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Categoria: Film, Telefilm, Teatro
Dalla Serie: Jarod il camaleonte (The Pretender)
Titolo Fanfic: SOMEONE TO TRUST-QUALCUNO DI CUI FIDARSI
Genere: Sentimentale
Rating: Per Tutte le età
Autore: nimphadora galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 17/06/2006 17:12:11

“a volte i sogni si avverano”
 
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UNICO
- Capitolo 1° -

L’ennesima simulazione.
L’ennesima falsa identità.
L’ennesimo caso su cui indagare.
Da quando era fuggito dal Centro non faceva altro… a parte qualche sporadica telefonata a Miss Parker.
Ma lei quel giorno non rispondeva. Ed era strano. Molto strano.

“Un nuovo caso, capo!” esclamò una giovane donna facendo irruzione nell’ufficio di Jarod, tra le mani stringeva un bloc notes su cui erano segnate tutte le generalità del caso.
“Andrea” sbuffò di impazienza l’uomo “ti ho ripetuto circa una decina di volte che sono stato trasferito… quindi il caso devi farlo presente al prossimo commissario!” concluse, stipando alcuni oggetti dentro una scatola di cartone.
“Ma… capo! Questa donna” e sventolò delle foto “questa donna è stata violentata qui vicino… a Blue Cove. Una volta mi hai detto che tu ci vivevi lì e pensavo ti interessasse!”
“Oh… avanti, dammi le generalità del caso e non ti dilungare!”
“Ok!” esultò “Allora… violenza e stupro: una donna è stata ritrovata stamattina presto, sotto segnalazione pervenuta da ignoto. Presentava ferite multiple, segni di colluttazione e di stupro. Era in stato confusionale… è stata portata qui, ma non ha parlato con nessuno” prese a sfogliare gli appunti e continuò “residente: 431 Mountain Spring Road, Blue Cove, Delaware lavor…”
“Cosa hai detto?”
“Che è residente al 431 Mountain Spring Road, Blue Cove, Delaware. dagli archivi risulta che è la stessa donna a cui, meno di due anni fa, assassinarono il fidanzato. Sfortunata, eh?”
“Non immagini quanto!”

“Ma non eri stato trasferito?”
“Fai meno domande ai tuoi superiori… Andrea mi ha appena illustrato un caso di cui mi piacerebbe occuparmi”
“Lo stupro?”
“Si”
“La vittima è nella seconda stanza a sinistra. È stata qui tutta la notte e non ha detto neanche una parola… chi ti fa credere che parlerà proprio con te?”
“Ho un presentimento”
“Ehi! Sta attento: morde!” concluse l’uomo mostrandogli i segni dei denti conficcati nel polso.

Stentava a crederci.
Ogni passo che lo divideva dalla stanza sembrava lungo il doppio.
Si era appena informato se fosse venuto qualcuno a far visita alla “vittima” ed aveva scoperto che nessuno aveva chiesto di vederla: era al sicuro… il Centro non era ancora invischiato.
Ma doveva sbrigarsi. Tra poche ore si sarebbero accorti della sua assenza, ed avrebbero scoperto cosa era accaduto.

Era davanti alla porta chiusa della stanza.
La fissava, e non aveva il coraggio né di aprirla, né di entrarvi.
Aveva paura.
Fece un respiro profondo e varcò la soglia.

Lei.
Era lei.
Dormiva distesa sul piccolo divanetto.
Le avevano tolto i vestiti per farli analizzare alla scientifica ed ora l’unica cosa che la copriva era una coperta.
Osservò per alcuni secondi i lividi che aveva sulle braccia e sulla parte rimasta scoperta delle gambe.
Rabbrividì al pensiero del dolore che le era stato inflitto da chissà quale sadico.
Il viso era ancora sporco di sangue.
Non sapeva che fare.
Rimase immobile.
“Miss Parker”

Aprì gli occhi.
Lucidi e rossi per le lacrime che aveva versato.
Per il dolore che aveva sopportato.
Lo guardò intensamente.
Sorrise debolmente, e Jarod sapeva perché.
Si ricordò delle parole che gli rivolse poco tempo prima…
“Perché mai l’unica persona di cui mi è stato detto di diffidare, odiare e catturare è l’unica che mi è sempre vicina… anche nei momenti peggiori e più difficili della mia vita?”

Si mise seduta e tirò indietro i capelli.
“Ma guarda, tu! Non me lo sarei mai aspettato”
“Ho appena saputo cosa è successo”
“Meglio. Così non dovrò raccontarlo per l’ennesima volta”
“Non hai spiccicato parola da quando ti hanno portata qui”
“Ti sei dato da fare, eh?”
“Se vuoi che ti aiuti devi spiegarmi che cosa è accaduto”
“E se non volessi il tuo aiuto?”
“Chi ti ha ridotto così merita di essere punito”

La vide combattuta.
Combattuta tra il desiderio di farsi giustizia e l’orrore di dover rivivere quell’esperienza raccontandola a Jarod.
Rabbrividì leggermente.
Si strinse nelle spalle nel vano tentativo di riscaldarsi.
L’uomo si sfilò la giacca e gli e la porse.
“Fidati… sai che puoi farlo”

“Ero… ero appena uscita dal Centro. Avevo bevuto. Molto” la vide contorcersi le mani “mi ricordo che… che poco prima di arrivare a casa mia la macchina ha sbandato. Anzi… un uomo! Mi ricordo che un uomo mi ha fatto sbandare”
“Un uomo?”
“Si… sono uscita fuori strada e…” si interruppe. Le lacrime le salirono agli occhi. Spostò lo sguardo al cielo.
“Fatti forza”
“Forza! Come se fosse facile”
“Devi farlo”
“Oh Dio Santo… tu hai provato molti orrori ma questo non puoi capirlo! Lo stupro è imporre la volontà su qualcuno. Imporre con la forza fisica… è violare l’intimità”
“Calmati!”
“No! Non voglio calmarmi. Tu non capisci… chiunque sia stato ha già vinto. Ha ottenuto quella che voleva. Lui voleva me”
“Lui pagherà, te lo prometto”
“Mi farò giustizia da sola”
“E come?”
“Conosco un paio di metodi niente male”

“Hai detto che un uomo ti ha fatto sbandare”
“Si. Uscita dalla carreggiata ho preso in pieno un albero. Appena sono scesa dall’auto una mano… una mano mi ha tappato la bocca. E l’altra”
Respirò a fondo.
“Con l’altra mi toccava”
Vedeva l’annientamento.
L’annientamento che quell’esperienza aveva fatto sbocciare in lei.
“Ti porto a casa con me. Ti rimetti un po’ in ordine e poi procediamo con il caso”
“Cosa? Se tu pensi che io venga con te. No, Jarod! Tu sei il mio lavoro”
“E tu il mio”
“Se al Centro lo vengono a sapere”
“E se fosse stato il Centro a fare questo, ci avevi pensato?”
Non rispose immediatamente. La vide torcersi nervosamente le dita.
“Va bene”

Dopo aver firmato qualche scartoffia riuscirono ad uscire dalla stazione di polizia.
Arrivarono in un malfamato quartiere di Blue Cove.
Jarod posteggiò l’auto e salutò una strana donna affacciata alla finestra di una squallida casa dalla vernice scrostata.
“Clothis! Come ti senti oggi?”
“Meglio, grazie Jarod!” si sporse un po’ di più per poter vedere chi stesse scendendo dalla volante “hai catturato un altro criminale, come quello che rubava qui?”
“No,lei è” e porse una mano alla Parker per aiutarla a scendere “lei è mia moglie… ti ricordi, te ne ho parlato l’altra volta”
Clothis sembrò soddisfatta della risposta perché rientrò in casa e chiuse la finestra.
“Ho dovuto dirle così!” si giustificò Jarod “ha sviluppato, come posso dire, una forte attrazione nei miei confronti e le avevo raccontato che presto mia moglie sarebbe tornata da una missione in Africa…”
Entrarono in casa.

“Non è il grande Hotel”
“Posso… posso andare in bagno?”
“Certo!” rovistò nelle tasche alla ricerca di qualcosa. Ne tirò fuori una chiave “Ecco”
Lei prese la chiave e sfiorò il palmo della mano di Jarod, facendolo trasalire.
Tra loro vi era sempre stata una sorta di elettricità.
Miss Parker stava indugiando un po’ troppo e, quando se ne rese conto scostò subito la mano.
“Dove devo andare?”
“Nella camera da letto, io ti preparo qualcosa per calmarti” quando Miss Parker scomparve nella stanza da letto aggiunse, in un sussurro “e per calmare anche me!”

Stava filtrando il the e sentì il rumore della serratura del bagno che scattava.
Prese le tazze e le portò nella stanza da letto.
“Miss Park…”
Vide il suo riflesso allo specchio, mentre si pettinava i capelli con gli occhi chiusi.
Si ricordò che Catherine, quando lei era una bambina, soleva acconciarle i capelli.
Le si avvicinò e le sfilò dalle mani la spazzola. Iniziò a lisciarle i lunghi capelli.
Lei non oppose resistenza.
Gli bloccò una mano e vi si strofinò il viso.
Lui lasciò cadere la spazzola e si sedette accanto a lei.
Le prese il viso con entrambe le mani e lei, finalmente aprì gli occhi.
Nessuno dei due disse nulla. Si guardarono per alcuni istanti.
Ad un tratto, togliendogli letteralmente il fiato, Miss Parker si poggiò sul suo petto.
Fu come se il tempo si fosse fermato.
Sentiva i suoi capelli umidi bagnargli la camicia di ordinanza, ma era così piacevole che avrebbe voluto che quel momento non finisse mai.

Sentiva le sue mani cingergli il collo.
Si era aggrappata all’unica ancora di salvezza che avesse in quell’orrendo mondo.
L’unica cosa pura che conoscesse.
Lui le sfiorò la schiena, timidamente.
Si sentivano due impacciati ragazzini, perché per loro il tempo non era passato come per gli altri.
I loro volti erano arrossati.
Poi lei fissò i suoi occhi di ghiaccio sui suoi.
“Vuoi… vuoi che vada via?”
“…no”

Un piccolo spiraglio di luce la illuminava.
Era tutto quello che aveva sempre desiderato.
Ed era così strano. Strano sentire il suo corpo premergli contro.
Il suo respiro caldo sfiorarlo.
E non poteva credere che fosse accaduto.
Non poteva…

Sentì squillare il telefono. Scese dal letto, dopo essersi delicatamente liberato dalla stretta di Miss Parker, e rispose.
“Commissario Glover, chi parla?”
“Capo!”
“Andrea… che c’è?”
“Che, ti ho disturbato, capo… comunque ho notizie dalla scientifica”
“Parla”
“Hanno analizzato i campioni di sperma e il sangue rinvenuti sugli abiti della donna.Non sappiamo di chi possano essere…”
“Che bello, altro?”
“Si, capo. Hanno comparato i campioni ed è risultato che il DNA è molto simile. Come se appartenesse ad un…”
“Fratello”
“Bingo capo!”

Il Centro aveva colpito ancora una volta.
Lyle.
E chi altro poteva architettare qualcosa di tanto meschino?
Ed era sua sorella, per giunta.
Era vero.
Il sangue non legava le persone.

“Jarod” mugolò Miss Parker dal letto.
Lui ripose il telefono e la raggiunse.
“Come… come ti senti?” domandò arrossendo come un bambino.
“Abbastanza bene…” si tirò su a sedere, abbassando lo sguardo “Ascolta…”
“Cosa? Non vorrai dirmi che è stato un altro momento di debolezza”
Miss Parker abbassò lo sguardo sul candido lenzuolo di cotone che la copriva.
Jarod cercò di prenderle la mano, ma lei la ritrasse istintivamente.
“Ho capito” si alzò dal letto e si chiuse nel bagno.
La donna scoppiò in lacrime.

Non era naturale.
Lei era la cacciatrice, lui la preda.
Doveva fingere che non fosse accaduto nulla?
Non erano più due bambini. Lei non era più una ragazzina, doveva accettare le responsabilità del gesto che aveva compiuto.
Doveva rendersi conto che ogni azione ha una conseguenza.
Uscì dal bagno con la divisa.
“Mettiti questi… e sbrigati. Ti aspettano in stazione per la deposizione”

Non avevano più parlato.
Lei continuava a tenere il capo chino. Come se fosse mortificata da quello che era accaduto.
Era stanco dei suoi giochi.
“Andiamo”
“Aspetta”
“Sono stanco di sentirti dire che è stato uno sbaglio! Che tutto quello che ti avvicina a me è un errore! Perché… perché continui a mentire a te stessa?”
“Perché la verità mi fa paura”

Erano state semplici le sue parole.
Aveva reinventato la sua vita, per sfuggire alla verità. Aveva tenuto i paraocchi per così tanto tempo che la realtà, per quella donna, era un concetto quanto mai astratto.
“Cosa vuoi che faccia?”
“Io non voglio niente…”
“Tutti vogliono qualcosa, Jarod. Tu hai ottenuto quello che hai cercato in questi anni. Quel libro, quei regali… ci sei riuscito alla fine”
“Tu credi che… tu credi che tutto quello che ho fatto in questi anni lo abbia fatto per” arrossì violentemente e abbassò il tono della voce “per portarti a letto!”
“E allora perché? Per aiutarmi? Non credo proprio. In ogni tuo gesto c’è sempre stato un secondo fine”
“No!”
“E allora perché?”
“Perché… perché io”

Non riusciva a dirlo. Le sue parole lo avevano infastidito, quasi offeso. E non capiva il perché.
Forse… forse aveva ragione?
Era sempre stato ossessionato da Miss Parker, da quando l’aveva vista la prima volta durante una simulazione.
Era sempre presente nelle sue fantasie. Per tutta l’adolescenza era stata l’unica figura femminile che conoscesse. L’unica valvola di sfogo mentale per tutti quei normali pensieri che invadono la mente dei ragazzini.
Poteva ancora sentire il dolce profumo che emanava quella volta che, al Sim Lab, lo aveva baciato.
Per Syd era normale che ne fosse tanto attratto.
Per lui era quasi sconvolgente.
Sorella e amante.
C’era qualcosa di sbagliato ma di terribilmente attraente in lei.

“Forse hai ragione tu…”
“Su cosa?”
“Sai a cosa ho continuato a pensare da quando mi hai dato quel bacio da ragazzini?”
“No”
“A come riuscire ad averti per me. A quel tempo non sapevo cosa significasse, ero troppo piccolo, troppo ingenuo. Ma con il passare del tempo ho capito. Ed anche tu… ho letto nei tuoi occhi lo stesso desiderio”
“Da quando leggi negli occhi?”
“I tuoi sono un libro aperto… hai fatto tanti cambiamenti, ma i tuoi occhi sono sempre gli stessi”
“È sbagliato, lo sai anche tu”
“Perché? Perché il Centro ha tentato in tutti i modi di dividerci? Di farci diventare nemici?”
“Ragiona, dimentichiamoci di questa brutta storia. Io chiamo Broots e tu lasci il caso”
“No”
“Non voglio che sia tu ad occuparti della faccenda!”
”Aspetta… tu lo sai!”
“Cosa?”
“Tu sai chi è stato, vero?”
“Non so di cosa tu stia parlando”
“Non mentire, Parker… i tuoi occhi dicono sempre la verità”

Si mise le mani sui capelli. La vide agitata e capì di aver toccato il tasto giusto.
“Allora…”
“Allora cosa? È affare mio e del Centro. Non doveva esserci la polizia in mezzo”
“Per questo hai accettato di venire qui, non è vero? Per non dover restare in custodia in centrale… non posso crederci! Mi hai sfruttato!”
“E bravo il bambino prodigio! Ho accettato di venire qui per questo purtroppo…”
“Purtroppo qualcosa ha intralciato i tuoi piani”
“Io non torno in centrale. Torno al Centro”
“No”
“E chi me lo impedisce?”
Jarod tirò fuori la pistola e gli e la puntò contro.
“Io e la mia pistola”

Era sorpresa, lo vedeva. Sorpresa ed intimorita.
“Che… che vuoi fare?”
“Niente, se tu non me ne dai ragione”
“Non lo faresti mai”
“Lo faccio per te”
“Cosa?”
Non fece in tempo a finire la domanda che Jarod le fu addosso.
La spinse contro il muro e l’ammanettò.
“Ora mi racconti tutto, capito?”

“Liberami!”
“Certo… appena faremo luce sul caso”
“Che… che diavolo te ne importa”
“Guarda che ti hanno fatto! Chiunque sia stato merita …”
“Non merita nulla!”
“Perché… perché non parli e basta”
“Toglimi le manette”
“No”

Passarono alcune ore.
Miss Parker era ancora incatenata allo stipite della porta. La sentiva gemere di dolore.
La posizione scomoda e le ferite della notte prima stavano facendo il lavoro sporco. Tra poco avrebbe confessato.
Non riusciva a credere di averlo fatto, ma continuava a ripetersi che, se solo fosse riuscito a farle capire di cosa il Centro era capace lei avrebbe finalmente aperto gli occhi.
“Lyle! È stato Lyle”

“È tuo fratello… come può averlo fatto?”
“Non doveva violentarmi. L’ordine era di uccidermi”
“Non è… non è una giustificazione”
“No. Ma sono gli affari del Centro. Sai bene come vanno queste cose: se servi continui a vivere, quando diventi un peso…”
“Cosa hai fatto di tanto terribile?”
“Un po’ di quello un po’ di questo. Effettivamente io impartisco gli ordini, è Broots che li porta a termine”
“Hai indagato su tua madre e sulle pergamene?”
“Si e Reins non ha apprezzato”
“Come mai hanno mandato Lyle?”
“Si sarà offerto volontario”

“Prima hai detto di voler tornare al Centro…”
“Io e Syd avevamo un piano”
“Che piano?”
“Broots ha intercettato una chiamata di Reins in cui metteva a punto le modalità della mia morte accidentale” la sua voce tremava impercettibilmente “parlavano in codice ma, sai, ho imparato a decodificare”
“Ma non tutto”
“Bingo! Non sapevo sarebbe stato un incidente d’auto, anche se un classico del Centro! Quando ho sbandato ho finto di essere morta. Ma lui, quel mostro sapeva che ero ancora viva. Anche se era buio pesto e non si vedeva ad un palmo dal naso lui mi sentiva. Mi ha… mi ha tirato in piedi e spinto contro un albero. Mi ha sbattuto la testa contro il tronco per ammansirmi e poi…”
“Poi è andato via pensando che di averti fatto fuori”
“Ero svenuta. Se non mi avessero trovato sarei veramente morta”
“Ma ora sei qui, viva”
“Questo vuol dire che l’inferno continua!”

“In cosa consiste il tuo piano?”
“In cosa consisteva, vorrai dire. Syd doveva attrarre Reins e Lyle nel parcheggio ed io gli avrei sparato. Contavo sull’effetto sorpresa, credendomi morta non se lo sarebbero aspettati”
“Ucciderli non porterà a nulla”
“Voglio vendetta. Nient’altro. Sono disposta a morire per questo”
Jarod le sfilò le manette.
“Tu non farai niente di tutto questo. Ora ti porto in ospedale”
“Mi rintracceranno”
“No. Daremo false generalità”
“Lascia che faccia a modo mio”
“Non posso rischiare che tu muoia”
“Per quale motivo?”
“Non potrei sopportarlo”

Sul sedile posteriore dell’auto Miss Parker era silenziosa. Fissava il finestrino e la città che passava veloce.
“Che hai?”
“Niente”
“Come mai così silenziosa…”
“Pensavo… pensavo a mia madre” si interruppe un attimo per poi continuare “ripensavo a quando mi pettinava i capelli. Riusciva a tranquillizzarmi”
“Un bel ricordo”
“Grazie a te non è stato più solo un ricordo”

Era la prima volta che accennava agli avvenimenti della scorsa notte. Era imbarazzato.
Imbarazzato al pensiero che poche ore prima lei era stata su di lui.
Non riusciva a non arrossire.
“Non è stato un sbaglio”
Jarod frenò bruscamente ad uno stop, come se il suo piede fosse scattato automaticamente in avanti.
“Non è stato un momento di debolezza. Io volevo davvero fare… fare l’amore con te”
Ora aveva sbandato leggermente.
Aveva la testa confusa, tutto iniziava a vorticare. Lo stomaco aveva avuto uno strano sussulto.
“Io vorrei poterlo rifare, sai”

Aveva fermato l’auto.
Era un posto isolato, nessuno in vista.
Stava ansimando furiosamente. Deglutì rumorosamente e si girò per guardarla.
Non poteva credere di averla veramente sentita dire quelle parole.
Anche il suo respiro stava crescendo di intensità, il suo petto si alzava e si abbassava ad una velocità impressionante.
Lei evitava di guardarlo.
Era imbarazzante, terribilmente imbarazzante.
Nessuno dei due sapeva che fare.
Jarod scese dall’auto e salì sul sedile posteriore.
“Che stai facendo?”
“Hai detto che volevi… insomma…”
“Si…”

Jarod la osservò per alcuni minuti.
Aveva un’espressione sbigottita e una serie di pensieri strani che gli attraversavano la mente.
Miss Parker non era da meno.
Sembrava in preda al panico, come se Jarod stesse per saltarle addosso.
In fondo era quello che avrebbe voluto fare.
Ma non poteva.
“Cosa vuoi?”
“In che senso”
“Perché… perché proprio adesso? Adesso che stavo per portarti in ospedale e rovinarti il piano?”
“Io” iniziò a balbettare, “io…”
Non riuscendo a formulare una risposta adeguata passò all’azione.

Jarod ringraziò il cielo per i propri riflessi. Ottimi riflessi.
Infatti Miss Parker le era saltata addosso, prima che potesse farlo lui, e aveva tentato di disarmarlo.
Certo, era riuscito a non farsi levare la pistola ma il dolore alla mascella avrebbe tardato ad andarsene.
“Avresti potuto fare l’attrice, sai?”
“Che vuoi? Io non posso darti un lieto fine!”
“Non puoi o non vuoi?”
”Smettila con la tua filosofia da quattro soldi”
“Che diavolo ti passa per la testa?”
“E a te? O visto la tua faccia prima… e ho capito cosa avevi intenzione di…”
“Ehi! Chi è stato a fare quel discorso sull’ipotesi di un…”
“Lascia che vada per la mia strada!”
“La strada che vuoi imboccare è un vicolo cieco”

“Scendi dall’auto”
“Cosa?”
“Scendi, ti ho detto! Per l’amor del cielo, vuoi fidarti!”
“Non sono in vena di romanticismi… è meglio che tu lo sappia”
“Il dolore alla mascella me lo ricorderà”
“Dove andiamo?”
“Abbiamo cambiato meta”
“Che posto è?”
“Qui sarai al sicuro. Fino a quando non scoprirò che sta dietro al tuo attentato”

“Che posto è?”
“Un motel, lo gestisce un uomo che ho aiutato alcuni anni fa. Qui sarai al sicuro”
“Cosa ti fa pensare che rimarrò qui una volta che tu sarai tornato in centrale?”
“Me lo fa pensare il fatto che io abbandono il caso e inizio ad indagare a modo mio”

Il motel di cui Jarod parlava era una vecchia casa traballante dai mobili logori. La puzza di muffa impregnava ogni stanza.
“Alfred!”
“Jarod! Che bella sorpresa! Cosa ti porta da queste parti?”
“Luna di miele!” rispose sorridendo ed indicando una sorpresa Miss Parker.
“Ti sei sposato, eh? Allora, solo per te, la stanza migliore di tutto il motel! Ecco qui, la numero 27! Terzo piano, seconda porta a destra”

La stanza era come il resto del motel: penosamente spoglia. La vernice scrostata pendeva dalle pareti e qualche solitario scarafaggio batteva la ritirata.
“Bene, così ora sarei tua moglie!”
“Temporaneamente”
“Questo posto è orribile”
“Non è il grande hotel ma almeno qui saremo al sicuro”
“Al sicuro dal Centro ma non dagli insetti”
“Preferisco gli scarafaggi a Reins, tu?”

Miss Parker sedeva sul letto. Stava osservando, con un’espressione disgustata, il soffitto della camera dal quale uno sgangherato lucernario era trattenuto al soffitto da un sottile residuo di filo elettrico.
“Prima che il Centro ci possa trovare moriremo schiacciati dal peso del lucernario!”
“Sposteremo il letto, così sarai più tranquilla”
“Tranquilla, cos’era una battuta?” si alzò dal letto e si avvicinò a Jarod che stava battendo sulla tastiera del suo computer portatile.
“Sono riuscito ad intercettare le ultime chiamate effettuate da Reins, fra poco scopriremo tutta la verità”
“E ora che facciamo?”
“Proporrei una disinfestazione”

Jarod stava cercando di rendere quella camera abitabile, ma era uno sforzo che non sarebbe servito a nulla.
Cambiò le lenzuola del letto nella vana speranza di trovarne di meno puzzolenti. Rovistò nei vari cassetti invano.
“Dovremo accontentarci, almeno per stanotte”
“Che vuoi dire?”
“Domani andrò a comprare delle lenzuola”
“No, che vuoi dire con dovremo”
“Dovremo dormire in questo letto e con queste lenzuola”
“In questo letto”
“Già!”
“Tutti e due?”
“Se non hai intenzione di chiedere ad Alfred di raggiungerci”
“Cosa ti fa pensare che io divida il letto con te”
“Me lo fa pensare il fatto che la soluzione alternativa sarebbe dormire per terra”

Miss Parker alzò le sopracciglia e fissò Jarod.
“Che intenzioni hai?”
“Che” iniziò a balbettare Jarod “che diavolo ti viene in mente?”
“L’importante è che non venga niente in mente a te”
“Dove vai, adesso?”
“A fare una doccia!”

Cinque minuti dopo essere entrata nel bagno, Jarod sentì la donna imprecare contro la moltitudine di insetti che invadeva la doccia.
“Maledizione!” inveì.
“Posso aiutarti?”
“Si, se solo tu fossi un disinfestatore!”
“Posso esserlo”
Alcuni secondi di silenzio. Miss Parker uscì dal bagno completamente asciutta ma con indosso un accappatoio.
“Non ci riesco”
“Una donna coraggiosa come te che non sa come affrontare qualche insignificante piccolo…” un sonoro bip interruppe Jarod. Il computer aveva finito di scaricare l’intercettazione.

Quel bip aveva interrotto il fiume di parole che, a breve, avrebbe investito Jarod.
La Parker tacque improvvisamente. Si dimenticò degli insetti e del letto dove avrebbe dovuto trascorrere la notte. Le si accese quella strana luce negli occhi. Rabbia e frustrazione la rendevano tesa come una corda di violino.
“Falla partire” ordinò mestamente.

Il Centro li avevi distrutti, entrambi.
Aveva fatto di loro dei giocattoli, marionette.
Le parole, in quel momento, non sarebbero servite a lenire il dolore.
Jarod conosceva quella sensazione.
Il sentore che, tutta la tua vita, non sia altro che un enorme e complicata coltre di bugie.
Era fuggito dal Centro, ma il suo legame con quel luogo non si era mai interrotto.
Sapeva che la chiave dei mille misteri che avvolgevano la sua vita era detenuta lì, nelle viscere dell’inferno.
Ma dopo le parole che aveva appena ascoltato. Dopo quelle surreali rivelazioni, non poteva far altro che vedere il mondo sotto un altro punto di vista.

“Sono Reins, le pergamene?”
“Trovate e con loro anche Mr. Parker”
“Vivo?”
“Ancora per poco. È pericoloso, conosce troppi segreti”
“Bene, resta un problema”
“Quale?”
“Le indagini di Miss Parker”
“Cosa ha scoperto?”
“Per il momento nulla che possa farle capire la verità, ma”
“Si muove in un sentiero minato”

“Cosa dicevano le pergamene? Qualcosa sulla genealogia dei Parker?”
“No. Il destino, Mr. Reins”
“Destino?”
“Sono delle citazioni, versetti. Raccontano del futuro del Centro”
“Il futuro del Centro?”
“Già”
“Cosa dicono?”
“Parlano dell’eletto”
“Jarod?”
“Si. Dicono che l’eletto possiede la capacità di distruggere il Centro”
“Il Centro non può essere distrutto fin tanto che i Parker esistono”
“Non è tutto. La distruzione avverrà soltanto con l’aiuto di qualcuno”
“E chi sarebbe?”
“Un angelo, a quanto pare”
“Un angelo?”
“Si. Per lei significa qualcosa?”
“Significa tutto”

“Come procederà?”
“Appena la Torre verrà a sapere del contenuto delle pergamene darà l’ordine di uccidere”
“Uccidere Jarod?”
“No! Jarod da solo non è un pericolo”
“Chi, allora?”
“Miss Parker”

Nessuno dei due riuscì a parlare. A trovare qualcosa di sensato da dire.
Miss Parker osservava, come imbambolata, il monitor del computer senza vederlo.
Le sue mani tremavano, in modo quasi impercettibile. Era sempre stata brava a celare i suoi stati d’animo.
Jarod fece per alzarsi e avvicinarsi alla donna quando lei parlò, improvvisamente e con un tono di voce freddo e distaccato.
“Qualunque cosa tu abbia da dire: risparmiatela. Non ho voglia di sentire la tua filosofia da quattro soldi. Non è il momento”
“Quello che abbiamo appena sentito dovrebbe farti aprire gli occhi su chi siamo veramente!”
“E chi siamo, Jarod? Sei un genio, no? Rispondi a questa domanda! Chi diavolo siamo!?”
“Siamo due bambini a cui hanno strappato ogni speranza. Ecco cosa siamo”

“Tu riesci sempre a trovare qualcosa, anche una piccola cosa, che ci unisca”
“Nel bene e nel male, abbiamo un legame. Qualcosa che il Centro ha voluto tenerci nascosto. Quello che le nostre madri stavano cercando nelle pergamene era questo: una risposta a tutti i perché che da anni ci tormentano! Una risposta a tutte le ossessive domande che la notte non ci permettono di prendere sonno!”
“Smettila” sussurrò Parker “Smettila!”
“Se solo tu ti fidassi delle persone giuste!”
“Non fare della retorica con me! Dovrei fidarmi di te, non è vero? Di un mezzo matto che è cresciuto isolato da tutto e da tutti. Di un uomo che, una volta che è riuscito a fuggire dall’inferno si è messo a fare il Super Eroe! Tu!” puntò l’indice contro l’uomo “tu sei entrato mille e più volte in casa mia, hai spiato dalle mie verande… come diavolo dovrei fare a fidarmi di te?”
Miss Parker aveva le lacrime agli occhi. Tirò indietro i capelli e gli diede le spalle.
“Lo sai”
“Cosa?”
“Che di me puoi fidarti. In fondo al cuore lo hai sempre saputo”
“Ho un eccesso di zucchero nel sangue, Jarod”
“Sono l’unica persona che conosce ogni cosa dite. Anche il tuo peso” le sussurrò ad un orecchio, alludendo ad una vecchia storia.

Aveva pianto, silenziosamente. Aveva dovuto imparare a farlo. Nell’ambiente sterile in cui aveva vissuto, in cui era nata e cresciuta, non potevi mostrarti debole. Pena: la morte.
Era la prima cosa che aveva imparato al Centro, fingere di essere qualcuno altro. Per sopravvivere.
Si era allontanata da Jarod, si era accoccolata sulla poltrona logora accanto alla finestra e aveva iniziato a singhiozzare. La mano premuta sulla bocca, come quando da bambina la solitudine che la notte le invadeva il cuore era troppo grande e cercava di arginare il dolore che la leniva con quel semplice gesto.
Era in preda al panico. Non aveva più un posto da poter considerare sicuro. Ora era veramente sola. Non c’erano né Sidney né Broots con lei. Ora c’era solo Jarod, la sua preda. L’uomo che per anni aveva dovuto rincorrere per tutta l’America.

“Tieni”
“Cos’è?”
“Qualcosa che ti calmerà”
“Me ne servirà una dose industriale, allora”
Jarod abbozzò un mezzo sorrise e le porse la tazza sbeccata.
Con sua somma sorpresa Miss Parker accettò la bevanda.
Aveva bisogno di qualcuno.
“Non devi preoccuparti, tutto si risolverà”
Miss Parker iniziò a ridere.
“Tutto si risolverà?”
“Certo”
“Tu e il tuo ottimismo. Per noi non è stato scritto un lieto fine, Jarod! Siamo dannati, entrambi a quanto pare. Qualunque cosa sia scritta su quelle pergamene, noi restiamo sempre due anime dannate”
“Se ci credi, a volte le cose si avverano”
“Non siamo in una favola. Non basta strofinare una lampada per risolvere tutti i nostri problemi”
“A volte basta sperare. Fare dei cambiamenti”

Jarod aveva preso posto accanto alla donna. Non riusciva a guardarla, aveva lo sguardo fisso sul pavimento.
“I cambiamenti si fanno solo se vale la pena di farli” scimmiottò Jarod, rifacendosi alle parole che una volta la stessa Miss Parker gli aveva rivolto “se non è neanche questo un buon motivo”
“Tu non ti arrendi mai, non è vero?”
“Già, sono un eterno sognatore”
“Sai”
“Cosa?”
“A volte i sogni si avverano”

Cosa sarebbe successo dopo?
In quel momento non aveva importanza. Nulla aveva importanza.
Né il Centro né le loro crisi esistenziali.
L’unica certezza che avevano era che da quel momento in poi non sarebbero più stati da soli.


 
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