torna al menù Fanfic
torna indietro

MANGA.IT FANFIC
Categoria: Manga e Anime
Dalla Serie: Bakuten Shoot Beyblade (Beyblade)
Titolo Fanfic: SEI IL MIO IRRIPETIBILE CAPOLAVORO
Genere: Fantasy
Rating: Per Tutte le età
Autore: sanzina galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 05/09/2006 17:58:16

la natura non c’inganna mai;siamo sempre noi a ingannare noi stessi. [brooklynxkai]
 
Condividi su FacebookCondividi per Email
Salva nei Preferiti
   
1
- Capitolo 1° -


La natura non c’inganna mai;
siamo sempre noi a ingannare noi stessi.
-Jean Jacques Rousseau-

In primavera, quasi tutti si erano già dimenticati di lui, tranne alcune delle infermiere del piano, che si facevano il segno della croce nel passare davanti alla sua stanza. La guardia fuori dalla porta, che per tre mesi non aveva avuto altro da fare che sfogliare riviste e bere caffé, si vantava con gli amici dicendo che, nelle sere di luna piena, doveva armarsi di una frusta e di una sedia soltanto per mettere il vassoio con la cena di là della porta. In realtà, la guardia non aveva mai neppure osato alzare lo sguardo nella stanza, dove le lenzuola del letto di metallo venivano sostituite una volta la settimana, nonostante nessuno ci avesse mai dormito.
L’occupante della stanza aveva un nome, che per un certo tempo era stato anche conosciuto attraverso i media e giornali sportivi. Si rifiutava di guardare chiunque negli occhi e, anche dopo mesi di lavoro col lo specialista in disturbi comportamentali, di emettere qualunque suono, almeno in presenza d’altri. Ufficialmente era conosciuto come il paziente numero 3114, ma il personale lo chiamava, nonostante fosse stato espressamente diffidato di farlo, il Ragazzo senza l’anima.
Era sottopeso e aveva una cicatrice piuttosto lunga sull’addome, ricordo di una ferita di quattro anni prima che, nei giorni di freddo e di pioggia, diventava ancora violacea. Per diversi mesi era stato tenuto sotto sedativi, ma per il resto il paziente godeva di ottima salute.
Dal momento che nessuno si era preso la briga di ricercare la sua data di nascita, lo staff del Medical Center aveva scelto un giorno a caso in cui festeggiare il suo compleanno.
Avevano fatto una colletta per regalargli un maglione di lana blu, e una delle cuoche gli aveva preparato una torta ricoperta di glassa. Ma tutto questo era successo a gennaio, e dopo che aveva ricominciato ad usare forchetta e cucchiaio per nutrirsi e a vestirsi nuovamente da solo, il suo comportamento lasciava sperare. Adesso era lasciato a se stesso e, quando sedeva immobile e un raggio di sole entrava dalla sbarre che chiudevano la finestra, qualcuna delle infermiere giurava che i suoi occhi diventavano bianchi.
La sera prima del trasferimento in una nuova costruzione, venne mandato un uomo a tagliargli i capelli. Non ci sarebbe stato bisogno di spazzare il pavimento, dopo che i lunghi capelli ramati fossero finiti al suolo: il corvo in bilico sul davanzale non aspettava altro che poter sfrecciare attraverso le sbarre per raccogliere i fili lucenti e foderarvi il nido. Uno dei tecnici di laboratorio, che si era mostrato tanto coraggioso da spiare attraverso il rettangolo di vetro nella porta, più di una volta aveva visto il corvo mangiare direttamente dal piatto del ragazzo, mentre questo lo accarezzava sulla testa nera.
L’uccello guardò gli inservienti legare il paziente ad una sedia metallica e tenergli ferma la testa. Il barbiere non voleva correre rischi, il morso di un essere umano era il più pericoloso di tutti. Impugnate le forbici si mise a parlare recitando mentalmente una preghiera.
Il mattino dopo due infermiere aiutarono il Ragazzo senza l’Anima a indossare un soprabito nero, che si sarebbero riprese una volta trasferito il paziente nell’altra clinica. A lui non sarebbe più servito, mentre sarebbe potuto tornare utile a qualche altro malato.
La cuoca che gli aveva preparato la torta di compleanno pianse. Sosteneva di averlo visto sorridere, quando gli aveva acceso le candeline, ma non le aveva creduto nessuno tranne la guardia che, dopo aver appreso la notizia del suo trasferimento, era entrata in un tale stato d’ansia che aveva cominciato a rosicchiarsi le unghie a sangue.
La cuoca aveva scoperto che il Ragazzo sena l’Anima, mangiava solamente la verdura e detestava la carne, di qualunque tipo. Così, per il suo ultimo pasto in quell’ospedale, la prima colazione, gli aveva praticamente sfornato una torta di carote. Che importanza aveva se agli altri pazienti era sembrata disgustosa? Il ragazzo non aveva forse il diritto di mangiare quello che più gli piaceva.
Fu tentata di nascondere un coltello o un cacciavite nel tovagliolo ripiegato a triangolo poiché sapeva che, subito dopo la colazione, lo avrebbero ammanettato e affidato alla custodia di un assistente sociale di un ospedale statale per tutta la durata del viaggio. Poi, nel pomeriggio, sarebbe entrato in un reparto dal quale non veniva mai dimesso nessuno. Ma non diede retta all’impulso, e quando il ragazzo terminò di mangiare, gli inservienti lo vestirono e lo aiutarono ad indossare il soprabito, poi gli ammanettarono velocemente le mani per il timore che potesse ribellarsi.
Fuori dalla porta, la guardia alzò al massimo il volume del walkman e inforcò gli occhiali da sole, nonostante il cielo minacciasse pioggia. Ai suoi amici piaceva sentire le sue storie sullo strano ragazzo dagli occhi vuoti. Su come si accucciasse infantilmente prima di rannicchiarsi e dormire contro il muro, oppure come ci fosse bisogno di cinque uomini per tenerlo fermo ogni volta che gli facevano un prelievo di sangue o un’iniezione di tranquillanti. Ma quello che non diceva mai, quando bevevo birra gelata in loro compagnia, era che nelle notti di temporale lo sentiva spesso piangere dietro la porta, un suono così straziante da fargli raggelare in sangue nelle vene.

Veniva fermato per eccesso di velocità il più delle volte che attraversava l’abitato. Non faceva differenza che stesse procedendo a sessanta chilometri all’ora quando c’era il limite dei cinquanta, o che i ragazzini in motorino dessero gas per superarlo. Lui sapeva con precisione quando sarebbe accaduto: sentiva uno strano sapore in bocca, come avesse mangiato un limone o un cucchiaio di sale, e pochi istanti dopo udiva la sirena. Allora accostava, con la sua solita indifferenza verso il mondo, abbassava il finestrino e aspettava.
Conosceva quei poliziotti, se li era ritrovati spesso in casa a giocare a pocker. Il problema era che la relazione con Yuuya era in rotta estrema, non che fosse mai stata una vera storia, dato che a lui non era mai importato particolarmente, eppure sembrava che il suo amichetto si divertisse a farlo fermare dai colleghi per le infrazioni più insignificanti, come il controllo dell’assicurazione, un fanalino posteriore con la lampadina bruciata, un sospetto di velocità elevata, oppure era convinto che questi continui soprusi avrebbero finito per convincerlo di avere ancora bisogno di lui.
E quando mai.
Come risultato, il cruscotto di Kai era pieno fino a scoppiare di multe non pagate.
Metteva la mano fuori dal finestrino senza distogliere lo sguardo dal parabrezza. Il foglio di carta gli veniva messo in mano e puntualmente lui lo riponeva nell’ormai straripante scomparto. Gli veniva quasi da ridere a pensare a quello che ormai era diventato un gesto di rito.
Quindi premeva sull’acceleratore godendo nel vedere il poliziotto tossire per l’improvvisa emissione fumante del gas di scarico.
Aveva cominciato a piovere e mise in funzione i tergicristalli, emettendo un lieve sospiro contrariato nel vedere le gocce di pioggia aumentare picchiando sul vetro. Era sempre stato metereopatico fin da bambino. La neve, la pioggia, erano elementi che si coloravano puntualmente di scarlatto davanti ai suoi occhi. Sterzò bruscamente immettendosi in un vicolo contornato da case benestanti. Si fermò davanti al dojo dei Kinomiya. Era in ritardo o in anticipo, nemmeno ricordava l’ora che gli era stata detta ma era più che intenzionato a far capire agli altri che la sua presenza era un favore forzato del quale avrebbe fatto volentieri a meno.
Attraversò a piedi il giardino, perfettamente curato come solo Jey era in grado di tenere. Raggiunse l’ingresso, fermandosi come se il vento improvviso che si era alzato volesse in qualche modo portargli un messaggio, e una spiacevole sensazione lo colse, un grido ossessivo che rimbombava nella sua testa come una fastidiosa cantilena.
-Sei già nel tuo mondo inaccessibile?- esclamò una voce alle sue spalle
-Rei- si voltò verso l’amico, che gli sorrideva gentile come suo solito
-Sempre puntuale- continuò il cinese affiancandolo, facendo segno con la mano di entrare in casa.
-Credevo di essere in ritardo, veramente. Ho avuto un piccolo contrattempo-
-un’altra multa!- la voce del drigerblader si alzò di colpo –incredibile, non sei stanco di collezionarle? Dovrai deciderti anche a pagarle..-
-Non ne ho nessuna intenzione-
-ma..-
-entriamo o no?!- eccolo, si era già spazientito e Rei sapeva che in questi casi starsene zitti era la cosa migliore.
Varcarono l’ingresso e subito un forte odore di caffè investì le loro narici. Seguirono la scia fino a ritrovarsi nella cucina, dove un più che indaffarato Takao cercava di riempire alla meno peggio, un vassoio di tartine.
-sei proprio concentrato, Takachan! La cosa è veramente inquietante- Rei non poté trattenere la battuta che servì a destare l’altro.
-Rei, Kai! Accidenti non vi ho sentiti arrivare- si pulì uno sbaffo di salsa dalle labbra – siete puntualissimi, gli altri mancano ancora all’appello-
-Posso sapere il motivo di questa convocazione?- la voce fredda del russo smontò il sorriso del giapponese.
-a dire il vero il motivo non lo so nemmeno io, Daitenji e mio fratello non mi hanno spiegato nulla, semplicemente ci volevano qui-
-e tu come tuo solito non ti sei preoccupato d’informarti- sottolineo Kai acidamente.
Takao ribatté con una smorfia –sei già di cattivo umore? E’ da più di un mese che non ci vediamo tutti quanti insieme, invece di lamentarti dovresti essere contento che la squadra sia di nuovo al completo-
Scrollò le spalle. Non gliene era mai importato niente della squadra e detestava venire convocato senza ragione, ancor di più detestava dover trovarsi di fronte la faccia di Hitoshi. Il loro odio reciproco non era certo un mistero anche se tutti fingevano di non accorgersene.
Rei avvertì la tensione del dranzerblader accrescere. La fenice era sempre contornata dalle fiamme dell’odio. Odio che aveva radici profonde, piantate in un passato che Kai non aveva mai rivelato a nessuno.
Prese il russo per la mano, un gesto intimo che Kai avrebbe di sicuro scostato se quella che ora lo stringeva non fosse stata la mano del suo migliore amico.
-noi ti aspettiamo nella palestra, Takao. Così controlliamo se arrivano gli altri- non aspettò risposta e si trascinò dietro Kai il quale, una volta giunti a destinazione, si liberò malamente della presa.
-pensi che io non sappia controllarmi?-
-non volevo iniziaste a litigare. Lo sai quanto Takao ci tenga ad averti qui, non è un mistero il bene che ti vuole. Perciò..perchè gli rispondi sempre a quel modo?-
-perché è uno stupido e io detesto gli stupidi!- si diresse verso una delle finestre, pioveva sempre più forte.
-devi capirlo, Hitoshi è pur sempre suo fratello. Hanno un legame molto profondo e..-
-Legame di sangue. Lo reputi così importante, Rei? Io per niente. Non significa nulla. Hitoshi è stato in giro per il mondo fregandosene del fratello finora. Se non ci fosse stato Jay a prendersene cura, Takao sarebbe finito in un istituto. Perciò non farmi discorsi inutili sull’amore fraterno-
-Takao gli vuole comunque bene, non puoi pretendere che scelga tra voi due-
-io non pretendo proprio niente! Se vuole tenersi il bastardo in casa, affari suoi. Ma non può credere che io sia disposto a reggere il teatrino. Tu sai che cosa mi ha fatto Hitoshi, ed è solo per il bene che voglio a Takao se..- s’interruppe stringendo i pugni –se ancora non l’ho ammazzato-
A quel punto Rei lo cinse da dietro, come faceva sempre per calmarlo.
-non pensarle nemmeno queste cose. Tu non sei un assassino. Quello che ha fatto non merita scusanti è vero. Ma se ne è pentito e tu lo sai-
Una risata amara animò il viso della fenice –mpf, a volte mi domando come tu riesca ad essere tanto ingenuo- si rigirò in quello strano abbraccio. I suoi freddi occhi color ametista sfidarono quelli dorati di Rei.
-.ma è una tua caratteristica, l’ingenuità che a volte ti rende così ottuso da non saper nemmeno leggere tra le righe. Perciò è inutile stare qui a discutere-
Rei voleva ribattere, ma in quel momento Max e Daichi fecero il loro ingresso, e subito dietro comparvero anche Hilary e il professore.
-ciao ragazzi!- il biondo s’interpose tra i due schioccando un bacio sulla guancia del suo Kitty che subito arrossì d’imbarazzo.
Takao aiutato dal nonno, servì le tartine e il tè, sedendo poi al suo posto in attesa che Daitenji e Hitoshi facessero il loro ingresso. Non aspettò a lungo.
I due uomini fecero il loro ingresso, andando ad accomodarsi di fronte agli altri ragazzi.
Subito gli occhi di Kai fulminarono il maggiore dei Kinomiya, che rispose con un sorriso.
-ragazzi- iniziò Daitenji –mi spiace di avervi convocati senza darvi nessuna spiegazione ma l’argomento è piuttosto delicato e desideravo affrontarlo con voi faccia a faccia-
-è successo qualcosa?- domandò Max piuttosto allarmato –ci sono problemi alla BBA?-
-no- il vecchio sorrise rassicurante –la nostra federazione non è in pericolo, non temete- poi s’addombrò –il motivo è..bè..questo- pose una fotografia sul tavolo e tutti si sporsero per guardarla.
Mormorii e sussurri, occhi sbarrati e sorpresi. Nessuno sapeva che dire fino a che qualcuno non si alzò bruscamente dalla sedia.
-io me ne vado-
Tutti gli sguardi si puntarono sul russo, ora in piedi con gli occhi che parevano avere il potere d’incenerire chiunque.
-Kai, aspetta ti prego- lo implorò Daitenji
-No!- gridò –qualunque cosa lei abbia in mente mi consideri fuori. Non voglio avere niente a che fare con lui!-
-lo so che sei scosso per quello che è accaduto in passato, ma ti prego di ascoltare quanto ho da dire-
-le ho già detto che non mi importa. Non si azzardi più a convocarmi per una cosa come questa-
-sono passati quattro anni e ancora non hai abbandonato il tuo rancore? Quattro anni e tu ancora..-
-lo detesto, sì- un ghigno diabolico piegò le sue labbra –della sua sorte non me ne importa, può morire per quel che mi riguarda-
-ed è proprio quello che sta accadendo!- ribatté Daitenji
-che significa?- fu Takao a chiederlo
-le sue condizioni di salute mentale vanno di male in peggio, si rifiuta di curarsi. Io l’ho conosciuto personalmente e non merita tutto questo-
-non lo merita?- Kai esplose –siete tutti dei miserabili ipocriti. Chi vi ha salvato il culo quattro anni fa? Chi è finito in coma in fin di vita?-
-ora smettila, Kai- Hitoshi, l’ultima persona che avrebbe dovuto azzardarsi a parlare
-tu non rivolgermi nemmeno la parola, disgraziato! Che cosa fai qui? Ora che Vorkof ha perso il podio ritorni come una lurida biscia a leccare i piedi a Daitenji. E lui è un vecchio idiota a cascarci nuovamente!-
-Kai, basta- Rei cercò di intervenire, ma senza successo.
-la tua rabbia è comprensibile- Daitenji tentò un nuovo dialogo – ma ti prego di riflettere. Se ora ti rifiuti di aiutarlo potresti averne il rimorso-
-cosa ne sa lei di cosa è il rimorso?!- sputò velenoso per poi tornare a fissare Hitoshi –perché non te ne occupi tu, non sei stato forse tu a distruggerlo del tutto solo per i tuoi interessi?-
-vedo molto più adatto te in un istituto di igiene mentale. Dopotutto la cosa non sarebbe nuova alla tua famiglia-
A quel punto l’ira di Kai esplose e ci vollero sia Rei che Max per cercare di tenerlo fermo.
Così com’era venuta, quell’ira sembrò svanire. Divenne rigido e non proferì parola. Bastavano i suoi occhi che da sempre erano stati la sua parte più eloquente.
Quello che Hitoshi vi lesse lo fece rabbrividire.

Ebbene sì, era un sacco che volevo fare questo esperimento. Così sono tornata al mio primo amore: Kaiuzzo caro!! (e io che speravo di essermene liberato ndKai)
No, no! Ho ancora tanti progetti per te, principe polaretto, che nemmeno t’immagini.
Dunque, è la prima fanfic che dedico interamente a questa coppia –anche se ancora non so se sarà una coppia- cioè Kai e Brooklyn, devo dire che dopo Rei e Yuriy è il mio preferito come possibile candidato a fare lovelove con il diavolo della Russia, yeye.
La storia si svolge quattro anni dopo la sfida Justice5, dove Brooklyn era uscito veramente di matto –quando mai è stato normale- e mi ha quasi ucciso Kai.
(il che ti avrebbe dovuto far piacere visto che mi fai morire praticamente sempre ndKai)
Non è vero, ti ho fatto morire solo in Devil of Russia perché..insomma in che modo avresti potuto stare in vita? Eri un pazzoide omicida.
(e in death, life e compagnia.. non sono forse morto?Li che avevo fatto?ndKai)
Ah già, l’avevo scordato. Mi avevi messo incinta l’ochetta!
(mi hai fatto secco dopo una riga, ti rendi conto, una riga! ndKai)
Eh vabbè, dovresti ringraziarmi che non ho messo le tue agognanti sofferenze mentre tiravi le cuoia. E ora stai zitto che ho la bambola e Destiny da finire, che se mi gira male ti faccio secco anche lì!
[non so se si rende conto di fare la figura della deficente ndKai]
Dicevo, dopo che Brooklyn è uscito di testa e Kai mi è rimasto in coma profondo (il primo ha rischiato di ammazzarlo per ben due volte, lo ricordate?) ho pensato che come minimo al dolce amante della natura e un po’ meno delle persone, servisse qualche periodo di terapia per la sua personalità un po’ disturbata (a questo punto dovrei metterci dentro anche Kai in fatto di personalità disturbata, ma stavolta lo risparmio) solo che le cose si sono rivelate più difficili del previsto. A voi giudicare nei prossimi capitoli.

Au revoir


 
Continua nel capitolo:


 
  » Segnala questa fanfic se non rispetta il regolamento del sito
 


VOTO: (0 voti, 0 commenti)
 
COMMENTI:
NON CI SONO ANCORA COMMENTI, SCRIVI IL PRIMO! ^__-
 
SCRIVI IL TUO COMMENTO:

Utente:
Password:
Registrati -Password dimenticata?
Solo su questo capitolo Generale sulla Fanfic
Commento:
Il tuo voto: