Manga e Anime
creata dalla serie "SHAMAN KING":
"SHE IS WATCHING THE MIRROR"
una fanfiction di:

Genere:
Sentimentale
Rating:
Per Tutte le età

Anteprima:
Lei è stufa di aspettarlo. perchè nessuno è mai solo quando si guarda allo specchio.

Conclusa: No

Fanfiction pubblicata il 30/04/2006 18:12:36
 
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 MIRROR


Titolo: She Is Watching The Mirror
Autore: mewsana
Pairing: YohxAnna
Personaggi: Yoh Asakura, Anna Kyoyama
Genere: leggermente dark, angst.
Disclaimer: i personaggi non mi appartengono, ed il loro copyright è detenuto da H Takei. La fanfic non è a scopo di lucro.
Introduzione: Lei ha finalmente deciso di darci un taglio. Ha atteso per troppo tempo, e lui non c’è. Perché nessuno è mai solo quando si guarda allo specchio.
Note: scrivo nel pieno delle mie facoltà fisiche e mentali. Lo so, ho altre fic da completare, ma questa necessitava di essere scritta. Un bacio.
Dedica: mi sono accorta solo dopo di aver ripreso la caratteristica fondamentale di uno dei tuoi personaggi. Senza dubbio, perché le tue storie mi affascinano. A noi, perché siamo sadiche, ironiche, bastarde, avare e… ah, giusto!
Due serpi.





She Is Watching The Mirror
Perché nessuno è mai solo quando si guarda allo specchio






La mano tremante infilò nella toppa la chiave arrugginita. Quella girò perfettamente, come se non fossero passati anni, ma solo brevi istanti di vita così.
Così. Quella parola rigirata nella bocca sapeva ancora di amaro, retrogusto vagamente dolce.
Perché era la sua parola preferita. Perché ieri il mondo aveva girato così, oggi così e domani avrebbe fatto altrettanto.
Perché anche la vita andava presa così, come un bicchiere di succo di arancia offerto da un amico che non vedevi da tempo.
Allo stesso modo, così, anche la chiave aveva girato, in quello strano movimento, così, quel movimento giro - scatto che a volte si inceppa e tu ti arrabbi, così, perché vorresti entrare in casa e buttarti sul divano, così, come una qualsiasi persona stanca che desidera il meritato riposo, e invece stai ancora ferma fuori da casa.
E caso mai qualcuno ti avesse chiesto perché stavi ferma, tu avresti risposto perché ti andava così.
Ma invece non hai aspettato che le cose girassero per il verso giusto, così, e tu quella porta l’hai sempre sfondata, stanca di aspettare giorni migliori.
Anche se un vero lavoro tu non l’hai mai avuto e per passare il tempo chiacchieravi con gli spiriti.
Ovviamente, perché ti girava così.
Come la chiave. Si, esattamente.
Sei come una chiave. Sei affidabile fino a che, nel momento in cui servi, quando c’è quell’ombra alle spalle, ti rompi dentro la serratura e la persona che dovevi aiutare ti odia.
Odia. Non lo senti come gira bene in bocca, questa parola? Si, come così. Rotola, colpisce il palato, rotola di nuovo, così, si scontra con i denti e improvvisamente si ferma. Ma non scompare.
Perché diciamocelo, lui amava la parola così come tu amavi, ami ancora, la parola odio.
Tu – amavi – la parola – odio.
Non lo trovi divertente come giochetto di parole?

Vagò silenziosamente da un angolo all’altro dell’ingresso, sfiorando a più riprese mobili e sgabelli coperti da un pesante strato di polvere. Sembrava una palla impazzita, che muovendosi senza sosta dava vitalità alla scena immobile e silenziosa.
Continuò in quella dolorosa esplorazione, tralasciando la fitta che sembrava abitarle nel petto.
Si era fatta sera, e la ragazza accese la luce nel vecchio salone. Le parve di rivedere, come in un film, lei stessa, di quattro anni più giovane, correre ridendo per la stanza, inseguita dal suo fidanzato.
Si accigliò.
- Oh! - il suo sguardo scuro cadde su un vecchio foglio di carta scarabocchiato. Riconobbe il tratto: era il suo. La penna si muoveva veloce e confusa, tempo prima, catturando momenti di luce e visi divertiti.
- Chissà da quanto tempo è qui. -
Il maglione da lei disegnato era di un vivace color rosso, la stoffa probabilmente spessa, ed aveva un taglio originale.
- Quando sognavo di fare la stilista. - e invece poi si era rassegnata a fare solo l’itako. Al suo fianco.
Aveva deciso così, in un giorno torrido e senza nuvole.
Guardò fuori dalla finestra. Il sole, ormai tramontato, aveva cercato di sputacchiare, senza molta convinzione a dire il vero, colori vivaci che si erano invece dipinti in cielo in un’accozzaglia di sfumature senza poesia.
Un tramonto banale per una serata che si prospettava noiosa e piena di fastidiosi ricordi.
Finalmente entrò nella sua camera da letto. La tapparella abbassata, il letto coperto da teli, e l’armadio spalancato, vuoto.
E lo specchio velato da una vecchia coperta cremisi.
Molte volte lo aveva sognato, nell’immensità della sua dimensione onirica, confortata dal tepore del letto.
Quello specchio che un tempo aveva riflesso l’immagine di una ragazza felice.

Già, felice.
Insomma, chi ti ha mai dato il diritto di essere felice?
Ancora una volta torna in questo nostro macabro ritornello, così, la chiave.
È sempre la stessa, medesima cromatura. Righe su entrambi i lati.
La chiave scatta all’interno della serratura. Anche tu scattavi per eseguire ordini.
Poi la chiave si rompe… te lo ricordi?
E si sostituisce.
Così. Senza un motivo.
O forse il motivo in realtà c’è.
Davanti a te, perché ignorarlo non è proprio possibile, non li senti i suoi passi per il salotto?
Lui è qui, tu sei qui, entrambi nello stesso luogo.
Continua a girare in questa danza infinita. Prima o poi ti romperai i piedi.

- Anna? - il richiamo era debole, incerto, ma la sensazione che ne derivò fu la stessa. Come se quel nome lui l’avesse urlato a squarciagola, attraverso un cortile aperto.
Scattò verso la porta, inciampando nel telo che aveva coperto lo specchio. Questo brillò insolentemente, accecandola per un attimo. Caracollò, riuscendo a reggersi in piedi per miracolo.
Improvvisamente si rese conto del desolante spettacolo che ormai era diventata. Eppure la testa scattò con orgoglio in alto, ancora una volta, e il passo fu subito più sicuro.
Anna Kyoyama.
Costretta a vendere la vita per orgoglio.
E, ciononostante, orgogliosa di questo.
Finalmente giunse davanti all’ingresso, gli occhi serrati e la bocca ermeticamente chiusa.
- Ciao Anna. -
Era lui. Diamine se non lo era!
- Yoh Asakura. -
- In persona. - poi cadde rovinosamente a terra.
- YOH!! -
I seguenti venti minuti furono un susseguirsi di eventi che Anna non seppe più ricostruire. Cercare di trascinare il suo fidanzato sul divano, poi sul tappeto. Spuzzargli acqua sul viso, capire se respirava.
Il tempo nella stanza veniva scandito dal vecchio orologio in pietra rossa.
Finalmente rinvenne, il colorito cereo e gli occhi spenti.
- Sono passati degli anni. - sussurrò.
- Quattro, Yoh. Non sono tanti. -
- Sono troppi per me, Anna. Per uno che non sa se passerà la nottata. - forse il sospiro se l’era solo immaginato, perché le labbra del ragazzo non si erano mosse. Ad ogni modo, non poté fare a meno di sentirsi triste.
Il silenzio li avvolse. Yoh strappava pezzi di tappeto con fare pensieroso.
Anna cercò disperatamente un appiglio per recuperare una conversazione appena nata eppure già morta - E… cosa hai fatto in questi anni? -
- Ho ucciso. -

Tra parentesi, una chiave non puoi uccidere, lo sai Anna?
Eppure tu sei così maledettamente letale.
Quando parli, cammini, combatti.
Adesso lui è diventato il tuo compagno ideale, una serratura, diciamo.
Ma la coppia serratura - chiave funziona davvero?
Apri una porta di più e lo scoprirai.
Perché, in fondo, sei quello che sei.
Una chiave.

Rimase alcuni secondi immobile, col fiato spezzato dentro il petto restio ad uscire.
Cercò disperatamente il suo viso, scontrandosi con la piega della bocca solennemente serrata. Anche gli occhi scuri, che un tempo avevano brillato, rimasero bloccati in un’ombra di tristezza interiore.
Poi si accorse che lui tremava. Come se il corpo si opponesse, o almeno provasse ad opporsi. Come se volesse tornare a vivere, così, com’era stato un tempo. Semplicemente felice.
- Yoh, stai tremando. -
Lui spostò lo sguardo all’interno di quello della ragazza. –Hai ragione. Fa freddo qui. -
Anna guardò fuori dalla finestra. Il sole appena scomparso aveva contribuito ad infiammare una giornata già calda.
Almeno venticinque gradi. Se non di più.
Gli rivolse un’occhiata interrogativa. - Sei sicuro di star bene? -
Yoh Asakura premette una mano sul petto, schiacciando. –Fa freddo qui. - disse soltanto.
- Va bene. - lei si alzò dal divano. –Vado a prendere qualcosa. -
Già, ma cosa aspettarsi da un armadio di una casa abbandonata da anni? Forse una vecchia coperta tarlata e piena di polvere…
Ad ogni modo, spalancò senza dubbio alcuno le due ante di legno che si aprirono sprigionando un lieve aroma di antico.
La vecchia carta che ne rivestiva l’interno era ormai sbiadita, ma il motivo ancora chiaro. A scacchi.
In quel desolante quadro di colori scuri spiccava per originalità un maglione. Rosso.
Dal taglio asimmetrico ed originale.
Proprio come quello disegnato nel suo schizzo. Che l’avesse poi fatto realizzare e non se ne ricordasse?
Lo prese in mano, la stoffa frusciante e morbida al tatto. Di un bel colore sanguigno, che nonostante il tempo di permanenza in quell’armadio non aveva ceduto alla tentazione di scolorirsi.
Strofinato sul viso, dava un piacevole tepore che non le risultava fastidioso, anzi.
Quando ritornò nella stanza, egli stava ancora strappando pezzi di tappeto. Ormai una chiazza di trama era chiaramente visibile sulla quella distesa colorata.
- Ecco. Scusami se ci ho messo tanto. -
Lui prese il maglione, e quello sfiorarsi di mani appena accentuato le provocò un brivido.

Forse perché l’emozione era stata forte.
O forse perché le mani di Yoh erano fredde.

- Ti ringrazio. -
Anna si scosse. –Cosa? -
- Ho detto grazie. -
Le labbra rosse della ragazza si arricciarono in un piccolo sorriso, reso incerto dall’emozione. –Prego. -
E rimasero invischiati nel silenzio. Colloso, appiccicoso, di cui entrambi avrebbero voluto liberarsi.
Come gettarsi sotto un getto di acqua e sciacquare via tutto lo sporco del mondo. Lo sporco di quella città. Lo sporco dell’aria. Il loro sporco.
Ma forse fu quella colla che li fece improvvisamente avvicinare.
Lei in canottiera, lui con il maglione.
Lei severa, lui felice.
Lei pulita, lui trasandato.
Lei & Lui.
Sono solo una bella illusione…?

Anna teneva stretta in mano una tazza di porcellana.
Non appena le loro labbra si toccarono, sfiorandosi con una leggera esigenza, urtandosi anche, questa cadde per terra.
Si sentì un forte rumore.
E improvvisamente del tenero incontro dei due amanti, del loro calore nascosto dentro il corpo, del loro baciarsi, non rimase più nulla.
L’itako spalancò gli occhi, come riavutasi da un improvviso sonno. Ma perché quel fastidioso mal di testa?
Si rialzò barcollante, scuotendo il capo con lentezza. –Yoh…? -
Era in camera.
- Ah! - spostò lo sguardo in basso, dove aveva avvertito una fitta violenta al piede. Rosso. Come il maglione.
Solo che questa volta era sangue.
Un frammento di vetro era penetrato con forza dentro la pianta, provocando un taglio non certo superficiale.
- Lo specchio… -
Spostò con uno scatto lo sguardo davanti a lei, trovandosi a rimirare la sua immagine riflessa dentro lo specchio scheggiato. Solo in quell’istante si accorse che la sua fronte sanguinava. Rivoli di sangue cadevano in balia della forza di gravità, accecando gli occhi scuri.
- Yoh… YOH! -
E corse. Corse con l’anima in fiamme, lasciando una traccia di sangue lungo il pavimento in legno.
Arrivò nel salone. Vuoto. La luce spenta.
Tornò di nuovo nella camera, e con una foga a percorrerle il corpo, spalancò l’armadio.
Nel fondo, un gomitolo rosso. Come il sangue.
Si gettò di schianto sul letto, il respiro affannoso. Si passò le dita sulle tempie con studiati movimenti circolari, che riuscirono a farla sentire leggermente meglio.
Si rivoltò su un fianco, accucciandosi leggermente contro se stessa.
Fu allora che la vide. Una foto. Più che semplicemente un’immagine, era un sorriso.
Il sorriso magnetico di Yoh Asakura. E da come il vetro era graffiato e il legno gonfio, capì.
Era stato bagnato da lacrime. Le sue lacrime.
Così si alzò dal letto, perché rimanere lì non aveva alcun senso. Senza nemmeno curarsi del piede sanguinante uscì da quella camera per non farvi più ritorno. Senza voltarsi a guardare indietro, senza più rimpianti.
Chiuse la porta d’ingresso, fece due giri di chiave.
Poi la lanciò nell’erba, consapevole che era stata l’ultima volta in cui aveva potuto sentire il suo profumo.

Se ne andò.


Senza girarsi.



Aveva una tomba da visitare, ora.













Ci sono almeno dieci persone a cui vorrei dedicare questa fanfiction.
Un grazie a tutti quelli che commentano.
Con affetto!



 
 
 
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