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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Manga e Anime
Dalla Serie: Il Principe del Tennis (Tennis no Oujisama)
Titolo Fanfic: ...AND WHISKERS ON KITTENS
Genere: Sentimentale
Rating: Per Tutte le età
Autore: farnesev galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 28/02/2006 18:36:15

eiji kikumaru coltivava con noncuranza un numero rilevante di strane abitudini
 
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A FEW OF MY FAVORITE THINGS
- Capitolo 1° -

Eiji Kikumaru coltivava con noncuranza un numero rilevante di strane abitudini che, guardate da vicino, potevano delineare la diagnosi senza sbavature di un qualche strano disturbo mentale, ma che, in realtà, non significavano nulla.
Sua madre ci pensava spesso, senza preoccupazione. Dopo aver allevato quattro figli, cominciava a credere, per una comprovata e giustificata attenuazione del senso materno, che il quinto potesse crescere da solo come una piantina da annaffiare di tanto in tanto; era come se la signora Kikumaru vedesse tutti i suoi precedenti sforzi realizzati per crescere i figli maggiori riversarsi sull’ultimo nato senza che, in effetti, Eiji godesse di alcun trattamento di favore; la sua era una mamma stanca, forse per questo non gli aveva rinfacciato mai quelle piccole, strane abitudini che lo avevano portato ad essere l’animaletto gradevolmente selvatico che era diventato crescendo.
Sua madre ci pensava spesso, ma scuoteva la testa e si raccontava che quelle piccole, strane abitudini, erano soltanto il risultato di quel loro quieto vivere in una famiglia allargata e non necessariamente moderata o discreta; ci pensava da quando, ancora piccolo, i ritmi biologici di Eiji funzionavano al contrario e, invece di cercare il silenzio e una luce sul comodino come tutti i bambini della sua età, lui non si addormentava se non sentiva voci nel corridoio, se non era certo che ogni cosa fosse al suo posto. Nonostante in quella casa ci fosse qualcuno sveglio a ogni ora del giorno e il desiderio infantile di Eiji potesse essere facilmente soddisfatto, c’erano notti in cui uno o un altro dei cinque figli rientrava più tardi del solito o non rientrava affatto ed era in quelle notti che Eiji restava sveglio, fermo immobile nel suo lettino, fingendo di dormire, ma aspettando che tutto, nella sua grande casa caotica, tornasse al proprio posto, con il solo risultato di rendere la vita impossibile a chi cercava di svegliarlo la mattina successiva. Avevano quindi ovviato alle strane abitudini del loro ultimogenito acquistando un orologio incredibilmente rumoroso e piazzandolo sul comodino, come si fa con i gattini appena nati; piano piano l’Eiji bambino si abituò ad addormentarsi cullato dal battito cardiaco dell’orologio, ma allo stesso tempo cominciò a svegliarsi nel cuore della notte e girare per la casa senza che nessuno se ne accorgesse.
Lui, con quei piedini scalzi da bambino di sette anni, si stringeva l’orlo della camicia del pigiama facendosi coraggio, un passo dopo l’altro, piccolo piccolo. Sul pavimento di legno nudo si aggirava come uno straniero, come se quella casa non l’avesse mai vista prima, ascoltando i muri con le mani e i rumori con le orecchie; sua sorella che guardava la televisione, suo padre che russava, regolare, mamma che lo ascoltava respirare, qualcuno che suonava la chitarra… piano, poi, quando decideva di aver sentito abbastanza, tornava in camera sua a scaldare i piedi freddi sotto al piumone; nessuno se ne accorgeva.

Eiji Kikumaru, fin da quando era solo un bambino, si era abituato ad un disordinato modo di vivere, riponeva una fiducia inconsapevole nella confusione di una casa troppo piccola per una famiglia così grande, e quel microcosmo caotico era la culla degli anni in cui cominciava ad apprendere usanze e inclinazioni che avrebbero formato il suo carattere negli anni futuri, disordinato e imprevedibile come il modo di vivere che la sua famiglia gli aveva involontariamente insegnato.
Fin da quando era solo un bambino si arrampicava sulle sedie e vi si aggrappava come un animaletto inesperto, correva più forte di quanto gli fosse consentito, collezionava i lividi delle sue rovinose cadute e i graffi dei gatti indispettiti da quella presenza in qualche modo minacciosa; sua madre disinfettava le sbucciature sulle ginocchia scotendo la testa e pensando che non aveva più l’età per correre dietro ai bambini, che non aveva più l’età per correre dietro a quel piccolo terremoto.
E di notte, ogni notte, Eiji si svegliava ad orari improponibili per un bambino, misurava casa sua come un guardiano notturno e si assicurava che tutto fosse al proprio posto; il russare di suo padre, i film notturni di suo fratello, sua sorella al telefono, a volte una chitarra che suonava… piano.

Eiji Kikumaru, crescendo, aveva sviluppato un’affezione quasi unica alla confusione con la quale aveva sempre convissuto; era fermamente convinto che il silenzio fosse uno spreco e che condividere il proprio entusiasmo, il proprio calore, fosse il primo dei suoi doveri. Aveva smesso di dormire con la rumorosa sveglia accanto all’orecchio quando il suo cuore aveva smesso di battere; nessuno si era preoccupato di cambiare le pile ed Eiji non aveva più reclamato la presenza di quelle pulsazioni artificiali, così la sveglia che aveva fatto compagnia a tutte le notti della sua infanzia era rimasta inesorabilmente ferma sulle sette e zero nove di un giorno imprecisato. Crescendo, Eiji non aveva smesso di issarsi sulle sedie come un arrampicatore inesperto o di farsi graffiare dai gatti che, nonostante il passare degli anni, non si erano abituati a quella presenza selvatica che aveva un odore così erroneamente umano, e non aveva neanche smesso di svegliarsi in assurde ore notturne, aggirandosi per la casa sospettoso come uno dei gatti di quartiere che tanto lo detestavano, assicurarsi che sua sorella avesse dimenticato la luce accesa nel bagno, ascoltare suo padre che russava più forte di quanto facesse qualche anno prima, spegnere la televisione in cucina e appoggiare una coperta sul malcapitato di turno che vi si era addormentato davanti.
Nonostante non gli fosse mai mancato l’affetto della madre, Eiji Kikumaru era cresciuto allo sbaraglio, ultimo di cinque fratelli che, a causa di non si sa quale strano ragionamento, si sarebbe allevato da solo, graffiando i gatti del quartiere e cadendo dalle sedie sulle quali si arrampicava con tanta fatica, addormentandosi solo se sentiva le voci di qualcuno ancora sveglio in corridoio e svegliandosi con un imprecisato senso di irrequietezza che lo spingeva a controllare che tutto, nella sua caotica e confusionaria esistenza, fosse al proprio posto.
Quel posto, ogni notte, era diverso, ma era comunque dove doveva stare…

Eiji Kikumaru, crescendo, aveva sviluppato certe strane manie che ormai non preoccupavano più nessuno, ma incuriosivano molti.
Gli piaceva leggere i titoli del giornale di suo padre al contrario, ogni mattina mentre faceva colazione e si preparava alla scuola; non sapeva resistere alla tentazione di saltare sopra ogni muretto e camminare in equilibrio precario, amava cucinare da solo, quando tutti in casa facevano finta di andare a dormire e si rintanavano nel loro angolino privato all’interno di quel microcosmo incasinato; lui restava in cucina, imbastendo il pranzo da portare a scuola il giorno dopo e si assicurava che la luce del bagno fosse stata dimenticata accesa da sua madre, che suo fratello suonasse la chitarra abbastanza piano da non svegliare gli altri, che sua sorella piangesse su un qualche film notturno e non andava a dormire fin che non cominciava a sentire il russare di suo padre, più sordo e vecchio di com’era qualche anno prima, ma regolare.

 
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