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Categoria: Manga e Anime
Dalla Serie: La Stirpe delle Tenebre (Yami no Matsuei)
Titolo Fanfic: PROMESSA
Genere: Sentimentale
Rating: Per Tutte le età
Autore: tindomerel galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 30/09/2005 19:05:30

ormai sono diventata una death writer...
 
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CAPITOLO UNICO
- Capitolo 1° -

Promessa
*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^
Ciao belli e belle...fans^^ di Yami No Matsuei che dimorano su questa Terra...ehm...questa ficcy è ambientata in un periodo di tempo antecedente ai fatti raccontati nel manga...però alla fine inserirò qualcosa dagli ultimi volumetti. Perciò, portate pazienza....mi hanno detto che con il passare del tempo il mio stile è cambiato...ma è sempre connesso con il tema della morte, o almeno è così da un bel po’. Comunque, non temete...il protagonista è insolito...ma spero vi piaccia. Orsù, cominciamo...
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Serpente dalle zanne avvelenato, portatore delle fiamme nere che tutto annientano, che plasmano la vita e la morte in un crepitio. Meravigliosa creatura dalle spire fatali. Bella...bella e terribile. Come il fuoco.
Il sole moriva ai confini dell'immenso Gensokai, dimora degli Shikigami, immerso nell'immobile passato mai realizzato e in attesa di un futuro che non avrebbe portato rinnovamento né progresso. I raggi del sole accarezzavano voluttuosi l'oro e l'argento di Tenku, lo Shiki palazzo del cielo, illusione sospesa fra le nuvole che galleggiava sospeso in un cervello elettronico. Quel poetico passato intrappolato nell'arido presente dove non c'era posto per esso. Perchè nel cuore degli uomini non c'era più posto per gli Shikigami.
L'immobilità di quel luogo sospeso era totale. Solo il gentile vento che scuoteva le cime degli alberi di ciliegio sembrava immune a quell'istante senza compimento. A quel silenzio e a quel vuoto. Vorticavano delicati petali di ciliegio, inghiottiti dalla voluttuosa luce d'oro del sole che moriva e nell'aria si sentivano le note di Kouchin, delle sue dita abili che pizzicavano le corde con delicatezza, come fosse un amplesso amoroso e non un'esecuzione melanconica. La musicista di corte sedeva in riva ad un laghetto, la schiena ben eretta, gli occhi chiusi e le labbra rosse come rose incurvate in un sorriso, suonando in bilico sul parapetto del ponticello di legno rosso. Ai suoi piedi, i capelli turchini mossi dal vento, Tenkou, la piccola imperatrice del mare, giocava con una palla intessuta finemente d'oro e d'argento. I suoi occhi lucenti seguivano i movimento del prezioso balocco con un sorriso divertito sulla boccuccia d’infante. (Che carina la piccola Tenkou!!!volevo inserirla assolutamente...è troppo graziosa!!!...Kouchin, invece, è solo di contorno=_=’ _NdHelly^^)(EHI!!!!_NdKouchin)(Ngheeee_NdHelly^^)
Ma sul tetto del vecchio Tenku sedeva, immerso in profondi pensieri, il serpente dalle spire fatali come nere fiamme che tutto divoravano.
Touda guardava il sole morire ad occidente, immerso nella fatale bruma dorata che precede la notte, inebriandosi in quella maestà intrisa di potenza che era la morte del giorno, il ripetersi del ciclo di ogni momento inutile in quel mondo dimenticato dagli uomini.
Provava una gran rabbia nel vedere quell’inutile prigione in cui viveva, sospeso fra il reale ed il fantastico e stringeva spasmodicamente i pugni, mentre i guanti con le dita di metallo si contraevano e frusciavano. Le guardò. Che strano destino il suo, essere liberato da un giogo e finire vittima di un altro. Divenire vittima di parole sussurrate in una notte in cui ogni catena era stata spezzata. Di una mano calda e sottile, talmente delicata da sembrare di porcellana. Così sottile che le sue mani guantate e corazzate avrebbero potuto spezzare con facilità.
Un’immagine di lacrime su un viso contratto dalla sofferenza.
La scacciò. Non poteva fare altro.
Sfilò delicatamente i guanti, infilandoli nella tasca del mantello che portava sulle spalle e osservò le dita affusolate che nulla conservavano in superficie, sulla pelle candida, del proprio potere. Sembravano mani comuni, che non facevano paura. Invece erano letali. Avrebbero potuto uccidere. Avrebbero saputo come uccidere. Avrebbero potuto fare del male ad una creatura innocente.
Ad un tratto alzò lo sguardo e nella luce morente scorse il visetto pallido e delicato di Tenkou, che l’osservava da lontano. La bimba sorrideva con le labbra di rosa, gentile eppure potente. Una bimba agli occhi di tutti, la piccola imperatrice del mare.
Era amaro il desiderio di essere come lei, fragile e delicato, perché delle amorevoli braccia potessero stringerlo senza temere di poter provare dolore. Perchè una mano pallida stringesse la sua, senza quei guanti assassini, ancora una volta e cancellasse per sempre il tormento che come il fulmine squarciava il suo spirito.
La musica finì, Kouchin aveva smesso di suonare, sollevandosi con grazia dal suo giaciglio, tendendo una mano alla piccola Shiki e conducendola all’interno del castello. Il giorno era terminato. Cominciava un’altra notte.
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Il sole era scomparso ad occidente, le stelle ormai sorte, pallide e remote ombre del reale ormai smarrito. Touda restava immobile, ad osservarle, dove ormai nessuno sguardo poteva scorgere la tempesta che si agitava nel suo cuore. Non sentiva il freddo, non sentiva la stanchezza, la mente non sentiva il bisogno di riposo. Era una statua di marmo lasciata indietro dai secoli che indifferenti erano trascorsi.
Il suo corpo non sentiva nulla.
Ma il suo cuore...il suo cuore avvertiva un fremito. Qualcuno era vicino, qualcuno era entrato nel Gensokai. Qualcuno che non era incorso nelle ire delle guardie.
Il suo cuore perse un battito ed il ricordo di una mano di sottile porcellana bianca gli riaffiorò alla mente. Ora il suo animo era in tumulto e i suoi muscoli si erano irrigiditi. Istintivamente, riinfilò i guanti.
Era sempre così quando sentiva la sua presenza, quando l’avvertiva nell’immobilità di quella terra sospesa in un cervello elettronico. Era il suo cuore a sussurrarglielo, non i suoi sensi. Erano i segni di quelle pesanti catene che ancora marchiavano i suoi polsi a ricordarglielo. Il tumulto incontrollato del suo cuore che urlava, che invocava e che si zittiva.
Si alzò di scatto, tendendo l’orecchio.
Era lui...era arrivato.
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I suoi piedi balzarono da un’ala all’altra del palazzo, mentre tutti i suoi muscoli si tendevano verso un unico pensiero. Trovarlo, osservarlo, inspirare il suo profumo, farlo entrare in circolo per sedare quelle fiamme che lo divoravano, nel costante, crescente desiderio che si acquietava solo se lui era vicino. Solo se lui era lì, per lasciarsi osservare. Un minuto, un secondo, un istante. Bastava. Bastava questo ed il suo cuore si zittiva, la tempesta si sedava. L’anima si sentiva finalmente a casa, sospirando alla quiete delle sue mani.
Si voltò, i suoi occhi scrutarono le tenebre, ma non scorsero il suo profilo, che conosceva a memoria.
Dove sei?
Il chiaro di luna piena gli faceva da lume, in quella notte come le altre che ora era speciale. La sua sola presenza l’aveva resa speciale.
Poi, finalmente, i suoi occhi di serpente lo videro e la tempesta si zittì.
Tsuzuki era nel Gensokai.
Niente aveva più importanza. La prigione, l’immobilità, il tempo che scorreva e non lasciava tracce. Niente. Solo poterlo osservare, un istante e non desiderare più nulla.
Si posò silenziosamente alle sue spalle, senza fare rumore, per non turbare la quiete della sua figura seduta in riva al laghetto, sul pontile illuminato dalla luna d’argento.
Era lì...ad un soffio dal suo corpo. Poteva sentire il suo respiro irregolare, vedere le sue mani posate sulle ginocchia, immaginare il calore del suo corpo. Allungò una mano, sfiorandogli i capelli scuri nella pallida notte. Ma era bastato questo a metterlo in allarme.
Il momento si era infranto.
“Chi...?” Tsuzuki si voltò accigliandosi per scorgere la sua figura alle spalle.
“Sei di nuovo qui?” chiese Touda.
“Oh...Ah, ciao...” mormorò il giovane Shinigami, tornando ad osservare la luce della luna riflessa sulla superficie del laghetto.
Come mai sembra così triste?
“Cos’hai?”
“Uh?”
“Hai litigato con Tatsumi? Di nuovo?” gli chiese, restando in piedi alle sue spalle.
“...”
“Allora?”
“No...niente...tranquillo.”
“Stai mentendo” ribattè tranquillamente lo Shiki.
Tsuzuki si voltò, con gli occhi colmi di lacrime e quell’espressione che Touda tanto odiava perchè lo faceva sentire impotente: lo sguardo di chi regge sulle proprie spalle troppe sofferenze, troppi affanni, troppe colpe per poter sopportare quel peso. Lo sguardo di chi è divorato da dubbio e dalla paura. Inconsciamente desiderò fuggire per non vederlo piangere.
Touda sapeva cosa si agitava nel suo cuore. Era la stessa sensazione che provava lui quando ricordava a se stesso che Tsuzuki era fuori, nel mondo reale e non poteva raggiungerlo, se non con il pensiero e con i desideri.
Sulle labbra di Tsuzuki si posò gentilmente un sorriso. “Non è niente che non possa affrontare”
“Stai di nuovo mentendo. Ma non ti farò domande, se non ne voi parlare”
“Grazie”
Touda si sedette sul bordo del pontile, accanto a Tsuzuki che non staccava gli occhi dalla luce della luna riflessa sull’acqua.
Così triste e così bello.
Guardò le proprie mani guantate e sentì l’irrefrenabile desiderio di nasconderle. L’irrefrenabile desiderio di sfilare quei guanti e posare le dita frementi sulla pelle dello Shinigami che lo aveva liberato solo per stringerlo con catene di un amore impossibile che divorava luce e ombre. Razionalità e dubbio. Ricordo e speranze.
“Grazie” disse all’improvviso Tsuzuki, rompendo il silenzio che si era creato.
“Di cosa?”
“Di non avermi chiesto nulla. Sarebbe stato troppo...doverlo rivivere ancora una volta”
“Non ho bisogno di farti delle domande per sapere che sei triste”
Tsuzuki sorrise “Sono molto stanco...vorrei dormire” disse con voce pastosa sbadigliando.
“Puoi dormire nel palazzo, per questa notte...”
“No...ho troppo sonno” la voce dello Shinigami si fece ancora più assonnata. Si stese sulla schiena, chiudendo gli occhi. “Sono davvero stanco, Touda...questa vita è infinita”
“Hai scelto tu questa via”
“Lo so...ma mi chiedo che senso abbia...” mormorò, prima di addormentarsi profondamente.
*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^
Il respiro di Tsuzuki divenne regolare e profondo, mentre sprofondava nel torpore di un sonno senza sogni.
Sembrava proprio una creaturina di porcellana, così addormentato. Avrebbe voluto chiuderlo in una teca di vetro per non doverlo vedere piangere mai più. Gli straziava il cuore sentire nel suo cuore tanta disperazione e non poter fare nulla per quietarla. Quel giovane fragile e straziato in fondo all’anima riusciva a farlo sentire a casa solo guardandolo negli occhi con sguardo dolce e sincero, mentre lui non riusciva a salvarlo uccidendo i nemici che lo minacciavano. A cosa serviva tutto questo? Solo a frantumargli il cuore ogni volta.
Rabbia.
Provava tanta rabbia.
Avrebbe voluto dar sfogo a quell’ira che attendeva solo di esplodere, ma Tsuzuki era lì, indifeso, addormentato. Non avrebbe sopportato di vederlo ferito a causa sua.
Avrebbe voluto che quei guanti maledetti non esistessero, mentre accarezzava con lo sguardo la figura addormentata che aveva accanto.
Avrebbe voluto sfiorare con dita tremanti la fronte di Tsuzuki, scendendo sulla tempia e sulla guancia bagnata di lacrime. Altre lacrime su quel viso che tanto lo faceva bruciare. Le sue labbra, teneramente dischiuse, baciarle, mentre dentro al cuore sentiva riaccendersi le fiamme dell’Inferno, come una necessità, un bisogno primario che aveva da sempre senza saperlo. Ma non doveva. Poteva solo restare in silenzio in un angolo in attesa, aspettando di poterlo difendere dai nemici che avrebbe incontrato, di mantenere una promessa che aveva fatto a se stesso nel momento in cui aveva afferrato la sua mano. Non poteva fare altro...non poteva fare altro che quello, nonostante sognasse da anni, decenni, il momento in cui non avrebbe più dovuto restare in silenzio a guardare.
Provava per lui quel sentimento che aveva portato alla rovina molte creature più forti di lui. L’audacia che dà l’avere un solo scopo e un solo obiettivo. Accesa nella sua mente, c’era solo la luce di Tsuzuki. Di nessuno gli importava. Neppure di se stesso. Solo di lui. E sarebbe stato così per sempre.
Il suo cuore fremette quando si accorse che Tsuzuki era ancora sveglio e i suoi occhi aperti riflettevano il cielo trapunto di stelle.
“A cosa pensi?” gli chiese.
“Oggi ho tolto la vita ad una ragazzina di dodici anni...era malata di leucemia. Eppure lottava strenuamente da mesi per sopravvivere. Mi sono chiesto se avessi davvero il diritto di toglierle il dono della vita”
“E’ il tuo lavoro”
“E’ il mio modo di guadagnarmi l’eternità. Ma a cosa serve vivere così? La mia stessa presenza qui, che senso ha?”
Touda non rispose. Distolse lo sguardo dai suoi occhi viola scuro, perchè non sapeva rispondere.
“L’eternità è una galera” disse lo Shinigami.
“Sì...è una galera. Vivere in un giorno infinito che si ripete da secoli. Però abbiamo un compito. Tu hai quello di fare il tuo lavoro e io quello di proteggerti se serve.”
“E non sei stanco di tutto questo?”
Era stanco di vivere in quel modo? Di stargli accanto solo nel momento del bisogno, di attendere con impazienza il momento di agire, di sperare quasi che fosse in pericolo o che stesse soffrendo pur di parlargli, sgridarlo e dimostrargli che lui c’era e ci sarebbe stato?
“No...non sarò mai stanco di proteggerti” mormorò più a se stesso che al proprio padrone.
Tsuzuki si mise a sedere, guardandolo incuriosito, in una muta domanda. Sorrise dolcemente e gli prese una mano tra le sue, ma lo Shiki la ritrasse, temendo che quegli artigli potessero ferirlo. Allora Tsuzuki sfilò uno dei guanti e strinse nuovamente fra le sue una delle mani affusolate di Touda. Era fredda al contatto. Posò un bacio su quelle dita di alabastro, socchiudendo gli occhi. Stringeva ancora la sua mano quando avvicinò il proprio viso a quello di Touda e gli rubò un bacio a fior di labbra, mentre tutto intorno il silenzio diveniva totale. I suoi occhi di ametista scrutarono per un istante il suo volto e la sua espressione sorpresa, incredula, dubbiosa.
“Cosa fai?” gli chiese d’istinto, mentre le labbra di Tsuzuki sfioravano le sue. Aveva ancora la mano stretta nella sua salda presa...la mano senza il guanto. La mano che ora era indifesa e pulita, come il visetto innocente di Tenkou. Come la mano di Tsuzuki. La strinse spasmodicamente, ma si ritrasse subito dopo.
Questo non doveva succedere.
Si allontanò di un passo, appena fu in piedi accanto a lui. Se doveva proteggerlo, doveva farlo con lucidità, non con la mente annebbiata da quelle strane e incoerenti emozioni. Da quei sentimenti che lo sfinivano.
“Alzati...ti accompagno ai Cancelli”
Tsuzuki si alzò pesantemente e gli afferrò una mano, sorridendo tristemente.
“Touda...me la faresti una promessa?”
“Che tipo di promessa?”
Lo Shinigami esitò. Alzò lo sguardo pieno di tristezza sul proprio Shikigami. Non poteva chiederlo che a lui.
“Promettimi che quando non potrò più reggermi in piedi, mi ucciderai?”
“...”
“Promettimi che se te lo chiederò, mi ucciderai.”
“...ma...”
“Promettimi che quando la prigione sarà troppo stretta per me e il mio cuore non reggerà oltre il peso dell’eternità, tu mi ucciderai.”
“Tsuzuki...”
“Promettilo”
Touda restò immobile ad osservare quell’uomo oppresso dai ricordi incatenato ad un corpo da ragazzo. Era come guardare un fiore appassito racchiuso in una lucente teca di vetro.
“E’ una promessa che ti chiedo. Posso chiederlo solo a te perchè mi capisci più di chiunque altro: noi siamo prigionieri di un’eterna vita che ci pesa in fondo al cuore. Credevamo di avere uno scopo ma l’abbiamo smarrito chissà dove e chissà quando mentre non guardavamo. Ho scelto di divenire uno Shinigami perchè rimpiangevo la vita da uomo che non ho mai potuto avere in un’intera lunga esistenza ma ora no so più se ho fatto bene. Ho le mani macchiate di sangue, Touda. E arriverà il giorno in cui non riuscirò più a lavarlo via. Ti chiedo una promessa...una promessa soltanto perchè solo tu puoi capirmi. Prometti.”
“...”
“Prometti”
Touda strinse maggiormente la presa sulla sua mano. Era ancora calda. Avrebbe voluto stringerla per sempre, fino alla fine del mondo, dell’Eterno ,di ogni cosa.
“Te lo prometto. Perchè tu mi hai reso la libertà. Se sarà la dolce libertà della morte che mi chiederai, non potrò far altro che mantenere quella promessa”
Lo trascinò verso i cancelli del Gensokai e non vide il sospiro di sollievo e il sorriso leggero sulle labbra di Tsuzuki.
Mentre lo guardava allontanarsi, infilò di nuovo il guanto e chinò il capo.
“Su una cosa ti sei sbagliato, amico mio. Io uno scopo ce l’ho: proteggere te” pensò.


“Non te ne pentirai, Tsuzuki? Le mie Fiamme Nere dell’Inferno sono il fuoco malvagio che può annientare addirittura il tuo corpo. Siccome è un fuoco a doppio taglio hai sempre evitato di darmi ordini, non è così?”
Ti sei sempre trascinato in questa via oscura, questa strada eterna che detestavi e da cui non riuscivi a separarti, pieno com’eri di speranza....di quella speranza che sussurrava parole confortanti su un futuro migliore, su un giorno felice, su una luce bianca. Hai donato interamente a me la tua speranza?
“Non preoccuparti, Touda. Sono sicuro che posso chiedere solo a te questo favore...non voglio più esistere”
Sento il mio cuore lacerarsi. Se morirai, sarai felice? Forse non sai quanto ti sono legato, perchè non capisci che chiedermi questo mi condanna alla prigionia e al tormento del senso di colpa. Non potrò mai privarmi della sofferenza che mi darà il distruggere l’unica cosa cui io abbia mai tenuto. Il tuo sorriso, la tua mano, il tuo calore.
Ma va bene. Se è questo che desideri, manterrò la mia promessa. Spero che l’oblio mi raggiunga presto, appena avrò finito.

FINE



Un’altra ficcy deprimente, nevvero? A quanto pare ormai è questo il mio stile. Spero vi sia piaciuta, ad ogni modo.
Ps: alla fine sono arrivata al numero undici, ma ormai l'avrete capito...ngheeee...
Baci a abbracci
Helly^^

 
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