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Categoria: Manga e Anime
Dalla Serie: God Child
Titolo Fanfic: BOHEMIAN RHAPSODY
Genere: Drammatico, Dark
Rating: Per Tutte le età
Avviso: AU, Shounen Ai
Autore: sanzina galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 25/10/2005 19:06:48 (ultimo inserimento: 08/03/07)

nothin really matters to me -in corso
 
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PROLOGO
- Capitolo 1° -

Legge 6 febbraio 2006, n. 38

"Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo Internet"

Data questa legge voglio specificare che seppure la mia fanfiction non contiene scene erotiche o di forte violenza, tratta comunque un argomento piuttosto delicato. E' quindi sconsigliata ai minori di diciotto anni.

L’infermiera Gloria Smith si aggirava nelle corsie del reparto maternità. L’ora dei parenti in visita era cominciata da un pezzo e compositi gruppetti di genitori orgogliosi, mariti raggianti e bambini curiosi erano seduti o assiepati intorno a ogni letto. Tutti facevano moine e versetti di richiamo al fagottino strepitante che ogni mamma spossata teneva fra le braccia.
Intorno a ogni letto tranne che a quello in cui giaceva la bella ragazza dai capelli biondo cenere.
La culla là accanto era vuota. Il bimbo era nato il giorno prima dopo un travaglio lungo e faticoso. Era un maschietto. Tre chili e otto etti, bello sotto ogni punto di vista. Una creatura perfetta di cui qualsiasi madre sarebbe stata fiera.
Un bambino destinato a ricevere l’amore di una coppia di genitori adottivi non appena fosse stato loro affidato.
Veniva tenuto in un’altra camera, lontano dalla madre. Le firme in calce ai suoi documenti d’adozione sarebbero state apposte il giorno seguente. Dopo di che tutto sarebbe finito. Un taglio netto avrebbe separato il bimbo dal suo pur brevissimo passato. Vidimato, sigillato e consegnato. La legge sulle adozioni non avrebbe lasciato spazio ai ripensamenti.
Sul comodino non c’erano ne fiori ne biglietti di felicitazioni. Proprio come l’anulare sinistro era privo di fede nuziale. Per lei non c’erano state visite. Nessuna telefonata. Nessun indizio di qualcuno a cui stesse a cuore.
La giovane donna era seduta, appoggiata ai cuscini e alla spalliera, a fissare il vuoto. La pelle era cerulea, l’espressione inebetita. Una piccola creatura affranta, completamente sola.
Gloria sapeva che non erano fatti suoi. Erano state prese delle decisioni, delle forze erano state messe in movimento. Non aveva nessun diritto di interferire. Ma anche lei era madre. E questo poteva darle un diritto.
Cinque minuti dopo, Gloria si avvicinò al letto fendendo l’atmosfera di densa felicità e permeata dall’odore di pipì e latte caldo. Nelle braccia sorreggeva un bimbo che piangeva.
Tre chili e otto etti. Bello sotto ogni punto di vista.
-Rebecca..-
Nessuna risposta. Gli occhi della ragazza restarono concentrati sulla parete di fronte.
-Guarda, Rebecca. Per piacere-
Ancora nessuna reazione. Le braccia erano abbandonate inerti lungo i fianchi. Con gentilezza, Gloria le depose il bimbo in grembo, piegandole i gomiti, forzandole sulle braccia dolcemente fino a formare una sorta di culla. Poi si ritrasse e restò in attesa.
Il bimbo si dimenò, chiaramente a disagio. L’espressione della giovane madre rimase impassibile.
Poi, tutt’a a un tratto, il piccolo si acquietò e restò immobile.
-Ti conosce, Rebecca. Sa chi sei-
Lentamente, gli occhi di Rebecca si abbassarono. Il neonato cominciò a gorgogliare, allungando un braccino.
-Ti sta facendo ciao. Cerca di piacerti-
Altri gorgogli. Il faccino sembrò abbozzare un sorriso. I medici avrebbero detto che si trattava solo di un’inconscia contrazione dei muscoli facciali. Forse avevano ragione. Ma qualsiasi puerpera del mondo avrebbe saputo d’istinto che era una cosa completamente diversa.
-E’ perfetto, Rebecca. E ha bisogno di te. Avete bisogno l’una dell’altro-
Gli occhi di Rebecca rimasero fissi sul bambino. L’intontimento stava passando a poco a poco, sostituito da un senso di meraviglia, unito alle prime avvisaglie di uno scambio di sorrisi tra madre e figlio.
-Ma se vuoi che venga adottato, la decisione è solo tua. Nessuno può impedirtelo. Ora dallo a me. Lascia che lo riporti nel suo lettino-
Gloria aspettò le prevedibili proteste. Non ne vennero. Ma non ci fu neppure alcun accenno di voler mollare il bimbo.
-E’ questo che vuoi, Rebecca? Che te lo porti via io? Non vederlo mai più?-
Silenzio. Un istante che parve durare un secolo.
Poi un sussurro sommesso –No-
Il sorriso era ancora là. Un dito toccò delicatamente il braccino teso.
-E’ tuo, Rebecca. Nessuno te lo può portare via. A meno che tu non glielo permetta. Lotta contro tutti per tenertelo. Ne vale la pena-
Gloria si ritirò in silenzio, reimmergendosi nel festante brusio della corsia, lasciando che madre e figlio iniziassero a conoscersi.

Mezzanotte
Ora il reparto era più tranquillo. Un neonato frignava, una mamma esausta sbuffava. Tutto il resto taceva.
Rebecca Disraeli rimirava il suo bambino appena nato. Suo figlio.
Stava dormendo. Poco prima lo aveva allattato per la prima volta. A dispetto della sua ansiosa inesperienza, era andata meglio di quanto avesse osato sperare. Come se il piccolo avesse percepito il suo nervosismo e volesse facilitarne le cose.
Aveva la fronte solcata di piccole rughe. L’infermiera Smith le aveva detto che, nei primi giorni di vita, tutti i neonati assomigliano a dei vecchietti. Poi la pelle si tende e si fa liscia.
Ma suo figlio era già bello anche così-
Rebecca passò delicatamente un dito sulla fronte del piccolo, ora doveva dargli un nome.
Pensò al nome di suo padre che era Abel, l’amato di Dio. Come il suo attore preferito: Abel Colman. Le era sempre piaciuto moltissimo quel nome. Eppure, tanto era la delicatezza del viso del suo bambino, che persino quel nome tanto dolce sarebbe apparso troppo virile per quel piccolo tesoro scambiato dalle fate.
Il bimbo si stiracchiò e aprì gli occhi per metà. Gli angoli della boccuccia si sollevarono subito. Un sorrisetto stanco.
-Ciao tesoro. Sei il mio angelo- Rebecca gli sorrise e in quel mentre trovò il nome adatto
–Ciao, Jezebel-
Cullandolo fra le braccia, Rebecca cominciò a cantare sottovoce:

Sei il mio sole, il mio unico raggio di sole
Mi fai felice quando il cielo è scuro
Non saprai mai, caro, quanto ti amo
Per favore, non toglietemi il mio sole

Il bimbo abbassò un’altra volta le palpebre. Si abbandonò di nuovo al sonno. Un piccolo pulcino avvolto in una copertina, perso nel mondo dei sogni.
Rebecca si chiese se suo padre l’avrebbe mai visto. Ma non doveva illudersi. Forse si era semplicemente dimenticato di lei, e le sue dichiarazione d’amore erano vuote come un tamburo.
Ma non importava. Ora non più.
“A chi assomiglierai, piccolo Jezebel? Al tuo papà?” scosse subito il capo quasi spaventata da quel suo stesso pensiero “Ai miei genitori? O a John, il mio fratellino?..No, tu somigli alla tua mamma, ne sono certa”
Nessuno glielo avrebbe portato via. Avrebbe ammazzato di botte chiunque ci avesse provato. Una nuova forza le stava nascendo dentro. Una forza fino a quel momento sconosciuta. Aveva Jezebel da accudire e, se necessario, avrebbe sacrificato la sua vita per lui.
Nelle immediate vicinanze ci fu un movimento. La donna che stava quattro letti più in là si era alzata e stava controllando sua figlia, Viola. Viola era una bambina vivacissima, con un visetto da bulldog, che non faceva altro che succhiare avidamente latte, strillare e vomitare. Viola non era bella. Non era perfetta.
Viola non era Jezebel.
Jezebel si stirò nel sonno, ma non si svegliò. Si sentiva protetto e al sicuro fra le sue braccia. Erano legati l’uno all’altra per sempre.
-Fai la nanna, tesoro. Angelo mio. Raggio di sole. Mio piccolo Jezebel-
Piccolo Jezebel Disraeli

Hepton 1984

Un indolente sabato di maggio. Al bancone dell’emporio all’angolo di Moreton Street, Mabel Cooper leggeva in un settimanale un articolo sul recente diffondersi di una pericolosissima malattia chiamata AIDS.
Uno scalpiccio di passi segnalò la presenza di clienti nel negozio. Il sorriso di circostanza di Mabel divenne sincero quando avvistò la bella ragazza che teneva un bimbetto per mano.
-Ciao, Rebecca-
-Buongiorno, Mrs Cooper. Come sta?-
-Meglio, ora che vedo te e Jezebel- si rivolse al bimbo –e tu come stai oggi, Jezebel?-
Il bambino aveva un’aria pensierosa –Oggi sto benissimo, Mrs Cooper- rispose, parlando lentamente come se riflettesse su ogni parola prima di pronunciarla. Sebbene non avesse ancora compiuto cinque anni, aveva un modo di esprimersi e di comportarsi impregnato di dignità vecchio stile che Mabel trovava incantevole. Era il ritratto di sua madre. l’unica differenza era il colore degli occhi. Quelli di Rebecca erano azzurri, i suoi viola cristallo.
Mabel incrociò le braccia sul petto e finse di accigliarsi –Come dovresti chiamarmi, Jezebel?-
L’espressione solenne si sciolse in un ingenuo sorriso –zia Mabel-
-Proprio così- anche Mabel sorrise –E in che posso esserti utile, Rebecca?-
Rebecca e Jezebel si scambiarono un’occhiata particolare, proprio come succedeva ogni sabato. Mabel allungò una mano sotto il bancone e fece comparire un piccolo bloc-notes e una matita nuova. Il sorriso del bimbo diventò raggiante.
-Ha già finito quello precedente- disse Rebecca con voce piena d’orgoglio .Un disegno diverso su ogni pagina, e tutti meravigliosi-
-La prossima volta devi portarne qualcuno da farmi vedere. Lo farai, Jezebel?-
-Sì, zia Mabel-
Bill, il marito di Mabel, spuntò dal retrobottega, intirizzito dopo il pisolino, portando con sé il suo ricco aroma del suo tabacco da pipa. –Ciao Rebecca, Ciao Jezebel-
-Ciao zio Bill!-
L’uomo allungò al piccolo una tavoletta di cioccolato. –Sarà il nostro segreto- strizzò l’occhio a Jezebel con aria da cospiratore,e il bambino ricambiò ammiccando a sua volta.
-L’anno prossimo comincerai ad andare a scuola, sei contento?-
-Sì, zia Mabel-
-Lavorerai sodo e renderai fiera tua madre?-
-Sì zio Bill-
-Bravo.-
Rebecca pagò il bloc notes e la matita. –Grazie per il cioccolato. Siete sempre così gentili-
-E’ un piacere- ribatté Mabel –Hai proprio un bravo bambino. Segnati quello che dico: un giorno ti farà onore e ti renderà fiera-

Il letto di Jezebel si disponeva sotto la piccola finestra della camera, che si apriva sul giardino posteriore e sul costone di collina sopra cui passava la ferrovia. Inginocchiatosi sul letto, Jezebel recitò le preghiere che sua madre le aveva insegnato. Poi si coricò. Rebecca gli sprimacciò il cuscino
-Parlami della nostra casa- disse lui
-Un giorno, quando avrò risparmiato abbastanza denaro, comprerò una bella casa tutta per noi. Tu avrai una camera grandissima e potrai tappezzare tutti i muri con i tuoi disegni. Avremo un giardino così grande che per un uomo ci vorrà un giorno intero per tagliare l’erba del prato. E avrai un sacco di animali e..-
Jezebel studiò l’espressione di sua madre. Benché sorridesse, i suoi occhi erano tristi e malinconici. Lavorava come impiegata in una piccola azienda, di certo non un lavoro particolarmente remunerativo. Questo almeno era ciò che aveva detto zia Vera, che ospitava la cugina e il nipote mal volentieri. A volte Mrs Tanner, la copoufficio sgridava sua madre. Zia Vera diceva che Rebecca era indolente e sciocca.
-Quando sarò grande- le disse –diventerò una persona importante e ti aiuterò a guadagnare tanti soldini-
La donna gli accarezzò una guancia –Sicuro.-
-E poi, quando avremo una casa tutta nostra, il mio papà potrà venire ad abitarci insieme a noi-
Per un momento il sorriso di Rebecca svanì –Può darsi-
-oh ma verrà, vero mamma? Io ne sono sicuro-
-Sì- abbassò lo sguardo –che cosa facciamo domani, ti porto sulle altalene?-
-Voglio farti un altro disegno-
-Lo porterò in ufficio e lo attaccherò alla parete, e quando mi chiederanno chi lo ha fatto dirò che è un disegno di mio figlio Jezebel Disraeli, che un giorno diventerà un grande artista e tutti lo conosceranno di fama-
la mamma si chinò sul lettino per abbracciarlo. La sua pelle profumava di sapone e di fiori. Jezebel la strinse a sé più forte che poté. Una volta Zack gli aveva torto un braccio per costringerlo a riconoscere che desiderava che zia Vera fosse sua madre. Jezebel lo aveva ammesso per disperazione, tenendo però le dita incrociate dietro la schiena. Non avrebbe barattato sua madre in cambio di cento zie Vera.
Quando Rebecca se ne fu andata, Jezebel aprì le tende e restò alla finestra a guardare la serata estiva. Presto sarebbe imbrunito e in cielo sarebbe spuntata la luna. Al momento era solo una mezzaluna sottile, ma con il passare dei giorni sarebbe cresciuta, diventando grossa e rotonda come le mele che zia Mabel vendeva nel suo emporio.
Un treno passò sferragliando, pompando nell’aria nuvole di vapore dopo essere partito da Londra, diretto in campagna. Era carico di gente. Una donna vide Jezebel alla finestra e agitò una mano per salutarlo. Lui rispose al saluto.
Un giorno lui e la mamma sarebbero saliti su quel treno. Suo padre sarebbe venuto a prenderli per portarli via, in una bella casa tutta loro, e zia vera e le sue mille leggi e regole sarebbero rimaste indietro, lontano, lontanissimo.


-Bastardo- sibilò Zack
Jezebel fece cenno di no con la testa. I due bambini erano seduti sotto il tavolo della cucina e stavano giocando con i soldatini di Zack. Jezebel pensava che i soldatini fossero un gioco barboso, ma nessuno degli amici del cugino al momento era disponibile, sicché era stato obbligato a sostituirli.
-E’ vero- proseguì Zack –lo sanno tutti-
Jezebel non era sicuro di sapere esattamente che cosa fosse un bastardo, ma intuiva che era una brutta cosa. Peggio, era consapevole che voleva dire qualcosa di brutto riguardo a sua madre, perciò sporse in fuori il mento e disse –Non è vero!-
Zack sogghignò. Aveva la struttura massiccia di Vera e lo stesso caratteraccio.
–Allora dov’è tuo papà?-
-Doveva lavorare molto ma presto verrà qui- il bambino era certo della verità di questa affermazione.
-Tu sei proprio scemo a credere una cosa simile- Zack intornò sottovoce una cantilena beffarda
–Jezebel stupido bastardo..Jezebel stupido bastardo..- lo colpì in viso
-stupido frignone bastardo- proseguì Zack, sferrando con cattiveria un pugno al braccio di Jezebel. Ci godeva a farlo piangere. Fino a un anno prima era sempre stato facile, ma ormai Jezebel aveva cinque anni e mezzo e stava già imparando a tenere testa ai bulletti come lui
-Quanto fa sette per quattro?-
Zack ammutolì, restando a bocca aperta, con un’espressione vacua. Jezebel sorrise. La mamma gli stava insegnando le tabellone. In effetti finora erano arrivati solo a quelle del sei, ma Jezebel si era portato avanti.
-La matematica è roba da femminucce- ribatté Zack. Odiava la scuola e le sue pagelle facevano strepitare zia Vera.
-Ventotto. E sono più piccolo di te. Allora, chi è più scemo fra noi due?- imitò la cantilena di Zack
-Zack brutto e stupido..Zack brutto e stupido..-
Zack mollò un pugno a Jezebel più forte di prima –Se non altro non sono un bastardo- sibilò prima di sgusciare da sotto il tavolo e di andarsene fuori in giardino, prendendo inavvertitamente a calci e pestando alcuni soldatini.
Jezebel restò dov’era, massaggiandosi il braccio dolorante. In soggiorno, Vera rise a una battuta di Mrs Brown. I soldatini erano sparsi ovunque. Zack li teneva in una scatola di latta. Zia Vera non voleva che i giocattoli fossero lasciati in giro per casa, perciò Jezebel cominciò a riporli nella loro scatola.
Il soldatino preferito da suo cugino era un granatiere napoleonico. Era stato fortunato a non averlo rotto pestandolo durante il litigio. Ma Zack non lo sapeva, perciò Jezebel lo spezzò in due prima di chiudere il coperchio della scatola.

La lettura era il passatempo prediletto di Vera. –Adoro Dickens e le meravigliose sorelle Bronte- aveva annunciato alle sue nuove amiche di Moreton Street. Forse era anche vero, ma la mamma aveva detto a Jezebel che zia Vera preferiva di gran lunga i romanzetti rosa a buon mercato, quelli con le copertine dai colori vivaci. Ma il suo vero hobby era urlare. Quando aveva la luna storta, vale a dire il più delle volte, ogni membro della famiglia era un facile bersaglio; siccome però Jezebel restava da solo con lei quando gli altri erano al lavoro o a scuola, era lui a subire più di chiunque altro le sue sfuriate.
Stare solo con zia Vera non era affatto facile. Di tutte le regole a cui il bambino era costretto a sottostare, la più importante era che, quando restava solo in custodia della zia, non doveva importunarla per nessuna ragione al mondo. Doveva giocare in religioso silenzio nella sua cameretta oppure in giardino. A mezzogiorno la donna gli lasciava un panino imbottito e un bicchiere di latte sul tavolo della cucina, e lui doveva anche mangiare e bere in silenzio, prima di lavare il piatto e il bicchiere nel lavello e tornare ai suoi giochi in completa solitudine.
Quando zia Vera riceveva ospiti, Jezebel aveva l’ordine perentorio di restare chiuso in camera. Quel particolare pomeriggio però, la sete lo costrinse a scendere di soppiatto al pianterreno. Per accedere alla cucina si doveva per forza attraversare il soggiorno. Zia Vera era seduta sul sofà a sorseggiare una tazza di tè in compagnia di Mrs Brown. Indossava una camicetta a maniche corte che metteva troppo in mostra le sue braccia abbondanti, coperte di efelidi.
-Cosa c’è Jeze?- domandò, sfoderando un sorriso esagerato e parlando con tono di voce circospetto e affettato che usava ogni qualvolta riceveva la visita di una delle sue nuove amiche.
-Posso prendere un bicchiere d’acqua, per piacere?-
-Ma certo- la donna fece un cenno in direzione della cucina
Mrs Brown depose sul piattino la sua tazza di tè –Come stai, Jezebel?-
-Molto bene, grazie, Mrs Brown-
La donna gli offrì la guancia da baciare. Jezebel gliela sfiorò appena con le labbra, trattenendo il respiro per evitare di inalare l’aroma di profumo stantio che l’avvolgeva tutta. Mrs Brown era più vecchia di zia Vera e nascondeva le rughe sotto un trucco pesante. Suo marito era vicedirettore di banca e abitavano nella loro stessa via, ma sull’altro lato, dove le case erano più grandi e il rumore dei treni meno invadente. Zia Vera era orgogliosa di avere come amica la moglie di un vicedirettore di banca.
Mentre si riempiva il bicchiere in cucina, Jezebel sentì che parlavano di lui.
-Com’è ben educato- osservò Mrs Brown
-Insisto perchè lo sia sempre-
-Ha anche dei bei lineamenti, lo fanno sembrare quasi una bambina. Ha preso da sua madre-
-C’è da augurasi che non abbia preso da lei anche l’ocaggine e l’immoralità-
Jezebel bevve l’acqua in un sorso solo.
-E’ fortunata ad avere parenti comprensivi come te e tuo marito-
-Inizialmente Henry voleva buttarla fuori di casa, ma non glielo avrei mai permesso. Dopo tutto, Rebecca fa parte della famiglia-
-Sei una donna di buon cuore, Vera Finnegan-
-Cerco di esserlo-
-Forse un giorno si sposerà-
-Ne dubito. Non ci sono molti uomini disposti ad allevare il bastardo di qualcun altro-
Jezebel sciacquò il bicchiere e lo rispose nella credenza dopo averlo asciugato. Mrs Brown disse che doveva proprio andare. Zai Vera ribatté che si sarebbe concessa un altro capitolo di un romanzo di una certa Jane Austen.
Tornato di sopra in camera sua, Jezebel aprì il cassetto del comodino di sua madre e prese la fotografia che Rebecca vi conservava gelosamente. Una piccola istantanea di un uomo elegante e bello. Suo padre. Se la strinse al cuore e chiuse gli occhi “Vieni presto papà, ti prego”
La porta di casa al piano di sotto fu richiusa con un tonfo sonoro. Mrs Brown se n’era andata e zia Vera lo stava chiamando a gran voce dabbasso. Il tono affettato adesso era sparito. Dalla sua voce trapelava la solita severità inflessibile e la consueta rabbia sopita, sempre pronta a esplodere da un momento all’altro.


 
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VOTO: (2 voti, 2 commenti)
 
COMMENTI:
Trovati 2 commenti
Rif.Capitolo: 1
mrsdalloway - Voto:
18/05/11 14:25
Splendida!! Il modo in cui tratti i due protagonisti è perfetto... C'è qualche speranza che tu la prosegua éè ???
D'accordo con il commento: 0, e Tu? / No   |   Segnala abuso Rispondi

hachi88 - Voto: 30/08/10 18:23
Trovo questa fanfic bellissima, nonostante i delicati temi trattati..... del resto anche la stessa Kaori Yuki non ci va leggera in quanto a tematiche!
Nonostante sia un AU, penso che sia una delle fanfiction più in linea con la storia originale di god child che io abbia mai letto, nel senso che se Kaori Yuki avesse deciso di ambientare la storia ai nostri giorni invece che in epoca vittoriana, tutto si sarebbe svolto più o meno così.
Non nascondo che in alcune parti è AGGHIACCIANTE (ogni volta che parli di Augusta ho i brividi e ne sono nauseata e disgustata xD),ma anche la storia originale di God Child è spesso agghiacciante u.u
I personaggi, soprattutto Cain e Jezebel, sono descritti superbamente dal punto di vista psicologico e, insomma, li ho davvero adorati!

quindi.....mi manca di dirti solo "aggiorna,ti pregooooooooooooooooooooooo" T____T (devo sapere come finisceeee!!!!)

ps.
Bohemian Rhapsody è la mia canzone preferita dei Queen *.*
D'accordo con il commento: 0, e Tu? / No   |   Segnala abuso Rispondi

 
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