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Categoria: Manga e Anime
Dalla Serie: La Stirpe delle Tenebre (Yami no Matsuei)
Titolo Fanfic: QUALCUNO DI CUI FIDARSI
Genere: Sentimentale
Rating: Per Tutte le età
Autore: niniel-anglachel galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 02/01/2006 01:59:10

il titolo fa davvero schifo e centra un gran poco ma non sono mai stati il mio forte!!!
 
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CAP UNICO
- Capitolo 1° -

La mia prima ff su Yami, la cui autrice spero si metta d'accordo con la casa editrice e pubblichi il 12° volume. Scusate i miei “orrori” ortografici, ma l’ho postata senza rileggerla dopo le ultime correzioni(altrimenti l’avrei riscritta per l’ennesima volta o cestinata).
Il titolo fa davvero schifo e centra un gran poco ma non sono mai stati il mio forte!!! ?
Spero vi piaccia...ciao!!

QUALCUNO DI CUI FIDARSI


Nel mondo dei morti chiamato Meifu, esiste un’organizzazione, il Juohcho, con il compito di giudicare i peccati compiuti dai defunti durante la vita. Questo è suddiviso in dieci uffici giudiziari, tra i quali il primo è l’Enma-cho governato dal Dio supremo dell’inferno, il Re Enma; l'ufficio speciale posto sotto il suo diretto controllo è la sezione convocazioni, meglio conosciuta come sezione della morte. Questa si occupa in particolar modo dei nodi più importanti dei processi ed il compito dei suoi dipendenti , gli Shinigami, consiste nell’indagare su avvenimenti sospetti e scortare le anime nel Meifu, detto più chiaramente devono dare la morte a chi continua a vivere anche quando l’anima gli ha abbandonati.

Sono degli assassini che continuano a vivere grazie alla morte di qualcun altro.

L’estate, quell’anno, aveva deciso di farsi sentire subito in tutta la sua forza: era da parecchi giorni che nell’intero Meifu si registravano temperature superiori ai 40°, una cosa strana visto che giugno era iniziato solo da pochi giorni. Non tutti però erano felici dell’arrivo della bella stagione: Hisoka ,causa del caldo che mal sopportava si sentiva estremamente fiacco e stanco, cosa che non contribuiva affatto a migliorare il suo proverbiale cattivo umore, anzi in quell’ultima settimana il bouya ( =ragazzino. È il termine giapponese con cui Tsuzuki gli si rivolge all’inizio della serie. N.d.A.) era stato più intrattabile del solito a detta di tutti i colleghi che non sapevano che era ben altra la causa.
Il salotto della casa di Kurosaki, arredato con pochi e sobri mobili, era immerso nella calda ed impalpabile luce del tramonto estivo e le tende venivano mosse dal ventilatore a pale posto su di un tavolo poco distante. Il giovane Shinigami entrò nella stanza sfregandosi i capelli bagnati con un asciugamano e, dopo aver spalancato la finestra, si sedette sul davanzale restando incantato ad osservare i numerosi ciliegi che erano fioriti nell’enorme parco di fronte a casa sua. Adorava quegli alberi, gli piacevano perché capaci di trasmettergli un senso di pace e serenità; spesso ,quando era ancora in vita, e non riusciva più a sopportare l’odio ed il rancore che percepiva nei suoi genitori si rifugiava sotto i rami di quelle meravigliose piante, la cui chioma tanto gli ricordavano le soffici nuvole. Si sdraiava con la schiena sull’erba osservando il cielo azzurro ed i fiori rosa che creavano un’incantevole contrasto di colori ed immaginava d’essere di un altro mondo dove nessuno lo trattavo come un mostro, dove non era costretto a nascondersi. Un posto dove finalmente sarebbe stato libero e realmente vivo… Ma forse qualcuno aveva deciso che era giunta l’ora di chiedergli qualcosa in cambio di quelle ore di felicità. Così proprio sotto i ‘suoi’ ciliegi un angelo dagli occhi d’argento riscosse il suo tributo, rubandogli l’innocenza e la vita in una notte in cui la luna rossa illuminava la terra...
Ultimamente anche se quell’assassino non era nelle vicinanze gli effetti della sua maledizione si stavano facendo sentire sempre più intensamente, a volte desiderava morire di nuovo: le ossa sembravano rompersi, i polmoni andargli in fiamme e il cuore fermarsi. Desiderava che tutto questo finisse, in un modo o nell’altro, non gli importava come. Non voleva più soffrire. La cosa più brutta non era il dolore, a quello ormai si era abituato, ma il continuo rivivere quell'incubo.
Le immagini di quella violenza gli riapparvero davanti agli occhi e ,come quella notte, un dolore lancinante si spanse in tutto il corpo facendogli mancare il respiro.
“Dannazione!!” gemette con le lacrime agli occhi battendo violentemente il pugno sul muro. “Perché...perché non mi lasci…” la frase restò in sospeso perché il fragile corpo del ragazzo non resistette oltre a quel supplizio e s’accasciò privo di sensi sul pavimento.

Camminava nel parco a piedi scalzi stringendosi nel kimono candido per non sentire l’aria pungente della notte e vide qualcosa che lo incuriosì ai piedi di un grande ciliegio, sembrava un angelo… gli si avvicinò non tanto perché curioso di sapere cosa fosse realmente, ma perché attratto da una forza misteriosa. Restò pietrificato quando vide ai piedi dell’uomo, vestito interamente di bianco, con i capelli e gli occhi argentati, il corpo privo di vita di una donna. La figura immacolata gli si avvicinò ed improvvisamente si fece tutto nero, quando riprese i sensi si ritrovò disteso a terra, con lo yukata abbassato sui fianchi. Stupito e terrorizzato iniziò a gridare in cerca d’aiuto, ma era come se il vento inghiottisse tutte le parole non appena queste gli uscivano dalla sua bocca.
“Sei la mia bambola.” Gli sussurrò all’orecchio mentre lo accarezzava con forza; poteva sentire le emozioni di quell'uomo attraversargli la pelle e colpirlo come uno schiaffo, un miscuglio scuro di rabbia, che diventava più intenso con il passare dei secondi, e lo stordiva impedendogli ogni movimento.
“Ti prego…basta…non voglio…ti prego!” singhiozzò quando sentì le labbra dell’uomo prenderlo in bocca ed iniziare a succhiare incurante dei gemiti del ragazzino.
“Ti piace, vero?!” chiese violandolo con le dita.
Un urlo di dolore gli fu più che sufficiente come risposta...
...“Fammi vedere l’ultimo grandioso riflesso di un anima che muore…” gli disse mentre terminava di scrivere le ultime parole di un’oscura maledizione sulla sua pelle diafana, poi si sollevò leggermente quanto bastava per slacciare la cintura dei pantaloni e si soffermò ad osservarlo per un secondo da un’angolazione differente. Il piccolo ne approfittò e tentò di fuggire, ma venne subito atterrato dal medico che scese nuovamente su di lui. Con una mano gli aprì le gambe mentre con l’altra gli immobilizzò i polsi per impedirgli di muoversi, poi fu un attimo, con un colpo deciso lo penetrò incurante del suo dolore."Come sei stretto..e caldo.."ansimò
Il ragazzino serrò gli occhi non volendo vedere l’espressione dell’uomo, che con il viso imperlato di sudore ed il fiato corto, incominciò a spingersi con energia in lui …la sensazione di quel corpo nel suo lo faceva stare male, era una cosa rivoltante. Le spinte si fecero più veloci, forti, Muraki si aggrappò alle sue spalle per penetrarlo più a fondo e dopo quella che parve un eternità venne in quel corpo tremante e fragile, marchiandolo come sua proprietà…


Dlin Dlon (Sarebbe il rumore di un campanello N.d.A.)
<…>
Dlin dlon dlin dlon
<… cos’è questo rumore…> pensò, ancora sospeso tra la realtà e quel posto nero in cui era caduto.
“Hisoka sei in casa?”
<…mi stanno chiamando…>
“Hisoka, vieni ad aprirmi!!”
<Tsuzuki…> la voce allegra del partner lo costrinse a riprendersi. Non pensando a ciò che gli era successo, oramai s’era abituato, si alzò barcollando, ed andò ad aprirgli.
“Ciao.” Disse freddamente abbozzando una sottospecie di sorriso e lottando contro il desiderio di vomitare che il sogno gli aveva fatto nascere.
“Visto che fa caldo, ho pensato di portarti un regalino...mi fai entrare?” spiegò sorridente mostrandogli una vaschetta enorme di gelato.
“…” il padrone di casa indugiò un secondo, a dir la verità avrebbe preferito stare da solo, tuttavia la sua compagnia di non gli dispiaceva. Una fitta di dolore l’attraversò e dovette appoggiarsi allo stipite della porta per non cadere, il gesto non passò inosservato e finalmente Tsuzuki notò che l’amico era estremamente pallido e, anche se cercava di non darlo a vedere, si capiva benissimo che non si reggeva in piedi.
“Non ti senti bene?” domandò preoccupato
“Niente...è il caldo…” e rientrò facendogli cenno di seguirlo nella piccola cucina con un tavolo rotondo proprio nel centro al quale, dopo aver tirato fuori da un armadietto bicchieri e cucchiai, si accomodarono.
“Sicuro di stare bene?”
“Si.”
Tra i due calò il silenzio interrotto solamente dal monotono ticchettio dell’orologio e dal ronzio del ventilatore. Tsuzuki osservava il giovane di fronte a lui con attenzione tentando di capire cos’avesse, mentre l’altro non azzardandosi ad affrontare il suo sguardo giocava distrattamente con il gelato che aveva iniziato a sciogliersi.
“Non ti piace?”
“Non ho molta fame!”
“Se hai qualche problema…”
“No. Sto benissimo.” Disse brusco, lanciandogli un’occhiata gelida e tagliente.
Fingendo di non averla notata il moro continuò a mangiare; certe volte era davvero impossibile relazionarsi con lui, pensò, non si rendeva conto che quel suo atteggiamento scontroso e freddo feriva le persone che gli stavano attorno? Che lo feriva? Probabilmente no. Sapeva che aveva sofferto molto a causa della sua empatia e di quel pazzo, ma desiderava fargli capire che ora non era più solo. C’era lui al suo fianco, anche se poteva sembrare un’irresponsabile incapace di badare persino a se stesso non era così,e voleva dargliene una prova. Notò che il padrone di casa ,senza che lui se ne fosse accorto, si era alzato e stava parlando al telefono. Lo fissò attentamente: sembrava esausto, anzi esausto era riduttivo, distrutto era il termine più adeguato. Indossava un leggero paio di pantaloni beige ed una camicia bianca inumidita dalle piccole goggie che gli bagnavano ancora i capelli, gli occhi verdi solitamente brillanti erano ‘spenti’ e segnati da occhiaie piuttosto profonde che risaltavano sul volto cereo.
Terminata la comunicazione Hisoka aprì il frigo e tolse una bottiglietta di vetro scuro.
“Vuoi una birra?”
“Si grazie…Ma cosa ci fai con della birra in casa alla tua età? Sei troppo giovane per bere!!!!” lo rimproverò.
Trattenendo un gesto di stizza posò malamente la bottiglia sul tavolo. “La tengo perché ho un collega alcolizzato.” Rispose.
“Hisokaaaa, non dire cosiiiii!!” disse un Tsuzuki in versione cagnolino dagli occhi languidi.
“Cretino, tra noi quello che ha bisogno del baby-sitter sei solo tu!” la durezza delle parole annullata da un sorriso sincero che nonostante tutto gli nacque spontaneo; la vicinanza di quell’uomo tanto infantile come al solito lo aveva distratto e ridato il buonumore, facendogli scordare il dolore.
“Sei dimagrito, sai? Mangi?”
“Fa caldo…” tentò di giustificarsi. Ed era vero, aveva perso alcuni chili che, sul suo fisico già scarno si notavano subito; quella settimana praticamente non aveva toccato cibo, il continuo ricordo della sua morte lo perseguitava ed il solo pensiero di mangiare lo nauseava.
“Dovresti sforzarti, alla tua età hai bisogno d’energia!!!!”
“Ok.” Rispose poco convinto, tanto per zittirlo; odiava sentirsi fare la paternale, lo faceva sentire un incapace...
“La nutrizione è importan…”
“Non sono un bambino!” sbottò interrompendolo, visibilmente arrabbiato per un motivo che l’altro di certo non poteva capire. Sapeva che Tsuzuki lo faceva per il suo bene, ma voleva essere considerato un suo pari e non qualcuno di cui prendersi cura perché obbligati…forse però per quanto si sforzasse non sarebbe mai riuscito a raggiungerlo e per lui sarebbe stato sempre e solo un peso morto.
“Lo so…però se non mangi come farai a crescere?” insistette l’altro dolcemente senza realmente rendersi conto della stupidata che aveva detto.
“Crescere.” ripeté Hisoka in un tono a metà tra il divertito e l’amareggiato.
“Certo il cibo oltre ad essere buono fa crescere!”
”Crescere??? ” urlò infuriato alzandosi in piedi “Tsuzuki sono morto...”
“…”
“...resterò così per sempre...io.. non crescerò mai….” mentre gridava le lacrime avevano riempito i suoi occhi , ma non accennavano a scendere, era troppo orgoglioso.
“Scusa, non ci avevo pensato…”
“Già, non ci avevi pensato… è questo il tuo problema!! Non pensi mai a ciò che dici!!!” In più di tre anni che lavoravano assieme non si era mai sfogato in quel modo sul compagno, che logicamente non poteva sapere come quel tasto potesse farlo soffrire. E come poteva saperlo? non aveva mai avuto il coraggio di parlargliene...sapeva di non dover arrabbiarsi, ma era più forte di lui. Era stufo di tenersi tutto dentro, non ce la faceva più, voleva solo poter…non sapeva neppure lui cosa voleva, l’importante era smettere di essere trattato come un bambino e non far preoccupare Tsuzuki, quell’espressione seria non si addiceva al suo bel volto.
“Hisoka…” provò a dire, con gli occhi ametista che lo fissavano malinconici.
“Fatti gli affari tuoi!” urlò e, non sopportando quello sguardo, fece per andarsene, ma il moro fu più svelto e lo afferrò per un polso avvicinandolo a se.
“Vuoi dirmi che cazzo hai oggi??” chiese con la voce affilata come la lama di un coltello.
I suoi sentimenti invasero il giovane con tutta la loro potenza senza che lui potesse fare qualcosa per impedirlo e senza riuscire a comprenderne la natura, erano troppi e troppo intensi perché potesse farlo. “Lasciami, mi fai male!” lo pregò.
“Dimmi cos…” la frase gli morì in gola nel notare che sotto il tessuto della manica del compagno, la pelle chiara era solcata da linee scarlatte fin troppo conosciute. Mollò la presa e fissò il ragazzo che, di fronte a lui, aveva abbassato il capo, vergognandosi. Senza dire una parola lo strinse forte a se desideroso di proteggerlo dai suoi stessi ricordi, ed iniziò ad accarezzandogli dolcemente i capelli.
“Non ce la faccio più … È un mese che è sempre nella mia testa… lo vedo…”
“shhh, tranquillo...”
“…Aiutami…ti prego …” singhiozzò liberando finalmente le lacrime.
Lo Shinigami restò stupito. La situazione doveva essere veramente insopportabile per lui visto che solo un’altra volta aveva cercato rifugio tra le sue braccia (Nel 3° numero quando ha dovuto uccidere Tsubaki di cui ,secondo me, si era innamorato. N.d.A.) e mai gli aveva chiesto aiuto. Gli diede un bacio sulla fronte e gli prese il volto tra le mani costringendolo a guardarlo. Hisoka chiuse gli occhi non volendo vedere uno dei suoi falsi sorrisi che erano come una pugnalata al cuore; quando decise di affrontarlo, vide che non era affatto così: i lati della morbida bocca erano rivolti verso il basso ed i tratti tesi, alzò gli occhi e si trovò immerso in iridi d’ametista colme di tristezza e paura.
“Scusami…sono proprio un bouya…” balbettò scostandosi a malincuore da quel caldo corpo e voltandosi per asciugandosi velocemente il volto con le maniche della camicia.
“È vero” disse l’altro freddo.
Nell’udire quella che alle sue orecchie parve una condanna Kurosaki si morse il labbro intenzionato a non rincominciare a piangere. Restò stupito quando sentì nuovamente l’angelo della morte abbracciarlo alle spalle.
“ È vero… “ gli ripeté all’orecchio “…ma a me vai bene così.” Aggiunse con un sussurro prima di dirigersi verso il tavolo e scoppiare in ‘lacrime’.
“Hisokaaaa il gelato si è sciolto tuttooooo!!!”

Finalmente Tsuzuki aveva abbandonato la sua maschera d'allegria ed Hisoka aveva capito che non era solo…finalmente avevano trovato qualcuno di cui fidarsi.

Quella sera dopo aver cenato Tsuzuki ‘stranamente’ chiese al collega di ospitarlo per la notte e l'altro accettò volentieri ignrano che, poco più tardi, se lo sarebbe trovato davanti alla porta della camera abbracciato al cuscino e con indosso solo un paio di pantaloni supplicandolo come un bambino di tre anni, di farlo dormire con lui.
“Ho detto NO! Assolutamente no!! Non insistere ” ripeté per l’ennesima volta Hisoka. <Come gli è potuta saltare in mente una richiesta del genere!!! Non è neppure ubriaco!>
“Dai…”
“Tu sei completamente scemo.”
“Per favore…non mi piace stare da solo!!”
“No!!!” <Di solito con chi dormi?> pensò con una punta di gelosia.
“Perché non vuoi?” chiese ingenuamente.
“Perché di no!” Innanzitutto si vergognava, ma soprattutto perché, dormiva con solo i boxer e Tsuzuki avrebbe sicuramente notato che i segni della maledizione gli ricopriva l’intero corpo e non, come gli aveva fatto credere, le sole braccia e non voleva farsi vedere così. Si sentiva vulnerabile.
“Ti prego, ho paura…” disse sfoderando la tattica cagnolino che sapeva vincente.
“…alla tua età non ti sembra una cosa insensata?”
“Si, però…” piagnucolò
“…ok, ok… ho troppo sonno per discutere …” disse capitolando.
“Grazie!!!” urlò saltandogli quasi addosso.
“Però…tu non dire niente…”
Il ‘cagnolino’ da principio lo guardò con aria interrogativa, non capendo cosa intendesse con quella frase finché il ragazzo, per fargli spazio nel letto, scostò il leggero lenzuolo, col quale sino ad un secondo prima si era tenuto nascosto.
<Io lo uccido!> fu il primo pensiero furioso dell’uomo che non riuscì a mascherare la sorpresa. <Come può avergli fatto una cosa del genere?> si chiese percorrendo i simboli con gli occhi sgranati.
“Ti faccio schifo, vero?” bisbigliò Hisoka triste, portandosi le ginocchia al petto e pentendosi di avergli permesso di vederlo.
Fargli schifo? Come poteva anche solo pensare una cosa del genere? “No…è solo che…”
“Sono proprio una bambola, ha ragione lui, ho anche il marchio di fabbrica…” rise amaro.
“Non dire cretinate e spostati.” Disse infilandosi nel letto.
Sapeva quanto era stato duro per il ragazzo dargli fiducia ed il fatto che gli permettesse di stargli così vicino lo rendeva felice. Voleva fargli capire che per lui non era una bambola, voleva trasmettergli quello stesso calore che gli dava lui .
Sentendo le braccia dell’amico serrarglisi attorno alla vita Hisoka si irrigidì arrossendo da capo a piedi. Poi il battito del suo cuore si fece via via più forte e veloce e, temendo che Tsuzuki potesse sentilo tentò di divincolarsi “...ma…che fai?…” gli domandò, come se non fosse evidente.
“Ti abbraccio. ” Rispose chiudendo la mano attorno alla sua ghiacciata e facendo aderire ancor più il petto alla schiena del ragazzo che, esitante intrecciò le dita con le sue lasciando i palmi a contatto.
Nonostante il caldo Hisoka non aveva nessuna intenzione di abbandonare quella sensazione di sicurezza e pace che il corpo di quell’essere piagnucoloso gli faceva provare.Sorrise e chiuse gli occhi. Era quello il luogo che immaginava da bambino. Fu l’unica cosa cui riuscì a pensare prima che la mente si svuotasse completamente da ogni preoccupazione; lentamente scivolò in un sonno profondo per la prima volta dopo tanto tempo, senza la presenza dei fiori di ciliegio, della luna rossa e di Muraki.
Tsuzuki stette sveglio finché anche l’ultima traccia sulla pelle del ragazzo non svanì, poi sfiorandogli le labbra con un bacio sussurrò “Dormi bene, mio piccolo angelo, stanotte ci sono io a proteggerti dai tuoi sogni." Poi fissandolo triste domandò, più rivolto a se stesso:"...Chissà se avrò mai il coraggio di chiedertelo quando puoi rispondermi…Hai ancora paura di me Hisoka?" gli scostò una ciocca di capelli dal volto, poi appoggiò la testa alla sua spalla e, cullato dal battito regolare dei loro cuori si addormentò a sua volta.
“…No…” biascicò l’altro nel sonno come in risposta,girandosi verso di lui ed abbracciandolo a sua volta.


Fine...
( o credo, perchè avevo in mente di proseguirla...)

Fatemi sapere se vi è piaciuta,anche se mi rendo conto che non è un gran che...Per i miei gusti non è abbastanza chiara...Grazie per l'attenzione e a presto!Spero.



 
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