praticati tanti fori, ciascuno della grandezza sufficiente a farvi passare il dito indice di un adulto. Ricordava un po' i confessionali delle chiese. E non era mai stato in quella stanza. Probabilmente ve lo aveva fatto mettere suo padre apposta per lui: l'uomo sapeva bene con quanta agilità sarebbe stato in grado di sfruttare gli alberi che accarezzavano la casa con i rami, e di scendere giù, fino a correre via e magari superare l'alto cancello dalle punte acuminate. O restare nascosto nello sconfinato giardino, che conosceva meglio di chiunque altro. Più di una volta, infatti, il Conte aveva scosso la testa, affermando che suo figlio stesse crescendo molto più simile ad un piccolo selvaggio che ad un nobile.

La luce gli feriva gli occhi, che bruciavano fino quasi al punto di lacrimare ancora, così distolse lo sguardo, incontrando la vista dell'elegante tavolino rotondo a tre piedi.

Su di esso era stato poggiato il solito vassoio d'argento cesellato, la cui superficie d'argento era adesso coperta con porcellane da colazione e fette di pane a cassetta e vasetti di confetture profumate.

Allora si alzò, ignorando i muscoli ancora indolenziti dal sonno.

Un ampio movimento del braccio esile fu sufficiente per trasformare quello che pareva il dettaglio di un dipinto ritraente la serenità domestica in un pezzetto di caos: di niente e di tutto.

Con un concerto fragoroso e stonato, ogni cosa si era rotta, frantumata: scaglie levigate di porcellana bianca si infilavano nella mollica compatta e giallina del pane; la marmellata scura era chiazzata qua e là da latte bianco, e perfino il tulipano giallo che stava - solo - nel vaso dalla forma affusolata, era inzuppato di the. Era come se tutti quegli elementi diversi tra loro stessero cercando di entrare l'uno dentro l'altro, per non separarsi più. Si abbracciavano.

Ma questo pensiero rese solo maggiore l'intensità e la foga dei suoi lamenti. Adesso si sentiva come quando, da bambino, sua madre aveva provato a farlo nuotare, ma lui, spaventato dall'acqua, non era riuscito a tenersi a galla nemmeno un secondo. Il pianto era tanto forte da portargli via l'aria; la disperazione gli riempiva le narici, la trachea-- percorreva ogni via libera arrivando fino al petto.

Lui non poteva più abbracciare nessuno.

Camminò ancora, mentre i cocci sul pavimento gli disegnavano strisce rosse sulle piante dei piedi.

A differenza della sera precedente, non si avvicinò alla porta, pregando che qualcuno lo facesse uscire.

Heath si trascinò fino alla finestra, e pensando che non ci sarebbero stati più prati d'erica incantata, si inginocchiò, e iniziò a gridare il nome di Catherine.

Catherine che, quando l'aveva guardata un'ultima volta sporgendosi dal balcone, gli era parsa bella e serena come non mai, adagiata sul selciato del cortile, con i capelli color miele incorniciati da quella corona irregolare e scarlatta.
___

Okay, qui è Hika (Hikasama) che parla, l'autrice del prologo. Questa è una storia originale che Sanzina ed io abbiamo progettato e iniziato a scrivere un secolo fa, ma che, grazie alla solita malasorte, viene pubblicata da me solo ora, all'alba. Nella prossima parte potrete ammirare il talento della mia collega (si può dire così, quando si parla di round robin?!) <3
La linea del sunto è presa dalla canzone di K. Bush, e come avrete notato, ci siamo fatte un po' influenzare da un romanzo che piace molto ad entrambe... Il rating potrebbe alzarsi in futuro. Forse.
Se non fossi mezza addormentata, avrei già avviato uno sproloquio sulle cose più insignificanti e la nascita di questa storia... Ma siete fortunati. Spero che la lettura sia stata gradevole; 'notte a tutti...
 
Continua nel capitolo:


 
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