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Categoria: Manga e Anime
Dalla Serie: Holly e Benji (Captain Tsubasa)
Titolo Fanfic: PRIMA O POI DEVE SUCCEDE
Genere: Sentimentale
Rating: Per Tutte le età
Autore: agonizzante galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 19/03/2002 22:03:11 (ultimo inserimento: 12/05/02)

dunque…esattamente non so, dipende dalla musa ispiratrice…abbiate pietà è la prima volta che intreccio le vite di capitan tsubasa...perdonata? ^_-
 
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PROLOGO
- Capitolo 1° -

PRIMA O POI DEVE SUCCEDE

PROLOGO



Gli sguardi dei due fratelli s’incontrarono, e per un momento erano ancora sul campo da calcio, a giocare nella nazionale, ad unirsi in un’esibizione che avrebbe portato in vantaggio la squadra.
Ma fu solo per qualche secondo, infatti, James distolse lo sguardo…
Non sopportava vedere suo fratello in quelle condizioni,: sdraiato su un letto d’ospedale, con tubi che entravano nel naso e nella bocca, non aveva più capelli…ed era dimagrito.
Un mugolio, Jason lo stava chiamando, il numero 10 strinse i pugni…non poteva nemmeno parlare per colpa di quei tubi!
Si giro a forza, e mostrando un falso sorriso, cercando di trattenere le lacrime, era sempre suo fratello, il numero 9…una leggenda.
Non mentirmi James, non sforzarti nel sorridere, e nel raccontare della squadra. Ti prego piangi, non nasconderti dietro all’ironia, ti scongiuro sfogati, urla, odiami, ma non farmi sentire uno stupido, una palla al piede…Voglio che tutto ciò che provi esca dal tuo cuore, non sono uno sciocco lo so cosa provi, ti prego non farmi sentire solo! Anche se mi sei accanto, indossi una maschera, e io non voglio essere causa della tua malinconia, della tua rovina.
Una donna sui quarant’anni entrò nella stanza, indossava una semplice camicia a quadri e un paio di jeans, i lunghi capelli neri erano legati una coda di cavallo. Gli occhi infossati sottolineati da borse enormi, come se da tempo non dormisse. Si avvicinò al ragazzo seduto su una sedia, e lo baciò sulla fronte, “Non credi che sia ora di tornare a casa?” come sempre lo voleva mandare via; “Sì mamma” bisbigliò, dando l’ultima occhiata al fratello.

L’aria fredda lo colpì al viso, indossò una sciarpa color blu oceano, almeno si sarebbe coperto metà volto. Non aveva nessuna voglia di tornare a casa, la trovava terribilmente noiosa senza l’allegria di Jason.
A testa china si avviò senza una metà precisa; i piedi affondavano nella neve e i ricordi di un tempo si facevano l’argo nella sua mente.
Rise, anche se gemelli erano davvero diversi…già Jason aveva sempre bisogno lui, di qualcuno che gli desse fiducia; e all’improvviso si trovarono in una squadra, gli unici che potevano portarla alla vittoria…
…era una forza vederli giocare, le loro strabilianti acrobazie che bloccavano l’avversario li portarono alla nazionale.
Si diede dello stupido, era inutile ricordare tempi passati, i fratelli Derrick non avrebbero più potuto emozionare i tifosi con la loro magia.

La testa affondata nel cuscino, mentre le mani si stringevano nelle coperte. Cos’era quella sensazione? Che Jason stesse male?
Si guardò attorno, poco distante c’era il letto di suo fratello, proprio vicino alla finestra. Si sdraiò su di esso e guardò le stelle che Jason amava…molto più del calcio.
Alzò lo sguardo sul soffitto, dove vi era attaccato il poster di un musicista, sospirò, ma perché suo fratello era così diverso? L’unica cosa che li univa era il calcio, ma ora…già ora cosa rimaneva di cui parlare?
Un rumore metallico svegliò la donna, che spaventata guardò il suo bambino, “Jason, Jason!” urlò cercando di scuoterlo, ma inutilmente.
Un medico la costrinse a uscire, mentre lui e altre persone si sarebbero occupate di Jason… "Si fidi, andrà tutto bene” le sussurrò un’infermiera.

***

La grande villa era silenziosa, tutti dormivano tranne Julian, stava seduto sulla scrivania, osservava una fotografia che ritraeva Amy, l’aveva scattata dopo la prima partita contro la Nankatsu, si ricordava ancora ogni particolare.
Amy, stava aspettando l’autobus, si sentiva in colpa, la mano che copriva ancora la guancia dove c’era ancora il segno della sua.
Suo padre si era accostato, “Vuoi un passaggio?”, Amy lo guardò, poi guardò verso di lui, “No, grazie”.
Allora, era rimasto stupito, cos’era quel sentimento che aveva letto nei suoi occhi? Rabbia? Delusione? Tristezza? Cosa? Avrebbe voluto scendere e parlare ma suo padre aveva già incominciato ad avviarsi, prese allora la macchina fotografica e le scatto una foto, per capire.
Sorrise, che stupido che era stato! Non era nemmeno riuscito a chiederle delle spiegazioni, ed ora era troppo tardi. Dopo otto anni aveva rivisto lo stesso sguardo, e sentiva che questa volta l’aveva persa.
“Amy, posso accompagnarti a casa?” “No”, fu la risposta gelida della ragazza, “Ah! Ci vediamo stasera agli allenamenti!” Amy si era fermata, e lo aveva guardato negli occhi “Lasciami in pace! Io non servo agli allenamenti” poi si era messa a correre.

Nello stesso momento una ragazza disegnava su un foglio il viso di un giocatore, dai lineamenti dolci e dagli occhi freddi.
Aveva esagerato a paragli in quel modo, ma ultimamente non lo sopportava, la sua presenza la irritava e quel suo sguardo…oddio quello sguardo lo usava solo per guardare il pallone e il campo da calcio. Eppure lo amava, lo aveva sempre amato…o era solo bisogno d’affetto, solo e nient’altro un sostituto di Holly?
Mordicchiò la matita, c’erto che era una situazione assurda! Lei, la dolcissima Amy in preda ad una crisi di nervosismo. Rise, chissà forse era pazza!
Prese in mano una lettera arrivatale quella mattina, forse poteva accettare…partire per un anno, andare in Italia, il suo sogno; certo doveva lasciare la sua famiglia, la squadra di pallavolo, la musica, e…scaraventò la busta contro il muro doveva smetterla di pensare a lui, riusciva solo a farla impazzire!

***

Gli occhi scuri di Ed, scrutavano nel buio, la ferita che si era appena procurato.
Ora stava maglio!
Sospirò, ci aveva provato, ma inutilmente…per lui era come l’acqua per un assettato.
Sgusciò dal bagno per ritrovarsi nella sua stanza, a tastoni raggiunse il letto posto vicino al bagno, si sdraiò su di esso, si sentiva bene, finalmente in pace con se stesso…ma qualcosa che scendeva dai suoi meravigliosi occhi rovinava quell’atmosfera di beatitudine.
Sfiorò con l’indice della mano destra una guancia…lacrime, erano lacrime…
Peccato che il sonno lo soprafava, avrebbe voluto vedersi mentre piangeva.

***

Ma perché suo padre non capiva? Perché lo obbligava ad essere un portiere?
Lui, che aveva sempre desiderato correre, non ce la faceva più a stare tra due pali, e l’unica che lo capiva era Sonja, sua sorella.
Una ragazza come lei non esisteva...dolce e forte...l’aveva invogliato lei a correre di notte, mentre tutti dormivano, così, nessuno avrebbe mai sospettato di nulla.
Ed ora era lì, su quelle strade buie illuminate a tratti da lampioni, era lì e sentiva il terreno scivolare sotto i suoi piedi e il vento colpirgli il viso. Un turbine di sentimenti lo invase, sì, era quello che voleva provare, cose che non avrebbe mai sentito stando fermo in una porta da calcio…
Sorrise, Sonja lo sapeva, e lo incitava, lo obbligava ad ribellarsi al padre, ma ora…non poteva, avrebbe trovato il momento giusto…mancava poco, se lo sentiva…presto avrebbe affrontato la partita più impegnativa della sua vita!



(continua)

 
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