- Capitolo 1° -
Un passo. Un altro.
Ancora un passo.
Meccanico, ritmico, automatico.
Senza più vita.
In un mare di gelo bianco.
Il semplice portarsi avanti di un corpo.
La cosa più faticosa del mondo.
Un altro passo.
Il corpo inerte pesa sulle sue braccia.
Il corpo ancora in moto affonda nell’altissima neve, pesante l’esatto suo doppio.
Altro passo.
Lo strisciare in quel mare bianco e freddo dei suoi arti stanchi.
L’urtare ritmico delle braccia gemelle contro il suo torace.
Un colpo di vento arriva ai polmoni come un pugnale scagliato con tutta forza.
La neve si diverte a frustare il suo viso reso insensibile.
Passi in automatismo.
Uno dopo l’altro, sotto il cielo bianco e turbato, affondando sempre più, cercando un riparo.
Un riparo per le sue ultime ore.
Carponi accanto al giaciglio, spia quel volto sereno e disteso, nei riflessi del focolare quasi spento.
Il volto identico al suo.
Forse il riflesso futuro del suo.
Poche braci vi ardono ancora, carbonizzate e grigie, costellate da precarie perle di rosso.
Come la sua vita.
Come la neve che copre completamente la porta, forse oltre.
Immobile, a saggiare con le ginocchia la consistenza del pavimento in solido legno della catapecchia trovata per caso.
L’aria nel monolocale, sempre più rarefatta, si consuma ad ogni lieve respiro suo e del fuoco.
Errore indugiare sul petto del suo gemello.
Sa benissimo che, per quanto lo possa pregare, non si muoverà mai verso l’alto.
È lì, solo e immobile, a fissare quel fratello che l’aveva riconosciuto da sempre, che riconoscendolo s’era voltato a sorridergli, senz’altre parole per non turbare gli sfortunati genitori…
Anni e anni addietro.
Ma è passato quel tempo?
La loro famiglia è morta… sterminata… non è molta la gente che raggiunge la veneranda età, in quel luogo…
Luogo inospitale e crudele.
Perché il loro pacifico popolo era costretto a quello?
A gettare i figli come fossero rifiuti?
È passato il tempo in cui le dee bendate di fortuna e sfortuna avevano baciato una ciascuno la fronte dei due gemelli?
Forse era stata di nuovo la fortuna a far morire Cyd per primo.
E lui l’aveva portato, cieco alla differenza tra morto e comatoso, un passo dopo l’altro, la mente vuota o schermo solo ai ricordi più recenti.
Si distende, comodamente, ingombro nell’armatura, accanto al suo gemello candido, e le sue braccia stanche desiderano la reciproca stretta.
Pensiero va. Pensiero fugge.
Due pensieri partono senza salutare.
Due vite si spengono in una prospettiva migliore.
Niente più nostalgia, per l’eternità.
In un mare di gelo bianco. |
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