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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Originali (inventate)
Titolo Fanfic: IMMAGINARE, PENSARE, SCRIVERE UNA LETTERA.
Genere: Sentimentale, Drammatico, Fantasy
Rating: Per Tutte le età
Avviso: One Shot, Shounen Ai
Autore: nika-and-sofien galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 14/08/2006 22:29:24

La lettera che racconta brevemente la parte più bella della vita di due ragazzi. Le cose più belle sono quelle che sfioriscono più in fretta, giusto?
 
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CAPITOLO UNICO.
- Capitolo 1° -

Sperando di non aver seminato errori (ed orrori) come grano…

La fiammella delle candele ondeggiava movendo le ombre e i riflessi. Nella stanza il
silenzio si muoveva sinuoso tra le ansie delle persone che si trovavano lì. Le antiche e preziose spade, i pugnali dall’elsa e l’impugnatura d’oro, gli occhi dei personaggi ritratti nei dipinti e gli sguardi sospesi dei fratelli, del padre e altri vicini consanguinei del re, potevano osservare la lenta agonia del giovane imperatore. Egli chiedeva e voleva la presenza di una sola persona, uno dei fratelli gli stava accanto e gli ripeteva la risposta che quella persona aveva dato, non sarebbe venuto. Il ragazzo non sarebbe sopravvissuto a lungo, era gravemente ferito e aveva perso troppo sangue. Ormai non molto in se, non si arrendeva e nominava più e più volte lo stesso nome: Uriel.
*
Percorreva i corridoi bui nella più nera delle notti. Ancora confuso e indeciso sul da farsi entrò nella propria stanza e si mise a sedere su una sedia. Rimase così per un po’, poi prese un foglio e una penna (intesa come piuma) rimanendo ancora sospeso sul da farsi osservando il foglio vuoto sotto le sue mani. Bagnò la punta della penna bianca e cominciò a far scivolare sul foglio le prime parole di nero e denso inchiostro.

“Caro amico e compagno di una vita, sono qui a scrivere questa lettera, che non spedirò mai, aspettando che mi decida sul da farsi. So che sarebbe d’obbligo che mi precipitassi da te cosa che per altro vorrei fare ma mi ritrovo nuovamente indeciso e non so il perchè. Sei l’unica persona che abbia mai amato, prima di incontrarti non sapevo ancora bene che cosa significasse questo sentimento. Mi ricordo di quel vecchio amico di mio padre, quando raccontò la sua storia d’amore con una contadina. Spiegava i suoi sentimenti per lei con gran dolcezza e trasporto, leggevo nei suoi occhi tanta nostalgia e una profonda e calda emozione.
-Che fine ha fatto Swari?- chiesi all’uomo quando ebbe finito il suo racconto.
-Bè, vedi ragazzo…lei è una contadina del regno d’Iraguardia, ora nostro nemico ed è quasi impossibile vederla o comunicare con lei.- La sua espressione si tinse di rammarico. Pensai ancora al suo racconto e mi soffermai su una frase che nn avevo capito. -Saresti davvero morto per lei?-
-Si, ne valeva la pena.-
-Perché?- Mi guardò come se avessi bestemmiato, o forse si chiedeva se scherzavo o ero proprio sciocco.
-Perché l’amavo.- Ma l’amore può essere così forte da decidere di morire per proteggere la persona che ami? Domanda assurda, lo so, ma nn riuscivo ancora a capire. Tornato a casa riflettei ancora sull’argomento. Mi piacevano all’incirca tre ragazze, ma solo per una di loro credevo di provare quel sentimento di cui parlava il vecchio. Si chiamava Amalea, e avevo con lei molta affinità, mi piaceva la sua presenza e spesso pensavo a lei durante la giornata. Ma riflettei ancora, sarei morto per lei? Avrei avuto il coraggio? In una sola domanda: l’amavo? La risposta mi sembrava quasi ovvia, e non credevo fosse sì. Mi chiedevo se non fossi solo un gran codardo e, deciso di voler sapere di più sul vecchio e la contadina per riuscire a capire se il problema ero io o qualcos’altro, il giorno dopo tornai nella sua bottega.
Trovai molto disordine e tre lavoratori che in fretta e furia incartavano e decoravano decine di cesti di fiori. Non credevo che l’attività di fioraio fosse tanto richiesta. Da una parte c’era il solito vecchio gualcito di Mestano chino su uno dei suoi cesti a scegliere e piazzare bellissimi e profumati fiori colorati.
-Potremmo tornare al discorso di ieri?- Non ero molto convinto ma chiesi ugualmente.
-Non ora ragazzo, ho molto lavoro per oggi. Il castello deve essere decorato e addobbato in tempo per la festa di questa sera.-
-Una festa per cosa?-
-Per il compleanno del re, 27 anni.-
-Ti do una mano?-
-Sul serio ragazzo? Allora prendi quel vaso dipinto di rosso, ci sono delle rose bianche con un biglietto, sono un omaggio della contessa Scevrier. Portalo ai servi del palazzo, precisamente a Monere. Lo riconoscerai subito, è più vecchio di me, con lunga barba bianca e un cappello rosso.-
-Vedo se ce la faccio almeno a sollevarlo.-
-è grande ma non pesa molto, non c’è terra e l’acqua la metteranno i servitori, al castello.-
-Va bene, vado.-
Così entrai nel palazzo del re per la prima volta nella mia vita. Era tutto enorme e ben decorato, c’era un gran fermento e i servi, nella loro divisa, andavano qua e la senza tregua. Ma non si vedeva nessun vecchio con barba bianca e cappello rosso e nessuno sembrava vedermi o ascoltarmi. Così vagai per sale e corridoi, passando per le cucine, le stanze dei servitori e infine mi ritrovai in un lungo corridoio pieno di porte.
Col carico che avevo in braccio e le rose che spuntavano fuori la visuale non era delle migliori, ma distinsi lo stesso un uomo dai capelli neri, vestito di bianco, venire verso di me.
-Dove vai con questo vaso, ragazzo?-
-Omaggio della contessa Scevrier, lo devo consegnare ad un certo Monere, è per il Re.-
-Scevrier hai detto? Puoi darlo anche a me.- Fece l’uomo allungando le braccia.
-Chiedo scusa signore, ma vorrei darlo personalmente al signor Monere.-
-Hai detto che è un omaggio per il re.-
-Sì, signore.- -Pensavo di poterlo prendere, dato che il re sono io, o no?-
Scostai il viso da davanti le rose e osservai bene quel giovane volto florido e curato.
Riconobbi le vesti che indossava come quelle del re e sussultai.
-Cielo, il re? Chiedo scusa mio signore non l’avevo proprio riconosciuta.-
Non sapevo cosa dire e lui, per farmi capire che non importava mi fece notare un piccolo particolare facendomi sprofondare nella più totale vergogna.
-Non ti preoccupare ragazzo, la prossima volta metterò una corona più grande.-
Così prese il vaso fra le mani e io notai una raffinata corona d’oro che risaltava fra i capelli corvini. Una linea curva che circondava la testa e, di fronte, lo stemma del nostro regno, una foglia d’edera e l’occhio di un serpente.
Questo è stato il nostro primo incontro e lo ricordai con piacere per tutta la giornata, nonostante la figura che avevo fatto. Il vecchio Mestano non mi volle credere quando gli raccontai a chi avevo consegnato il vaso. Continuai ad aiutarlo nelle consegne e incarti, poi feci per tornare a casa, era un po’ tardi.
Ma il vecchio mi prese per un braccio un po’ preoccupato.
-Aspetta Uriel, guarda.- Mi porse un piccolo mazzetto di fiori. -Questo è rimasto qui, stà davanti al posto di ogni ospite e questo con il fiocco rosso deve stare davanti al posto del re.- -Mestano, non ti preoccupare, non se n’accorgeranno nemmeno.- -Non dire sciocchezze, come puoi saperlo? Puoi portarlo tu a palazzo?-
-Io?- -Faresti prima di me, la festa deve essere gia iniziata.- -Va bene lo porterò a castello.-
Così m’incamminai un’altra volta verso il palazzo. Con le preparazioni finite era fantastico, ma non sapevo dove andare per portare il piccolo mazzetto di fiori. In fondo all’atrio c’era un grande portone da dove veniva della musica. Aprii piano e vidi molte persone con vestiti sgargianti danzare, dei cantori e dei musicisti rallegravano l’atmosfera. Un lungo tavolo imbandito era occupato da vari nobili d’alto rango e dall’altro capo una parte rialzata indicava il posto del re, ancora vuoto. Tutti si divertivano e nessuno s’era accorto della mia presenza. Cercando d’essere discreto arrivai in cima alla tavolata e allungando le braccia misi i fiori al loro posto.
-Ancora tu ragazzo?- Mi girai e davanti a me c’eri tu che ridevi con in mano una coppa d’argento.
-Mio signore. Io ho solo portato quel mazzetto di fiori. Ora vado subito via.- -Resta, divertiti.-
-Come? Mio signore, questo non è il mio posto...- Ma tu insistevi e, dato che poteva anche essere un ordine, accettai. Di certo non avevo i vestiti adatti o l’aspetto giusto per confondermi tra i tuoi nobili ospiti e perciò restavo spesso in disparte bevendo appena un po’ di vino. Trovai un terrazzo che offriva una panorama affascinante di monti e colline. Il cielo già si scuriva, si avvicinava la notte. Non ti immaginavo così come ti avevo conosciuto, credevo che un re dovesse essere per forza un nobile altezzoso che si da delle arie. Invece ti trovai gentile e anche simpatico. Tra forti risate arrivasti anche tu sul terrazzo e in un primo momento neanche ti accorgesti di me. Davi l’idea di aver bevuto molto e magari eri lì per prendere una boccata d’aria. Essendomi accorto che mi avevi notato e mi osservavi, distolsi lo sguardo. Ti sentivo mentre ti avvicinavi, a passo lento e io cercavo di non far notare che ti avevo visto, osservando interessato le punte dei monti all’orizzonte.
A pochi passi da me ti appoggiasti alla ringhiera. -Ti piace la festa?- -Davvero ben venuta, mio signore.- -Smetti di chiamarmi mio signore, mi fa sentire vecchio.- Mandasti giù un altro sorso di vino e sorridesti, molto probabilmente eri anche ubriaco, ma è così che ho imparato a conoscerti, solare e allegro. Eri così anche quando eri sobrio, ma l’opportunità di vederti non è che mi capitasse ogni giorno.
-Come ti chiami?- -Uriel.- -Uriel, che significa?- Questa era una domanda inaspettata, e poi non lo sapevo neanche. Per non deluderti e darmi qualche importanza cercavo di inventarmi un qualche significato, ma quello che mi veniva in mente era davvero poco credibile. -Non penso di saperlo.- Sorseggiasti ancora il vino, incominciavo ad avere paura che saresti crollato da un momento all’altro.
-Bè, Uriel, il mio nome è Aros, e significa “esaltante”.- Barcollasti e le tue mani scivolarono dall’appoggio del parapetto, ti ripresi prima che cadesti, dandoti appoggio. -Grazie, Uriel senza significato, ora potresti portarmi nella mia stanza?-
-Come volete.- Così ti guidai fuori dal salone fino ad uno dei tanti corridoi, veramente eri tu che guidavi me, siccome non sapevo dove portarti. Arrivammo davanti alla tua stanza, con il braccio attorno al mio collo aprivi la porta. Poi ti stringesti a me e, cogliendomi di sorpresa, mi baciasti la fronte, dolcemente.
Mi divincolai. -Cosa fate?- -Niente, niente. Ti ho solo detto grazie.- Detto questo sparisti dentro quella camera, lasciandomi sulla porta non poco interdetto e anche un po’ confuso. Ripensai a quel bacio leggero e furtivo tutta la notte, fino a che lo dimenticai. Passarono i giorni, arrivarono i freddi d’autunno. Finita la legna da ardere mi recai nuovamente nei boschi del villaggio per procurarmene dell’altra. Così mi ritrovai a vagare tra gli alberi con rami secchi in braccio, sentii delle voci e rumore di zoccoli di cavallo. Mi avvicinai al sentiero per vedere che cosa succedesse e per poco non fui travolto dal un cavallo color nocciola. Poco più in la un altro cavallo bianco montato da un giovane dai capelli neri.
-Ancora tu, Uriel senza significato? Ma allora il destino proprio vuole che ci incontriamo.- Eri tu, a cavallo, o che andassi a caccia o che facevi una passeggiata. Attorno a te altri bei cavalli purosangue montati da altri nobili ben vestiti. Molto più probabilmente facevi una gara di corsa con loro, ma non mi importava gran che.. Ti avvicinasti a me, sempre col tuo cavallo, sentivo una strana sensazione salirmi dentro. -Raccogli rami secchi?- -Sì signore, per il fuoco.- -Non ti avevo detto di non chiamarmi signore?- -Chiedo scusa.- -Monta su.- -Come dite?- -Avanti, sali sul cavallo.- -Ma no, devo portare questa legna a casa.- Cercavo una qualche scusa per rifiutare, questo tuo vago interesse verso di me mi spaventava. -Avanti, non ti mangio, promesso. Guarda che se vuoi te lo posso anche ordinare.-
Già, proprio questo era il problema, tu eri e sei il re e mi potevi ordinare qualsiasi cosa. Dovetti lasciare a terra i rami secchi che avevo trovato e salire su quel cavallo, chissà poi il perché. Come un fulmine, quell’animale sotto di noi, scheggiò via per il sentiero. La velocità e i repentini cambi di direzione mi spinsero ad aggrapparmi a te, tenendoti stretto ai fianchi, sentivo questa situazione un po’ imbarazzante ma d’altronde non volevo cadere. Eravamo davanti a tutti gli altri, era l’unica cosa di cui mi accorsi, perché avevo paura e tenevo gli occhi spesso chiusi. Ci fermammo nelle stalle del castello e mi feci entrare, insistendo. Ci ritrovammo seduti su una poltrona, nella stanza c’erano molti ritratti. Uno in particolare era più bello degli altri, tre bambini gemelli e un signore dai lunghi capelli biondi. Lo osservavo da un po’ e ne fosti incuriosito. -Quello è mio padre. Il bambino nella sinistra sono io.-
-Avete dei gemelli?- chiesi sorpreso. -Si, i miei fratelli Fira e Glauco.- -Chiedo scusa, ma perché vostra madre non c’è?- Si fece cupo un attimo e poi mi rispose. -Perché si trovava e si trova tutt’ora nel casolare d’Ansalmi. Non gli è permesso allontanarsi da lì.- Capivo che non era un argomento da proseguire ma cercai di insinuarmi sempre di più nell’argomento sperando di sviare qualcosa che neanche sapevo cosa fosse. Ma preferivo decidere io di cosa parlare. -Perché non può allontanarsi da la?- Sorrise notando, nella mia domanda, una traccia di paura. -Non è una cosa da nascondere, in molti lo sanno. Mia madre discende da una famiglia del vecchio regno, in cui si dice che i figli gemelli siano una maledizione demoniaca. Così, quando nascemmo, cercò di sbarazzarsi di noi, fortunatamente non ci riuscì e allora si rifiutò di allattarci e occuparsi di noi tre. Fummo affidati ad una nutrice, e siccome mia madre era una regina e a mio padre sembrava poco appropriato che finisse in una prigione, fu allontanata e rinchiusa in quel casolare.- -Potrei farvi una domanda?-
-Ne hai fatte fin ora e non ti ho mai interrotto, perciò dimmi.- -Perché mi avete portato qui, con voi?- -è divertente parlare con te. Sei una persona semplice e la tua compagnia mi fa piacere.-
-io la ringrazio, ma ora potrei tornare nel bosco a recuperare la legna che avevo raccolto?-
-Aspetta ancora un po’, è da poco che sei qui.-
Ti avvicinasti cercando di abbracciarmi, ma non volevo che si ripetesse quello che successe alla festa, quindi mi alzai di scatto.
-Invece si è fatto tardi e purtroppo dovrei tornare a casa.- -e va bene, permettimi almeno di accompagnarti nel bosco, la dove ti ho trovato.- -Non è necessario.- -Insisto.- Cedetti ancora una volta a salire sul suo cavallo e farmi trasportare fin dentro le intricate file d’alberi dei boschi.
Si fermò in mezzo al sentiero, proprio dove avevo lasciato la legna che avevo raccolto e mi diedi una spinta per scendere. Ma tu mi prendesti al volo impedendomi di allontanarmi.
-Lasciatemi.- Mi divincolavo agitato e impaurito mentre mi tenevi stretti i polsi. Eri molto più imponente di me e quindi più forte, infatti non riuscivo più a muovermi.
Sorridesti. -Tranquillo, non voglio farti niente.- Mi fermai, attendendo che mi lasciasti. Ma tu approfittasti della situazione, lasciasti andare il mio polso destro e passasti la mano attorno al mio collo avvicinandoti a me, premendo con decisione le tue labbra sulle mie. Volevo tanto reagire, ma il mio corpo non era d’accordo, perché non riuscii neanche a muovermi, semplicemente aspettai che si staccasse subito da me come l’altra volta, ma invece approfondisti il bacio. Premevi le mie labbra con la lingua e io, succube, ho aperto le labbra. Non riuscivo a reagire, forse perché in fondo un po’ mi piacevi anche ad allora. Ma non mi aspettavo che fosse un uomo a farmi provare quella sensazione d’abbandono. Lasciasti andare anche l’altro polso per farlo passare attorno ai fianchi. Aspettavo che finisse, nascondendo che un po’ mi piaceva.
Il nostro primo bacio andò così, inaspettato. Quando ti staccasti da me e mi guardasti negli occhi, io cercavo di distogliere lo sguardo. -Perché mi hai baciato?- Fu l’unica cosa che riuscii a dire.
-Perché mi piaci. Voglio rivederti.- -No.- -Per favore.- La tua voce aveva assunto un tono quasi supplichevole e mi guardavi con decisione. -Perché?- -Perché mi piaci davvero molto.- -Aros, voi siete un uomo, e io pure.- -Che importa?- -A me importa.- -Credi non mi sia accorto che ti è piaciuto quando ti ho baciato? Io stesso ho sentito il brivido che ti ha percorso la schiena.- -E non doveva essere così.- -Perché? Ci trovi qualcosa di male?- -Siamo uomini, per Dio!- -Ti giuro che non ti lascio andare se non mi assicuri che ti rivedrò.- -Io non voglio rivederti.- -Io sì. Vorresti farmi credere che non ti piaccio?- -è vero, mi piaci e non dovrebbe essere così.- -Chi ha deciso che non deve essere così? Non puoi farci niente sai?- Ti guardavo afflitto sperando che mi avresti lasciato in pace, grazie a te avevo scoperto qualcosa di me che non volevo accettare, volevo dimenticare al più presto quello che era successo. -Dammi l’opportunità di rivederti.- Non sapevo più cosa rispondere, con i tuoi sguardi e le tua insistenze stavo cedendo. -Vieni domani a palazzo, ti prego.- Mi tenevi la testa fra le mani, mi avevi incantato, ti eri sapientemente impossessato della mia mente con il tuo fare gentile e sensuale. Tutta la notte la passai cercando di convincermi della situazione. Il giorno dopo ero di nuovo al castello, a parlare con te d’ogni cosa. Le tue parole mi sapevano stregare e la tua voce era così morbida che neanche mi accorgevo del tempo che passava. Tornai anche il giorno seguente e quelli dopo, mi hai anche insegnato ad andare a cavallo. Dopo poco meno di una settimana mi baciasti ancora, e questa volta non mi opposi. Cominciavo a convivere con l’idea di avere un amante uomo, per me non era una cosa facile dopo aver passato mesi e mesi a fare la corte alle donne. Ma con te riuscivo a dimenticarmi di tutto il resto: delle donne, d’Amalea, della tua corona e di tutto il mondo. Il tempo che passavo con te si faceva sempre più lieto, mi abbracciavi mentre mi insegnavi a giocare a scacchi, ti divertivi a sciogliermi i capelli e mi mettevi la tua corona.
Per settimane passavamo il tempo insieme in questo modo finchè le giornate si fecero sempre più fredde e l’inverno era ormai giunto. Mi ero affezionato a te e ricercavo sempre più la tua compagnia, i nostri baci si facevano sempre più appassionati, c’era sentimento. Mi ero innamorato di te. Non riuscivo a fare a meno della tua presenza. Tra di noi non c’era nessuna incomprensione, mi sono sentito amato, mi hai sempre trattato con estrema gentilezza c’era tra di noi quella cosa in più che con Amalea non ero mai arrivato a raggiungere, non c’era quella continua paura di un conflitto, quel continuo botta e risposta e gli sforzi per riacquistare la sua fiducia. Con lui era diverso, bastavamo noi e tutto era a posto. Passarono diversi anni così, il tempo e si ripeteva uguale ogni tuo compleanno una festa e l’anno aveva fatto il giro per l’ennesima volta. Organizzasti un’altra festa e questa volta ero stato invitato da prima. Quel giorno mi ritrovai in uno dei corridoi del castello incontrando tuo fratello gemello Fira. Era veramente identico a te ma riconoscibile grazie ai capelli corvini portati molto più corti di come li avevi tu. Mi fermò salutandomi, non era certo la prima volta che lo vedevo, ogni tuo compleanno partecipava la tua festa e spesso veniva a farti visita ed io ero praticamente tutti i giorni da te. Improvvisamente in uno scatto che non mi aspettavo da Fira mi prese la testa fra le mani tentando di baciarmi. Lo spinsi lontano da me ma lui mi riprese tenendomi con più forza dandomi un bacio con aggressività premendo le labbra con impeto. Riuscii ancora a staccarmi da lui scappando via. Non capivo perché proprio quel giorno si era comportato così. Percorsi tutti i corridoi che mi avrebbero portato nella tua stanza senza voltarmi indietro, spaventato dall’idea di vederlo inseguirmi. Arrivato alla tua porta mi accorsi che dietro di me non c’era. Entrai e ti raccontai tutto ancora agitato. Non mi sarei mai aspettato la risposta che mi detti. Mi dicesti che non dovevo fare il bambino, che ero solo geloso perché uno come Fira non avrebbe mai potuto avere quel comportamento. Prendesti le difese di tuo fratello, non mi volevi credere. Chiedesti anche delle spiegazioni a Fira ma lui naturalmente negò tutto. Credevo che ti fosti fidato di me, ma a quanto pare credevi più a tuo fratello. Forse i miei sentimenti e la fiducia che provavo per te non erano come i tuoi o comunque non superavano il tuo legame con Fira. Ero arrabbiato con te perciò me ne andai. Ma passarono solo due giorni che già sentivo che il tempo passava lento e noioso. Mi mancava la tua compagnia, il tuo affetto e non valeva la pena di perderli per quell’incidente di due giorni prima. Tornai a castello e senza pensare mi diressi nella tua stanza. Eri nello stesso divano in cui tempo prima parlavamo abbracciati, lì dove mi hai baciato più e più volte, quello stesso divano rosso in cui ho imparato a conoscerti meglio capendo che eri una persona speciale. Ma quel giorno si rivelò come il più brutto da quando ci conoscevamo. Accanto a te c’era uno dei tuoi servi, mezzo spogliato le tue labbra sul suo collo. Rimasi sulla porta a guardare la scena. Il nostro rapporto si era degradato a tal punto? Mi avevi gia dimenticato o era solo un “passatempo”? Non lo so ma ti alzasti per venire verso di me mi fissavi i miei occhi e poi mi richiudesti la porta in faccia. Ti avevo già perso? Vagai per il castello tornando nello stesso terrazzo di sempre stando lì per molto tempo con gli occhi persi nel paesaggio. Poi arrivasti tu, come anni prima alla tua festa di compleanno, ma ad allora sorridevi, questa volta eri serio. Ti avvicinasti a me.
-Domani partirò in guerra.- Questa non me l’aspettavo davvero, lo guardai in volto, era serio e duro. Il nostro regno era in guerra da tempo con il regno d’Iraguardia e il re ora aveva deciso di partire assieme ai suoi soldati.
-Perché?-
-Perché mi va così.-
Te ne andasti, di colpo eri diventato ostile nei miei confronti. Ma eri arrabbiato e non ne avevi motivo, perché tra noi due quello che aveva dei motivi per arrabbiarsi ero io. Il giorno dopo ti trovai davanti a centinaia di soldati pronto per partire verso il confine.
-Se parti adesso, Aros, quando tornerai io non ci sarò.- La mia minaccia non ti fece alcun effetto, non mi avevi neanche risposto, ti voltasti e il tuo cavallo corse lungo la via che ti avrebbe portato al di fuori dalle mura del regno, seguito dai tuoi soldati. L’ultima volta che ti ho visto. Mi accorgo che da quando ho iniziato a scrivere questa lettera è passato molto. Aspettami.
Uriel”

Il ragazzo posò la penna sul tavolo e sfogliò i cinque fogli che componevano la sua lettera. La mise da parte e si alzò.
*
L’imperatore era ancora sul suo letto. Tutti stavano aspettando la sua fine attorno a lui, quando una figura minuta apparve sulla porta. Un ragazzo dai capelli castani e gli occhi verdi. Fira, accanto a suo fratello, lo riconobbe. Si alzò e fece segno agli altri di uscire. Il ragazzo si scostò dalla porta e si avvicinò al letto. Aros lo guardava triste in volto.
Si sedette sul letto appoggiando una mano sulla fronte del re, poi posò un tenero bacio sulla sua fronte. Aros sorrise e fece per dire qualcosa ma con una smorfia si bloccò.
-Non è necessario che tu dica niente.-
-Invece è necessario che ti chieda scusa.- Aros disse la frase tutta d un fiato lasciando sfuggire al controllo una lacrima. Uriel sorrise appena passando una mano sul volto del re.
In un attimo il vago sorriso sparì dalle sue labbra diventando l’espressione perenne ancora intrisa delle ultime emozioni, di un uomo che se n’è andato.

 
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