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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Manga e Anime
Dalla Serie: Mars
Titolo Fanfic: STANZA NUMERO 36
Genere: Sentimentale
Rating: Per Tutte le età
Autore: celebrian galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 12/04/2006 11:04:18

makio...sensuale aspide...in catene...
 
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CAPITOLO UNICO
- Capitolo 1° -

Mars
Stanza numero 36

"Ricordi perchè sei qui?"

"No..."

"Ricordi il tuo nome?"

"Il mio nome è Makio Kirishima"

"E quanti anni hai?"

"Ho diciassette anni e mezzo"

"E non ricordi perchè sei qui?"

"No"

La psichiatra, la dottoressa Mishima (...Yukio Mishima...ho preso in prestito il tuo cognome…perdono..._NdHelly^^), prese qualche appunto sul suo quaderno e tornò a guardare il volto distaccato di Makio. I suoi occhi freddi come il ghiaccio, le sue mani posate con noncuranza sui braccioli della poltrona. Sembrava che quelle domande non lo riguardassero affatto e manteneva il perfetto controllo del proprio volto. Riprese con le domande.

"Adesso dimmi...qual è il primo ricordo che ti viene in mente?"

Makio abbassò lo sguardo, cercando di ricordare. Ma quando l'ebbe rialzato, la dottoressa vide che aveva mantenuto la sua usuale freddezza.

"Quando sono arrivato qui avevo addosso una camicia nera e dei pantaloni bianchi...la camicia, era la mia preferita"

"Era legata a qualche ricordo in particolare?"

"No...mi piaceva il colore"

"Ti piace molto il colore nero? e come mai proprio questo colore? ha per te un significato particolare?"

Questo parve turbare Makio che guardò la psichiatra con sguardo incuriosito. Si accigliò e chinò il capo di lato, osservandola meglio, come se riuscisse a leggerle dentro con quella sua freddezza così distaccata.

"Qualcuno una volta mi ha detto che per ritrarre me, basterebbe dipingere tutta la tela di nero"

"E chi è stato a dirtelo?"

"Non lo ricordo"


"Makio Kirishima non reagisce alla cura di psicofarmaci. Non ha recuperato la memoria riguardo il motivo della sua detenzione nel nostro istituto. Potrebbe trattarsi di una menzogna che usa per evitare di tornare sull'argomento, ma fino ad ora non ha mai dimostrato di voler mentire durante le sedute psichiatriche. Trascorre le sue giornate chiuso nella propria stanza a guardare fuori dalla finestra, ma risponde alle domande che gli vengono fatte come se non lo riguardassero affatto. Non sorride che rare volte e sempre fra sé e sé, come se sorridesse per qualche intima soddisfazione personale. Oggi ha chiesto che gli venissero portati degli attrezzi per la pittura e un cavalletto con delle tele. Non ha mai dimostrato particolare desiderio di partecipare alle attività di gruppo, ma forse stiamo assistendo ad un passo avanti verso la sua riabilitazione."

Makio sedette comodamente sul proprio letto, dopo aver chiuso la porta della propria stanza, la numero 36. Le pareti erano completamente bianche, così come i pochi mobili che arredavano l'ambiente e le coperte del letto. Non gli piaceva che quella stanza fosse troppo colorata. I colori caldi lo facevano star male, o almeno così ripeteva continuamente ai medici. Nel cortile dell'ospedale non andava mai, perchè lì c'erano sempre dei bambini taciturni e noiosi che l'osservavano, continuamente. Lo disgustavano quei bambini...i loro occhi erano spenti e non ridevano mai. Si limitavano a guardarlo e a giocare con balocchi che avevano ancora l'odore di qualcosa di nuovo e mai usato. L'aria odorava di disinfettante persino fuori da quelle quattro mura. Non gli piaceva quel posto perchè si annoiava.
Ad un tratto sentì un leggero bussare alla porta.
"Avanti" disse e guardò con indifferenza l'infermiera portare, aiutata da un portantino, un cavalletto, delle tele e una scatola di attrezzi e colori.
"Ciao Makio, ti abbiamo portato quello che avevi chiesto...dove vuoi che li mettiamo?" chiese l'infermiera, sorridendo graziosamente.
"Va bene sulla scrivania" disse asciutto e distaccato e voltò il capo nuovamente vero la finestra chiusa. Lasciò che posassero tutta sulla scrivania rigorosamente bianca e aspettò immobile finché non furono usciti. Quando fu finalmente solo, si avvicinò a ciò che gli avevano portato e l'osservò attentamente. Pennelli, colori, tele...c'era tutto ciò che aveva chiesto. Prese il sottile cavalletto di legno e iniziò a montarlo, stringendo e allentando le viti di ottone, fino a regolarlo sulla propria altezza. Si sedette sulla sedia e giudicò che era perfetto. Quando ebbe finito questo lavoro, prese una delle tele e la posizionò in verticale. Poi prese uno dei pennelli e l'osservò con attenzione.
Sottile, longilineo, delicato, bianco. Sembrava un prolungamento della sua mano affusolata e se ne compiacque. Le sue mani erano belle e curate, delicatamente pallide, come il suo viso. Immaginò di intingere il pennello nel colore e lo passò sulla tela, lasciando un'immaginaria linea di colore. Le setole sintetiche sembravano fatte di seta, perfettamente flessibili e lucide. Sorrise, ma il suo sguardo rimase freddo e distaccato.
Dopo un secondo, sentì di nuovo bussare alla porta. Era la dottoressa, priva del solito camice bianco e vestita solo con un tailleur nero, i capelli sciolti sulle spalle e reggeva fra le mani una tavolozza di plastica bianca e una piccola bacinella colma d’acqua pulita.
“Ho pensato che ti servissero anche queste cose. Io non mi intendo molto di pittura” disse con un sorriso.
Makio la guardò gentilmente e incurvò appena le labbra in un sorriso cordiale. “Grazie dottoressa. Può lasciare tutto sulla scrivania” e si voltò nuovamente a guardare la tela bianca.
“Hai già scelto cosa dipingere?”
“No, non ancora. Ma anche così la tela è molto bella...il bianco è un bel colore”
“Ti piace? Ma sul bianco si possono mettere tutti i colori che vuoi. Quale colore vorresti mettere per primo?”
Makio esitò, immaginando che fosse un altro stupito test mascherato da occasionale domanda. Sfiorò con la dita la tela e finse di rifletterci intensamente, assumendo una posa sensuale. In verità, il suo era un gesto totalmente involontario. Quasi vedeva delle sottili linee di colore tingerla di colori caldi e vivaci, come un fuoco che bruciasse qualsiasi cosa avesse accanto. “Mi piacerebbe fare un ritratto. Ma non ho nessuno da ritrarre. Non ho neppure uno specchio per ritrarre me stesso”
“E’ la prima volta che dipingi?”
Makio si voltò a guardarla e i suoi occhi ardevano di una pallida luce, sconosciuta. Era la prima volta che sembrava si animassero e la dottoressa ne fu turbata, suo malgrado
“Sì”
“Molto bene...se vuoi posso farti portare un libro illustrato per prendere spunto”
“No, non occorre. Vorrei solo uno specchio, grazie”

Quando tornò dalla cena, Makio vide uno specchio adagiato sul letto, con una cornice di legno scuro. Lo prese fra le mani e scrutò il proprio viso. Bello. Il suo volto era perfettamente delineato, a partire dalla bella fronte levigata fino alla sottile curva del mento. I suoi occhi chiari avevano un bel taglio, contornato da sottili sopracciglia perfettamente disegnate. Se incurvava le labbra, esse divenivano impercettibilmente più sottili e delicate. Il suo viso era bello e perfetto, ambiguamente femminile. Ma lui era un uomo...il suo sguardo fiero e la forza delle sue braccia ne erano una prova. Lui era un uomo, pericolosamente bello e letale, come un cobra albino. Nascose in fretta lo sguardo ambiguo che i suoi occhi avevano assunto e guardò con apprensione la porta. Non udiva alcun rumore. Neppure quello dei passi dei dottori che facevano la ronda. La notte, nessuno veniva per disturbarlo...si limitavano a chiudere la porta a chiave. Certo che nessuno sarebbe entrato, riprese la propria espressione crudelmente affascinante, appese il lungo specchio ad un gancio nel muro e si contemplò alla luce della lampada e della luna, fuori dalla finestra. Sbottonò la propria camicia bianca (Gli uomini in camicia mi piacciono molto. Be', ovviamente se sono belli...per "belli" intendo...affascinanti...insomma, un uomo solamente bello mi fa quasi ribrezzo...se nei suoi occhi non scorgo un baratro nero e oscuro, per me è solo un corpo senza anima che cammina...gli occhi di un uomo devono dare su un burrone profondissimo dove si sente l'eco di parole dure e intense e la luce del sole non penetra che rare volte, sfociando in un meraviglioso sorriso. Ho imparato a catalogare gli uomini...sulla lista dei cosiddetti "Helly, ti uso finché mi servi" ne ho a dozzine. Ho cominciato così. Sopportatemi, questa è un ficcy che uso anche per sfogarmi_NdHelly^^) e si passò una mano sul torace, dove numerose e orribili cicatrici sfregavano la sua pelle bianca. Le accarezzò una per una, provando una sorta di perverso piacere nel sentire quel solletico. Chiuse gli occhi, cullandosi con quei movimenti lenti e ripetitivi, sul petto, sul ventre, sul collo.
Sì, il corpo umano è veramente meraviglioso, pensò. Nonostante tutta queste ferite, sono sempre lo stesso. Sono sempre Makio, non posso essere ferito. Non sento dolore, non sento tristezza.
Soddisfatto, posizionò la sedia di fronte allo specchio e così fece con il cavalletto, mettendolo però leggermente di lato, per guardare la propria immagine. Poi, con una matita bel temperata, cominciò a tracciare il proprio bel profilo. La fronte, gli zigomi e le guance magre, fino a concludere con il mento. Disegnò gli occhi con le palpebre leggermente abbassate e i capelli che ricadevano ai due lati del viso, fini e leggeri. Scese sul collo e l’incavo della spalla destra ma qui si fermò. Prese i pennelli e li intinse prima nell’acqua per ammorbidire le setole e poi nel colore...dipinse gli occhi di bianco ghiaccio e nero e i capelli di un gentile oro pallido. Scelse un color carne appena accennato, diluendolo con il bianco ghiaccio, ma quando l’ebbe passato come primo strato, sulla spalla, lo sfumò. Poi aggiunse ombre sempre più dettagliate sotto le lunghe ciglia nere e il viso, nelle orecchie e sulle labbra tinte di un leggero rosso carminio. Sì, era perfettamente simile all’originale. Aveva talento. Un ottimo talento, a dire il vero. Infine, prese il nero e vi dipinse tutto ciò che restava della tela. Ora il suo bel viso veniva incorniciato dal nero della notte e solo la spalla ne veniva risparmiata. Quando posò il pennello sulla tavolozza, vide che albeggiava. Aveva dipinto per ore, senza sentire la stanchezza delle membra né dello spirito. Lui era un uomo. Era tenace e forte. Non era come tutti gli altri esseri umani con cui era costretto a dividere l’aria che respirava, che vivevano, sognavano, facevano l’amore sotto il suo stesso cielo, come fantocci senz’anima mossi da un burattinaio senza sentimenti. Tutto ciò lo nauseava. Lo divertivano quei piccoli esserini che si affannavano come formiche in un formicaio, ma lo disgustavano. Mentre lui, nella perfezione del nero della notte, era l’unico essere umano che riconoscesse come tale.



Hellionor
 
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VOTO: (1 voto, 1 commento)
 
COMMENTI:
Trovato 1 commento
martioggia - Voto: 09/03/09 19:58
Bella, e poi hai ragione, gli uomini in camicia sn molto attrenti... Makio mi incuriosice molto...
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