CAPITOLO UNICO
- Capitolo 1° -
Questo racconto prende spunto dal testo di una canzone che scrissi tanti anni fa, rivisto e tradotto (era in inglese). Spero che vi piaccia, è molto diverso dal mio stile solito.
Lizzie guardava le stelle, con gli occhi di cielo e di cristallo persi nel firmamento ed il vuoto sotto i piedi sporchi di sabbia e di terra.
Anche quella sera avevano parlato per enigmi, ma non per paura che qualcuno li scoprisse, piuttosto per far sapere all’altro che quelle parole erano dirette solo a lui.
Come sempre.
Parole che correvano senza ali e volavano verso isole solitarie dove i codici venivano interpretati e conservati al caldo per l’eternità.
Lizze guardava le stelle, i pensieri rivolti ad echi che sapevano di panni vecchi e sorrisi sbiaditi, attorcigliati in storie passate che ancora saltavano agli occhi senza riuscire a non ferire il suo tenero cuore di gatto. Perché la pazzia era la verità ed aveva rivelato la verità reale portando come testimone il falso ricordo di giorni passati su sei corde che trapassavano l’anima.
Come sempre.
Ricordi che danzavano sul letto del nostro angelo smarrito nel tempo.
Lizze guardava le stelle, la musica riempiva l’aria satura di addii mentre il voltaggio faceva piangere il suono del microfono che in lontananza le portava la luce del mare primaverile.
E’ la stessa vecchia storia di sempre, una ragazza, il suo amore e la luce della luna che accecava il sogno perduto nelle stelle.
Come sempre.
Lei si guardava riflessa nell’acqua, occhi di mare, cuore di vetro sottile.
Riflesso dell’acqua, lei che non poteva sperare e lui che non poteva amare. Specchi infranti sul pavimento di pensieri persi nella brezza primaverile di un anno senza mesi e stagioni, ha ritagliato buchi neri di nulla per trovare la pace ed ha perso la voce in piccoli segnali, cerchi di fumo.
La ragazza con gli occhi d’acqua e ghiaccio guardava le stelle, non aveva fede ma aveva un’anima di brace, aveva percorso un sentiero arido perché pensava che tutto il buono fosse morto prima del suo arrivo.
Lui che riflesso in quegli occhi di specchio argentato non poteva pretendere.
Lei che in quegli occhi di prato si perdeva e non poteva farne ameno
E quel legame era eterno, privo di senso scolpito nel ghiaccio e nella brace, due spiriti che s’erano intrecciati molto prima che gli occhi si fossero incrociati o i loro corpi uniti. Il destino si era voltato all’indietro con un inchino riverente per chi rischia di perdere l’anima per un attimo di vera follia e verità suprema.
Lizze guardava le stelle e vedeva piccoli segnali di fumo nel buio dell’anima profonda più del buco che aveva intagliato.
Lei è il riflesso del vento.
Lui è la paura di perdere.
Ha messo i suoi desideri con puntine da disegno sui soffitti del cielo, il nostro angelo, e sta per spiccare il volo.
Addio, è ora di partire amico mio.
Compagno di giochi fatto di plastica in cui scrivere la propria storia giorno dopo giorno.
Addio, amico mio.
Salice piangente del giardino della mia anima sotto la cui ombra mi sono dissetata.
Si perde sempre qualcosa lungo la strada salendo al cielo e volando verso l’abisso, profondo, più profondo di me.
Lizzie guardava le stelle e come un fantasma di vetro ghiacciato volava, lontano.
E’ ora di partire.
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