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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Manga e Anime
Dalla Serie: Beyblade (Bakuten Shoot Beyblade)
Titolo Fanfic: VOLAMI NELL`ANIMA
Genere: Sentimentale, Introspettivo
Rating: Per Tutte le età
Avviso: One Shot, Shounen Ai
Autore: alex-chan87 galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 05/12/2005 17:06:38

una giornata di neve, e i ricordi legati ad essa...bxy
 
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- Capitolo 1° -

Guardavo la neve cadere assieme alla senpai. Mi era venuta l'ispirazione per una nuova fanfic, solo che mi mancava l'idea.
Senpai Max, grazie per avermi dato l'idea! Questa fanfic è tutta per te! Spero che ti piaccia!!^***^

nota: il primo POV (diciamo...) è quello di Boris, poi segue quello di Yuriy...
nota (2): il titolo l'ho preso da una canzone di Meneguzzi...perché continuavo a scrivere ascoltando per praticamente tutto il tempo questa canzone...

VOLAMI NELL'ANIMA

Sospirò per l'ennesima volta guardando il calendario. Uno, due, tre...Erano passati quattro anni, e le cose gli sembravano così diverse ora.
Osservò la scrivania in cerca di un pennarello, e quando lo trovò fece un segno sul calendario da tavolo.
Mancavano tre giorni, ed era indeciso sul daffarsi. Non si sentivano da un pò. Quanto era passato da quando avevano avuto quella discussione? Due mesi? Ora non ricordava più neppure il motivo, ma testardo come un mulo non lo avrebbe richiamato lui per primo.
Spostò lo sguardo sulla cornice del portafoto. Le avevano comprate uguali, per metterci dentro anche una foto uguale.
Guardò attentamente la foto che ormai conosceva a memoria. Era stata scattata circa nello stesso periodo di ormai quasi dieci anni fa...Ed entrambi erano così giovani.
Con un dito sfiorò la superficie vitrea.
Da quanto non lo vedeva e si accontentava solo di quella vecchia foto?
Eppure nonostante tutto, non riusciva a cancellare dalla propria mente il suo viso, nonostante tutta quella distanza che ora li separava. Era una cosa più potente di loro quella che li legava, ne era certo. Era qualcosa che non riusciva a neppure a spiegarsi a parole.
Quand'era bambino, aveva sentito solo vagamente parlare di questa terribile forza che lega due persone. A volte si diceva che ne avevano anche parlato per sbaglio in quel luogo maledetto. Sta di fatto che aveva cominciato a pensarci seriamente. Aveva cominciato a mettere in dubbio tutto quello che gli avevano inculcato a forza nell'anima. Davvero non esisteva nient'altro che l'odio a questo mondo? Davvero ogni uomo era un lupo per un altro?
Quanti aveva avuto quella volta? 14? 15?, quando per la prima volta si era accorto di quanto quegli occhi azzurri rapissero la sua anima e il suo cuore ogni volta che si posavano su di lui.
...quegli occhi azzurri che non lo avrebbero mai abbandonato.
- Huznestov, - il ragazzo alzò lo sguardo - per quel giorno libero che hai chiesto...Venerdì sei libero.
Sorrise: - Grazie mille, capo!
L'uomo lo guardò: - Ma come mai, ogni anno chiedi sempre lo stesso giorno libero?
Il ragazzo osservò nuovamente la foto...
- Perché è una promessa...

***
Fischiettava svogliatamente, mentre entrava in ufficio. Arrabbiato, infastidito, gettò la ventiquattr'ore per terra, sbuffando sonoramente.
Imprecò mentalmente un paio di volte notando la foto sulla propria scrivania. La tentazione di prenderla in mano e gettarla dalla finestra del venticinquesimo piano era fortissima.
Quel cafone! Mancavano tre giorni, ed erano due mesi che non si faceva sentire. Non che lui l'avesse mai chiamato. Era troppo orgoglioso per farlo.
Sospirò. A volte erano peggio dei due bambini immortalati in quella foto.
E tutta la sua rabbia svanì, come una bolla di sapone, non appena il suo sguardo si posò su quel viso sorridente incorniciato da quei capelli di quell'assurda tonalità lilla. E poi si soffermò sui suoi occhi verdi, di un verde così intenso.
Gli mancava da morire non poterlo vedere ogni qual volta lo desiderava, come quando erano adolescenti, quando senza troppe preoccupazioni passavano insieme giornate intere. Ora invece si vedevano solo una volta ogni tanto.
Eppure una volta, da bambini si erano promessi che non si sarebbero mai allontanati l'uno dall'altro...che sarebbero rimasti per sempre uno accanto all'altro!
Quella promessa, così ingenua, lo faceva sorridere ogni volta che ci ripensava. Erano piccoli, lui aveva appena compiuto sette anni, eppure ricordava ancora la convinzione con cui gliel'aveva detto. Ricordava ancora lo splendido sorriso dell'altro, quando aveva udito quelle parole.
Ed erano rimasti insieme fino a quattro anni prima.
Sospirò. Lo amava, eppure erano arrivati al punto di non potersi vedere, se non una volta ogni tanto.
Prese in mano il telefono, cominciando a comporre il numero di casa del ragazzo dagli occhi verdi.
Mise giù la cornetta dopo il primo squillo, ricordandosi delle due ore di fuso orario, e sicuramente l'altro dormiva ancora, visto che a Mosca erano le sei del mattino.
L'avrebbe richiamato più tardi, appena avesse avuto tempo.

***
Si lasciò cadere di peso sul divano accendendo la TV. Mancavano poco più di ventiquattro ore e non l'aveva ancora sentito. Non l'avrebbe chiamato. Si era promesso che non l'avrebbe fatto, che avrebbe resistito, che per una volta non avrebbe ceduto lui per primo.
Eppure era così snervante attendere.
E se anche Yuriy la pensava come lui?
Prese il telefono in mano digitando il numero che ormai conosceva a memoria. Uno, due, tre...Cinque squilli prima che partisse la segreteria telefonica.
<< Bonjour, vous etez chez Yuriy Ivanov. Je suis absente pour le moment, mais vous...>>
Era così strano sentirlo parlare francese, quasi fosse dimentico della loro madre lingua. Sorrise ripensando a tutte le volte in cui gli aveva risposto in quella lingua così melodiosa e dolce. E lui stava ad ascoltarlo fin quando non si accorgeva di parlare in francese, e diventava rosso, chiedendogli scusa, dicendogli che era la forza dell'abitudine. E lui gli sorrideva soltanto. Era così bello sentirlo parlare in quella che era considerata la lingua dell'amore.
"Devo andare in Francia per lavoro", gli aveva detto una sera di quattro anni prima, " per un tempo indeterminato...".
Ricordava ancora come si era sentito. Una morsa gli aveva stretto il cuore. Cosa gli stava dicendo? "Yuriy, cosa intendi dire? Come in Francia?".
"Mi hanno proposto di andare a lavorare alla sede di Parigi...Parto fra due settimane...".
"Perché non mi hai detto niente? Perché hai deciso tutto da solo??", gli aveva urlato. Si era sentito tradito. Era una cosa seria e yuriy non l'aveva reso partecipe, "Pensavo che almeno le cose importanti le avremo decise insieme!".
"Se te ne avessi parlato tutto sarebbe stato più difficile!".
"Ma perché? Perché proprio in Francia? Non ti andava bene rimanere qui??".
"Ma perché non capisci?? Questo per me è un balzo stratosferico al lavoro!", lo aveva guardato, " Non siamo più bambini, Boris. E' ora di crescere, e di guardare la realtà. Questo lo devo fare per me, per sentirmi realizzato". E poi il rosso aveva poggiato le labbra sulle sue.
E così se n'era andato per la Francia, per Parigi, la ville de l'amour. Mentre lui era rimasto nella sua fredda e amata Mosca.
Guardò fuori dalla finestra. Era novembre e stranamente non aveva ancora nevicato. La città non era ancora stata coperta da quei minuscoli pezzettini di felicità. Felicità, sì. Perché riusciva a regalare un sorriso a praticamente tutti, o almeno a tutti i bambini.
Sospirò. A venticinque anni, lui era ancora così.

***
Aveva deciso. Aveva preso un aereo fino a Praga, e poi da Praga avrebbe preso il treno. Era l'unica soluzione possibile che aveva trovato. Anche perché tutti gli aerei per Mosca erano pieni.
Si maledì per aver preso una decisione così tardi.
Sbuffò un paio di volte prima di salire in treno, però subito dopo sorrise. Forse gli avrebbe fatto una bella sorpresa.
Sorrise al pensiero della faccia stupida che avrebbe fatto il suo Boris, quando lo avrebbe visto arrivare al solito posto. Perché Boris ci sarebbe stato, vero?
Questo dubbio si insinuò nella sua mente. E se il ragazzo si fosse dimenticato? Se avesse dimenticato a promessa che si erano fatti prima che lui partisse?
- Mon Dieu... - sussurrò, prima di scuotere la testa. No, Boris non si era di certo dimenticato. Non poteva essersi dimenticato.
Scacciò dalla mente quei pensieri negativi. Sarebbe andato tutto bene. Appena sceso dal treno avrebbe trovato la sua città, la sua Mosca, innevata che lo accoglieva. Avrebbe percorso tutte quelle strade che conosceva come le proprie tasche prima di arrivare al Gorky Park; dove si sarebbe seduto allo stesso posto di molti anni prima, quando era appena quindicenne.
Quei pensieri gli erano così dolci. Gli scaldavano l'anima fin nel profondo.
Sospirò appoggiando la testa al finestrino del treno, osservando con la coda dell'occhio il paesaggio all'esterno.
Non se ne sarebbe mai voluto andare. Avrebbe voluto rimanere con Boris per sempre, vivere tutta la propria vita uno accanto all'altro. Ma la vita non è mai come uno la desidera. Ad un certo punto ti ritrovi a dover fare una scelta, che spesso si discosta da quello che era il tuo disegno originale. Ti ritrovi a dover fare scelte difficili, che sai finiranno per ferire qualcuno; che probabilmente qualcuno rimarrà deluso. Ti ritrovi a dover fare una scelta egoistica, per quello che è il tuo bene.
E lui si era trasferito per lavoro. Aveva lasciato la sua madre patria e l'uomo che amava, per realizzarsi nel lavoro. Perché come essere umano, da un punto di vista emotivo, si sentiva completo. Aveva l'amore di un uomo stupendo, che aveva accettato alla fin fine tutte le sue scelte, che lo aveva appoggiato in ogni istante della sua vita, da quando erano bambini, in quel monastero che entrambi detestavano. Aveva l'attenzione di quegli occhi verdi sempre su di se, e questo lo faceva sentire importante.
Quanto amava quegli occhi che lo guardavano sempre con dolcezza, dalla prima volta che si erano incontrati. Boris era sempre stato con lui, nella buona e nella cattiva sorte, sempre. Mille volte l'aveva difeso, mille volte l'aveva protetto, mille e più volte l'aveva reso felice, altre volte triste; ma non gli importava, perchè per lui Boris era l'essere più importante, era l'essere a cui aveva donato anima e corpo, per il quale valeva la pena di vivere.

***
Appena sveglio si affacciò alla finestra. Osservò la sua città. Si stupì per l'ennesima volta notando solo un cielo grigio che non lasciava dalle sue coltri nemmeno un piccolo fiocco di neve.
Era strano. Era già il 25 novembre e non aveva nevicato nemmeno una volta.
Il 25 novembre...
Si vestì velocemente uscendo subito da casa. Voleva arrivare il prima possibile al Gorky Park, per sedersi come accadeva ogni anno sulla solita panchina. Con la differenza che quest'anno con tutta probabilità sarebbe rimasto solo. Non lo aveva chiamato per avvertirlo se arrivava o no, e con tutta probabilità era ancora arrabbiato, anche se probabilmente anche lui aveva dimenticato il motivo per cui avevano litigato.
Oltrepassò il portone d'ingresso del grande parco. Senza pensarci imboccò la strada che lo avrebbe condotto alla propria meta, una panchina accanto alla pista di pattinaggio, ma anche contemporaneamente nascosta alla vista.
Si lasciò cadere pesantemente sulla superficie lignea. Osservava distrattamente le persone sulla pista ghiacciata, lasciando che la mente ritornasse nove anni indietro, a quella stessa mattina di nove anni fa.
Si erano seduti su quella panchina dopo aver patinato per diverso tempo. Era così strano per loro tutta quella vita così normale e naturale, dopo aver passato anni in quell'orfanotrofio, ma ora finalmente si sentivano liberi e potevano spiegare le loro ali. E per lui era uno spettacolo unico al mondo guardare Yuriy ridere così di gusto, anche per le più piccole sciocchezze.
E continuava a parlare e parlare il rosso, mentre lui lo ascoltava attentamente. Gesticolava, lo guardava, gli sorrideva, poi spostava lo sguardo ala pista di pattinaggio, esprimendo tutta la sua felicità di essere lì, con lui.
Boris lo guardò. Probabilmente il rosso intendeva solo come amico. Non avrebbe potuto essere che così. Per questo anche lui avrebbe dovuto soffocare i propri sentimenti, per non rovinare la loro amicizia. Per non perdere l'unica persona che amasse davvero.
E ricordava ancora anche il tono di voce con cui il ragazzo continuava a parlare. Così concitato, allegro. Era pieno di una qualche allegria che aveva poi contagiato anche lui.
Solo Yuriy riusciva ad avere questo effetto su di lui.
Gli aveva posato una mano sulla testa, intrecciando le dita con quei fili di fuoco.
"Sai sono veramente felice di essere qui con te oggi", lo aveva guardato con quegli occhi azzurri, " E' forse uno dei giorni più belli che abbia mai passato! Le cose che più amo sono qui!! Come potrei non essere contento, no?", e gli sorrideva, con quello che sembrava un pò di imbarazzo.
"Le cose che più ami?", lo aveva guardato.
E il rosso aveva abbassato lo sguardo, "C'è la neve...e poi...ci sei tu...", e un leggero colorito rossastro si propagò sulle sue guance.
"C-cosa intendi dire...?", non poteva essere quello che credeva lui, no? Sarebbe stato troppo semplice. Oppure era tutto un sogno. Una sua proiezione onirica. Oddio, era arrivato al punto di immaginare cose simili.
Osservò il rosso allungare la mano, e piccole gocce ghiacciate poggiarsi sui suoi guanti.
"Mi piaci...", gli aveva detto semplicemente, guardando dritto di fronte a se la neve che continuava a cadere.
Rimase imbambolato per qualche istante, completamente incapace di ragionare. Era totalmente perso in un vortice di parole e sentimenti.
"Dai, dì qualcosa...", la voce di Yuriy era tremante, spaventato sicuramente da quella che poteva essere la sua risposta.
Aprì un paio di volte la bocca per rispondere, ma con scarsi risultati. Non riusciva a dare voce ai propri sentimenti.
Yuriy aveva soltanto sospirato: "Ok,...non fa niente...se non ricambi...Io, però volevo dirtelo...", e si era alzato.
Stava per andarsene, ma Boris lo fermò per un braccio. Se lo avesse lasciato andare, probabilmente l'avrebbe perso per sempre.
Si alzò anche lui, mettendosi di fronte al ragazzo. Gli accarezzò dolcemente una guancia, per subito dopo abbassarsi un pò, giusto quel che bastava per poggiare le proprie labbra su quelle del suo piccolo Yuriy.
Sorrise a quel ricordo. Quello era stato l'inizio della loro storia. Quella fredda mattina di fine novembre, quando tutta Mosca era coperta di neve. Erano passati nove anni, nove lunghi anni in cui avevano passato insieme di tutto...
E ora si ritrovava da solo seduto su quella panchina.

***
Correva a perdifiato per le strade della città.
Perché proprio oggi quel maledetto treno doveva arrivare in ritardo??, si chiedeva maledicendo tutto ciò che gli veniva in mente. Compreso se stesso.
Sperava che quando sarebbe arrivato al solito posto, lo avrebbe trovato ad aspettarlo. Voleva credere che fosse così. Ne aveva bisogno. Aveva un tremendo bisogno di vederlo ancora una volta seduto li, sotto la neve...
Solo che non stava nevicando. E la cosa lo stupiva. A Mosca che non nevica a novembre??
Non si preoccupò troppo di questo. Sicuramente c'erano già gli ecologisti che continuavano a ribadire che era tutta colpa dell'effetto serra, etc etc...Non aveva decisamente né voglia né tempo per soffermarsi un attimo in più a pensarci.
Doveva arrivare il prima possibile. Doveva imboccare quel cancello per la milionesima volta e trovarvi lì l'uomo della sua vita.
Sorrise a quel pensiero. L'uomo della sua vita...
E Boris lo era veramente. Era tutto quello che aveva sempre desiderato, e non si era mai pentito della scelta che aveva fatto quella mattina, e non se ne sarebbe mai pentito, nonostante le calorose litigate che ogni tanto li dividevano, fino a quando uno dei due, o entrambi non trovavano un modo per farsi perdonare per le parole che piovevano in quei momenti.
E ora correva. Per ritrovare per l'ennesima volta quel mare verde che erano i suoi occhi, che lo avrebbero guardato, e gli avrebbero sorriso.
Seduto lì ad aspettare, lo avrebbe trovato. Avrebbe trovato l'altra parte della sua anima, che da molti anni era pazientemente al suo fianco. Vi avrebbe trovato la persona il cui filo era legato al suo dito, la sua anima gemella. Per una volta, sorrise, il destino non era stato bastardo, e gli aveva permesso di trovare la felicità. Perché anche se molti ritenevano che la vera felicità non esistesse, lui l'aveva trovata. Perché a parer suo, la vera felicità era quella; fatta di piccole cose, come un sorriso, una parola, un risveglio accanto alla persona amata.
Era passeggiare sotto la neve con lui.
Continuava a correre.
Voleva vederlo. In quell'istante desiderava soltanto abbracciarlo, e rimanere al sicuro tra le sue braccia...
Voleva vederlo con tutta l'anima, pensò, mentre oltrepassava il cancello dal parco.

***
Un ragazzo stava seduto su una panchina del Gorky Park, osservando distrattamente gli alberi spogli. Sembrava in attesa di qualcosa, o qualcuno.
Questa era l'impressione che Boris dava ai pochi passanti. Ed era così. Speranzoso attendeva l'arrivo di qualcuno che non sapeva se sarebbe arrivato.
Di tanto in tanto guardava il cielo plumbeo nella speranza di vederne scendere la neve. Ci sperava. Voleva che almeno nevicasse. Almeno avrebbe reso quella giornata diversa.
Sospirò spostando lo sguardo sulla pista di pattinaggio.
Dall'altra parte del parco, un altro ragazzo correva. Correva a perdifiato per raggiungere la propria felicità.
Imboccò il solito vialetto alberato, notando subito la sua meta...occupata. Qualcuno era seduto sulla "loro" panchina.
Corse ancor più velocemente fino ad arrivare al luogo prefissato.
Boris spalancò gli occhi, quando notò la persona che gli si era fermata di fronte. Era piegato in avanti, con le mani appoggiate sulle ginocchia. Cercava di riprendere fiato, e faceva uscire dalla propria bocca nuvolette di vapore.
- Scusa il ritardo...ma il treno ha avuto qualche problema... - lo guardò, con le guance rosse per quella folle corsa nel freddo della città, e il respiro pesante.
- Non ti preoccupare - gli sorrise, felice di vederlo lì.
Yuriy gli sedette accanto, senza una parola, guardando anche lui un punto indefinito del parco.
Rimasero così per molto tempo, semplicemente uno seduto accanto all'altro. I pensieri di ognuno erano rivolti all'altro, anche se quello accanto non poteva saperlo.
Dopo quella che parve un'eternità, Boris alzò lo sguardo verso il cielo, sorridendo.
Yuriy si alzò in piedi, e sorridendo si rivolse al ragazzo.
- Ha nevicato anche quest'anno - il suo sorriso era dolce, nuovamente, come ogni anno, le due cose che più amava era lì - Andiamo a casa?
Boris scosse la testa alzandosi, per poi subito passare un braccio attorno alle spalle del ragazzo, mentre lentamente si avviavano al cancello del parco.
Due figure, abbracciate, sotto la neve, felici, uscivano da Gorky Park, una mattina di fine novembre.

Fine

Senpai, scusami se mi sono discostata parecchio dall'idea originale, ma sono stata troppo influenzata dai recenti avvenimenti...Non sarei riuscita a farla finire diversamente, non ne avrei avuto la forza psicologica. Nonostante questo, io spero che la fanfic ti sia piaciuta!
Bo: Piacerle??
Alex: Shh...Non ti lamentare che per una volta non ho nemmeno nominato quello lì...
Bo: Infatti, mi stavo preoccupando perché non stavi cristonando in dieci lingue diverse come al solito...-.-...
Alex: ^^''''
 
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