torna al menù Fanfic
torna indietro

MANGA.IT FANFIC
Categoria: Libri e Film (da libri)
Dalla Serie: Il Signore degli Anelli (The lord of the rings)
Titolo Fanfic: LEGATI DAL DESTINO
Genere: Sentimentale
Rating: Per Tutte le età
Autore: hiei-chan galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 01/08/2006 16:55:25 (ultimo inserimento: 05/08/06)

lei è una ragazza che fin da bambina è soggetta a strane visioni, lui un elfo alla ricerca del suo amore... ma è davvero così scontato il finale?
 
Condividi su FacebookCondividi per Email
Salva nei Preferiti
   
L`UOMO CHE VENNE DAL MARE
- Capitolo 1° -

Salve a tutti, gente! Nonostante il caldo, l’afa, la stanchezza, i compiti, e il blocco dello scrittore, sono riuscita a mettere insieme questa sottospecie di… COSA… che sarebbe il primo capitolo della fanfiction!!!!
Lo scrivere fanfic è una cosa strana, non trovate? Co sono giorni che scrivereste anche cento pagine, e giorni in cui una sola parola vi crea problemi, poi se siete come me che vado solo a ispirazione (con me, quella auto ispirata, non funziona, sono un vecchio modello, io!), è un altro paio di maniche! Questo per dirvi che se vi farà schifo mi dispiace, ma non ho potuto fare di meglio!!^^
Un saluto a tutti e come sempre…

… BUONA LETTURA!!!

* * * * * * * * *


Rupert Asce, ventitrè anni, era un giovane facoltoso di bell’aspetto, alto, muscoloso, con una buona parlantina e l’innata capacità a sedurre le donne, avvantaggiato sia da i suoi profondi occhi verdi che dal suo ricco conto bancario.
Rupert, ogni week-end, fin da quando era bambino, si recava con la famiglia alla loro casa al mare: una villa a due piani con un numero indicibile di stanze e una vista panoramica assolutamente superba. Da quando aveva raggiunto la maggiore età, il giovane, aveva cominciato a portare con sé un certo numero di amici, rigorosamente scelti ogni settimana tra quelli di cui prediligeva la compagnia: ma ormai le scelte erano piuttosto limitate.
Con lui, quel fine settimana, c’era come sempre il suo inseparabile amico Edward Norty, poi Elizabeth Crown, figlia dell’avvocato di famiglia, i gemelli Marling Jhon ed Anna, e William Colfer, il figlio primogenito della sua insegnante privata di Inglese, nonché, aveva scoperto, amante di suo padre.
Questi formavano ormai da settimane una compagnia unita ed esclusiva, per questo tutti quanti erano rimasti sorpresi, per non dire scioccati, quando, la mattina della partenza, Rupert li aveva informati che Neina Hammer si sarebbe unita alla compagnia.
Non che fossero infastiditi dal fatto che il padrone di casa decidesse di ampliare il gruppo, ma la signorina Hammer non era quella che comunemente si intende come “compagnia esclusiva”. Figlia del proprietario di un negozietto di oggettistica e di una maestra elementare, conduceva una vita modesta e controllata, e senza dubbio, sia nel bene che nel male, non faceva mai parlare di sé. Era magra, abbastanza proporzionata, ed in generale era una vista abbastanza piacevole. Il suo viso, nonostante i vent’anni, appariva ancora come quello di una ragazzina, illuminato sempre da un sorriso da sognatrice che molti definivano sciocco.
Dunque, la piccola Neina, non aveva assolutamente nulla di così particolare: non eccelleva nello studio, e fin dall’età di otto anni aveva rinunciato a dedicarsi a un qualsiasi tipo di sport, dopo che “quella vecchia megera” della sua insegnante di danza classica, l’aveva offesa davanti a tutte le compagne di corso a causa di un errore nel compiere un passo di danza; non era amante dello shopping sfrenato, al quale preferiva dilettarsi nella lettura di qualche libro. La ragazza non amava né fare conversazione, né spendere le sue ore in chat.
Chiunque la conoscesse anche solo superficialmente poteva affermare con certezza che Neina Hammer non aveva alcun tipo di capacità particolari. In poche parole era una ragazza mediocre. Ma c’era qualcosa, nel suo sguardo, nei suoi grandi occhi castani, di molto particolare: era un qualcosa di magico, che chiunque si fosse fermato ad osservare con attenzione, avrebbe sicuramente colto. Vi brillava una luce intensa ed abbagliante, proveniente dai migliaia di mondi immaginari che la ragazza creava nella sua mente, e forse, proprio a causa della sua innata fantasia, non riusciva a legare con le persone che le stavano attorno.
Quando Neina uscì dalla spaziosa cabina che Rupert aveva lasciato alle ragazze per cambiarsi, fu accolta da sguardi non esattamente compiacenti. Il suo bel fisico era tristemente avvolto in un costume a pezzo unico, nero, che lasciava solo moderatamente scoperta la sua schiena. Edward, sconvolto, guardò il padrone di casa come se fosse stato un folle:
– Pert… che cavolo ti è saltato in mente?
Rupert, dal canto suo, continuava a fissare Neina come se fosse stata una ninfa meravigliosa, ignorando da principio le parole dell’amico, e riportato alla realtà da una gomitata.
– Pert?
– Che vuoi Ed?
– Posso sapere perché hai invitato quella ragazza?
Rupert lo fissò con espressione accondiscendente, e quasi implorante.
– Voglio darle una chance… e comunque non credo che sarà così terribile stare in sua compagnia!
Di più non poteva sbagliare: dopo solo un paio d’ore alla spiaggia, la ragazza si era appostata sulla riva, mentre l’acqua gelata le lambiva i piedi nudi, e osservava l’immensità del mare.
Si sollevò un vento leggero e chiuse gli occhi… sentì come se un vortice la stesse avvolgendo, strappandola dalla realtà, e sentì il suo corpo avvolto da una leggerissima e delicata stoffa. Il vento si fece più insistente, e lei aprì gli occhi. Il Sole era pallido in cielo, e illuminava la spiaggia bianchissima, mentre la brezza sollevava i suoi lunghissimi capelli sciolti e il delicato abito bianco che indossava. Il posto era completamente deserto, ben diverso dalla spiaggia in cui si trovava solo qualche istante prima. Un luogo da sogno, evanescente, in cui la realtà era solamente quella che si vedeva attorno, non vi era che un attutito rumore degli uccelli, e quello degli alberi, in lontananza, sfiorati dal vento. La sua figura stessa era l’immagine di un sogno. Ma lei, dal canto suo, non se ne preoccupò. Non si affrettò neppure a guardarsi attorno per capire dove si trovasse: tutto quanto era normale, quel posto era esattamente quello in cui doveva essere. Una figura le sia avvicinò, un giovane dall’aspetto nobile, con i capelli scuri che gli arrivavano fino alle spalle. Le arrivò in fianco e osservò anche lui il mare.
– Posso sapere che cosa fate qui, mia Signora?
Lei non lo conosceva, ma sapeva cosa rispondergli. Le loro voci uscirono attutite ed evanescenti, in un dialogo già esistente.
– Lo aspetto.
Disse, senza parlare realmente.
– Aspettate chi, mia Signora?
– Il mio Amore…
Entrambi si voltarono a guardarsi, fu l’uomo a parlare.
– Lui non ritornerà
– Come lo sapete?
Silenzio
– Rispondetemi.
– Credete davvero che questo vostro amore esista?
– State dicendo che mento?
Silenzio
– Allora?
Lui alzò lo sguardo per incontrare il suo.
– Non che mentite… che sognate.
Lei fece per voltargli le spalle, ma decise invece di non farlo.
– Io l’ho veduto.
– Nei vostri sogni!
– È accaduto trecento anni or sono…
– È dunque questa la vostra magia Elbereth?
Gli occhi di lei scintillarono, colmi di rabbia.
– Dite che sono una ciarlatana come gli uomini di cui amate circondarvi?
Lui non sostenne il suo sguardo.
– E comunque sapete perfettamente quanto odi quel nome!
– Perdonatemi… Nehin… non intendevo.
Lei si addolcì.
– So che non intendevate, e ve ne ringrazio.
Tornò a fissare il mare burrascoso. Ma l’uomo, spazientito, le si parò innanzi e le afferrò brutalmente le spalle.
– Smettetela Nehin! Accettate la mia proposta! Muoio nel vedervi ridotta così!
– Allora morite! Lui verrà! Io non devo fare che aspettarlo! Lasciatemi, lui arriverà!
La scosse con violenza, affondando brutalmente le sue unghie nella carne di lei.
– Lui non verrà!
– Lasciatemi!
– Nehin!... Nehin!… NEINA!
La giovane, strattonata, aprì gli occhi, e, con sorpresa si trovò sulla spiaggia, in riva al mare, con indosso il suo costume da bagno e con Rupert Asce davanti a lei che la fissava con un’espressione abbastanza divertita stampata sul viso.
– A… Asce… che…?
– Credo che tu ti fossi imbambolata: stiamo andando a mangiare, vieni?
– Eh, mangiare? Si… si arrivo, dammi… dammi un minuto, e… e arrivo…
– Perfetto! Siamo a quel ristorante laggiù – e glielo indicò – raggiungici.
Non aspettò che lei gli desse risposta, che già era partito di corsa verso i suoi amici, non sapendo che lo sguardo di lei era attaccato ala sua bella schiena. La ragazza arrossì violentemente. Lei si rendeva ben conto di non essere la sola ragazza interessata al giovane rampollo degli Asce, ma credeva, in cuor suo, di essere l’unica che lo meritasse.
Non perché lei fosse particolarmente bella o intelligente, soltanto per quella sciocca e dolcissima mania che hanno le ragazze innamorate di credere che l’uomo dei propri sogni non possa vedere altre che loro, non possa amare altre che loro.
Tornò a fissare il mare, scostandosi una ciocca di capelli dalla faccia e il suo sguardo si fece d’un tratto pensieroso. Le era successo di nuovo. Ancora una volta aveva sognato ad occhi aperti, sospirò. Neina sapeva bene che quello che le capitava non era una malattia, e questo lo rendeva molto più pericoloso. Aveva cominciato ad averli all’età di sei anni, ma da principio si manifestavano soltanto sotto forma di sogni, o incubi. Col passare degli anni queste allucinazioni si presentavano in ogni momento: a scuola, per strada, in automobile, ovunque, e più ne parlava, più veniva definita pazza. I suoi genitori, gente semplice, l’avevano convinta ad incontrare diversi tipi di “specialisti”, che, nonostante tutto, la pensavano allo stesso modo:
– La ragazza non ha niente, questi sogni possono essere frutto della sua fantasia o semplicemente dei ricordi.
Neina abbassò lo sguardo, trovando stranamente molto interessanti le unghie dei suoi piedi. Sbuffò. Nessuno di loro capiva.
Lei non sognava… quelle che aveva erano vere e proprie visioni di una vita precedente.
Già.
Non che Neina credesse alla reincarnazione, ma non poteva negare che, fin da quando era piccola le immagini erano aumentate, cresciute, si erano, in un qualche modo sviluppate. Non poteva negare che la giovane donna dei suoi sogni era cresciuta…
Nehin… aveva un nome molto simile al suo, ma non aveva mai potuto vederla in volto, semplicemente perché era lei stessa che la impersonava.
Sollevò gli occhi al cielo, cercando di ricordare brandelli della conversazione avuta nella sua mente di pochi attimi prima:
“Lo aspetto”
Aveva detto…
“Aspettate chi, mia Signora?”
“Il mio Amore”
Si era sentita rispondere.
Quest’oggi aspettava il suo amore.
Incrociò le braccia al petto, e come faceva sempre, cercava di tirare fuori dalle sue visioni delle informazioni utili che potevano aderire alla vita reale, scartando tutto quanto era frutto semplicemente della fantasia:
– Dunque – cominciò – ero in riva al mare, ok, ero vestita di bianco, del mio colore preferito, bene, avevo i capelli sciolti, mi pare… effetto scenico, mi si è avvicinato un ragazzo, molto bello ma mai visto, forse sogno del mio uomo ideale, gli dico che sto aspettando il mio amore… forse un marinaio, considerato che lo aspetto dal mare, lui vuole che io la smetta di pensarci, credo che mi ami… ma è ovvio che io non lo amo… mi afferra le spalle e ritorno alla realtà… uhm… – si portò una mano alle labbra – Oggi è stato piuttosto contorto, credo che ci metterò un secolo a decifrarlo! Uffa! – sbottò, prendendo a calci la sabbia – Meglio lasciar perdere, vado a mangiare.
Diede un’ultima occhiata al mare e poi, velocissima, corse alla sua sdraio a prendere il pareo, lo indossò velocemente, e corse al ristorante in cui i ragazzi la stavano aspettando.

Entrò nel locale soltanto qualche minuto dopo gli altri ragazzi. Si pulì i piedi dalla sabbia e si guardò in torno per poter trovare la minima traccia del passaggio di Rupert. Il locale era molto grande, arioso, foderato in legno e pieno di finestre. Da ogni muro, da ogni tavolo e da ogni sedia si poteva respirare profumo di salsedine. Davanti a lei, leggermente spostato sulla sinistra, stava il bancone, mentre sulla parete destra c’era una porta che dava ad un’altra stanza, stava per avvicinarvisi quando una voce bassa e virile la trattenne:
– Vuole un tavolo signorina?
Lei si voltò a guardare verso il bancone, da dove aveva sentito arrivare la voce.
– Come?
Lui la guardò con scetticismo.
– Le ho chiesto se vuole un tavolo?
– Ehm, ecco io, per la verità, no… cioè si, vorrei sapere dov’è ora il signor Rupert Asce?
Lui la guardò da principio con aria dubbiosa, per poi illuminarsi in un sorriso abbastanza falso, allungando il braccio, a mo’ di invito.
– Da questa parte, prego.
Lei chinò il capo in un cenno di ringraziamento e lo seguì a breve distanza, continuando a studiarlo, come amava fare tutte le volte che incontrava una persona che non conosceva: abbastanza alto, corpulento, vestito con pantaloncini e canotta, aveva un viso luminoso e simpatico, anche se sembrava avere delle riserve sulla gente che gli stava davanti, e questo a Neina non piaceva. Le fece strada ancora per un paio di salette, fino a che non arrivarono ad una porta chiusa, dalla quale provenivano risate e schiamazzi.
– Sono qui.
Disse semplicemente il proprietario del ristorante, prima di allontanarsi e di lasciarla sola, davanti alla porta. Lei vi appoggiò una mano e socchiuse leggermente la porta, attirando l’attenzione dei presenti. Tutti si voltarono a guardarla e un opprimente silenzio avvolse la stanza: un’occasione propizia per Neina, per studiare i suoi improbabili compagni di viaggio.
I primi che riusciva a vedere, seduti all’estremità del grande tavolo più vicina alla porta erano i gemelli Marling: Jhon ed Anna. Erano eterozigoti, entrambi con i capelli scuri che l’uno portava corti e tagliati a spazzola, e l’altra sciolti sulle delicate spalle, avevano dei visi molto belli, illuminati da dei superbi occhi neri, profondi, spostò il suo sguardo su Elizabeth Crown, che anche in quel momento la stava fissando, fin dal primo istante non era riuscita a sopportarla: capelli biondi tirati alla perfezione, viso fin troppo truccato, abiti volgari, e un'odiosissima vocetta da far accapponare la pelle, e, peggio di tutto aveva un’innata capacità di far perdere la pazienza. Neina non indugiò molto su di lei, preferendo andare ad incontrare lo sguardo indagatore di William. Colfer era acuto, intelligente, portava un paio di occhiali da vista dalla montatura fine, e già dal primo istante lei aveva capito che i giovanotto era assolutamente un maniaco di tutto quello che riguardava la fauna e la flora marina: quando parlava riusciva ad essere più noioso del suo prof di Biologia, e inoltre non aveva un buon carattere. Senza nemmeno degnarsi di guardare il giovane Norty: capelli lunghi, neri, bel fisico, occhi penetranti, posò il suo sguardo direttamente in quello verde di Rupert, arrossì lievemente.
– Scusate il ritardo.
– Nessun problema! Nessun problema! Non abbiamo ancora ordinato!
L’accolse, allegra, la voce di Rupert. Lei sorrise tra sé e sé, e accettò la sedia che le veniva offerta. Si sedette con un certo imbarazzo e aspettò che gli altri ricominciassero a ridere come prima, ma non successe: tutti gli occhi erano puntati su di lei.
– Dicci Neinuccia – era Elisabeth – cosa ti ha trattenuto sulla spiaggia? Uno dei simpatici omini che abitano il tuo cervello?
Neina la guardò con odio, lo sapeva!
– Smettila Lizzie! Non è il caso di offendere la nostra ospite! Coraggio Hammer, stay up, e non badare a quello che dice Lizzie, lo sanno tutti che non pensa mai quando parla!
– Grazie, non fa nulla… lei non è la sola…
– Molti ritengono che sia a causa di stress o traumi infantili, se all’interno di una persona si formino, per così dire, altre personalità.
– Che stai dicendo Colfer? Io non ho affatto una personalità multipla!
– Allora perché vai dallo psichiatra?
Chiese Jhon, senza delicatezza
– Non è uno psichiatra, è uno psicologo… e comunque non ci vado più!
– Ma ci andavi, giusto?
Neina guardò tutti i presenti con aria afflitta. Era questo che la gente pensava di lei? Che fosse una pazza con la personalità multipla? Di solito non le importava il parere della gente, ma ora, vicino a Rupert, si chiese se per caso anche lui non la vedesse sotto quell’ottica. Rabbrividì al pensiero e di sentì mortificata.
– Cambiamo argomento?
Chiese un Rupert un po’ scocciato.
– Dai Pert! Ci stiamo divertendo!
Disse Edward accalorato.
– La mia ospite non si sta divertendo affatto, quindi siete pregati di farla finita.
Neina lo guardò con gratitudine: era certa che c’era qualcosa in lui, qualcosa oltre le apparenze, ed ora lo aveva trovato. I ragazzi, dopo un breve momento di smarrimento, ripresero a conversare e ordinarono da mangiare. L’allegria all’interno della stanza era quasi palpabile, ma Neina non si sentiva affatto bene: era oppressa da un nervosismo, da una certa inquietudine, che non le davano pace. Costrinse a forza la pasta con i frutti di mare ad entrarle in gola, come fece fatica ad ingurgitare il fritto misto e il dessert. Mentre tutti gli altri cominciavano ad accendersi le sigarette, lei aveva preso la ferma decisione che sarebbe tornata su quella spiaggia a controllare che andasse tutto bene. Non ci aveva fatto particolarmente caso, ma le era parso che ci fosse qualche cosa di molto strano, che richiedeva un controllo. La molla scattò quando Jhon Marling le porse una sigaretta.
– Vuoi?
Lei balzò in piedi, e uscì dalla sala come se stesse fuggendo da qualcosa. Jhon guardò Rupert con aria interrogativa, e l’altro gli rispose con una scrollata di spalle.

Neina uscì dal locale, andando a sbattere contro due clienti e il proprietario, che rimase sulla soglia ad osservarla stupito. Lei correva, a perdifiato, nella sabbia bollente, senza neppure accorgersene, i capelli scomposti le ricadevano sulla faccia, e lei li scostava con un gesto brusco. Correva, verso la spiaggia, verso la riva. Dribblò con discreta facilità un paio di ombrelloni e un gruppetto di vecchiette confusionarie, saltò il castello di un gruppo di bambini, ed evitò per un soffio una coppietta che stava amoreggiando su una stuoia nel bel mezzo della spiaggia, e finalmente fu sulla riva. Si appoggiò sulle ginocchia, a prendere fiato. E poi, scostando una ciocca di capelli, si guardò in torno. Nulla. Portò spazientita le mani sui fianchi.
– Fantastico! – balbettò – Ora sfido chiunque a dire che sono normale! Uffa…
Si scostò ancora i capelli dalla faccia, inspirò ed espirò sonoramente, quasi soffiando, a causa della fatica. Aveva intenzione di allontanarsi, ma rimase comunque lì, ad osservare ancora un po’ la linea dell’orizzonte. Quel mare era davvero splendido. Si tolse le ciabatte da spiaggia e vi pucciò i piedi, che a contatto con l’acqua ghiacciata, la fecero rabbrividire. Si passò una mano in faccia, per asciugare il sudore, e si rese conto di essere ricoperta di sabbia.
– Mi serve una doccia.
Rumore di onde. Chiuse gli occhi. Onde delicate che annaspavano sulla sabbia, oppure che vi si schiantavano, onde forti ed intense che si scaraventavano sugli scogli acuminati. Fu un rumore sordo ed intenso a costringerla ad aprire gli occhi. Un’onda piuttosto forte era andata ad abbattersi contro uno degli scogli della spiaggia, voltò il suo sguardo a destra, nulla. Poi, lentamente, come se non fosse ancora stata pronta a vedere ciò che era successo, volse la testa dall’altra parte, scostandosi i capelli che le erano finiti sulla faccia…
– Oh mio Dio!
Quello che accadde dopo, nemmeno lei lo comprese. Vide un corpo, riverso sullo scoglio, non un gemito di dolore, non un movimento.
– Aiuto! – gridò lei – Aiuto!
E corse. Corse verso quel piccolo promontorio di roccia, che sembrava allontanarsi sempre di più. Molti si girarono a vedere che cosa fosse accaduto, si sentirono grida, dopo poco Neina fu accanto al corpo. Lo girò, e senza neppure guardarlo in faccia cercò di sentirne il cuore.
– Andiamo, andiamo, respira – bisbigliò, poi rivolta verso la spiaggia, gridò – C’è un dottore? C’è qualcuno, per la miseria?
La persona inanimata si mosse, un gemito inarticolato gli fuoriuscì dalle labbra. Neina osservo i dolcissimi lineamenti del ragazzo, e lui, inaspettatamente, aprì gli occhi.
E a quel punto, la ragazza, non capì più niente: erano due superbi specchi azzurri, vividi e luminosi, che sembrava potessero guardar lontano, oltre il cielo, oltre lo spazio, fin dentro il paradiso… Neina sentì che la stava sondando, con le sue splendide iridi, fin nella profondità della sua anima. E lei si lasciò esplorare. Lui aprì le labbra, disse una parola, una soltanto, che alle orecchie della ragazza suonò come il proprio nome. Lui svenne di nuovo, e il mondo tornò alla normalità.
– Signorina! Signorina, le serve aiuto?
Lei sollevò lo sguardo, guardò l’uomo che stava sopra di lei e fece un cenno d’assenso.
– Si… si io… per favore…
– Non si preoccupi, signorina, ha già chiamato l’ambulanza?
Nel dire ciò, l’uomo aveva già cercato di sollevare il ragazzo, ma Neina lo fermò.
– NO! – L’uomo la guardò stupita – No… aspetti. Vede quel locale laggiù? C’è il signor Rupert Asce, chieda di lui, e gli dica che la signorina Hammer ha bisogno di lui!
– La signorina Hammer… corro!
– Faccia presto!
Urlò lei, quasi senza più voce. Quando l’uomo sparì lei tornò a guardare quel ragazzo, con un fastidioso presentimento che non le dava pace…
“Lo aspetto… il mio Amore.”
Lo aspetto da mare…
Neina impallidì: possibile? No, categoricamente no…
“Eppure…”
Si costrinse a non pensarlo, e venne riportata alla realtà dalla voce di Rupert, che le si stava avvicinando di corsa.
– Sono venuti a chiamarmi, è successo qualcosa? Oh merda!
Vide i corpo senza conoscenza del ragazzo, e impallidì
– È… ?
– È ancora vivo! Aiutami!
Entrambi, molto difficilmente, riuscirono a sollevarlo, giusto in tempo per l’arrivo degli altri che rimasero molto sconcertati da quello che videro. Si lasciarono andare ai più vari e fini commenti, fino a quando la voce di Rupert li riportò alla realtà:
– Andiamo, finitela! Ed, aiutami! Lo portiamo a casa mia e poi chiamiamo un’ambulanza… ok?
Il ragazzo interpellato prese il posto di Neina, e, tutti abbastanza frastornati, riuscirono a portarlo a casa Asce.

Le ragazze, Jhon, e William erano in un grande salone, davanti ad alcune tazze di the, e abbastanza sconvolti. Neina sorseggiò il liquido scuro, pensierosa…
– Neina? – lei sollevò lo sguardo assente e lo puntò su William – Lo hai trovato tu, vero?
Lei fece un cenno d’assenso, per poi tornare a concentrarsi sulla sua tazza. Si perse il sorriso maliziosi di Elizabeth.
– Sei fortunata… hai visto che carino?
Neina la guardò disgustata: carino? Carino?
“Secondo lei ho avuto il tempo di accorgermi se fosse carino?”
– Non ci ho fatto caso…
“Però…”
Quegli occhi avevano qualcosa di estremamente magico, l’avevano catturata in un istante, facendole dimenticare perfino che lui stesse male. Sospirò. Stava per bere un altro sorso di the, quando sentì la porta aprirsi, e vide Rupert ed Edward fare il loro ingresso nella sala, con dei visi piuttosto sollevati.
– Il ragazzo sta bene! – esordì Rupert – Non era conciato poi così male. Lo abbiamo fasciato e lo abbiamo lasciato nel letto, siamo sicuri che domani potrebbe già riprendersi.
Neina fece un cenno d’assenso. Poi sollevò lo sguardo.
– Scusatemi.
Appoggiò la tazza sul tavolino, ed uscì dalla stanza.
Elizabeth la osservò scettica e divertita.
– Credo che non si senta molto bene
– Nemmeno tu ti sentiresti molto bene, se avessi trovato un ragazzo in fin di vita sulla spiaggia!
La redarguì Anna.
– Piantala, sorellina! Non stare sempre a difenderla!
– E quando mai l’ho fatto?
– Adesso?
E scoppiò a ridere. Anna si alzò in piedi, infastidita.
– Vai a quel paese, idiota!
Anna uscì nel balcone, richiudendo la porta alle proprie spalle, accompagnata dalle risa di suo fratello.

Neina aveva salito le scale di fretta, e si trovava davanti alla porta della stanza in cui avevano messo il ragazzo.
“Andiamo, non morde mica!”
Entrò. La stanza era buia, l’unico rumore, il respiro dell’occupante. Neina fece un passo dentro e chiuse la porta. Lo osservò rapita: Elizabeth aveva schifosamente ragione, quel ragazzo era decisamente bello. Si avvicinò al letto e osservò il viso placidamente addormentato, di una delicatezza ricercata. Aveva i lunghi capelli biondi mollemente sparpagliati sul cuscino, e la chiara pelle del viso era come una fonte di luce propria. Neina, allungando la mano nel tentativo di sfiorarlo, arrossì, sentendosi una sciocca.
“Avanti, Neina, è solo un ragazzo…”
Avvicinò la mano al suo viso, e, con le punte delle dita, lo sfiorò. Aveva una pelle morbida, liscia e delicata, senza il minimo segno si barba. Neina sfiorò lo zigomo delicato, la guancia, il naso, e le labbra. Si stupì di non trovarle secche, ma bagnate e morbide, labbra che non chiedevano altro che essere baciate. Neina riuscì a controllarsi.
“Devo essere impazzita”
Si allontanò da lui e fece per andarsene, ma, uno strano rumore proveniente dalle sue spalle la fece desistere. Si voltò, stupita, e si avvicinò nuovamente al letto, giusto in tempo per vedere quella meravigliosa creatura aprire gli occhi. Neina cacciò un urlo.
– Calmatevi! Madamigella, vi prego calmatevi!
Neina urlò ancora, mentre il ragazzo si sedeva, e una sua mano, bianca e perfetta, le si posava su un braccio, nel tentativo di calmarla.
– Vi prego… calmatevi, sedete.
Lui le indicò una sedia, che lei accolse. Poi si guardarono.
– Per i Valar! Tu sei…
Lei lo fissò stupita.
– Io sono?
D’un tratto l’espressione di lui si illuminò, e sorrise, tranquillo e felice, sollevando una mano e appoggiandola sulla guancia di lei.
– Sapevo che i Valar mi avrebbero assistito… ne ero certo. Oh, non hai idea di quanto mi faccia piacere rivederti!
– Rivedermi? Ci conosciamo?
L’espressione di lui parve sconcertata.
– Tu, hai dimenticato?
Chiese, con voce titubante.
– Mi dispiace, – rispose lei – ma io credo di non averti mai visto… e fidati che se ci fossimo già conosciuti io mi ricorderei di un…
Ma lui non la stava ascoltando: aveva abbassato la testa, i biondissimi capelli caddero sulle sue spalle, lasciando alla vista le sue orecchie.
– Oh, mamma!
Urlò Neina. Lui si voltò verso di lei, spaventato.
– Che succede?
– Le… le tue orecchie!
– Le mie cosa?
Neina deglutì rumorosamente.
– Le… tue orecchie! Cosa?
Il ragazzo se le sfiorò, terrorizzato, ma poi, sentendo che non vi era alcun problema, tornò a guardarla con espressione stupita, che venne accolta con una terrorizzata.
– Ebbene?
Le chiese. Lei lo guardò sconcertata.
– Ebbene… cosa? Le tue orecchie sono…
– Andiamo Madamigella: che cosa hanno le mie orecchie?
– Che cos’hanno? Ma sono… sono…
– Sono?
– Sono appuntite per la miseria!
Lui la guardò sconcertato, prima di lasciarsi andare ad una risata liberatoria.
– E ora perché ridi?
Lui smise di ridere, ma il sorriso non lasciò le sue labbra.
– Anche la prima volta che ci siamo conosciuti mi hai osservato con quello sguardo… ma allora non era certo per le mie orecchie!
Soffocò un’altra risatina.
– Torno a ripeterti che noi non ci siamo mai conosciuti!
Disse lei, d’un tratto, con aria brusca che lo fece zittire.
– Cosa stai dicendo? Certo che ci siamo conosciuti… mi rifiuto di credere che non ricordi!
– Bhe mi dispiace, – disse, tutt’altro che dispiaciuta – ma io non mi ricordo di te! Ora se vuoi scusarmi!
Lei fece per uscire dalla stanza.
– Nehin aspetta!
Si fermò, e si voltò a guardarlo.
– Cosa hai detto?
– Ti ho chiesto di aspettare…
– No! Non quello… intendevo prima… cosa hai detto?
Lui aggrottò la fronte.
– Che non riesco a credere che mi hai dimenticato?
– No! – sbottò lei – come mi hai chiamata?
– Col tuo nome… – la fissò senza capire, – ti ho chiamata col tuo nome…
Neina rimase immobile, in piedi come una statua di cera.
– Ripetilo!
– Cosa?
– Ripeti quel nome!
Lui la osservò stupito, per un lungo istante, ma infine cedette.
– Ti ho chiamata Nehin.
Lei si avvicinò di nuovo al letto e si lasciò cadere sulla sedia, scostando una ciocca di capelli dalla faccia, e posandosi una mano sulla fronte.
– Oh merda!
Sussurrò
– C’è qualcosa che non va?
Lei sollevò il viso per incontrare gli occhi di lui, che la scrutavano preoccupati.
– No… nessun problema.
Mentì.
– Non è vero. – disse lui tranquillamente – C’è qualcosa che ti turba. Ho ragione?
Lei pensò che non bisognava essere degli indovini per capirlo. Ma la sua domanda la sorprese.
– Si, hai ragione.
Ammise.
– E potrei sapere che cos’è?
Il suo viso era bellissimo, gli occhi luminosi, e c’era, nell’inflessione della sua voce, un misto di tenerezza e compassione, che la costrinsero a vuotare il sacco.
– Nehin è il nome della donna dei miei sogni.
Il ragazzo la guardò con un’aria così sorpresa, che lei si costrinse a raccontargli tutto: gli disse che il suo nome era Neina, e parlò dei sogni che faceva da bambina, che si erano tramutati in allucinazioni, gli parlò degli psicologi, e del fatto che tutti la ritenessero una pazza. Poi, infine, gli parlò della gita a cui stava partecipando e del suo ritrovamento. Quando lei finì di parlare, il giovane aveva un’espressione stupita e decisa.
– Ho capito.
Si limitò a dire. Neina incrociò le braccia al petto, guardandolo fisso negli occhi.
– E tu?
– Io?
Chiese lui.
– Si tu! Io non so un accidente su di te, puoi almeno dirmi il tuo nome?
– Potresti aprire la finestra?
– Eh?
– Ti ho chiesto per favore di aprire la finestra.
Neina lo osservò stupita. Cosa diamine gli saltava in mente, ora, di voler aprire la finestra? Ma, lui, quasi come se potesse leggerle nei pensieri, anticipò la sua domanda.
– Ho terrore del buio.
Neina lo guardò come se fosse un povero imbecille.
– Paura del buio?
Il ragazzo la guardò con aria di rimprovero.
– Si, da sempre, e tu dovresti saperlo! Ma lasciamo stare, per favore, apri la finestra.
Lei si alzò, fissandolo stupita, ed aprì la finestra. La luce del caldo pomeriggio l’avvolse, così come avvolse lui. Sotto la luce del sole appariva come un giovanissimo Dio, o una creatura fatata, o un miraggio, o un angelo del cielo, o… o… o…
Lui sorrise.
– Nulla di tutto questo…
Lei tornò a sedersi.
– Nulla di tutto questo… cosa?
Una risata lieve sfuggì dalle sue labbra.
– Non sono un giovanissimo Dio, né una creatura fatata, né un miraggio, né un angelo del cielo o chissà che altro…
Neina lo guardò sconcertata. Si, era esattamente quello che le era appena passato nella mente! Ma… ma lui come diamine faceva a saperlo? Stava per chiederglielo, ma, come era già successo prima, lui anticipò la sua domanda:
– Fa parte dei miei poteri. E tu… cioè Nehin, non lo ha mai potuto sopportare.
– Sopportare cosa? Chi sei?
Lui sorrise e parve illuminarsi maggiormente.
– Il mio nome è Legolas, figlio di Thranduil, ho più di tremila anni, ed appartengo alla razza degli Elfi Silvani che vivevano a Nord di Bosco Atro, nella Terra di Mezzo.
Benché Neina non credesse ad alcuna, delle parole che erano uscite dalle labbra di Legolas, le fu impossibile mettersi a ridere.


* * * * * * * * *











Ok, ammettiamolo, storia abbastanza banale… spero comunque che vi sia piaciuta!!!
Per qualsiasi cosa commentare al fermo posta, grazie!!!!

 
Continua nel capitolo:


 
  » Segnala questa fanfic se non rispetta il regolamento del sito
 


VOTO: (0 voti, 0 commenti)
 
COMMENTI:
NON CI SONO ANCORA COMMENTI, SCRIVI IL PRIMO! ^__-
 
SCRIVI IL TUO COMMENTO:

Utente:
Password:
Registrati -Password dimenticata?
Solo su questo capitolo Generale sulla Fanfic
Commento:
Il tuo voto: