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Categoria: Film, Telefilm, Teatro
Dalla Serie: Jarod il camaleonte (The Pretender)
Titolo Fanfic: È UNA LUNGA STORIA
Genere: Azione
Rating: Per Tutte le età
Autore: nimphadora galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 11/05/2006 17:00:38

“ti sei di nuovo sbagliato, genio… la colpa è solo mia. a noi parker non è concessa la felicità!”.
 
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UNICO
- Capitolo 1° -

“Ti sei mai chiesto perché?”
“Non faccio altro…”


A volte si chiedeva come facesse ad essere così ingenua.
Così avventata.
A non ragionare prima di agire.
E questo suo avventarsi in situazioni estreme l’aveva messa in quella situazione assurda.
Come aveva potuto sperare di agire senza che lui venisse a sapere delle sue intenzioni?
Quell’uomo sapeva tutto di tutti e di tutto!
Non gli sfuggiva nulla.
Sfrontato come era si era infiltrato nella sua casa, di notte fonda.
Non trovando ciò che cercava, l’aveva svegliata, senza troppi complimenti, puntandole la fredda canna della sua Smith & Wesson alla nuca.

“Svegliati, Miss Parker! Hai visite…” il tono di Jarod assomigliava a quello di uno psicopatico appena scappato da un ospedale psichiatrico.
“Che diavolo…” mormorò la donna ancora in preda al sonno “Tu!”.
“Come sei sveglia…” ironizzò “ allora, ti va di giocare con la mia famiglia, eh?”.
“Ho raccolto alcune informazioni…”.
“Su mia madre!” urlò “cosa volevi fare? Catturarla per poi convincermi a tornare al Centro!?”.
Miss Parker si tirò su a sedere, “Che intenzioni hai… vuoi spararmi?”, la Parker inarcò un sopracciglio e continuò “fallo! Avanti! Una volta mio padre, o chiunque sia, mi ha detto che i Parker sono immortali… vediamo quanto c’era di vero nelle sue parole!”.
“Dimmi quello che sai…”.
“E se non volessi?”.
“Da quando abbiamo lasciato quell’isola, quell’inferno, sei diventata più subdola che mai! Non ti accontenti più di dare la caccia a me, non è vero? Vuoi trovare mia madre!”.
“Voglio trovare tua madre perché lei… lei conosceva mia madre” mormorò Miss Parker, abbassando lo sguardo.
“Bel tentativo…”.

“Tua madre è morta, Parker! Niente la riporterà indietro!”.
“Ocee… Ocee ha detto che tua madre e la mia cercavano di scoprire chi eravamo in realtà…”.
“Non mettere in mezzo la mia famiglia. Non lo fare! Se Lyle o Reins vengono a sapere che stai raccogliendo delle informazioni su mia madre e dovessero scoprire dove si trova… giuro che niente e nessuno mi fermerà! Giuro davanti a Dio che te la farò pagare…”.
“Non giurare…”.

“Alzati…”.
Miss Parker non si mosse dal suo letto. Lo fissava con gli occhi spalancati. La tensione risvegliò il dolore dell’ulcera.
“Non senti… alzati!” Jarod muoveva convulsamente la pistola.
“Che… che intenzioni hai?”.
Jarod restò in silenzio. Osservava ogni suo singolo movimento.
Ora la donna era in piedi di fronte a lui.
La camicia da notte di seta nera le stava estremamente larga.
Sembrava essere rimpicciolita dal loro ultimo incontro, sembrava più fragile.
“Copriti” ordinò semplicemente.

Il vento gelido le investì il volto e le gambe non appena misero piedi fuori da casa.
Aveva la pistola piantata sulla schiena.
Jarod aprì la portiera della sua auto e vi spinse dentro la donna.
Prima di mettere in moto l’auto le bloccò le mani dietro la schiena con delle manette.

“Dove stiamo andando?”.
“Lo vedrai appena arriveremo…”.
“Perché… perché mi stai facendo questo?” domandò Miss Parker, abbassando il tono quasi ad un sussurro.
Era una di quelle domande alla Parker, quelle a cui rispondere era quasi del tutto impossibile.

Non sapeva quanto tempo era passato.
Sapeva solo che ogni singolo muscolo del suo corpo implorava pietà.
Stare in quella posizione le procurava un enorme dolore.
L’auto si fermò di colpo, facendola sobbalzare.
Jarod la liberò dalle manette.
“Niente scherzi…”.
Attraversarono la strada e entrarono in uno squallido Motel.
Appena varcato l’ingresso, Jarod prese sottobraccio la donna.
“Buonasera” salutò l’uomo alla reception “una stanza”.

Salirono le scale ed arrivarono al secondo piano. Aprirono la terza stanza a sinistra, la camera 122.
Spinse dentro una riluttante Miss Parker e chiuse la porta a chiave.
Nei pochi secondi in cui Jarod le voltò le spalle, la donna riuscì ad afferrare una lampada che si trovava su di un tavolino all’entrata. La alzò a mezz’aria con l’intento di colpirlo alla nuca.

“Allora, bambino prodigio… ti sei divertito nei panni del cacciatore?”.
Jarod aveva appena ripreso i sensi. Miss Parker lo aveva stordito ed ora gli puntava contro la pistola.
“Furba…”.
“Già… sai la sopravvivenza è un’arte!”.
“Mi riporti al Centro…”.
“Certo… ma prima mi devi qualche spiegazione!”.

L’uomo si aggrappò alla sponda del letto. Nei minuti in cui aveva perso i sensi, Miss Parker lo aveva spostato. Si issò in piedi.
“Fermo…” sussurrò la donna “sono nervosa e armata…”.
“Uh…” ironizzò “hai intenzione di spararmi?”.
Si avvicinò a piccoli passi.
“Cinque anni di caccia…” un altro passo “cinque anni… ogni volta che mi hai avuto sotto tiro…” un altro passo “hai finto che la pistola si inceppasse oppure…” ora era così vicino da vedere il leggero tremore delle mani che tenevano la Smith & Wesson “hai volontariamente sbagliato mira”.
Scattò velocemente in avanti e la disarmò.
Miss Parker urlò, il tavolo dietro di lei si rovesciò in terra.
Pochi secondi dopo qualcuno bussò alla porta.
Jarod rovistò nelle proprie tasche e ne estrasse di nuovo le manette.
La legò al letto ed andò alla porta.
“Dovete scusarci…”.
Miss Parker sentì una serie di scuse rivolte al vicino di stanza.
Nel frattempo stava cercando in tutti i modi di capire quale fosse il vero motivo di quel rapimento.
La porta si chiuse.
“Ora… ora è il momento delle spiegazioni”.

Aprì una valigetta.
Lo vide trafficare con qualcosa.
Le dava le spalle.
“Che vuoi?”, continuava a domandare.
Nessuna risposta.
“Che stai tramando?”.
Silenzio.
La tensione e i crampi le fecero salire le lacrime.
Cercò di trattenere i singhiozzi.
Strattonò con quanta forza aveva in corpo i polsi.
L’unica cosa che si provocò fu altro dolore.

Era passata circa un ora.
Miss Parker ora stava in silenzio, il capo chino, poggiato al letto.
Aveva gli occhi semichiusi.
Jarod le si avvicinò.
Le liberò un braccio dalle manette.
Le tastò delicatamente il polso. Era viola.
Ematomi, per lo strattone.
Aprì improvvisamente gli occhi.
Jarod l’aveva incatenata alla sponda del letto.
Le sfilò una manica del cappotto.
Allacciò all’avambraccio un laccio emostatico.
Miss Parker non guardava quello che l’uomo le stava facendo.
Guardava il suo viso, e nella sua mente si ripeteva che doveva esserci una logica in tutto quello che stava accadendo.
Una siringa.
Le aveva preso un campione di sangue.
Si allontanò e la guardò per una paio di secondi. Dopo aver preso un'altra siringa, ripeté il gesto su se stesso.


Aveva freddo.
Tremava.
Non aveva abbastanza libertà di movimento per infilarsi la manica del cappotto.
Jarod era ancora lì.
Trafficava con le provette di sangue,.
Digitava dati al computer.
“Non mi hai rapito per la storia di tua madre…” disse ad un tratto la Parker “che stai cercando di dimostrare, Jarod”.

“Dimmi che hai scoperto su mia madre…” disse l’uomo con noncuranza “ e io ti dirò che sto facendo…”.
Restarono un attimo in silenzio.
“Toglimi le manette…”.
“Non detti tu le condizioni”.
“Non ho la forza…” iniziò la Parker, poi prese un bel sospiro e continuò “ non ho neanche la forza di pensare”.
La guardò.
Sembrava stesse ponderando che possibilità una donna stanca e malmenata avesse in uno scontro.
“Questa volta non mi limiterò a legarti, Parker… in questo gioco detto io le regole!”.

Sentì il sangue che ricominciava a fluire.
Chiuse ed aprì le mani diverse volte.
Quando fu in piedi, Jarod le afferrò entrambi i polsi le urlò in viso “Non giocare con me! Ora parla!”.
Si tastò i polsi, una volta che l’uomo la lasciò.
“Prima… prima devo andare in bagno”.
“Stai giocando con il fuoco… attenta a non scottarti!”.

Tenne la porta del bagno aperta e lei entrò.
La sentì chiudersi dietro le sue spalle.
Quando si voltò, si trovò Jarod davanti. La pistola in mano.
“Pretendi… si insomma, tu pretendi che io…”.
“Non sprecare il fiato!”.

Scarlatta in viso, uscì dal bagno.
Lui la seguiva.
“Una volta pensavo avessi un senso della giustizia un po’ strano… ora penso che tu sia affetto da paranoia galoppante!”.
“Divertente… molto divertente! Ora, se non ti dispiace, visto che hai un uomo che ti sta minacciando con una 9mm apri la bocca!”.

“Ho iniziato ad indagare su tua madre da quando… da quando abbiamo fatto ritorno dall’isola di Carthis. È impossibile rintracciarla. È un asso della fuga, a quanto pare. D’altronde, tale madre…” fece scattare una mano nella tasca del cappotto.
Jarod puntò la pistola.
La donna alzò i palmi.
“Non ho niente… è solo un foglio”.
“Lentamente… tiralo fuori molto lentamente”.
Miss Parker infilò una mano nella tasca e ne estrasse un foglio stropicciato ed una vecchia foto.
Le guardò per un paio di secondi, poi volse lo sguardo verso l’uomo.
“Le ho… le ho trovate nell’ultimo luogo rintracciabile in cui tua madre ha trovato rifugio. Deve essere scappata in fretta per aver dimenticato queste…” porse i fogli a Jarod.
Lui ripose la pistola.
“Questo… questo sono io!”.

“Dimmi dov’era il rifugio?!”.
“Non c’era nient’altro…”.
“E se non avessi cercato per bene?”.
“Ero uno spazzino… era il mio lavoro cercare indizi!”.
“Dimmi dov’era!”.
“No!”.
“No? Cos’è che ti sfugge? Forse speri ancora nella mia clemenza? Hai avuto le tue possibilità di cambiare, Parker, ma le hai sprecate!”.
“Il… Centro ha scoperto il luogo in cui tua madre è stata. Lyle e gli altri lo tengono d’occhio. Se ti avvicini loro ti catturano”.
“La tua bontà d’animo mi sorprende! Stai mentendo!”.
“Fidati!”.

Jarod stava leggendo il foglio che la Parker aveva trovato.
C’era una data di circa vent’anni prima.
“La calligrafia… quella è la calligrafia di mia madre” sussurrò Miss Parker.
Jarod capì la resistenza della donna.
“Tua madre voleva rendermi libero… tu vuoi riportarmi al Centro. È una bella contraddizione, non trovi?”.

Miss Parker era ancora in piedi. Guardava con insistenza il pavimento.
“Riportarti al Centro… riportarti al Centro mi renderebbe libera”.
“Io sono scappato da quell’inferno! Puoi farlo anche tu!”.
“Tu non sei un Parker!”.
“Non esserne così certa…”.

“Che significa?”.
“Sai… il sangue che ti ho prelevato prima serve a fare un controllo incrociato del DNA…”.
“Hai già fatto un esame del genere… quando hai scoperto che mio fratello era Lyle!”.
“Si… ma il sospetto era che fossimo gemelli”.
“Potremmo essere…”.
“Fratello e sorella, Parker… fratello e sorella!”.

“Come diavolo ti è venuto questo sospetto?”.
“Sai il gene che contraddistingue noi simulatori… quell’anomalia genetica”.
“Si…”.
“A quanto pare né mio padre né mia madre… non hanno questa caratteristica nel corredo cromosomico…”.
“Dove hai trovato i campioni di sangue?”.
“Alla Nugenesis… la clinica della fertilità. Pare che… che per la fecondazione in vitreo fu usato lo sperma di qualcun altro”.
“Di Reins? Quell’uomo ha ripopolato la nazione!”.
“Non è detto… ma è un’ipotesi”.
“Reins… lui ha questa caratteristica genetica?”.
“Si…”.
“L’eredità dei Parker…”

“Hai passato gli ultimi cinque anni della tua vita a cercare la tua famiglia, ed ora scopri che potrebbe essere nel posto da cui sei fuggito?”.
“Potresti essere tu la mia famiglia…”.
“Basta sviolinate… mia basterà ricordare cosa è successo sull’isola se avessi un calo di zucchero…” Miss Parker sussultò leggermente, poi guardò Jarod “sai che… si insomma! Non dirmi che non ci hai pensato!”.
“A cosa? All’incesto?” rispose Jarod fissando la donna.
“Mi viene da vomitare…”.

“Quando avrai i risultati…”, domandò Miss Parker cambiando improvvisamente argomento.
“Non lo so… ho pochi mezzi qui e…” si strofinò gli occhi con le nocca delle dita “ho un paio di ore di sonno arretrate…”.
“Bhe… fai un pisolino, bambino prodigio… la tua sorellina veglierà su di te!”.
“Carina questa… ma” e riprese le manette “ non ho voglia di rischiare…”.
“Che diavolo hai in mente?”.
“Sai non ho voglia di chiudere gli occhi e riaprirli al Centro…”.
“Sempre meglio di questa topaia…”.
“Preferisco di gran lunga la compagnia dei topi a quella di Reins!”.

“Ahi!” urlò Miss Parker quando Jarod le allacciò un anello delle manette al polso destro “che stai combinando…”.
Ma sapeva esattamente quello che stava facendo.
“Ti lego al mio di polso, sorellina… così ogni tuo desiderio di libertà sarà, come dire… frenato!”.
La strattonò e si avvicinò al letto.
“Te lo sogni…”.
“Appena prenderò sonno…”.

“Hai intenzione di rendere le cose complicate? Ho bisogno di dormire, e anche tu! Quando ci sveglieremo il computer avrà finito di elaborare i dati e sapremo finalmente tutta la verità”.
“In caso tu decidessi di suicidarti, dove tieni le chiavi di questo affare?”.
“Nel caso io vorrò suicidarmi… sono sicuro che tu mi seguiresti…”.

“D’accordo… ma stai attento a quello che fai!”.
“Rilassati… prima le signore” e con un gesto della mano indicò il letto alla Parker.
Visto che la donna non aveva intenzione di muoversi lui la trasse a sé.
“So tenere sotto controlli gli ormoni, Miss Parker…” la spinse sul letto “ma tu?”.

Le coperte di quel letto emanavano un orribile puzza di muffa.
Si mossero entrambi molte volte prima di trovare il giusto accordo di posizioni.
“Buonanotte…”.
“Non c’è nulla di buono in questa notte, Jarod!”.
“Ti sbagli, Parker… ti sbagli”.

“Siamo disturbati… lo sai, vero?” Miss Parker pronunciò queste poche parole tra le risate e il sonno.
“Pensavo dormissi…”.
“Dormire? Ho i polsi che mi fanno un male cane, la schiena a pezzi e…” si mise seduta sul letto “un uomo che continua ad invocare la madre nel sonno che dorme accanto a me…”.
“Scusa… ma dovresti aver fatto l’abitudine ai pazzi… lavori al Centro…”.
“Già… ma sai, all’inferno non importa se tu sia pazzo… importa in quale sottolivello tu abbia l’ufficio”.
“Dormi, Parker”.
“Non hai risposto!”.
“Cosa vuoi che risponda? Siamo due ultratrentenni con una crisi di identità, repressi e… Dio solo sa cos’altro!”.
“Patetico…”.
“Cosa?”.
“Noi, la nostra vita… siamo costretti ad interpretare un ruolo per continuare a vivere…”.
“Questa la chiami vita?”.
“Almeno tu non sei più al Centro, di cosa ti lamenti?” lo sentì muoversi, le si sedette accanto “io combatto ogni giorno una partita persa… tra i tuoi giochetti e la mia, tra virgolette, allegra famigliola… non so come diavolo faccio a sopportare tutto questo” una solitaria lacrima le solcò il volto.
“Puoi andartene…”.
“Certo… ragiona, prodigio! Andiamo: mia madre e Thomas sono stati uccisi perché hanno tentato di portarmi fuori da quella trappola! Non voglio che altri innocenti siano uccisi…”.
“Non è colpa tua…”:
Lo guardò intensamente negli occhi.
“E di chi sarebbe la colpa, allora?”.
“Del Centro…”:
“Ti sei di nuovo sbagliato, genio… la colpa è solo mia. A noi Parker non è concessa la felicità!”.

“Ho bisogno di andare in bagno” Jarod si alzò dal letto e strattonò Miss Parker.
“Che vuoi, che ti tenga la tavoletta alzata?”.
“Bhe, troveremo la tua utilità!”.
“Fidati, Jarod… esponendo una parte sensibile del tuo corpo di fronte a me potresti farti decisamente male”.
“È un rischio che voglio correre!”.

“Non ho alcuna intenzione di entrare in bagno incatenata!”.
“Non dovresti mai sottovalutare la forza fisica del tuo avversario! Insomma, per quanto tu possa essere letale sei pur sempre una donna!”.
“Non sapevo fossi maschilista!”.
“Non lo sono, ho studiato la teoria quantistica e la relatività della massa…”.
“Calma… prima che tu mi faccia scoppiare l’emicrania!”
“Allora, andiamo?”.
“Ho possibilità di replica?”.
“Conosci la risposta…”.

“È piuttosto imbarazzante…” Miss Parker si posò una mano sul volto.
“Si… girati”.
“Sai… tu che hai studiato tutte quelle cose sulla fisica dovresti sapere che mi è difficile voltarmi da una altra parte se il mio polso è legato al tuo!”.
“Uhmm…” Jarod stava riflettendo “chiudi gli occhi!”.
“Carino…”.
“Cosa?”.
“Tiralo fuori, bambino prodigio! Non avrai vergogna di una vecchia amica di infanzia…”.
“Chiudi gli occhi e lasciami svuotare la vescica…”:
“E se non volessi chiudere gli occhi… dai, slegami!”.
“Divertente… bhe, se non vuoi chiudere gli occhi…”.
“Ehi…!”.

“Non raccontiamo mai a Sidney di tutto questo, d’accordo!?”.
“E per quale motivo?”.
“Già sono il suo soggetto preferito da quando sei fuggito… ma raccontandogli quello che hai appena fatto, penso andrebbe in brodo di giuggiole! Adora psicoanalizzarmi”.
“Devi andare anche tu in bagno?”.
“Sarcastico, eh?”.
“Sai… in qualche modo devo divertirmi!”.

“Per… per quanto tempo dovrò starti appiccicata?”.
“Non sono una piacevole compagnia?”.
“Si… come le piattole d’estate!”.
“Comunque esaudirò il tuo desiderio…”.
“Mi costruirai una macchina del tempo?”.
“No, ti libererò della mia sgradevole compagnia…”.

“Sei molto più spiritoso di quello che potevo immaginare!”.
“Non sei più attaccata al mio polso!”.
“In compenso mi hai legato allo stipite della porta!”.
“Chi si accontenta…”.
Miss Parker si afflosciò a terra, la schiena poggiata al muro.”
“Che hai?” domando Jarod.
“Niente…”.
“Parla”.
“Ti sei mai chiesto per quale motivo… si, insomma quale sia il motivo per cui abbiano proprio chiamato me cinque anni fa per riportarti indietro…”
“Destino, suppongo. Ci sono cose che soltanto Dio, e il Centro, conoscono!”.
“Amen…”.
“Considera dove saresti ora se non fossi la mia cacciatrice…”.
“Sarei… sarei ancora in giro per il mondo per conto del Centro, probabilmente”.
“Non mentire a te stessa… e non mentire a me, soprattutto!”.
“Perché, non sei mica il mio commercialista!”.
Jarod rovistò tra le sue cose ed estrasse un plico.
“Cos’è? La fattura…”.
“No… questa sei tu!”.

“Non ci sono informazioni su di me… non reperibili, almeno”.
“Certo… tu non hai nome, né età. Non hai frequentato mai il College né qualunque altro tipo di scuola. Non hai amici che possano raccontare di te. Non si conosce la tua data di nascita, l’identità dei tuoi genitori. Sei semplicemente …”.
“Un numero, è il regolamento del Centro. Siamo tutti identificati con un codice”.
“Tu non sei una serie di numeri, Parker! Sei una persona… e come tutte le persone hai un passato. Per quanto oscuro possa essere!”.

“M. Parker; nata il 3 gennaio del 1963 a Blue Cove nel Delaware. I tuoi documenti di nascita furono firmati dal dottor William Reins; gemello: deceduto alla nascita [errata corrige: vivo]. Madre: Catherine Jamison in Parker, nata nel 1936-deceduta il 13 aprile del 1970. Padre: Mr. Parker [ biologico: William Reins]. Studi privati-3°ginnasio Liceo Classico, Roma-Frequentazione, dapprima saltuaria, poi del tutto assente, per un semestre all’Università dello Stato…”.
“Bravo! Ti batterei le mani, ma…”.
“Non abbiamo ancora finito… sai, ho avuto accesso agli archivi privati del Centro”.

“ARCHIVIO 128\M.PARKER FOR CENTRE USE ONLY
SCHEDA 3163_M\PRK
ADDESTRAMENTO_CENTRO”.
“Dovrò tirare le orecchie a Broots, per questo!”.
“Non hai mai frequentato il College. Quando hai preso il diploma ti hanno addestrata al Centro… ti hanno addestrato per cosa, Miss Parker!?”.
“Per… per essere una brava cacciatrice, suppongo”.

“Avevo… non avevo neanche compiuto vent’anni quando mio padre mi richiamò al Centro… mi disse che gli mancava il Suo Angelo! Ed io feci ritorno a Blue Cove. Al Centro fui tenuta in isolamento. Non mi ricordo nulla… a parte la paura. Quel verme di Reins” si interruppe e per alcuni secondi fissò il vuoto “era il mio supervisore”.
“Che tipo di addestramento hai ricevuto…”.
“Io… io ricordo solo la voce di Reins. Era lui che mi dava le indicazione da seguire. Che mi dava dei compiti da svolgere. Delle questioni da risolvere. Sono stata addestrata al poligono di tiro… credo di aver preso parte ad alcune simulazioni, ma…”.
“Non ricordi cosa ti hanno fatto di preciso… so come ci si sente. Ti hanno rubato una parte della tua vita”.
“Già… ho delle informazioni frammentarie. Come se sapessi, ma non riuscissi…”.
“O non volessi ricordare…”.
“Bingo…”.

“Siamo prigionieri del Centro…”.
“Tu non più”.
“Non mi sono mai liberato dal Centro… certo, non sono più nel Sim Lab, ma dovunque mi trovi ho te alle calcagna…”.
“È il mio lavoro…”.
“Tu non vuoi catturarmi… in me vedi te stessa”.
“Cos’è… hai preso lezioni di psicologia da Syd?”.
“Ammettilo Parker… oh!”.
“Che succede?”.
“Il computer ha finito di analizzare i dati…”.

“Allora?”.
“Pazienza, Parker… sta rielaborando i dati… ora dovrebbe stamparli e…”.
“E…”.
“E finalmente il puzzle sarà completo…”.

Sentirono degli spari al piano di sotto.
“Che diavolo sta succedendo…”.
“Ho un brutto presentimento!”.
“Io… giuro, Jarod, non ho avvertito nessuno quando ti ho messo K.O…”.
“Ti credo, ma…” la guardò per alcuni secondi “alzati”.
Le sfilò le manette e le tolse il cappotto.
“Ehi… vale più del Motel quel cappotto!”.
“Microspie… il fratellino ti tiene sottocontrollo, eh?”.
“Maledetto”.

“Che farai?”.
“Devo… devo andarmene” stipò le scartoffie e il portatile nella valigia “e in fretta, anche!”.
“Non… non posso…”.
“Lascia perdere Parker…”.
“No!”.
“Vorrei ricordarti che ho io la tua pistola”.
Ma non voleva minacciarlo.
Non voleva puntargli una pistola.

“Sai… questa si chiama sindrome di Sthendal…”.
Miss Parker lo aveva appena baciato, mossa sia dal puro e semplice desiderio di farlo sia dal suo istinto di cacciatrice… voleva tenerlo occupato abbastanza per pensare a cosa fare.
“Non puoi andartene…”.
“Non posso… devo! Lyle sarà qui a momenti. E tu” la sua voce tremò “maledizione… tu potresti essere mia sorella…”.
Sentì dei passi avvicinarsi alla porta.
“Vai!” sussurrò Miss Parker, lasciandolo all’improvviso “ho fatto la mia scelta, questa volta…”.

Lyle sfondò la porta.
“Salve, sorellina!”.
“Lyle… che piacevole sorpresa… il tempismo non è il tuo forte, eh!”.
“Che vuoi dire?”.
“Sono stata legata come un salame per tutta la notte, e tu ti presenti adesso… è scappato!” guardò la finestra “da un pezzo, pure…”.
“È come avresti fatto liberarti dalle manette…”.
“È una lunga storia…”.




 
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