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Categoria: Originali (inventate)
Titolo Fanfic: UNA PERSONA ACCANTO A ME
Genere: Sentimentale
Rating: Per Tutte le età
Autore: shoen galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 17/11/2005 20:12:57

una storia di semplice affetto tra un padre e una figlia. leggetela e commentatela!!!!!
 
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UNICO
- Capitolo 1° -

Una persona accanto a me

Da tempo la osservavo, la guardavo all’uscita di scuola, o quando i nonni la portavano sorridenti al parco.
Osservavo il suo viso dai lineamenti delicati, i capelli lunghi e lisci, neri come le piume di un corvo, i suoi movimenti leggeri e la sua bocca sottile.
Immaginavo la sua voce; forse non l’avrei mai sentita ma la immaginavo come la più dolce.
Ho sempre desiderato di stare un po’ di tempo con lei, anche solo per qualche minuto, solo il tempo per catturare i suoi occhi nei miei e capire quanto lei fosse mia.
Da anni tentavo cause in tribunale per avere il suo affidamento, ma ogni volta era un insuccesso dopo l’altro.
L’unico modo che avevo per vederla era osservarla da lontano, non avevo neanche il permesso di poter stare un po’ con lei.
Alcune volte andavo nel parco poco distante dalla sua scuola, era sempre con i nonni, non si allontanava mai, Ma un giorno rimase sola per qualche minuto, seduta sulla panchina vicino al lago.
Si guardava intorno, e lentamente volgeva lo sguardo per osservare i cigni nuotare sull’acqua, sembrava incantata dai cerchi che si formavano sulla superficie, e dal colore candido degli animali, si era tanto affascinata che pian piano prese a camminare verso il bordo del lago.
Per interminabili secondi temetti che potesse cadere, ma lei si chinò semplicemente verso l’acqua e rimase a fissare le increspature.
Senza volerlo comincia ad avvicinarmi, perso ormai nella sua immagine...lei continuava a fissare l’acqua, ma sembrò avvertire la mia presenza, e lentamente si alzò in piedi e mi guardò.
I nostri occhi s’incrociarono per la prima volta, desiderai che non se n’andasse più, e che restasse sempre con me, la sua espressione cambiò e mi sorrise.
Fu il primo sorriso sul volto della mia bambina...il primo sorriso che vidi sul volto di Sarah.
Passarono tanti mesi dopo quel pomeriggio, ogni notte la sognavo, ogni giorno vedevo il suo viso in ogni bambina che passava.
E col volgere del tempo arrivò un’altra udienza, volevo avere il suo affidamento; ma mi sarebbe bastato anche solo vederla qualche giorno al mese, non più come una spia, ma come un padre.
La mia richiesta fu accolta.
Erano anni che non mi sentivo così felice, avrei potuto finalmente vederla e stare con lei.
Qualche giorno dopo mi presentai davanti alla casa dei nonni di Sarah: Duncan (si legge Dancan) e Julia.
Era una bella villetta, costruita con mattoni rossi a vista; un bel giardino curato, il cancello in ottone, e grandi scalini in granito.
Semplice. La stessa impressione di tanti anni prima.
Vidi Julia alla finestra che mi faceva cenno di entrare; varcai la soglia della casa, e m’invase un dolce profumo di fiori, andai verso la cucina e vidi la donna vicino al tavolo, accarezzava la testa di Sarah, che tranquillamente ci guardava.
“Sapevo che un giorno saresti tornato...qui. Non avremmo potuto tenerti ancora lontano da lei” disse nostalgica.
“Sarah non vi lascerà. Tornerà qui ogni volta che lo vorrà” dissi tranquillo.
La donna sorrise, e diede un bacio alla nipote.
“Come se questa piccolina potesse dire ciò che vuole; portala via prima che lui torni, ti odierebbe se lo vedessi piangere”
Scossi la testa, Duncan avrebbe visto sua nipote; nessuna vendetta personale, nessun rancore.
L’uomo si presentò sulla soglia di casa dopo pochi minuti, non mi degnò di uno sguardo, ma baciò la moglie e la bambina.
Julia preparò Sarah mentre l’uomo si sedette davanti a me, e mi fissò negli occhi.
Tempo addietro, avrei odiato quello sguardo, ma ora non ero più un ragazzino, lo sostenni fino all’arrivo della bambina.
Me n’andai con lei senza parlare con l’uomo, Julia mi baciò sulla guancia come aveva fatto tanti anni prima; quando in quella casa era ancora un amico.
Era ormai da due giorni a casa mia, non aveva ancora parlato, ma come tutti i bambini affetti da mutismo, parlava poco e spesso si rifugiava in lunghi periodi di silenzio.
A casa restava sempre in disparte, anche se spesso mi sorrideva e veniva quando la chiamavo, sembrava non voler in alcun modo avvicinarsi a me.
Si sedeva sul divano e mi guardava muovermi nella stanza, seguiva ogni mio movimento con attenzione, non sembrava mai stancarsi di osservare me e ciò che la circondava.
Forse l’osservazione dell’altro la rendeva più sicura; la lasciavo fare senza interferire, forse per poterla far sentire più sicura di sé…o forse per poter anch’io essere più sicuro con lei.
In quei primi giorni non la lasciai mai sola, mi sorpresi osservandola che era attratta dalle fotografie e dalle cose luminose.
Spesso fissava il vaso di cristallo, ammaliata dai riflessi che la luce produceva attraverso.
Prendeva in mano dei vecchi ritratti, e indicando le persone sorrideva.
Non avrei mai pensato che quei giorni, senza nessun’interazione con lei passassero così in fretta, quasi che quella piccola creatura completasse me e la mia giornata, come il lavoro non l’aveva mai fatto, spesso mentre la guardavo aggirarsi, pensavo al modo per poter comunicare con lei; l’occasione per quanto pericolosa, mi si presentò al decimo giorno della sua permanenza a casa mia.
Io ero in cucina mentre Sarah, come tutti i giorni, si aggirava davanti alla grande libreria bianca, guardava i libri e spesso ne spolverava i titoli.
Non vidi tutta la scena, ma spesso mi capita ancora di immaginarla.
Scorse una cornice d’argento in cima alla libreria; attratta salì la prima mensola.
Poi un’altra e un’altra ancora.
Raggiunse la fotografia, e la fissò intensamente con gli occhi sgranati...da una foto in bianco e nero, le sorrideva sua madre.
Allungò una mano per afferrarla, fu in quel momento: quando io uscii dalla cucina che la vidi.
Come un fotogramma, scivolò dalla libreria: un volo di due metri, la mano ancora protesa verso la foto che s’infranse al suolo proprio sotto di lei.
La presi tra le braccia in tempo, lei mi guardò sbalordita e poi scoppiò in lacrime.
Pianse per molto tempo, capii quanto in realtà si sentisse sola, rimasi con lei nella sua camera fino a quando non si addormentò.
La guardai; sembrava un angelo.
Aveva i capelli sciolti che ricadevano sparsi sul cuscino, come fili di seta nera, erano molto lunghi e lisci, li sfiorai appena... erano delicati come lei.
La pelle era molto pallida, come il candore del cuscino su cui dormiva.
Il suo viso era magro, leggermente tondeggiante ma così sottile che sembrava appartenesse ad una preziosa bambola.
Gli zigomi erano alti, picchiettati da tenui lentiggini; la bocca era rosea ed il naso piccolo e dritto.
Mi colpirono i suoi occhi dal taglio quasi orientale e dalle lunghe ciglia nere.
La frangia le scendeva scomposta sul volto, ma lasciava in parte libera, la fronte alta e guardandola in quel momento mi accorsi quanto mi assomigliasse.
Le stesse caratteristiche e gli stessi colori.
Quella somiglianza mi confortò, anche adesso vergognosamente me ne vanto.
Il suo respiro ritmico mi confortò, le diedi un bacio sulla guancia e silenziosamente la lasciai sognare tranquilla.
Poco tempo dopo essermi addormentato mi svegliai, sentendo un fruscio al mio fianco, mi girai e vidi Sarah che dormiva accanto a me.
Mi sorprese molto il fatto di trovarla lì, ma nei fui felice; le rimboccai le coperte e mi addormentai tranquillizzato dal suo respiro.
Qualcosa era finalmente cambiato.
I giorni seguenti passarono veloci; Sarah si avvicinava a me ormai con normalità, e una sera con mio maggior stupore si sedette al mio fianco sul divano, si appoggiò a me.
“Era bella la mamma?” mi disse
Non risposi subito, ma la presi in braccio e mi abbandonai ai ricordi con un sorriso.
“Era bellissima,”
“Come il sole?” chiese
“No, come..”
Non seppi continuare e lei non chiese più niente.
Quella sera s’addormentò tra le mie braccia finalmente lei aveva parlato; avevo sentito la sua voce.
Iniziò ad esprimersi, dapprima con fatica, accompagnava le parole con gli sguardi e i sorrisi, ma con l’andare del tempo parlava sempre più spesso, senza arrancare, divertendosi a pronunciare di nuovo le parole dopo tanto tempo.
Erano anni che Duncan e Julia cercavano di non far ricadere Sarah nei suoi lunghi periodi di silenzio.
Durante quei lunghi giorni, non si estraniava dal mondo ma sembrava vederlo in una sorta d’emisfero diverso, un altro punto di vista dato dal silenzio.
Fui felice la prima volta che mi chiamò; non mi chiamò papà, ma con il mio nome.
Sentii un debole “Andy” come un dolce soffio, per chiedermi aiuto.
Da quel giorno passò del tempo, adesso non sembrava più preoccuparsi della mia presenza e senza timidezza mi raccontava cosa succedeva a scuola, con gli amici e gli insegnati.
La portavo in giro per il paese e al parco dove spesso incontrava i nonni, anche se suo nonno mi guardava ancora con indifferenza, Julia era contentissima che la nipote avesse rincominciato a parlare.
Un pomeriggio al parco la donna mi si avvicinò.
Il suo viso era sempre bello come lo era stato tanti anni prima, il tempo lo aveva invecchiato ma non aveva rovinato la bellezza e la fierezza, mi prese sotto braccio e insieme incominciammo a camminare tra l’erba.
“Non l’ho ma vista così felice” disse.
Non dissi niente
“Sai... mi ero così abituata alla sua presenza, che ora casa nostra mi sembra vuota e scura, senza di lei....”
Guardai la donna, e le ricambiò lo sguardo.
“Parlale di lei, Andrew, dille tutto ciò che noi non siamo riusciti a raccontarle.”
“Non sono un buon narratore, Julia” le dissi “...ma saprò dirle tutto ciò che vuole sapere, quando lo vorrà” continuai.
Le diedi in fretta un bacio sulla guancia e corsi verso Sarah, insieme sotto lo sguardo dei suoi nonni, andammo verso casa.
Non era pronto a parlarle di sua madre, e non lo feci per molto, ma il solo parlare con Julia mi fece ricordare e quella sera la sognai: era il primo incontro.
All’inizio dell’immagine tutto vorticava, sfuocava come acqua e il suo viso mi appariva dapprima grande, poi piccolo e infine normale.
Nel sogno la sua immagine di bambina si stagliava bianca su un cielo plumbeo; indossava una leggera camicia bianca, e camminava a piedi nudi sulla riva.
Il mare ondeggiava dietro di lei, sembrava calmo ma sapevo che era una quiete molto breve, presto la pioggia sarebbe caduta.
Ma lei continuava a camminare nell’acqua bassa, sembrava non curarsi del vento e del freddo della giornata: una fredda giornata di primavera.
Mentre la seguivo con lo sguardo seduto nella sabbia, lei si voltò verso di me sembrava sapesse chi fossi, ma non lo diede a vedere, si girò lentamente e i capelli ondeggiarono nella brezza.
Aveva la pelle molto chiara che rispecchiava il colore del mare e il grigiore del cielo, quel pallore tipico delle ragazzine di questo paese.
Che io consideravo semplici e fin troppo belle per me, lei in quel momento mi era sembrata diversa; esprimeva solo libertà.
Nei suoi movimenti leggeri aiutati da un corpo fragile e affusolato, si moveva nella brezza come se fosse una sua creatura...come se fosse fatta di vento.
Vidi il suo profilo...per un momento vidi il suo viso.
I suoi lineamenti, erano sempre stati un’ombra tra la luce grigia del cielo, ma per un unico momento furono illuminati dalla luce di un lampo...cercai di trattenere l’immagine sul suo viso, volevo rivederlo, volevo vedere i suoi occhi, i suoi occhi erano del colore...ma fu tutto inutile il sogno e la sua immagine si offuscarono nella mia mente come l’acqua che cadendo rende torbido il lago.
L’immagine si sfuocò un’ultima volta e sparì, regalandomi la luce di un nuovo mattino negli occhi.
Spostai delicatamente Sarah dal mio petto e la coprii bene con le coperte, mi alzai e andai in sala e m’incantai, come spesso prima, davanti alla sua fotografia.
Lei era ritratta, sorrideva ingenuamente tirandosi il collo di un maglione sul mento, guardai i suoi occhi; erano grigi e neri come il resto della fotografia.
Il colore dei suoi occhi era svanito come il suono della sua voce, il suo profumo, la morbidezza della sua pelle al mio contatto.
Tutto era si era dissolto, sia nel sogno, sia nella realtà, come acqua...
Quella mattina portai Sarah al porto, la brezza marina mi era sempre piaciuta; anche se il profumo di salsedine mi riportava ancora al sogno e al lei.
“Cosa c’è?” mi chiese
Sembrava preoccupata e il suono della sua voce mi riscosse.
Le sorrisi, ogni sua parola era per me una gioia, la presi per mano e con lei percorsi il lungo mare, oltrepassammo il porto mentre lei guardava e commentava ogni nave.
Arrivano in breve alla spiaggia.
Faceva ancora troppo freddo per potersi tuffare, ma il mare era bello come sempre.
Il cielo aveva perso la sua colorazione rossastra, ma aveva assunto tonalità d’azzurro e blu, magnifiche; si prospettava una giornata bellissima.
Mi appoggiai in silenzio alla ringhiera di legno che ci separava dalla spiaggia e guardai il mare.
Sarah mi si avvicinò e allora incominciai a parlare.
“Sai, la vidi per la prima volta, là sulla spiaggia; si muoveva sulla sabbia come se fosse fatta d’aria; non avrei mai immaginato che una ragazzina potesse essere così aggraziata.”
“Ti era piaciuta subito?” chiese Sarah
“No. Ma mi aveva incantato” le risposi e Sarah rise.
“Quando la conobbi il tempo con lei, passava velocemente, non sembrava mai pesare.
Le sue risate riempivano i pomeriggi d’inverno, e le giornate estive e in poco tempo passarono gli anni.”
“E poi?” chiese Sarah curiosa
“Credo che questa parte te la racconterò più avanti” dissi imbarazzato
Fece un’espressione imbronciata ed io sorridendo ricominciai a narrare di lei.
“Era una persona molto solare, anche nelle giornate più grigie sapeva farti sorridere.
Ogni volta che la vedevo a scuola sembrava, che un’ondata di sole toccasse tutti noi”
“Quando lei crebbe, diventò molto bella e mi sembrò irraggiungibile, ero troppo introverso, lei così....così bella ed affascinante come il sole ed io velato come la parte oscura della luna”
“Il sole e la luna?”
“Si. Lei era come il sole, la cui luce sembrava rendere felice le persone che le stavano accanto, un giorno mi disse che la luna poteva ancora splendere grazie a quella luce.
Lo disse ignorante del fatto che il mio sole, era proprio lei”
Sarah mi fissò intensamente, non sapevo se lei avesse capito, tutto quello che le avevo detto, ma nell’osservarmi sembrava volesse ottenere qualcosa in più...ma poi mi prese per mano e camminammo insieme sul lungo mare.
Una mattina di sole, decisi di portarla in un posto particolare: un antico lago non poco distante da casa mia.
Lo conoscevano poche persone, per lo più nonni con i nipoti, ma quella mattina non era molto affollato
Sembrava molto felice d’essere li.
Correva nell’acqua, saltava gettando spruzzi cristallini, la sollevava con le mani e la lanciava lontano.
Rideva come ogni bambina, in lei non trovai, per quel giorno, la voglia di saper di più sulla madre; la cosa che più mi stupì era la sua capacità di essere felice, come se avesse dimenticato i lunghi periodi di silenzio.
Sarah sia avvicinò all’albero da dove io la osservavo, ridacchiò mentre mi scansavo per evitare i suoi getti d’acqua, ma poi si sedette accanto a me sull’erba e cominciò a fissare la superficie del lago.
Aveva una strana espressione, vuota e vacua, i riflessi dell’acqua si specchiavano nei suoi occhi verdi; si alzò e andò verso la riva del lago.
Prese un sasso e lo gettò piano nello specchio d’acqua.
Si chinò ad osservare i cerchi, e poi mi guardò.
“Tu sei il lago” disse “io sono il sasso” continuò indicando il sasso sott’acqua.
“Ora nel lago c’è qualcosa di diverso, e anche se la differenza è piccola nulla è più come prima”
Sorrisi e mi sedetti al suo fianco, indicai anch’io il sasso.
“Il lago ora è diverso. Ma ogni cosa deve cambiare.”
“Ma tu non sei più come prima”
“E’ vero, questo” convenni “Ma sei sicura che il lago sia cambiato in peggio?.” dissi abbozzando un sorriso.
Lei rise, una delle tante risate che spesso immaginavo di sentire dentro di me.
“Possiamo anche vederla in un modo diverso” ripresi “...tu sei il lago, io il sasso, e le pietre le persone che ti circondano; esse sono ormai nella tua vita. Ogni persona ti ha in qualche modo cambiato, e ciò che sei; dipende anche da questo.”
Presi un sasso e lo buttai nell’acqua.
“Sai perché le persone gettano i sassi in acqua?”
Scosse la testa, stupita da quella domanda strana.
“Io e te veniamo da una città, lì c’è sempre rumore. Quando si viene in un posto così bello e tranquillo, non si riesce veramente ad apprezzarlo e per questo...”
“...si ricrea il rumore della città” completò la bambina.
“Il silenzio è forse una delle cose più belle. Sarah, ma a volte è una prigione; se non si è capaci di romperlo spesso se ne resta schiacciati. Lo puoi paragonare a questo lago. Tutte le pietre sono le persone che come te sono rese mute dal silenzio, ognuna di loro ha scelto come. Tu hai fatto la tua scelta.”
“Ma io sono ancora dentro il lago” mi rispose.
“Si, esso resterà sempre dentro il tuo cuore, ormai è diventato una parte di te ;
il silenzio è il tuo più grande nemico...”
Mi alzai in piedi e la guardai dall’alto sorridendo.
”...e il tuo più valido alleato.”
Pian piano i miei dialoghi con Sarah diventarono sempre più sciolti; e senza inibizione, trainato dai ricordi m’immergevo nei racconti.
E parlavo, parlavo di sua madre, del nostro primo incontro e di tutta la storia prima di Sarah.
Inconsciamente raccontavo anche di me, non sapevo se Sarah percepiva quei piccoli riferimenti, ma in un modo o nell’altro mi fece capire che amava molto quelle ore a parlare, e io ne fui felice.
Per la prima volta, riuscivo a parlare di cose che aveva tenuto dentro di me per molto.
Ma con il tempo quelle conversazioni diventarono il centro della nostra giornata; senza parlare di lei la nostra giornata era vuota, solo la mia voce che raccontava sembrava riempire le ore del giorno, la mia voce che instancabilmente narrava sembrava essere l’unica altra cosa oltre a me e a Sarah.
Da diverse mattine, lei era diventata un pensiero fisso nella mia mente, quando Sarah ancora dormiva restavo in piedi sul freddo pavimento a guardare la sua foto.
Come ogni mattina non trovavo nessun conforto nel suo volto che mi sorrideva….e uno di quei giorni ci ritrovammo insieme ancora al cospetto di quella foto, unica cosa capace di non renderci soli.
Sarah voleva che narrassi ancora, ma una mattina decisi, che non lo avrei fatto, non avrei ceduto alla tentazione di abnegare me stesso e la mia voce nei ricordi.
Il mio grande errore fu quello, quello di non assecondare la mia bella bambina, ma allora non me n’accorsi e non notai i segnali che Sarah mi mandava.
Piccole cose, come il passare i giorni osservando gli oggetti della casa, pian piano la mia mente si schiarì, ma era già troppo tardi.
Sarah era ricaduta ancora nel silenzio, e per settimane non sentii più la sua voce.
Alcune volte nel bel mezzo della notte sentivo dei rumori in sala; Sarah come un’anima senza pace si muoveva nella stanza con la sua veste bianca.
Decisi d’intervenire; aveva paura che presto la sua voce sarebbe scomparsa dai miei ricordi, l’avrei persa, avrei fallito, come già una volta avevo fatto...
Una sera mi avvicinai a lei, era seduta sul letto, e mi sedetti al suo fianco, provai a parlarle, ma dal suo sguardo capii che non aveva nessun’intenzione di ascoltarmi.
Nei giorni seguenti provai ancora ad istaurare un dialogo con lei, e in uno di questi lei mi superò con indifferenza e andò via dalla stanza.
Mi arrabbiai molto.
“Sarah, fermati!”
“Sei uno stupido. Non volevi tenermi con te. Volevi solo dimostrare, che ora sei cambiato, che non sei più un bambino...solo questo”gridò “sei un’egoista, pensi solo a te stesso, solo a tè” incominciò a piangere e tra i singhiozzi continuò “non te né mai importato nulla della mamma... né di me ”
Non riuscii più a controllarmi e le diedi uno schiaffo, Sarah smise di piangere.
Mi guardò...rividi nei suoi occhi la stessa paura che avevo visto negli occhi di sua madre, quando la fredda morte inesorabile avanzava.
I suoi occhi da bambina mi fissavano intensamente, senza capire ciò che le avevo fatto.
Il suo sguardo che inarrestabile mi colpevolizzava durò come l’eternità, mi trafisse il cuore...nell’istante in cui Sarah corse fuori sotto la pioggia, capii che l’unica persona che in quel momento doveva avere paura ero io.
Dovevo avere paura di me stesso, lei non mi aveva accusato, aveva detto la pura e semplice verità, e la verità di quelle parole distrusse in un istante, il mio piccolo mondo costruito su me e Sarah.
Il mio mondo perfetto, creato dai miei desideri, andò perduto proprio come me.
Mia figlia aveva capito che razza d’uomo ero...forse io non l’avevo mai capito, o forse non volevo rendermene conto.
Ero solo.
Volevo Sarah al mio fianco per poter di nuovo amare qualcuno, per non essere più solo; dopo la morte della donna che amavo mi ero illuso per anni che una volta aver avuto Sarah, lei sarebbe ritornata da me...
Non era stato così, e quella sera finalmente lo capii.
Ma non avrei perso Sarah, non avrei commesso lo stesso errore per la seconda volta.
La ceravo correndo tra le strade del paese; ogni minuto sempre più bagnato e sempre più stanco, poi...inaspettatamente la trovai, nel posto più ovvio per un bambino, il luogo dei propri giochi.
Stava in piedi sul bordo del laghetto.
A tratti il suo volto veniva illuminato dai lampi, la sottile camicia bianca si muoveva al vento, bagnata dalla pioggia che scrosciante non accennava a smettere.
I capelli sembravano ancora più lunghi e scuri; le incorniciavano il viso, bagnati e scompigliati, il corpo bianco, tremava, come un fiore al centro della tempesta, in balia dei propri sentimenti, e della pioggia.
Mi avvicinai e la guardai negli occhi, nessun risentimento nel suo sguardo.
Ma le dissi piano “Perdonami”; la presi in braccio e in silenzio scoppiammo a piangere.
Piovve per tutta la notte.
Con Sarah al mio fianco mi abbandonai ancora ai ricordi e la sognai di nuovo.
Un altro tempo, un altro luogo...fu come risvegliarsi, ma prima di aprire gli occhi rimasi fermo ad ascoltare il continuo ondeggiare dell’oceano.
Mi alzai e per un tempo che mi sembrò lunghissimo fissai l’orizzonte, ma il mio sguardo fu attratto...
Qualcuno camminava sulla battigia, e pian piano la figura acquistò forma e colore.
Una donna che teneva per mano una bambina, mi veniva incontro; aveva il viso coperto da un grande capello di paglia e indossava un bel vestito bianco: ad un tratto s’alzo il vento.
Il vestito della donna ondeggiò nell’aria e il cappello cadde dal suo capo rubato dal vento...
Saltai e lo presi al volo, mi avvicinai alla donna per restituirglielo, ma appena mi fui avvicinato riconobbi la bambina e lei.
La donna mi sorrise, mentre la bambina, lasciata la sua mano corse via.
Rimasi incantato dalla donna...dai suoi occhi.
Ora ricordavo, erano chiari come la luna che nelle notti d’estate si specchia nel mare.
Sfiorai il suo viso.
“Emelain” sussurrai
Avevo rivisto la donna che amavo.
Ma era diversa, la mia Emelain mi aveva lasciato da ragazzina, poco dopo la nascita di Sarah; la donna che ora avevo di fronte aveva la mia età ed era la più bella che avessi mai visto.
I suoi capelli scuri e mossi, ondeggiavano al vento, erano soffici come l’aria, la sua bocca sempre rossa, le sue lentiggini, il suo viso e la pelle candida...tutto come un tempo.
I suoi occhi sembravano entrare dentro di me, vedevano ogni mio pensiero, leggevano la mia coscienza come un libro aperto.
“Emelain, ma tu...”
“Non dire niente” mise una mano sulla mia bocca.
“Avevi bisogni di me, ed io sono qui, anche se non appartengo più al tuo mondo, sarò sempre nei tuoi sogni ” la sua voce come un soffio m’invase.
“Hai scritto la tua storia da solo Andy, ma questa storia ha bisogno di avere una svolta. Ora il tuo racconto è arrivato alla fine della pagina; è ora di voltarla. Non avere paura, perché ce né saranno ancora tante da scrivere.
Alcune volte potrai tornare indietro, rivedere tra le pagine della tua vita, cosa sei diventato, ma dovrai continuare ad andare avanti, scrivendo parola per parola, non potrai più vivere nei ricordi perché...”
Non finì la frase.
Guardò Sarah che ridendo giocava vicino al mare e mi diede un bacio, poi…dandomi le spalle, camminò finche la sua figura si celò al mio sguardo.
Sarah mi prese per mano e mentre lei mi sorrideva il sogno svanì...
Arrivò il tempo dei saluti.
Sarah doveva ritornare dai suoi nonni; ma questa volta non per sempre, dopo qualche tempo sarebbe ritornata da me.
Quando una mattina d’estate la lasciai davanti alla casa dei nonni, lei mi abbracciò forte.
“Tornerò presto...papà” disse sorridendo, assaporando il suono di quella nuova parola.
La baciai sulla guancia, e poi lei corse su per le scale e in cima alla casa rossa, si voltò e mi salutò.
Mentre andavo via, capii finalmente ciò che Emelain voleva dirmi.
Non potevo più vivere nei ricordi, perché non ero più solo...ora c’era una persona accanto a me.


Shoen
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